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Lee Miller: il biopic all'Inferno
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Ottobre 2025, n. 985
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00985.html
Articolo presentato il 10 Settembre 2025, accettato in data 17 Ottobre 2025 e pubblicato in data 17 Ottobre 2025
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Abstract

13 marzo 2025. Dopo 10 anni di lavoro, Kate Winslet porta sul grande schermo il biopic di Elizabeth Lee Miller. Non gli anni da modella, musa dei Surrealisti e amante degli artisti, ma il suo periodo più profondo, quando diventa corrispondente per Vogue, prendendo parte alla Seconda Guerra Mondiale. In molti avevano provato, ma nessuno aveva avuto il coraggio di realizzare un lungometraggio. Il risultato è un'opera pregiata che celebra la più singolare fotografa del Novecento costruito come collage degli scatti e ricordi.


Lo aspettavamo. Lo volevano tutti, ma nessuno aveva il coraggio di riuscirci: il biopic di Elizabeth Lee Miller. Non la fase della vita della modella, né la musa dei Surrealisti, né l'amante degli artisti, ma uno spaccato del suo periodo più eroico e profondo: la sua adesione alla Seconda Guerra Mondiale come fotografa sul campo. La rolleiflex al collo per una collezione pregiatissima, non solo testimone, ma protagonista. Lee è un'eccezione unica nel panorama della fotografia mondiale: perché donna, perché ha “attraversato lo specchio” come Alice ... dal fronte al retro della macchina fotografica.

Osservatore, indagatore, ma anche creatore dell’allestimento teatrale, l’obiettivo di Lee non espone, ma esplode all’apertura del sipario. Ogni immagine è filtrata con visione dall’alto e ribaltata con apparente spontaneità, ma curata nei piccoli dettagli. Maschere antigas, occhiali di protezione, cappelli, elmetti e ... tanti corpi, tante vite, presenze, attori, la cattura di un istante per l’eternità, la memoria, la storia.

L'Idea

Kate Winslet acquista un tavolo all'asta che scopre essere appartenuto nientemeno che alla famiglia Penrose: ecco uno di quegli “incontri casuali” 1 che costellano la storia dell’arte. Una volta contattato Antony Penrose, figlio di Lee Miller, Kate vuole assolutamente produrre un film e interpretare lei stessa la fotografa che ha segnato un’epoca. Dieci anni di lavoro con al suo fianco una new entry alla regia, Ellen Kuras, nota per la direzione della fotografia e non certo una sconosciuta. È collaboratrice abituale di Spike Lee per intenderci. Ma un biopic su Elizabeth è tutto meno che semplice: troppe le vite della Miller, tanti gli ambiti di influenza, eccesso e prepotenza dominante nei campi più svariati. Si parla delle “Vite” 2 di Lee Miller: non una matassa da districare, ma una serie di picchi di grandezza e notorietà negli anni e negli ambienti più importanti. Ancora oggi è non una, ma “La” fotografa del Novecento, “La” musa dei Surrealisti, “La” modella, “La” corrispondente di guerra. Ed è questo suo periodo a mettere tutti d’accordo sul fatto che possa rappresentare il “suo” momento nella storia ed è grazie a lei se ci è arrivata la più forte collezione degli scatti di guerra.

Molto si deve alla stretta collaborazione con David E. Sherman, all’epoca corrispondente per Life, ma affidabile e compresente compagno di viaggio di Lee, in trincea per Vogue. Dal sodalizio sono nate le serie che hanno messo a dura prova gli occhi degli osservatori.

David aveva accesso ovunque in quanto uomo, mentre Lee è stata accettata solo perché la sua nazionalità americana le permetteva di aderire alla guerra: gli Stati Uniti hanno reso i propri cittadini un popolo nella compatta e non discriminante campagna per l’arruolamento. È la necessità di cambiare in un mondo che sta cambiando con lei stravolto dall’avanzata nazista in Europa.


