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La Villa Medicea di Poggio Imperiale a Firenze  
Claudia Maria Bucelli
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Agosto 2013, n. 686
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La villa e il contesto paesaggistico:

La villa di Poggio Imperiale sorge a ridosso dell'Oltrarno fiorentino sulla collina di Arcetri, all’esterno delle antiche mura della città che comprendono il vicino giardino di Boboli. Si colloca a circa un chilometro dal piazzale di porta Romana e a due da palazzo Pitti, risiedendo dunque in un contesto di forte pregnanza storica nonché in un ambito paesaggistico e panoramico di rilevante suggestione e pregio. Vi si accede percorrendo per circa un chilometro un lungo viale, l'antico 'Stradone' costruito per volontà di Maria Maddalena d’Austria, fiancheggiato da olmi, lecci e cipressi, che dal Piazzale di Porta Romana, in un incremento di suggestiva percezione prospettica della facciata, conduce alla villa.

Da Poggio Baroncelli, nome dell’antica famiglia fiorentina che ne fu proprietaria, il sito prese il nome di Poggio Imperiale il 23 maggio 1624 per volontà della stessa Maria Maddalena d'Austria, vedova di Cosimo II de' Medici, che con editto granducale elesse 'Villa Baroncelli' a 'Villa Imperiale', da cui il passaggio di Poggio Baroncelli a Poggio Imperiale, per sottolinearne l'identità di luogo di residenza della reggenza di stirpe imperiale, palazzo del potere regnante della sorella dell'Imperatore Ferdinando II d'Austria e futura sede di rappresentanza delle granduchesse di Toscana. Residenza celebrativa della legittimità del governo transitorio della reggenza e dell'autorità dell'azione politica della granduchessa asburgica in vece del figlio minorenne, futuro Ferdinando II, Poggio Imperiale certamente non costituì il malinconico ritiro per la vedova del defunto granduca, bensì una comoda ed elegante villa suburbana vicinissima alla città dove dedicarsi, lontano dall'ufficialità della corte, all'otium e ai sani divertimenti della vita in campagna. Essa fu infatti per tutto il periodo dell'interregnum di Maria Maddalena e della suocera Cristina di Lorena la residenza simbolo di quel potere politico che la granduchessa aveva a sé avocato per l'autorità derivantele non solo dall'essere vedova di Cosimo II de' Medici e madre del successore al trono, ma anche e soprattutto in quanto discendente dalla famiglia degli Asburgo. Collocato in prossimità delle mura cittadine e al centro di ampi poderi, boschi e riserve di caccia, il sito di Poggio Imperiale offriva gli stessi vantaggi delle altre residenze di campagna per gli eletti alla sua frequentazione, che vi potevano godere l'aria salubre delle colline dilettandovisi anche nell'attività venatoria, rappresentando, soprattutto dopo l’esecuzione di quei lavori decisi dalla granduchessa Maria Maddalena, una vera e propria estensione della corte medicea, non da meno, quanto a magnificenza, a Palazzo Pitti. Inoltre l’'ubicazione dell'edificio, simbolicamente vicino alla sede ufficiale di Pitti, fuori dalle porte di Firenze e in cima a un alto colle, messo in scena dallo 'Stradone' rimasto ad oggi intatto dove ancora si legge evidente l'antica idea del Parigi di creare un asse di proiezione della città nella campagna che avesse come fuga prospettica la facciata della villa, ha senza dubbio contribuito a caratterizzare il sito, trovando un'eco nella sistemazione urbanistica dei grandi viali che tuttora si proiettano sino a sfociare in piazza di Porta Romana [1] . Delle statue che formavano la scenografica soluzione urbanistica adottata per il piazzale di Porta Romana - i quattro vivai, due di uguale forma mistilinea e due quasi semicircolari, arricchiti dalle statue antropomorfiche dell'Arno e dell'Arbia, furono interrati nel 1765 - rimangono la 'Lupa che allatta due piccoli infanti', e il 'Leone che schiaccia il globo', oggi collocati all'innesto di viale Machiavelli. Agli innesti del viale del Poggio Imperiale sono state invece successivamente collocate, in base e in sommità, quattro sfingi provenienti da due ponti sospesi ottocenteschi.

Anche Poggio Imperiale, come le altre ville medicee, si collocava al centro di un grande complesso agricolo accuratamente amministrato chiamato 'Fattoria del Poggio Imperiale', vincolato da bandita. Nell'Archivio di Stato di Firenze si conservano ancora libretti e giornali che riportano le entrate e le uscite di denaro per la vendita dei prodotti agricoli e le spese di necessità alla loro coltivazione, alla gestione del bestiame e alla manutenzione degli annessi rurali e delle case coloniche. I terreni della bandita si estendevano dalla porta San Pier Gattolini, attuale Porta Romana, costeggiavano parte di via Senese, l'antica via Romana, e parte delle mura della città adiacenti al giardino di Boboli.


Fig. 1
Fig. 1. Veduta zenitale del complesso della villa di Poggio Imperiale, da Internet

Raggiungevano la sommità della collina dalla quale dominava la villa, allungandosi più indietro fino al fiume Ema e rasentando i confini delle proprietà di alcune ricche famiglie fiorentine.

Tra il 1618 e il 1624 l'ampia tenuta era stata ulteriormente ingrandita da Maria Maddalena d'Austria che, acquistando cinque nuovi fondi con le relative case di campagna, era riuscita a raggiungere quell'estensione complessiva di sedici poderi che le avrebbe permesso di realizzare il monumentale 'Stradone' di accesso alla residenza prediletta, per le peculiari funzioni di rappresentanza della quale numerosi giardinieri erano vincolati ad una costante opera di manutenzione del viale d'accesso. Come è puntualmente annotato nei registri di spese, a frequente periodica cadenza si eseguivano i lavori di potatura e annaffiatura delle piante rimpiazzando gli esemplari ammalati, pulitura degli 'acquidocci' da terra e detriti, rimozione dei sassi e regolare aggiunta di nuova ghiaia lungo il percorso carrabile, tondatura dei cipressi e degli olmi attorno alla residenza, sfilatura annuale alle parti interne ed esterne degli altofusti che costeggiavano il viale, rimozione dei nidi di insetti. Già verso la fine del XVII secolo nella 'Pianta generale di tutti i poderi e fabbriche della Fattoria del Poggio Imperiale" datata 1696 risultavano solo undici poderi per la villa di Poggio Imperiale: il podere 'del Palazzo', 'di Barbadoro', 'del Santuccio', 'del Guasto', 'della Luna', 'della Colombaia', 'delle Monache', 'del Monte', 'della Casa', 'del Titi alla Tinaia', 'del Ronco al Titi' [2] . Una fattoria afferente alla villa, con terreni coltivati prevalentemente a vigneti e oliveti, comprendendo inoltre ampie aree boschive destinate alla caccia, ospitava anche ragnaie e uccellari. Due ragnaie del tipo 'bagnato', fiancheggiate cioè da due viottole con nel mezzo un percorso d’acqua attraversato da ponti di frasche, raffigurate nella pianta della fattoria del 1696 come occupanti due lunghe strisce di terreno dal confine sud-est al nord-ovest, attraversavano i quattro poderi 'di Barbadoro', 'del Palazzo', 'di mezzo allo Stradone' e 'del Ronco e Titi'. Nei due uccellari cinti da fitte siepi, uno a forma ottagonale nel 'podere del Palazzo', l'altro a forma circolare nel podere 'di Barbadoro' si collocava al centro una capanna di verzura dove si appostava l'uccellatore che attirava i volatili fischiando [3] .


Fig. 2

La legislazione medicea sulla caccia e sulla pesca, che destinava alla famiglia granducale ampi territori in cui esercitare in termini di esclusività le attività venatorie, interessò, nel bando generale del 1622, anche la bandita di Poggio Imperiale. Riunendo tutte le disposizioni precedenti in materia di caccia e pesca, questa legislazione elencava anche per la Fattoria dell'Imperiale le specie cacciabili, proibendo cinghiali, cervi, daini, caprioli, lepri, fagiani, starne, colombi, nidi di volatili, regolando le modalità dell'attività venatoria e concedendo ai proprietari di fondi danneggiati del Dominio e del Distretto fiorentino la libera caccia degli animali nocivi, quali volpi, lupi, tassi, permettendo di 'cacciare e uccellare' con cani e balestre, senza però la possibilità di utilizzo di 'archibusi e munitione minuta', lacci o reti [4] .

Imponente era l'impianto idrico che alimentava il sistema di vasche, fontane e grotte dei giardini e del viale prospiciente la villa di Poggio Imperiale.

Fig. 2. Pianta generale dei terreni e dei fabbricati facenti parte della fattoria del Poggio Imperiale all’anno 1696, quando la villa con le sue attinenze era passata a Cosimo III per legato testamentario della madre Vittoria della Rovere con indicati gli undici poderi, ASFi, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973.