L’intervista

L’escamotage per dare vita al biopic è dato da un’intervista a casa di una Lee in tarda età, stanca, ma ancora irrimediabilmente a difesa della verità, una lotta di principio contro la censura per non dimenticare. L’ambiente casalingo è la poltrona narrante dove Lee può cominciare il suo racconto attraverso ricordi, flash, emozioni lontane, ma indelebili, le fotografie che ha sempre difeso, objet trouvé e ready made della Storia. È il frammento che porta la memoria, come madeleine evocativa, l’immagine dell’indicibile che non va cancellato. Ecco la natura stessa della fotografia: il singolo frammento, negativo fotografico, come parte del lungometraggio, costruzione non casuale di chi era direttrice della fotografia prima di essere regista, Ellen Kuras.


Normandia, Francia 1944

Lee Miller sbarca al fronte con gli alleati, dopo un periodo da spettatrice a Londra. Ha lottato, nonostante tutti i buoni propositi del British Vogue che la voleva come interprete a sprono della popolazione per unirsi alla Guerra. Ma lei stessa vuole esserci, come è prepotente al suo arrivo. Nonostante la sua adesione perché americana, molte zone sono ancora interdette alle donne. Aveva incontrato un’aviatrice dell'aeronautica: “il suo lavoro ci fa davvero capire cosa succeda”. È quella solidarietà femminile a spingerla ancora di più, a fingersi uomo per partecipare alle conferenze nelle tende militari da campo, ad introdursi ovunque, sempre e comunque con la sensibilità della donna. Quando si toglie il cappello, i sopravvissuti vedono il volto femminile e i suoi capelli: sono rassicurati e ben disposti a farsi immortalare.

È nelle tendopoli il salto di Lee. Quando entra, scopre quello che nessuno vorrebbe vedere. Lo sguardo più difficile ricalca una maggiore oggettività e crudeltà. Impossibile creare spazi teatrali ove i medici curano centinaia di ferite da guerra ogni giorno. Il teatro della vita si offre a Lee: corpi smembrati, mutilati, occhi terrorizzati. L'orrore del freak show: “Anche quando volevo distogliere lo sguardo sapevo che non potevo”.

Alcuni sopravvissuti si esibiscono per Lee: sono ben felici di farsi immortalare dalla fotografa, come quel soldato completamente bendato che vuole essere nell'obiettivo, vuole che gli riconoscano la partecipazione. Si possono intravedere solo bellissimi occhi tra le bende, a suo dire gli occhi di sua madre. “Ti assicuri che la pubblicheranno?”. “Lo prometto”. E sarà una promessa durissima da mantenere ... Ma questo riguarda Vogue e la stampa.


Sul campo

La sigaretta tra le labbra la accompagna ovunque: “allenta la tensione” come dirà lei stessa a Sherman. Lee morde la vita e la morte.

Viene spedita a Saint Malo che, a dire dei suoi superiori, sarebbe già stata pacificata. Elizabeth, invece, è sotto le bombe e gli spari la inseguono. È una tempesta di proiettili ininterrotta. La polvere e le macerie fanno da sfondo, ma i bagliori e il fumo sono i protagonisti. Tempo dopo si scoprirà che si trattava del Napalm.

I cecchini mirano come fotografi 3: portano la morte, mentre Lee sottrae le immagini alla morte e al tempo.

Bandiera bianca. Parigi è libera. Una pioggia di volantini viene lanciata dagli aerei. È Libertà di Paul Éluard.