Relazioni redatte dal 'Capo Fontaniere' e dal 'Direttore delle Fabbriche e Fontane' riguardo ai lavori da farsi ai condotti e all'impianto di smaltimento delle acque reflue, e una planimetria della prima metà del XVIII secolo [5] , probabilmente ad uso dei tecnici preposti alla manutenzione dell'acquedotto, dove è riportata in dettaglio la rete idraulica con relativa descrizione a fianco, forniscono preziose notizie. L'impianto di approvvigionamento idrico era alimentato da cinque sorgenti e, incanalata in 'canne di piombo' e 'minie', l'acqua arrivava ai bottini intermedi e alle conserve sotterranee dell’impianto da dove, filtrata, passava ad alimentare il giardino. Per lo smaltimento delle acque piovane erano utilizzate canalette in terracotta denominate 'acquidocci' dislocate lungo lo 'Stradone' che venivano regolarmente pulite da foglie e da terra per evitare che si intasassero (probabilmente è ad oggi lo stesso sistema in funzione nel giardino a ovest dell’edificio della villa, dal quale si accede alla grotta) [6] . Documento importante sono i coevi inventari tenuti dai giardinieri che forniscono interessanti notizie sulle specie botaniche coltivate nei giardini di Poggio Imperiale. La coltivazione più importante, come per il giardino di Castello, era quella delle piante di agrumi, sia a spalliera che a boschetto che in vaso. Nei giardini della villa si trovavano spalliere basse e bordure per le aiuole, per la maggior parte in bosso affiancate da salvie, spighi, rosmarini, mortelle e lentaggine, e siepi alte, piantate lungo i muri di recinzione del giardino, di noccioli, viti, rosmarini, mortelle, peri cotogni, melograni, allori, edera, agrifogli, lauroceraso, aranci, limoni, cedri, agrumi. Nel caso del Poggio Imperiale erano impiegate spalliere di cedrati, arance del Portogallo, limoni, albicocchi, viti di uva nobile, e i parterres erano bordati di bosso. I numerosi agrumi in vaso venivano tolti dallo 'Stanzone de' vasi' in primavera e disposti agli angoli delle aiuole e lungo i vialetti. Si trattava soprattutto di limoni in diverse varietà: i 'limoni ordinari' (Citrus limo), i 'limoncelli di Napoli' (Citrus aurantifolia), le arance, coltivate in vaso, di tre varietà: le 'arance forti' (Citrus aurantium), quelle 'dolci' (Citrus sinensis) e le 'arance portogalle', i cedrati, in forma di spalliere: i 'cedri di Firenze' (Citrus medica Florentia), così denominati perché introdotti a Firenze all'inizio del XVII secolo dalla Liguria e subito perfettamente acclimatatisi. Oltre agli agrumi, in omaggio alla tradizione medicea incominciata da Cosimo I, i giardini della villa ospitavano i frutti nani, menzionati in filze del primo Settecento riguardanti spese "per opere impiegate a vangare la proda a' frutti nani e governare detti frutti et aggiustare la chiudenda che è attorno a detti frutti" [7] . Accoglievano inoltre, come anche nella villa di Castello cara al primo Granduca Cosimo I, diverse varietà di gelsomini. Il 'gelsomino ordinario' (Jasminum officinale), spesso usato come portainnesto per altre due varietà più pregiate chiamate 'gelsomino catalogno' (Jasminum grandiflorum) e 'mugherino' (Jasminum sambac), assieme ad altre specie a fiore, perlopiù piantate in mezzo alle bordure di bosso o nei parterres quali rose, 'garofali', ranuncoli, giacinti, 'geranei', 'tulippe d'Olanda' e mughetti, già diffuse in Italia nel Cinquecento e consigliate nei trattati botanici dell'epoca.

 

Cenni storici:

La prima memoria storica dell'edificio di Poggio Imperiale, identificato come dimora signorile, risale alla portata al catasto di Jacopo di Piero Baroncelli dell'anno 1427, cui pertineva la proprietà di "uno podere con casa da signore e con due case dal lavoratore posto nel popolo di San Felice a Ema luogo detto palagio" [8] e di un altro podere contiguo. Si trattava dunque di una residenza signorile di campagna, con annessi vari terreni che costituivano un'ampia tenuta agricola. In seguito a gravi problemi finanziari della casata nel 1487 l'edificio e tutti i poderi di afferenza passarono alla Famiglia Pandolfini che nel 1548 rivendeva il palazzo e i poderi annessi a Piero Salviati. Il nuovo proprietario intervenne con consistenti lavori di ristrutturazione che portarono l'edificio, provvisto di una spaziosa corte porticata, a configurarsi in un corpo principale affacciato a nord, verso la città, con una quinta architettonica affiancata da un'appendice laterale disposta ad L intorno ad un cortile di servizio, e a sud, verso la campagna, su un giardino murato 'a spartimenti' ad un lato del quale si appoggiava un altro stretto fabbricato. Tutto il complesso, perimetrato da un muro a quinta continua, fu arricchito con arredi di notevole pregio. Venne contestualmente edificata nell'annesso podere 'del Santuccio' una piccola cappella dove fu collocata l'Assunzione della Vergine, pala d'altare dipinta da Andrea del Sarto nel 1523 oggi conservata presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti.
Dall'affresco del Vasari nella Sala Clemente VII in Palazzo Vecchio emerge chiaramente l'assetto che Poggio Imperiale, ancora denominato Poggio Baroncelli, presentava all’epoca, specificatamente nel 1530, in occasione dell'assedio di Firenze, quando fuori dalle mura della città era accampato il principe Filiberto d'Orange, comandante delle truppe imperiali: la villa era allora un edificio a corte fortificato con cinta muraria e torri.

Nel 1565 in seguito della confisca dei beni di Alessandro Salviati, figlio di Piero, colpevole di lesa maestà per le proprie simpatie repubblicane e per avere appoggiato la ribellione senese contro il potere mediceo, Poggio Baroncelli divenne proprietà di Cosimo I de' Medici che lo donò alla figlia Isabella. Essa arricchì le sale della villa di numerose bellezze artistiche, statuaria, quadrerie, e il giardino di preziosi arredi scultorei, fra i quali due statue commissionate nel 1565 a Vincenzo de' Rossi, un Adone morente e un gruppo con Bacco e un satiro, oggi ospitati rispettivamente al Bargello e nel giardino di Boboli, ed una Venere di marmo, opera di Vincenzo Danti, citata da Raffaello Borghini ne Il Riposo e attualmente conservata presso il museo Casa Buonarroti a Firenze. Nel 1576 alla morte di Isabella la proprietà passò al figlio don Virginio Orsini.

A questo periodo risale la planimetria della villa disegnata da Giorgio Vasari il Giovane, unica testimonianza documentaria antecedente l'ampliamento operato pochi anni dopo dalla granduchessa Maria Maddalena d'Asburgo. Divenutane ufficialmente proprietaria nel 1622, desiderando rendere la villa più adeguata alle funzioni di stabile sede regale di rango imperiale, Maria Maddalena decise di ampliarla, intraprendendo uno dei pochi rilevanti lavori edilizi, in una Firenze ormai relegata in Europa a ruolo politico secondario, eseguiti in anni di ristagno economico per crisi finanziaria, ricorrenti pestilenze e malgoverno. Al concorso successivamente indetto per ingrandire e abbellire il palazzo - la granduchessa nominò appositamente anche una commissione giudicatrice - parteciparono eminenti nomi di architetti tutti ricordati dal Baldinucci: Giovanni Coccapani, Gabriello Ughi, Francesco Guadagni, Gherardo Silvani, Matteo Nigetti, Cosimo Lotto e Giulio Parigi, il cui progetto venne preferito, e che in seguito suggerì alle esigenze celebrative dell'augusta committente l'opera di pittori e scultori vicini alla propria visione culturale [9] .


Fig. 3 Fig. 4

Figg. 3 e 4. Giorgio Vasari, L'assedio di Firenze, 1530, Sala Clemente VII, Palazzo Vecchio, Firenze, da Internet (sinistra) e particolare con la collocazione di Poggio Baroncelli, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973 (destra)


Nel progetto di Poggio Imperiale il Parigi, successore di Bernardo Buontalenti nelle funzioni di architetto delle fabbriche medicee e di allestitore delle scenografiche feste di corte, perseguì una simmetria d'impianto ampliando il lato sinistro con un'ala identica al corpo preesistente dove venne edificata una seconda cappella ad uso dell’entourage granducale rendendo il cortile a giardino centrale all'intero assetto. Progettò inoltre una nuova facciata, dominata da un'altana e dall'ingresso principale, che, sopraelevato su scalinata e decorato in bugnato, era affiancato da due pilastri a conci scabri a sostegno di un balcone balaustrato soprastante. Il nuovo fronte era organizzato su tre livelli che, in omaggio ai caratteri consolidati dell'architettura fiorentina, si definivano in tre tipologie di aperture finestrate incise nella superficie uniforme intonacata. Coronate da un timpano triangolare e con mensole inginocchiate al piano terra, incorniciate a bugnato rustico come a Palazzo Pitti al primo piano, squadrate e a mostra piatta all'ultimo. L'architetto accostò inoltre al volume principale due basse ali sporgenti, avancorpi ad un solo piano coperti da terrazze adorne di statue che delimitavano lo spazio coreografico di un ampio cortile rettangolare prospiciente chiuso su tre lati cui si aggiungeva verso lo 'Stradone' un grande emiciclo delimitato da balaustra, anch'essa sormontata da statue a soggetti silvestri alternati ad animali.

Pensato e progettato come luogo praticabile per feste e spettacoli all'aperto, l'ampio spazio scenico davanti alla villa, non a caso in quasi tutte le planimetrie chiamato 'Teatro', era delimitato all'accesso da due sculture di grandi dimensioni, tuttora ivi esistenti, un Ercole che sorregge il mondo, opera cinquecentesca di Vincenzo de' Rossi, probabilmente commissionatagli da Cosimo I, e un Giove che scaglia il fulmine, opera seicentesca di Felice Palma su presunta commissione di Cosimo II.

Opera del Parigi è anche l'invenzione del grande viale prospettico, il cosiddetto 'Stradone' lungo circa un chilometro e costruito in prospettiva coassiale con il portone d'ingresso del palazzo. Nuovo eminente asse urbano fiancheggiato da olmi, lecci e cipressi, per la sua costruzione la granduchessa, non volendo che si continuasse ad andare all'Imperiale "senza la dovuta magnificenza" [10] , acquistò per la cifra complessiva di 47.200 fiorini altri terreni che portarono a sedici il numero dei poderi annessi alla villa. La realizzazione di questo monumentale accesso richiese il taglio di un tratto di collina utilizzando il terreno di scavo per riempire l'avallamento in un altro tratto onde garantire costante il pendio del lungo percorso rettilineo che, in una decisamente innovativa concezione dello spazio urbano, iniziava da porta Romana tra vasche e sculture e saliva fino alla sommità di Arcetri, scoprendo gradatamente, nel paesaggio agrario dei campi coltivati e delle case coloniche, la magnifica residenza granducale. Sempre al Parigi si deve la sistemazione dell'ingresso alla villa da Porta San Pier Gattolini, oggi Porta Romana, con la creazione di quattro vivai ornati delle statue di una Lupa che allatta due piccoli infanti, un Leone che schiaccia il globo, i fiumi Arno e Arbia ai quali l'acqua giungeva da tre sorgenti poste fuori dalla Porta San Pier Gattolini. All'innesto del monumentale asse viario, collocati su piedistalli, si disponevano due Aquile Imperiali, opera dello scultore Simone Cioli, raffiguranti in corpo lo stemma mediceo, alle quali si richiamava un'altra aquila bicipite, posta in facciata alla villa.


Fig. 5
Fig. 5. Giuseppe Ruggeri (?) Veduta dei Vivai che sono avanti allo Stradone della Real Villa del Poggio Imperiale, vi si notano due dei quattro vivai ornati delle statue dei fiumi Arno e Arbia, e Veduta della Real Villa del Poggio Imperiale, con l'ampio spazio scenico davanti alla villa, in quasi tutte le planimetrie chiamato 'Teatro', delimitato circuitalmente da varie sculture e presso l’ingresso da Ercole che sorregge il mondo, Giove che scaglia il fulmine, 1737, ASF, Mannelli Galilei Riccardi 315 n. 3, in Mignani Galli D., Un'idea di giardino moderno per un giardino prospettico, in Il giardino romantico, a cura di Alessandro Vezzosi, Firenze, Alinea, 1986.

I lavori durarono quasi due anni, e si erano da poco conclusi, anche per la parte relativa all'arredo, quando nel maggio del 1624 la famiglia granducale si stabilì nella nuova sontuosa residenza da allora chiamata 'Villa Imperiale' [11] . I nuovi appartamenti di Ferdinando II e Maria Maddalena comportarono la decorazione di quelle stanze, già descritte come 'migliori', secondo un programma celebrativo delle famiglie Medici ed Asburgo. Di esse le cinque al piano terreno, gli appartamenti granducali, la grande sala già dell'Udienza e le quattro stanze contigue furono affrescate nelle volte e nelle lunette da Matteo Rosselli e dai suoi aiuti nel 1623. In un'altra stanza, un piccolo ambiente voltato a botte, detto la volticina, che ospitava "otto statue di marmo nelle nicchie di pietra" [12] , venivano celebrate in nove scomparti ovali e quadrangolari, ad opera di Ottavio Vannini, la vita e le gesta del defunto Cosimo II [13] .

Una delle fonti più preziose delle specificità che Poggio Imperiale assunse durante la reggenza di Maria Maddalena d'Austria è certamente il diario di corte, prezioso documento inedito, di Cesare Tinghi, guardarobiere ed aiutante di camera di Ferdinando II. Fra i numerosi rilevanti eventi nella ricca cronaca del manoscritto, dove il Tinghi annota come "volendola abitare per suo deporto la fece molto bene restaurare et agiungervi nuova fabrica et con molte stanze, et con molte belle piture et con nuovi giardini et fatto molti belli paramenti di camere, con molti belli letti di molta spessa con gran quantità di quadri et fighure di marmo antiche, et molto bene adobato et abrilliato ogni cosa" [14] , sono riportate notizie importanti circa la storia della villa. Le perplessità della granduchessa e del suo entourage per il costoso progetto dell'architetto di corte Giulio Parigi e l'editto con il quale la stessa Maria Maddalena decretava che la villa dovesse assumere, una volta divenuta sede ufficiale dei regnanti, il nome di 'Poggio Imperiale', chiaro riferimento al lignaggio di colei che l'aveva elevata a propria residenza. Gli acquisti da parte di Maria Maddalena di numerose opere d'arte per arricchire ed impreziosire la propria futura residenza con "gran quantità di quadri et fighure di marmo antiche" [15] , costituendovi una pregiata ed eclettica collezione. I dettagliati resoconti degli intrattenimenti teatrali e musicali, dei balletti, dei combattimenti militari, tornei e giostre, delle masquerades, processioni e riti religiosi che erano messi in scena con l'opera dei più famosi architetti e scenografi nell'ampio spazio esterno alla villa in occasione di eventi, celebrazioni e visite di stato. Per la festa dal Corpus Domini del 1624 la facciata del palazzo venne decorata con tappezzerie, quadri e festoni. Vennero collocate all'entrata due fontane che offrivano vino rosso ghiacciato, e all'interno del cortile un altare con baldacchino, ornato di vasi, candelabri e fiori, poi portato in processione fino alla vicina chiesa di San Felice a Ema, dove si celebrò una messa.

Nel 1631, alla morte di Maria Maddalena d'Austria, il figlio Ferdinando II, erede di tutti i beni materni, negò la volontà espressa in vita dalla madre di riservare la fattoria e il palazzo di Poggio Imperiale a dimora alla granduchesse di Toscana. Sua moglie Vittoria della Rovere per potervi abitare la riacquistò dunque dal marito nel 1659, cedendo in cambio i suoi diritti sull’eredità della madre Claudia de’ Medici. Appena divenutane proprietaria Vittoria, donna energica e risoluta, più colta della suocera e in amicizia con il cardinale Leopoldo, rivelò una netta predilezione per Poggio Imperiale proseguendone l'opera di abbellimento e abitandovi per lunghi periodi.

Fu per volontà di Vittoria della Rovere che dal 1681 ripresero lavori ed attività legati all'architettura della villa, con la realizzazione di un nuovo braccio verso sud, che fece assumere all'edificio un impianto a T, comprendente vari ambienti di rappresentanza, due vaste sale, una a piano terreno, adibita a galleria di sculture, e una al piano nobile, destinata a quadreria, a lato delle quali erano altri ambienti, tra cui due cappelle oggi scomparse, opera degli architetti Giacinto (Diacinto) Maria Marmi per il progetto e Ferdinando Tacca per la direzione dei lavori. Presentato in sei varianti con differenze sostanziali le une dalle altre, il progetto del Marmi nella stesura definitiva prevedeva al piano terreno una grande sala, poi ricordata come Sala di Vittoria della Rovere.

Nettamente allineata ai caratteri spaziali e alle modalità decorative del Barocco europeo nel taglio allungato e nell'effetto di dilatazione dello spazio affidato alla decorazione pittorica della volta e delle pareti, la sala fu ornata con un ciclo allegorico tra il 1683 e il 1686 da quel Francesco Corallo pittore che Vittoria della Rovere fece venire appositamente da Roma, cui possono forse attribuirsi altre decorazioni presenti nella villa. Ricca è la documentazione iconografica riguardante la facciata della Villa di Poggio Imperiale ideata dal Parigi che mostra l'elegante, quasi scenografico prospetto, dai chiari riferimenti barocchi amalgamati agli austeri motivi medicei della superficie intonacata ritmata dalle aperture e dai sobri elementi decorativi in pietra serena, elegantemente collocato fra le due basse ali laterali.

La villa vi emergeva nella propria precipua relazione al paesaggio circostante, che prevedeva una progressione di naturalità architettonica nei giardini, poi agricola e poi boschiva, e nella mediazione, in prossimità dell'architettura, della balaustrata sormontata da statue che girava tutto attorno al prato semicircolare antistante l'ingresso principale.

Un'acquaforte del 1625, realizzata da Alfonso Parigi, dopo circa un anno dalla fine dei lavori alla villa condotti dal padre Giulio, la Giostra di cavalli davanti alla Villa del Poggio Imperiale, illustrava in particolare un evento di spicco per la corte medicea, la raffigurazione di uno degli spettacoli celebrati in onore del principe Ladislao di Polonia nipote della reggente Maria Maddalena d'Austria, svoltisi proprio nel piazzale-teatro antistante la villa, dopo la messa in scena del balletto La liberazione di Ruggiero dall'Isola di Alcina, musicato da Francesca Caccini, probabilmente la prima opera composta da una donna, con scenografie e macchine teatrali di Giulio e Alfonso Parigi.


Fig. 6
Fig. 6. Giuseppe Ruggeri (?) Pianta della Reale villa del Poggio Imperiale e i suoi giardini annessi, ASFi, Mannelli Galilei Riccardi, 315, da Mignani Galli D., Un'idea di giardino moderno per un giardino prospettico, in Il giardino romantico, a cura di Alessandro Vezzosi, Firenze, Alinea, 1986.

Pochi anni prima, nel 1621, la villa di Poggio Imperiale aveva ospitato un avvenimento di rilievo per la corte medicea, i festeggiamenti di nozze della principessa Claudia de' Medici con il principe di Urbino Guidobaldo Federico della Rovere, corredati da un ricco banchetto con gli effimeri 'capricci' realizzati su progetto di Pietro Tacca.

Altre raffigurazioni illustrano l'accesso monumentale al viale del Poggio Imperiale dalla parte della città, appena fuori Porta Romana. Sia un affresco alla villa La Quiete, sia un'incisione settecentesca di Georg Mer su disegno del Werner rappresentano l'entrata scenografica, degna di una dimora imperiale, del lungo 'Stradone' ornato ai lati di cipressi, adornato all'ingresso da quattro statue su basi in pietra. Due aquile imperiali con in corpo stemmi medicei, opera di Simone Cioli, una Lupa che allatta due piccoli infanti, simbolo dello stato senese, un Leone che schiaccia il globo, simbolo dello stato fiorentino. Ad esse si aggiungevano quattro vasche monumentali, due delle quali, contornate da ringhiere in ferro, erano sormontate dalle statue colossali in spugna dell'Arno e dell'Arbia, ed un ponte levatoio.