Su i quaderni di scolaro

Su i miei banchi e gli alberi

Su la sabbia su la neve

Scrivo il tuo nome

Su ogni pagina che ho letto

Su ogni pagina che è bianca

Sasso sangue carta o cenere

Scrivo il tuo nome

Su le immagini dorate

Su le armi dei guerrieri

Su la corona dei re

Scrivo il tuo nome

Su la giungla ed il deserto

Su i nidi sulle ginestre

Su la eco dell’infanzia

Scrivo il tuo nome

Su i miracoli notturni

Sul pan bianco dei miei giorni

Le stagioni fidanzate

Scrivo il tuo nome

Su tutti i miei lembi d’azzurro

Sullo stagno sole sfatto

E sul lago luna viva

Scrivo il tuo nome

Su le piane e l’orizzonte

Su le ali degli uccelli

E il mulino delle ombre

Scrivo il tuo nome

Su ogni alito di aurora

Su le onde su le barche

Su la montagna demente

Scrivo il tuo nome

Su la schiuma delle nuvole

Su i sudori d’uragano

Su la pioggia spessa e smorta

Scrivo il tuo nome

Sulle forme scintillanti

Le campane dei colori

Sulla verità fisica

Scrivo il tuo nome

Su i sentieri risvegliati

Su le strade dispiegate

Su le piazze che dilagano

Scrivo il tuo nome

Sopra il lume che s’accende

Sopra il lume che si spegne

Su le mie case raccolte

Scrivo il tuo nome

Sopra il frutto schiuso in due

Dello specchio e della stanza

Sul mio letto guscio vuoto

Scrivo il tuo nome

Sul mio cane ghiotto e tenero

Su le sue orecchie dritte

Su la sua zampa maldestra

Scrivo il tuo nome

Sul decollo della soglia

Su gli oggetti familiari

Su la santa onda del fuoco

Scrivo il tuo nome

Su ogni carne consentita

Su la fronte dei miei amici

Su ogni mano che si tende

Scrivo il tuo nome

Sopra i vetri di stupore

Su le labbra attente

Tanto più su del silenzio

Scrivo il tuo nome

Sopra i miei rifugi infranti

Sopra i miei fari crollati

Su le mura del mio tedio

Scrivo il tuo nome

Sull'assenza che non chiede

Sulla nuda solitudine

Su i gradini della morte

Scrivo il tuo nome

Sul vigore ritornato

Sul pericolo svanito

Sull’ Immemore speranza

Scrivo il tuo nome

E in virtù d’una Parola

Ricomincio la mia vita

Sono nato per conoscerti

Per chiamarti

Libertà.


La vittoria è apparente. Si scatena la violenza contro le donne accusate di cospirazione e collaborazione con i nemici. Rasati i capelli, viene tolta loro la femminilità. Lee è sempre dentro ad ogni foto con quella partecipazione emotiva che solo il suo essere donna può darle.

Nessuno può spiegare come ci si sente. La vergogna. Ci sono diversi tipi di ferite, non solo quelle che si vedono”.


Libertà?

Parigi è liberata, ma la guerra continua. Come lei stessa dice “Per me le cose erano appena iniziate”. La violenza tra le strade impazza: gli stupri delle donne francesi da parte dei soldati americani la indignano e la rendono ancora più consapevole della crudeltà che continua a consumare le rovine dell'Europa, come se quello che ha visto e vissuto non fosse stato abbastanza.

Si reca nelle vecchie dimore parigine, quelle della sua vita mondana, della modella, delle giornate soleggiate a contatto con gli artisti dell’epoca.

Ritrova l’amica Solange d’Ayen, ormai scheletro di sé stessa, sopravvissuta a prigionia, interrogatori, bombe ... in attesa del suo Jean arrestato.

Sono scomparsi, sono tutti scomparsi.

Lee sente il peso dell’assenza quando, ad inizio guerra, non sapeva esattamente cosa stesse succedendo poiché era in Inghilterra con Roland.

Tu non eri qui. Possono succedere cose terribili ad alcuni di noi”. Il dolore per non essere stata con loro, per non essere intervenuta prima e poi i ricordi e le ferite, quel festeggiare la liberazione. Fa strano ridere: “Parigi è come una bomba il cui sorriso ha metà dei denti”. Attraverso Solange, Lee scopre un lato ancor peggiore della medaglia: le persone sparite sotto la dominazione di Hitler: “Chiunque non rientrasse nei loro ideali è scomparso”.

Nonostante Roland provi a convincere Lee a tornare in Inghilterra, lei sente di avere ancora un conto in sospeso: scoprire dove sono sparite tutte quelle persone. Dopotutto, “Sono sempre stata l'ultima ad andar via da una festa”.