Fra i molti viaggiatori del Grand Tour che nel XVII secolo visitarono l'Italia, registrando le proprie impressioni visive ed emozionali in preziosi taccuini di viaggio, Georg Andrea Böckler, allievo di Joseph Furtenbach il Vecchio, pubblicò nel 1664 Architectura Curiosa Nova, importante raccolta di incisioni su opere e architetture del Bel Paese, fra le cui numerose tavole era ospitata una rappresentazione della villa di Poggio Imperiale. Riproposta iconograficamente nella teatrale fuga prospettica del nuovo asse viario voluto dalla reggente Maria Maddalena d'Austria, quello 'Stradone' che dall'innesto a porta Romana, scenografica soluzione di quattro vasche con statuaria antropomorfica, zoologica ed araldica, giungeva alla monumentale architettura della residenza granducale, la villa medicea vi era presentata inquadrata in lontananza. L'aulica facciata appariva infatti in prospettiva coassiale all'imponente viale alberato proponendo all'attenzione dei colti europei appassionati del modello culturale italiano un nuovo esempio di dimora suburbana di corte, un complesso architettonico e paesaggistico di reggia celebrativa, nei nuovi rapporti spaziali e connettivi alla città, del prestigio dei granduchi e rappresentativa del potere della famiglia Medici.


Fig. 7 Fig. 8

Figg. 7. 8. Alfonso Parigi, La villa del Poggio Imperiale e il ‘balletto a cavallo’ a cui assistette il principe Sigismondo di Polonia il 3 febbraio 1625, GDSU (sinistra) in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973; Stefano della Bella, Gara di pallamaglio alla villa del Poggio Imperiale, GDSU (destra).


Altri preziosi documenti inediti coevi sono le precise descrizioni inventariali degli arredi della villa di Poggio Imperiale che recuperano agli studiosi la nozione dell'originaria magnificenza degli ambienti della dimora medicea permettendo, in alcuni casi, la sicura identificazione con mobili e dipinti ora presenti nelle collezioni di palazzo Pitti e degli Uffizi. Nell'inventario del 1624 [16] redatto al termine degli ampliamenti eseguiti dal Parigi sono ricordati quadri, bronzi e marmi, tra cui statue e busti detti 'antichi'. In una nota del Giornaletto di Galleria datata 1651 sono ricordate "settecentosessantaquattro medaglie di bronzo antiche di più grandezze [...] cavate di Galleria", consegnate al Guardaroba del Poggio Imperiale [17] .

Un'altra nota dello stesso Giornaletto ci informa che sei busti di marmo, fra cui uno detto di Lucio Vero, uno di Adriano, un altro di Marco Aurelio giovane, un altro ancora di Marco Aurelio adulto, collocati nella "sala della serenissima arciduchessa a terreno” [18] , furono trasferiti alla villa nel 1677, in cambio di quattro busti di Tiberio, Albino, Ottone e Plotina, passati nelle collezioni di Galleria. In due inventari redatti nel 1691 [19] sono poi riportati tutti gli incrementi di Vittoria della Rovere alla collezione artistica della villa: dipinti moderni, numerose preziose suppellettili, ed anche le variazioni di destinazione d'uso di alcuni ambienti. Ancora alla fine del '700 tra i dipinti figurava la magnifica Adorazione dei Magi di Botticelli, opera oggi agli Uffizi, dipinta nei primi anni '70 del '400 per decorare un altare in Santa Maria Novella e tra le sculture alcuni marmi antichi scelti tra quelli che Ferdinando de' Medici aveva lasciato nella sua villa romana dopo il ritorno a Firenze nel 1587.

Un altro prezioso documento inventario, un manoscritto autografo ed inedito coevo di Giovanni Cinelli, conservato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze [20] , descrive nel dettaglio le collezioni della villa di Poggio Imperiale non limitandosi ad elencare succintamente i pezzi, ma disponendo identificazioni e giudizi qualitativi, arrivando talvolta a segnalare i nomi degli autori. Preziose informazioni riguardano la minuta descrizione della Loggia, dove erano esposti anche busti antichi che Cinelli descrive come "un Marco Aurelio testa antica maggiore del naturale con busto moderno. Nell'angolo è un Giove figura intera col fulmine in mano, opera del Novelli, poi segue un'altra testa maggiore del vivo, come quasi tutte le teste di questo cortile tali sieno, ed a questa ne segue un Augusto testa antica col busto moderno, e nell'angolo una statua che un Ercole giovanetto ed un'Arpia sotto a' piedi in atto di conculcarla di mano del Bandinello; a questa segue un'altra testa che di Galieno è figura, ed un altra pur reale, e nell'altr'angolo, una statua d'una Flora di mano del Caccini; in quest'altra facciata sono due teste che l'una di Faustina, l'altra d'Augusto è figura, e nell'ultimo canto una statua di Judith, ch'ha il teschio d'Oloferne, ed una testa antica col busto moderno danno al n. delle statue di questo luogo il compimento" [21] .


Fig. 9
Fig. 9.     Giuseppe Zocchi, La Real Villa detta il Poggio Imperiale, incisione del 1744, GDSU.

Sotto il regno degli ultimi Medici, Cosimo III e Giangastone, non si registrano eventi di particolare rilievo per la storia artistica del complesso monumentale di Poggio Imperiale. Le cronache riportano come uno degli ultimi anni in cui la corte medicea vi soggiornò fu probabilmente il 1718, quando Cosimo III vi trascorse un breve periodo di riposo insieme alla figlia Anna Maria Luisa, tornata a Firenze dopo la morte del marito, l'Elettore Palatino. Nella seconda decade del XVIII secolo Anton Francesco Gori, erudito fiorentino, scrisse una relazione inedita sulle 'antichità più considerabili' della villa del Poggio Imperiale redatta nel 1738 e conservata in un manoscritto della Biblioteca Marucelliana [22] , elencandovi, in un taglio topografico-descrittivo, le opere ivi custodite.

Con l'estinzione della dinastia medicea e il passaggio alla casa lorenese anche Poggio Imperiale confluì nei beni della corona asburgica sotto l'amministrazione dello Scrittoio delle RR Fabbriche. Nell'aprile del 1765 il Maresciallo Botta Adorno fece riempire i vivai che concludevano la prospettiva dello stradone per ampliare la piazza di Porta Romana in cui vennero collocati alcuni lampioni. Nel 1772, prima che il nuovo granduca Pietro Leopoldo ampliasse le collezioni con l'aggiunta di nuovi marmi, il Direttore della Galleria, Giuseppe Querci, e il pittore Giuseppe Magni si recarono alla villa di Poggio Imperiale per valutare e scegliere i quadri e altri oggetti d'arte meritevoli di figurare nelle raccolte degli Uffizi. Furono compilati in questa occasione alcuni elenchi da sottoporre all'approvazione di Pietro Leopoldo, in uno dei quali si trovano segnati il busto di Lucio Vero e le statuette dello Spinario, Minerva, Giunone e Bacco [23] , una Leda col cigno, un Adone, un Ganimede seduto sull'aquila, tre urne iscritte e centotrentacinque bronzetti, che assieme ai quadri entrarono l'anno seguente nella galleria degli Uffizi mentre le sculture restarono alla villa fino al 1780, anno in cui l'Adone e lo Spinario furono ceduti alla Galleria e la Minerva e altri 10 busti furono rimandati al Guardaroba Generale. Alla fine dei lavori lorenesi alla villa, durati fino al 1783, e dopo ulteriori incrementi di opere d'arte seguiti a quelli del 1780 e 1781 in cui pervennero complessivamente alla villa trentasei busti, ventuno statue e un numero considerevole di rilievi antichi e moderni cui si aggiunsero altri sei busti in marmo provenienti dalla villa di Artimino, venne redatto nel 1784 un altro inventario di oltre mille pagine [24] , una chiara documentazione della consistenza raggiunta dalla collezione dell'Imperiale nel Settecento, che ammontava a circa 240 pezzi di marmi antichi e moderni, con busti, statue, rilievi.


Fig. 10
Fig. 10. Baccio del Bianco, La villa del Poggio Imperiale vista dalla parte posteriore dopo l'ampliamento del Parigi, GDSU, in Panichi O., Due stanze della villa del Poggio Imperiale: i quadri della sala d'udienza, in "Antichità Viva", 5, 1973.

A quasi un secolo di distanza dagli ultimi lavori la residenza venne nuovamente trasformata quando Pietro Leopoldo, appena tre giorni dopo essere giunto a Firenze nel 1765, recatosi a Poggio Imperiale, per la bellezza degli ambienti e della posizione che faceva del sito quasi una 'delizia continuata' del giardino di Boboli e un'eccellente località per le villeggiature estive e autunnali decise di eleggerla a propria residenza. Il nuovo regnante stabilì ulteriori ampliamenti, realizzati fra il 1768 e il 1783, migliorandone inoltre i servizi con la costruzione di una ghiacciaia e di una cantina.

Pietro Leopoldo dispose anche che tutti gli ambienti interni fossero rinnovati secondo il gusto dell'epoca, incaricandone l’architetto Niccolò Gaspero (Gaspare) Maria Paoletti [25] . Il Paoletti trasformò l'originario impianto planimetrico a T in un grosso volume rettangolare compatto dotando la villa di due grandi cortili, simmetrici a quello centrale antico, costruiti in luogo dei preesistenti giardini murati.