Treni

Sherman la segue. Confine tedesco, 1945.

Abbiamo guidato per mesi. Non ci siamo lavati per settimane. Chilometri e chilometri dentro il peggio di tutto”.

I fotografi trovano la morte dentro la morte. Vengono incaricati di documentare i patti suicidi: intere famiglie che hanno preso il cianuro.

C'è tanta vita negli occhi di una persona. Fino al momento che non ce n’è più. Non era più qualcosa di cui avevo sentito parlare o immaginato. Era reale.

Una volta che l’hai visto, non potrai mai cancellarlo”.

E insieme ai soldati seguono i binari dei treni a caccia degli scomparsi.

L’odore nauseabondo necessita una copertura extra per naso e bocca. Ad ogni ispezione dei vagoni segue l’annuncio standard: “Nessun segno di vita”. È una sentenza.

I treni sono cimiteri di corpi soffocati, pile di umanità spezzata. Solo Lee ha il coraggio di salire e di avvicinarsi.

Solo la fotografia, come immagine, può esprimere il silenzio rispettoso e assordante della morte. Sherman si concentra, invece, sugli esterni, sui cadaveri derivati dalle esecuzioni frettolose dei Nazisti prima della fuga.

Ma non è finita. I due viaggiatori devono attraversare gli ultimi gironi dell’Inferno.

Lee sarà l'unica fotografa donna a documentare gli orrori di Dachau e

Buchenwald.

Divise a righe, corpi e ancora corpi, un carretto di pane per i sopravvissuti, sempre che di vita si tratti, e i bambini, la paura nei loro occhi.

Lee è una donna: come durante ogni momento di sgomento verso il suo arrivo, toglie ciò che la rende paurosa. Via l'elmetto o il cappello, mostra i capelli e i suoi tratti. Le è concesso di immortalare i volti terrorizzati. Non guarda volutamente verso il basso, nella macchina. Osserva e fotografa appoggiando la macchina al ventre. Muove il dito e ricarica la rolleiflex senza distogliere lo sguardo dal soggetto per indagarlo. Vede la paura, i segni delle violenze e degli stupri sui bambini.

E accanto a quegli occhi che la fissano, masticando qualche mollica portata dagli Americani, c'è la stanza buia.

Le serve la luce di Sherman per la cattura. È lacrima gelida per il tumulo di cadaveri consumati dalla fame, dal lavoro, dalla fatica. Si fotografa l'indicibile, ciò che non può essere narrato.

Lee ha bisogno di uno scatto immortale che sia riscatto di tutto quel dolore e quell’orrore.


La vasca

Un pacchetto di sigarette per convincere la guardia è il pass per la destinazione finale: la dimora di Hitler, ormai piena di soldati occupanti tra i cimeli.

Ecco scorgere l'ultimo baluardo del percorso, l'intimità più assoluta, il bagno del Führer, dove l'acqua calda è il lusso sfrenato.

L’ultimo allestimento è il teatro del trionfo: Lee Miller nuda nella vasca di Hitler che cela le sue grazie per evitare la censura. Perché quella foto dev'essere vista. Torna il teatro, ma è essenziale, quasi un monumento alla memoria. Gli stivali appoggiati davanti alla vasca sono pieni di quei sassolini nelle scarpe di Lee: tutto quello che ha visto, vissuto, scoperto.

Chiusa la porta di quel sipario surrealista c'è il pianto liberatorio di Sherman: “Tutte quelle persone erano la mia gente”.


British Vogue

All’uscita del numero di Vogue, Lee è impaziente di vedere i suoi scatti, ma non compaiono in nessuna pagina. Si reca quindi, su tutte le furie, nella sede della rivista. Nei cassetti trova la busta con i negativi che taglia in preda alla rabbia. La direttrice Audrey Whiters la blocca perché sono documenti storici, ma il Ministero inglese non vuole pubblicarli perché “la gente ha bisogno di guardare avanti” e quelle sono immagini piene di “angoscia”.

Lee Miller si siede sulle scale dando le spalle alla direttrice raccontando la storia mai detta di una delle foto: il ritratto della bambina di uno dei campi di concentramento. Ha negli occhi la vergogna e il terrore dello stupro subito, esattamente come Lee. Quella bambina non può “andare avanti”, così come non si può ignorare quello che è successo. Le fotografie verranno passate a Vogue America.

La fotografa- modella ha lottato per la verità, perché nessuno potesse nascondere quelle immagini, perché si ricordasse. È paladina della Memoria per quello che ha visto, fotografato, immortalato, sottratto al tempo e raccolto per sempre, per non dimenticare: “Questo è successo davvero”.


Il ribaltamento

Parlami di tua madre”. Nel picco di immagini, sentimenti e sofferenza, Lee Miller passa da narratrice ad intervistatrice. Quello che ha davanti non è un semplice giornalista, ma Antony Penrose, suo figlio. Amatissimo sì, ma ignaro di quel passato così pesante, racchiuso per anni in una scatola di fotografie. È come se la regia volesse rivalutare Lee, farle avere un momento tutto suo con il figlio, come donna e madre per parlare di tutto quello che è stato taciuto, racchiuso in soffitta.

Antony è provato: per anni ha cercato di capire la psicologia complessa di Lee che era sua madre, auto-accusandosi, capendo poi che la colpa non era sua, forse della madre. Ma oggi sa che è dovuto a qualcosa che non si deve dimenticare, ma è ancora inenarrabile.

Ecco Lee cercare una scatola impolverata: è il suo tesoro, la sua personalissima Wunderkammer alla Cornell 4 per la memoria, una Shadow Box:


Una ciocca di capelli di Antony

Il primo libro che gli ha letto

Il primo disegno di Antony

La prima foto che Lee ha scattato ad Antony e al padre Roland.


Lee si trasforma in Lista 5 esattamente come la donna di Ogni cosa è illuminata 6 di Jonathan Safran Foer 7.

Antony diventa il narratore, uno specchio, un’immagine catturata dalla macchina fotografica, il ribaltamento della camera oscura.

Perché non mi hai mai detto niente?”

Lee, frutto dell’immaginazione di Antony, è scomparsa. Restano le foto sparse sopra e sotto il tavolo, come dopo un attacco aereo, uno di quelli che ha sentito la stessa Lee.

Quegli occhi nei ritratti ci osservano ancora.


Titoli di coda


Lee Miller è morta nel 1977 nella Farley Farm House.

Antony non aveva mai saputo cosa aveva fatto sua madre durante la guerra. Dopo la sua morte scoprì le fotografie di Lee nascoste in soffitta.


LEE MILLER


Oggi Lee Miller è considerata uno dei più grandi corrispondenti di guerra del nostro tempo. Le sue fotografie dei campi di concentramento rimangono tra le più significative dell’Olocausto.


Poco dopo la morte di Lee la famiglia creò l’archivio Lee Miller. Roland morì nel 1984. Da allora, Antony e la nipote di Lee, Amy, hanno dedicato la loro vita alla tutela dell’eredità di Lee.


DAVID E SHERMAN


Dopo la guerra Davy ritornò a New York. Rimase alla rivista Life e diventò il membro del personale con più anzianità di servizio. Rimase amico intimo di Roland e Lee fino alla fine della loro vita.


NUSH E PAUL ELUARD


Nel 1946, un anno dopo la fine della guerra, Nush, all'età di 40 anni, fu colpita da un ictus e morì. Paul, distrutto, le dedicò le sue ultime poesie con uno pseudonimo perché “la sua morte ha ucciso Paul Eluard”.


Si alternano le foto di Lee. Gli scatti che hanno fatto la storia, gli stessi che hanno costruito l’intervista. PER NON DIMENTICARE!



         

NOTE

1 COHEN 2006.

2 PENROSE 1985.

3 ROVIDA 2010 a.

4 SIMIC – CORNELL 20052.

5 ROVIDA 2015.

6 SBRILLI 2009.

7 FOER 2004.




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