Il cortile di sinistra di ordine tuscanico e ionico fu eretto nel 1768-1771 in corrispondenza dell'antico "boschetto degli aranci"; il cortile di destra, anch'esso di ordine tuscanico e ionico, fu costruito nel 1776 in luogo del già esistente "giardino dei fiori". I nuovi spazi furono entrambi chiusi tutt'attorno dal perimetro architettonico dell'edificio, aggiungendo quelle numerose e luminose sale che, intorno ai cortili nuovi, riquadrarono il perimetro in direzione sud-est e sud-ovest, aumentando di più del doppio il volume originario. Contestualmente venne edificato anche l'attiguo edificio delle scuderie, fu costruita la nuova facciata sul fronte posteriore e realizzato un salone delle feste al piano nobile, in corrispondenza degli ambienti prima ideati dal Marmi. Le nuove stanze attorno al cortile di destra furono tutte affrescate e ricercando una piena continuità con gli antichi affreschi del Rosselli il Paoletti intervenne anche dipingendo gli ambienti nella parte terminale dell'ala destra di facciata, dove la distribuzione degli spazi era rimasta quella preesistente alla ristrutturazione del Parigi [26] .

Per la decorazione dei nuovi ambienti vennero chiamati a corte i più illustri pittori toscani, che contribuirono a definire la villa nei termini di uno degli esempi più significativi del neoclassicismo fiorentino. Nel 1768 e nel 1769 mentre Giuseppe del Moro realizzava i finti ordini architettonici alle pareti Tommaso Gherardini e Giuliano Traballesi intervennero, su soggetto storico romano, nei soffitti, e dipinsero l'intera ala sud. Al Gherardini in particolare si deve la decorazione in stile pompeiano, eseguita nel 1776, della quarta stanza d'angolo della stessa ala. Alcune sale degli appartamenti nobili furono decorate a stucchi bianchi a rilievo in motivo rocaille su disegni francesi venuti da Vienna e neoclassico sui loro propri dai fratelli Grato e Giocondo Albertolli. In particolare nella 'Galleria' costruita sull'area dell'antica terrazza ovest Giocondo disegnò e realizzò nel 1771 un elegante ornato di girali di foglie e canefore, mentre in un successivo intervento, quattro anni dopo, disegnò gli stucchi per il salone delle feste, poi realizzati dal fratello Grato fra il 1781 e il 1782.

Nello stesso periodo altre sale furono dipinte con paesaggi e scene di genere da Antonio Cioci, Gesualdo Ferri e Filippo Tarchiani. Accanto al neoclassico rigore degli ornati alcuni ambienti, cinque nuove sale sul lato verso ponente ed altre sei sul lato opposto furono decorate con parati e dipinti cinesi su carta e su seta raffiguranti paesaggi e scene di vita quotidiana secondo la moda coeva del gusto orientale [27] . Nel 1777 Giuseppe Fabbrini affrescò su soggetto allegorico mecenatistico la stanza dell'ala ovest destinata a segreteria di Pietro Leopoldo. Il nuovo granduca lorenese vi era presentato alla Toscana da Minerva con il motto virgiliano "Tuus iam regnat Apollo" accompagnato dalle figure rappresentanti l'Agricoltura, la Pastorizia, il Commercio, la Pittura, la Scultura, l'Architettura, Apollo, le Muse e i Poeti dipinte sulle pareti. Nello stesso anno Gian Maria Terreni lavorò alla personificazione delle Stagioni nello sfondo della sala adiacente, mentre Giuseppe Cricci dipinse un'allegoria della caccia nella sala destinata al biliardo. Le sale costruite al piano nobile furono invece tutte decorate nel 1770 con stucchi bianchi su intonaci color pastello dai fratelli ticinesi Giocondo e Grato Albertolli. Questi stessi ambienti vennero ulteriormente arricchiti da trentadue soprapporte dipinte da Gesualdo Ferri, Antonio Ciofi, Stefano Amigoli, da camini e da specchiere veneziane.

Il granduca avrebbe desiderato completare la trasformazione della villa con il riordinamento dell'antica facciata principale. Tuttavia il progetto del Paoletti che, più volte sollecitato dal sovrano, era stato finalmente presentato nell'agosto del 1779, e che non è ricordato ne’ da Vincenzo Follini ne’ da Giuseppe del Rosso, suoi attenti biografi, non fu realizzato ne' prima della partenza di Pietro Leopoldo ne' durante il primo periodo di regno del figlio Ferdinando III di Lorena, il quale a sua volta nel 1799 dovette abbandonare Firenze essendo la Toscana stata occupata dai Francesi.

Quando poi nel 1801 Ludovico I di Borbone ricevette il titolo di re di Etruria e prese la reggenza della Toscana, e gli subentrò Maria Luisa di Borbone, regina d'Etruria dal 1802, il rifacimento della facciata nel gusto neoclassico fu commissionato nel 1806 a Pasquale Poccianti, allievo del Paoletti. Del suo progetto, che prevedeva anche la ricostruzione dei due avancorpi laterali con destinazione uno a teatro e uno a cappella, venne realizzato entro il 1807, anno in cui anche Maria Luisa fu costretta a lasciare il trono, soltanto il portico centrale in bugnato a cinque arcate e rampe laterali che serviva di riparo a chi vi accedeva in carrozza. Agli anni in cui, tornata la Toscana a essere granducato, ne resse la corona Elisa Bonaparte Baciocchi, risale l'ultima trasformazione della Villa di Poggio Imperiale che fu allora sede di ripetuti festeggiamenti in onore delle vittorie del fratello della regnante, Napoleone Bonaparte.

Il Cacialli elevò il piano superiore del portico d'ingresso sul prospetto anteriore costruendo una loggia con cinque arcate e mezze colonne di ordine ionico, chiusa da vetrate e sormontata da un frontone triangolare con il fregio e due Vittorie in stucco a bassorilievo che sorreggono un orologio, in luogo di quella loggia aperta con quattro colonne corinzie architravate che era stata prevista dal Poccianti.

Fu un altro allievo del Paoletti, Giuseppe Cacialli, ingegnere aggregato dello Scrittoio, che venne incaricato di riprendere e portare a termine la ricostruzione della facciata secondo quei disegni, eseguiti da Pasquale Poccianti per Maria Luisa di Borbone, che vennero tuttavia liberamente reinterpretati. Di questo interessante progetto di impostazione neoclassica-imperiale fu tuttavia eseguito solo il portico centrale anteriore e alcuni aggiustamenti interni.

La variante del Cacialli ampliava il piano nobile aggiungendovi un ambiente luminoso, l'attuale peristilio, decorato con stucchi dallo Spedulo e dal Marinelli e con quattro paesaggi a tempera, allegorici delle Stagioni, attribuiti a Giuseppe Gherardi. I lavori terminarono nel 1810 con la sostituzione della balaustra con le statue del pratello antistante, che venne rimpiazzata da una cancellata intervallata con tronchi di colonne mentre nei pilastroni d'accesso si ricavarono le garitte per le sentinelle. Il riordino della restante parte di facciata rimase in sospeso, come del resto il progetto di un grande giardino pittoresque che la Baciocchi aveva commissionato a Giuseppe Manetti nel 1801 e che avrebbe dovuto occupare tutta l'area del 'Giardino Grande' a ovest del complesso e quella del terreno del 'podere il Palazzo' [28] , senza però intaccarne altri. Spiegava infatti il Manetti esservi "molti oggetti esterni, vicini e lontani che presentano una gran varietà e dei pittoreschi punti di vista, i quali entrano per così dire nella composizione del nuovo giardino, disimpegnano dall'occupare una superficie maggiore" [29] .

In questo interessante progetto, conservato presso l'Archivio di Stato a Firenze, nell'intenzione di una diffusa naturalità il Manetti aveva previsto la collocazione degli Orti di Esculapio, di un Parterre di Agrumi, di Tempietti, di Grotte, di un Sepolcreto dei Poeti, di un Romitorio, di una Piramide e di una Colonna che avrebbe dovuto celebrare la "Virtù antica" e la "Virtù moderna" [30] , traducendo in una rievocazione di temi classici affiancati a istanze romantiche un disegno ancora prossimo al formalismo dei giardini toscani pur nell'orientamento al parco inglese.

Era infatti prevista la realizzazione di un laghetto con cascate e un torrente verso il confine sud, provvedendo poi, ulteriore tocco di rusticità, a far pascolare liberamente delle mucche nei prati. Nella relazione esplicativa del progetto esecutivo, indirizzata a 'Monsieur le Baron Petiet Intendant des Biens de la Couronne en Toscane' presentato in diverse varianti e poi nella stesura definitiva, più semplificata, nel 1812, il Manetti descriveva dettagliatamente le opere da realizzare, le specie botaniche da piantare, le fasi costruttive, per le quali prevedeva un periodo di lavori della durata di sei anni, ed anche i costi necessari, considerevoli. Forse proprio per questo la proposta, giudicata onerosa dalla commissione di Parigi dalla quale durante il dominio napoleonico dipendevano le fabbriche granducali, venne lasciata in sospeso, e quando, eclissata nel 1814 la meteora napoleonica, la granduchessa Baciocchi lasciò Firenze e la dinastia lorenese venne restaurata sul trono, fu definitivamente accantonato.

Ripristinato nel 1814 il trono di Ferdinando III d'Asburgo, l'architetto Giuseppe Cacialli ebbe l'incarico di portare a termine il rifacimento della facciata principale della villa, mentre allo scultore Pietro Bellini fu affidato il compito di restaurare e pulire i marmi della collezione. Per la prima volta in questa occasione si trova attestato il nome di un restauratore chiamato a prestare la sua opera direttamente nella villa. In precedenza, infatti, i marmi e gli altri oggetti bisognosi di interventi venivano rimandati al guardaroba generale, dove gli amministratori provvedevano ai restauri. Il Bellini attese all'incarico tra il 1817 e il 1823, intervenendo in termini conservativi su 68 busti. Fra il 1810 e il 1818 è documentata la vendita di alcune opere della collezione considerate di scarto e il trasferimento al giardino di Boboli di "una statua di marmo rappresentante una Venere" [31] .

I nuovi lavori comportarono la sostituzione delle due ali costruite ben due secoli prima da Giulio Parigi con gli attuali massicci avancorpi con portici, entro i quali furono ricavati un teatro, poi corpo di guardia e tepidario per le piante, e una nuova cappella a tribuna semicircolare, divisa in tre navate, ornata con statue di Virtù nelle nicchie laterali, opera di Francesco Carradori, con fregi in stucco di Bertel Thorwaldsen a perimetro, affreschi di episodi biblici sulle pareti e sul soffitto, e una Assunzione della Vergine a tempera, opera di Francesco Nenci.

Questo intervento chiuse definitivamente l'avvicendamento degli interventi alla villa che, prima barocca, assunse l'attuale connotazione neoclassica. I progetti dell'ammodernamento voluto da Ferdinando III, che comportarono anche la ridistribuzione di ambienti interni al piano nobile, successivamente ridecorati e arricchiti di mobili, argenti e porcellane fatti giungere appositamente da Parigi, affrescati da Domenico Nani detto l'Udine e con decorazioni paesaggistiche da Giorgio Angiolini, vennero nel 1823 pubblicati con dedica al principe di Metternich riportandovi anche alcuni ambienti che, morto il granduca nel 1824, non furono in realtà mai realizzati. Le vicende posteriori, che non comportarono ulteriori interventi di interesse architettonico o artistico, videro la villa divenire prima residenza dell'ultimo granduca di Toscana, Leopoldo II, poi, negli anni fra il 1849 e il 1855, il quartiere dello stato maggiore del generale austriaco Von Wimpfen. Per tutto il XIX secolo furono frequenti le visite dei funzionari della Galleria o di esperti da loro incaricati per scegliere e valutare gli oggetti più pregevoli da trasferire o acquistare per le collezioni degli Uffizi. In una prima ricognizione del 1850 fu redatta una sommaria classificazione della collezione con nota sugli oggetti da trasferire agli Uffizi, cui ne seguirono altri nel 1850 e nel 1865. Nel marzo 1865 Aurelio Gotti, Direttore della Galleria, chiese al Prefetto di Firenze l'autorizzazione a trasportare in Galleria alcune statue dell'Imperiale, "una vestale statua di nero antico di scalpello greco romano; un genio in marmo bianco di scultura romana; altro come sopra; un Bacco giovinetto come sopra; un busto d'Alessandro scolpito in porfido nel secolo XVI; altro come sopra; una copia in piccola dimensione del Mosé di Michelangelo" [32] . L'ultimo inventario della villa pervenuto ai nostri giorni fu redatto nel 1872 [33] . Vi sono annotate complessivamente centodiciotto sculture, fra le quali sono ancora annoverati i busti di Alessandro, Bacco, la copia di Mosé, quasi tutte le opere antiche e pseudoantiche della collezione odierna, più diversi busti di marmo nel 1889 venduti agli Uffizi [34] .

Conclusa la lunga parentesi asburgica si affacciò la necessità di decidere una definitiva e appropriata destinazione per il complesso monumentale della Villa Imperiale. L'architetto Giuseppe Martelli nel 1861 stilò un progetto, mai realizzato, proponendola come asilo per invalidi di guerra. In seguito venne invece destinata a collegio femminile e nel 1864, nell'imminenza del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, il governo la cedette, in cambio di un edificio in via della Scala, poi adibito a Ministero dei Lavori Pubblici, all'Educandato Femminile della Santissima Annunziata di Firenze [35] . In questa occasione fra i due ordini dell'avancorpo della facciata principale vennero aggiunte le lettere in ferro inserite nella muratura nella dicitura 'Villa del Poggio Imperiale collegio statale della SS Annunziata'. Ufficialmente trasferito nel marzo del 1865 presso il Poggio Imperiale, il collegio chiuse la propria sede al pubblico, ma per un accordo raggiunto in seguito ai lavori di restauro eseguiti dalla Soprintendenza ai Monumenti di Firenze negli anni fra il 1972 e il 1975, i quartieri monumentali vennero riaperti a visite guidate.

 

Caratteri tipologici e architettonici:

Una ricca documentazione archivistica e l'apporto iconografico aiutano a leggere e interpretare la preziosa antologia architettonica ed artistica che è il complesso dell'Imperiale, estensione della corte medicea in speculare duplicità alla residenza ufficiale di Pitti, a ridosso delle mura della città, proponendolo all'attenzione degli studiosi quale eminente testimonianza dei programmi artistico-celebrativi che, legandoli ad una finalizzata politica di immagine, la corte fiorentina portò avanti nel corso di ben tre secoli. L’edificio si presenta attualmente in impianto planimetrico a U, con il compatto blocco centrale rettangolare ordinato su tre cortili chiusi e i due massicci avancorpi laterali, a volume unico, perpendicolari al fronte principale.

Il nucleo più antico dell'architettura di Poggio Imperiale è il cortile quadrato che si incontra subito dopo l'ingresso, attualmente chiuso da vetrate disegnate dal Foggini, attorno al quale si snodano i quattro corridoi perimetrali che ospitano una significativa collezione di sculture, fra cui busti di imperatori dell'antichità romana collocati su piedistalli e inseriti in cornici, nicchie e volute di epoca settecentesca, in parte provenienti dalla collezione di Maria Maddalena d'Austria, in parte portate a Firenze da Vittoria della Rovere, ultima erede dei Duchi d’Urbino e moglie del granduca Ferdinando II. Gli altri due cortili interni, simmetrici al primo, dove sorgevano un tempo due giardini, si presentano relativamente omogenei, ritmati da doppie lesene doriche nella parte inferiore e ioniche nella parte superiore, e con aperture finestrate. Entrambi sono caratterizzati da un porticato in colonne doriche, con tre ordini di aperture nel cortile di sinistra, costruito dal Paoletti negli anni 1768-1771 e quattro in quello di destra, risalente al 1776, cui si aggiunge una balaustrata in ferro e un balcone al piano nobile.

Il fronte principale di nord-ovest si presenta a impianto simmetrico con corpo centrale porticato e ali laterali, cui sono innestati perpendicolarmente i due avancorpi sporgenti. L’avancorpo di sinistra, oggi chiesa parrocchiale della SS. Annunziata al Poggio Imperiale, è un ambiente a tre navate con tribuna semicircolare che conserva intatta la decorazione settecentesca. Avanti il prospetto principale, il primo concepito e realizzato in funzione dell'inquadramento prospettico assiale dello 'Stradone', lungo viale alberato d'accesso nonché primo esempio europeo di monumentale asse viario urbano e scenografico cannocchiale prospettico focalizzato sull'architettura della villa, si apre un vasto prato semicircolare. Tale ampio spazio frontale è oggi contornato da un filare di cipressi disposti a mezzaluna, collocati all'interno della panchina continua in pietra che lo delimita in sostituzione dell'antica balaustrata sormontata da statue. A filo dei due avancorpi laterali si colloca ancora la cancellata in ferro, già documentata nella fotografie Alinari del primo Novecento, che attualmente impedisce il libero accesso alla villa e forma un ulteriore piazzale rettangolare, suddiviso in due aiuole ellittiche a prato con bordure di rose con al centro due Cedri del Libano, chiuso sui tre lati dall'edificio e sul quarto dalla stessa cancellata. L’ingresso al prato semicircolare è fiancheggiato dai gruppi scultorei di Ercole che sorregge il cielo di Vincenzo de’ Rossi e Giove che scaglia il fulmine di Felice Palma, che poggiano sulle due garitte in pietra. I locali dove erano ubicate le scuderie, a sinistra della facciata principale, ospitano oggi una caserma della Polizia di Stato. La facciata principale neoclassica è caratterizzata da un loggiato centrale a due ordini. Al piano superiore un loggiato di quattro colonne ioniche incornicia cinque finestroni ad arcate a tutto sesto sovrastati da trabeazione a dentelli decorata dai bassorilievi di due Vittorie ai lati di un orologio centrale. Al piano inferiore cinque arcate in bugnato su pilastri sono affiancate da due nicchie con statue antiche, copie romane di opere greche. Altre statue marmoree, Mosè di Gaetano Grazzini e Aronne di Stefano Ricci, ornano l’avancorpo di sinistra. La facciata posteriore di sud-ovest, con la scalinata scenografica a doppia rampa che incornicia l'accesso alla grotta, è ritmata da lesene nel corpo centrale e regolata da tre ordini di aperture finestrate in quelli laterali. Sul fianco destro di colloca un giardino formale a quattro spartimenti con fontana al centro perimetrato da muri e dall'antico edificio della limonaia ed affiancato da una macchia di sempreverdi.

La parte retrostante la villa, forse la più suggestiva di tutto il complesso, ha mantenuto l'antico aspetto, con l'originaria facciata settecentesca, mai modificata, il prato, e soprattutto il paesaggio circostante, rimasto invariato, e ancora oggi caratterizzato da oliveti, pascoli, campi coltivati. L'ampio edificio è attualmente sede dell'Educandato femminile della Santissima Annunziata. Gli ambienti del piano terra sono adibiti ad uffici, scuola, refettorio e cappella. Al primo piano si trovano le aule, le sale di studio e le camere da letto, mentre al piano secondo si collocano esclusivamente camere. Il sottotetto è adibito ad infermeria, con qualche camera ad uso del personale. La cucina e tutti i magazzini si collocano al piano seminterrato.

Quasi tutti gli ambienti interni sono coperti a volte realizzate in mattoni disposti a spina, sia a vela con unghiature che a padiglione che a crociera, e in particolare negli ambienti superiori predominano le volte a vela unghiate. Le coperture a padiglione sono rette da capriate.

Il piano terreno include uno dei più importanti cicli pittorici seicenteschi fiorentini, promosso nel 1622 da Maria Maddalena d’Austria - appena divenuta reggente con Cristina di Lorena per il giovane figlio Ferdinando II, all’indomani della morte del marito, il granduca Cosimo II - e concluso nel 1623. Tramite le storie inserite in lunette e accompagnate da iscrizioni esplicative si è inteso determinare un percorso pittorico simbolicamente coerente, celebrativo di due case regnanti contemporaneamente, i Medici e gli Asburgo, elogiativo della granduchessa madre, Maria Maddalena, figura femminile di spiccata personalità appartenente per nascita alla Casa d’Austria e per vincolo matrimoniale acquisita ai granduchi di Toscana [36] . Le pitture sono state eseguite da Matteo Rosselli, artista tra i più richiesti a Firenze in quel periodo relativamente all'esecuzione di cicli decorativi per la sua perizia tecnica e il suo legame con la tradizione rinascimentale, e da Michelangelo Cinganelli, che vi lavorarono insieme ad Anastagio Fontebuoni, Domenico Pugliani, Filippo Tarchiani, Ottavio Vannini.


Fig. 11
Fig. 11. Veduta della facciata della villa di Poggio Imperiale, (Fotografia © Claudia Maria Bucelli 2012).

Le raffigurazioni narrative, inquadrate in un’orditura decorativa coeva fatta eccezione per le grottesche delle pareti appartenenti a una redazione successiva, si snodano nelle prime cinque stanze dell’ala posta a destra rispetto all’ingresso della villa. Nei primi due ambienti, l’anticamera e la camera da letto del granduca, viene esaltata la dinastia imperiale da cui discendeva Maria Maddalena, attraverso le imprese di Carlo V e del fratello imperatore Ferdinando II d’Asburgo; sono quindi evocate le gesta di Rodolfo I, che aveva portato alla regalità gli Asburgo, e di Massimiliano I, artefice dell’espansione asburgica in Europa. Nelle sale successive, l’anticamera e la camera da letto di Maria Maddalena, la decorazione è indirizzata alla celebrazione di insigni figure femminili, nel cui solco si intendeva porre simbolicamente Maria Maddalena nell’intento di rafforzare il proprio potere tramite l’avocare alla propria figura le virtù di eroine bibliche, sante e martiri cristiane, esaltando in questi termini la propria devozione religiosa e lo stretto vincolo ideologico a tali illustri esempi.

Particolare rilievo ha, nell’ambito di questa fase seicentesca, la sala dell’Udienza, stanza a carattere ufficiale, dominata nella volta da un’Allegoria del potere spirituale e temporale, la cui struttura decorativa, con i due grandi stemmi d’Austria, è dovuta a Michelangelo Cinganelli. Le vedute di ville medicee affrescate sulle pareti, riprese dalle incisioni dello Zocchi, sono state inserite nel XIX secolo.

Trionfano nella sala regine e imperatrici, donne che come Maria Maddalena si erano distinte nella difesa dello Stato e dei giovani figli, nella tutela della Chiesa e del papato [37] . A questa stessa fase appartiene lo studiolo, la cosiddetta Volticina, affrescata da Ottavio Vannini, con scene riferite alla figura dello scomparso granduca Cosimo II e alla sua politica di equilibrio. Questa stanza, allo scopo di sottrarla alla distruzione, è stata traslata due volte, in relazione ai lavori di ammodernamento del complesso, prima in epoca leopoldina, poi durante il regno di Ferdinando III, alla fine del secondo decennio dell’Ottocento, quando alle pitture della volta fu aggiunta la lunetta affrescata sovrastante la porta di ingresso, eseguita da Antonio Marini e raffigurante Galileo che offre i Sidera Medicea al granduca Cosimo II. Questo ciclo pittorico di committenza medicea costituisce una delle imprese murali a carattere corale e antologico di maggiore rilievo per la storia dell’arte fiorentina dei primi decenni del secolo XVII, espressiva del coevo gusto della corte e caratterizzata da una notevole coerenza stilistica sia nell’impianto generale che negli ornati e nelle componenti di figura e di storia [38] .

Le decorazioni pittoriche degli ambienti del piano terreno poste in successione sono invece riferite alla fase delle trasformazioni promosse da Ferdinando III nel terzo decennio del secolo XIX, su progetto di Giuseppe Cacialli. Si tratta della Sala di Achille, affrescata da Domenico Nani, del bagno neoclassico e della cosiddetta Sala Verde, decorata da Giorgio Angiolini con pitture di paesaggio rispecchianti il gusto della Restaurazione. Seguono stanze in infilata tutte appartenenti all’epoca leopoldina, al tempo della realizzazione delle trasformazioni progettate dal Paoletti, il cui lavoro di decorazione copre qui un arco di tempo che va dal 1768 al 1777. Si tratta della sala delle Opere e dei Giorni, affrescata da Giuseppe Maria Terreni con raffinati cammei di tipo pompeiano, la sala di Diana dipinta da Giuseppe Gricci, la sala delle Stagioni dipinta dal Terreni, la segreteria del granduca, nella quale Giuseppe Fabbrini ha celebrato in raffigurazioni allegoriche il governo illuminato di Pietro Leopoldo, la sala dei Putti affrescata dal Gherardini e oggi adibita a sede di un piccolo Museo dell’Educandato.

Si pongono di seguito gli altri ambienti facenti parte dell’ala leopoldina - i primi a essere decorati - la cui continuità è però allo stato attuale interrotta dalla chiusura della porta di comunicazione dal momento che le stanze successive ospitano le aule del liceo dell’Educandato. Si tratta della sala dedicata a Costantino imperatore, affrescata dal Gherardini, della sala celebrativa di Augusto decorata da Giuliano Traballesi, e delle due sale successive affrescate dal Gherardini con l’Allegoria dell’Impero Romano e con vedute paesaggistiche. Le pitture di questi ambienti testimoniano un classicismo agli albori, espressione dei legami della cultura fiorentina al tempo di Pietro Leopoldo con i più avanzati centri culturali italiani dell’epoca - quali Milano e Parma - in contatto con la cultura europea più aggiornata sul nuovo gusto, in particolare di area francese e austriaca.

Alla fase seicentesca appartiene invece la grandiosa sala di Vittoria della Rovere oggi adibita a Refettorio, dipinta nel 1681-82 dal pittore romano Francesco Corallo, celebrativa della granduchessa attraverso richiami mitologici e cristiani e caratterizzata dall’impronta fastosa propria del gusto di Vittoria. Il percorso descritto, dato dall’apparato decorativo di queste stanze della villa, consente di individuare cicli pittorici di grande pregio allusivi al Governo della Toscana, nell’arco di due secoli.

Alla fase leopoldina si riferiscono invece gli apparati decorativi della maggior parte delle stanze del piano nobile. Di particolare risalto è il grande Salone degli Stucchi, paragonabile alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, progettato dal Paoletti e decorato tra il 1781 e il 1782 ad opera degli stucchinai parmensi Grato e Giocondo Albertolli, autori dell’assetto di gran parte delle stanze di epoca lorenese.

Vi sono ancora conservate le sedie settecentesche a cabriolet appositamente realizzate dal mobiliere Giovanni Toussaint. Sulla destra del Salone si snodano le stanze del quartiere granducale, caratterizzate anch’esse dalla presenza di stucchi, specchiere, dipinti su tela con funzioni di sovrapporte alloggiate all’interno di cornici. Cinque delle otto stanze di questo quartiere sono rivestite con preziosi parati tessili orientali settecenteschi. I dipinti - eseguiti nel 1771 da Antonio Cioci, Gesualdo Ferri e Stefano Amigoli - scandiscono nei soggetti raffigurati (marine, galanterie, scene pastorali, il riposo dei cacciatori, scene mitologiche) un percorso modernamente innovativo perfettamente coerente con il tono d’insieme delle stanze, con richiami al clima e al carattere delle corti europee e specifici riferimenti a uno ‘stile’ di vita, appropriato all’impronta della quotidianità del granduca in questa sua residenza estiva. Si tratta di un ciclo unitario dal tono lieve che non trova riscontro in altri esempi fiorentini. Si segnala l’esposizione di sei sovrapporte del Poggio Imperiale alla mostra Il fasto e la ragione. Arte del Settecento a Firenze, presso la Galleria degli Uffizi. Di particolare rilievo è inoltre la cosiddetta Galleria degli Stucchi, realizzata nel 1776 e che reca negli stucchi degli Albertolli un’impronta più neoclassica, rispecchiata anche nelle sovrapporte raffiguranti marine eseguite da Antonio Cioci. Tutto l’apparato decorativo di questo quartiere costituisce una testimonianza eccezionale dell’impronta cosmopolita propria della corte leopoldina. Alla stessa fase si riferiscono gli ambienti posti a sinistra del Salone: il cosiddetto Quartiere cinese, con le quattro stanze dalle pareti rivestite di carte cinesi settecentesche, in una delle quali è conservato un prezioso stipo con paesaggi, in legno tinto di nero e commessi in pietre tenere, appartenuto a Vittoria della Rovere, del terzo quarto del XVII secolo. Al primo piano si trovano anche pregevoli ambienti risalenti all’epoca di Elisa Baciocchi e a quella di Ferdinando III. Di particolare risalto è il Peristilio, edificato per volontà di Elisa Baciocchi da Giuseppe Cacialli, dal 1807 al 1814, sopra il loggiato di ingresso realizzato dal Poccianti. La decorazione pittorica, di ispirazione classico mitologica, è opera dello Spedulo per gli stucchi e del Marinelli per le pitture. Vi sono inoltre conservati arredi tra i più rari, tra i quali due tavolini con i piani impiallacciati in tartaruga e intarsiati in avorio, della fine del secolo XVII, in origine posti nell’appartamento di Vittoria della Rovere. Vi si trovano anche i comò intarsiati con motivi alla raffaellesca eseguiti nel 1781 da Francesco Sebastiani e un tavolino da lavoro realizzato dall’ebanista di corte Salvatore Landi nel 1770. Vero e proprio capolavoro è il piano cinquecentesco in marmo, alabastro, madreperla e incisioni su carta di scuola raffaellesca con soggetti mitologici e grottesche proveniente da Villa Medici a Roma. Il piano è stato esposto alla mostra Art of the Royal Court. Treasures in Pietre Dure from the Palaces of Europe, presso il Metropolitan Museum di New York.

Il fronte posteriore della villa di Poggio Imperiale affacciava anticamente su due giardini murati di cui il 'Giardino Nuovo', o 'Giardino degli Aranci', o 'Giardino dell'Imbrecciato', per il tipo di pavimentazione dei vialetti, realizzato per fare da pendant al 'Giardino Segreto' o 'Giardinetto dei Fiori', già riportato nella pianta del Vasari, e dunque preesistente all'intervento del Parigi, cui si aggiunse il 'Giardino Grande' realizzato nel 1655 a ponente, in testa all'ala destra. Il 'Giardino Segreto', il primo ad essere realizzato, era costituito da quattro spartimenti circondati da un bordo di bosso e tagliati da due sentieri perpendicolari che formavano il classico impianto a croce con una fontana al centro, dove trovavano collocazione numerose statue in marmo. Nelle due nicchie a lato dell'ingresso erano posti, al tempo di Vittoria della Rovere, due orsi in pietra, uno dei quali commissionato dalla granduchessa al Marcellini per accompagnare l'altro, preesistente. Anche il 'Giardino degli Aranci', o 'Boschetto degli Aranci', era costituito da quattro spartimenti coltivati, una quadripartizione data dai due percorsi assiali perpendicolari, caratterizzati da una fontana in marmo al centro, arricchito da aranci da fiore in vaso, che venivano riparati durante l'inverno nello 'Stanzone de' vasi'. Era anch'esso ricco di molte statue in nicchie, tra cui tre putti, una Venere e un Amorino. Il 'Giardino Grande' fu realizzato a posteriori rispetto ai due precedenti e sussiste a tutt'oggi, seppure con qualche modifica. L'impianto originario era di forma rettangolare, costituito da otto spartimenti ulteriormente suddivisi a raggiera e contornati di bosso, distribuiti entro un'orditura ortogonale formata dai vialetti, dei quali i due principali si incontravano al centro dov'era collocata una vasca. L'asse trasversale parallelo alla villa, il più corto, proseguiva in un adiacente boschetto di lecci, un 'Salvatico', di forma rettangolare con alti alberi sempreverdi e cespugli, situato ad una quota più bassa rispetto al giardino, cui era tangente lungo il lato lungo. Il dislivello di cinque metri era risolto dalle ali simmetriche di due rampe di scala alla base delle quali si collocava una grotta, l'attuale ninfeo ancora esistente ed integro. Proprio quell'unico asse trasversale che lo attraversava collegava questo ampio recesso verde, ne è testimonianza l'ancora ben visibile porta di accesso, oggi murata, alla strada per San Felice a Ema. Villa Imperiale possedeva un altro 'Salvatico', chiamato 'Salvatico delle Stalle' per la vicinanza alle stalle di corte, posizionato a sinistra dell'edificio, ricco di allori, cipressi e lecci, dalla forma irregolare derivata dalla collocazione fra la villa e la viabilità verso Arcetri. Nella pianta del Ruggeri del 1737 risulta dotato di una fontana all'incrocio dei due dei molti vialetti che nel complesso formano lungo tutta l'estensione una maglia ortogonale. Attorno al 1766 le nuove 'Scuderie Reali' costruite su progetto dell'architetto Gaspare Paoletti presero il posto di gran parte del 'Salvatico delle Stalle' di cui rimase solo un piccolo scampolo.

A sud l'ampio spazio verde del 'Giardino Grande', chiuso da muri su tutti i lati e abbellito ulteriormente da una ricca statuaria, era delimitato da una costruzione, lo 'Stanzone dei vasi', utilizzata per il ricovero degli agrumi in inverno, ed era ornato lungo tutta la parete rivolta a mezzogiorno da spalliere di albicocchi e uva nobile. Anche gli altri muri perimetrali erano abbelliti da alte spalliere su cui poggiavano gelsomini, allori e vari agrumi. Dal cambiamento di destinazione d'uso da dimora granducale a collegio, avvenuto nel 1865, l'edifico non ha subito modifiche nella distribuzione interna e neppure negli esterni, che rimangono invariati dagli ultimi interventi risalenti all'Ottocento, mantenendo l'originaria facciata settecentesca retrostante, mai modificata. Nel 1972 la Soprintendenza ai Monumenti di Firenze dispose un intervento di restauro della Villa di Poggio Imperiale e dell’annessa chiesa, in previsione anche dell’apertura al pubblico degli ambienti monumentali e di rappresentanza dell’edificio e dell’apertura a manifestazioni di carattere artistico-culturale delle sale al primo piano, oltre che per garantire la normale attività dell’Educandato. I lavori, iniziati nel 1972 e ultimati nel 1975, riguardarono interventi di consolidamento strutturale, con l’eliminazione delle superfetazioni, di liberazione di ambienti adibiti a magazzino e di restauro di tutti gli elementi di decorazione, soprattutto degli stucchi nonché dell’antica orditura lignea dei soffitti, scoprendo i quali è stato possibile ritrovare il colore originale, alteratosi altrove nel corso del tempo, riproponendolo in corso d'opera.

    A partire dal 2004 sono stati avviati presso la villa del Poggio Imperiale, con fondi statali, sistematici lavori di restauro di apparati decorativi e opere d’arte. I primi interventi hanno riguardato due piccole opere scultoree appartenenti alla preziosa raccolta di sculture antiche fatta qui confluire da altre sedi statali inclusa la Galleria degli Uffizi, prima da Vittoria della Rovere, poi da Pietro Leopoldo. Si tratta di Artemis (tipo Atena), di età tardo antonina, in marmo bianco di Carrara a grana fine e breccia verde e dell’Amazzone, di età imperiale, in marmo bianco. Con fondi non statali sono stati restaurati numerosi busti e, recentemente, la monumentale Cariatide in marmo proveniente dal Foro di Augusto a Roma, degradata per la prolungata esposizione all’esterno, esposta ad Haltern am See in Germania alla mostra Impero Conflitto e Mito promossa sotto l’egida della Cancelleria tedesca.

Si prevede la musealizzazione della scultura, al rientro dalla mostra, in una delle stanze del piano terreno. Nel 2005 è stato effettuato il restauro, preceduto da un risanamento delle coperture curato dalla Soprintendenza ai Monumenti, del ciclo di bassorilievi costituenti il fregio in stucco della Cappella neoclassica. Ma soprattutto negli anni dal 2006 al 2009 è stato attuato, grazie anche alla disponibilità dei fondi del lotto, un sistematico piano di recupero indirizzato alle stanze delle due ali leopoldine del piano nobile. L’intervento ha avuto inizio con un integrale restauro delle carte che rivestono le stanze del Quartiere cinese, promuovendo contemporaneamente la rimozione di una canna fumaria che aveva danneggiato il parato della parete di una stanza. I restauri eseguiti in passato, a carattere parziale, risalgono ai primi anni settanta, alla metà degli anni ottanta, agli anni novanta del Novecento. È stato inoltre effettuato, con fondi ordinari, il restauro dei quadri cinesi di vario formato e soggetto (fiori, uccelli, casamenti, manifatture del tè, della seta, del riso e della ceramica) - centotrentasette più piccoli e quattordici più grandi - che rivestivano per intero le pareti della prima stanza, smantellati in epoca imprecisata. I dipinti sono stati inoltre dotati di vetri anti riflesso e di un sistema di ancoraggio non invasivo che consentirà di ricollocarli a parete, recuperando l’allestimento della stanza secondo l’assetto leopoldino. Dal 2010 è tuttora in corso presso la villa un capillare intervento conservativo sui parati tessili del quartiere di Pietro Leopoldo. I tessuti hanno subito nel tempo danni legati alla fragilità dei materiali e soprattutto al fattore luce, che ne ha irrimediabilmente alterato la cromia. Era stato nel 1981 svolto un lavoro di ricerca da parte dell’Opificio delle Pietre Dure, accompagnato da interventi di riparazione localizzati e dall’applicazione di una rete di sostegno degli strappi, con prove di fermatura e con l’aggiunta di tende ignifughe a protezione delle stoffe. Alla conclusione delle indagini era stato ipotizzato, per lo stato di degrado, un intervento definitivo di smontaggio degli originali, da sostituire tramite parati provvisti di caratteristiche analoghe sia sotto l’aspetto estetico che sotto quello materico e strutturale. L’apporto di nuove tecnologie consente oggi di mantenere queste tappezzerie orientali, tra le pochissime in Europa rimaste ancora esposte nel luogo originario. A oggi sono stati recuperati, per quanto la cromia ne sia ormai irrimediabilmente alterata, i tessili di due delle cinque stanze. I tessuti, una volta fermati e spolverati, sono stati smontati e trasportati in laboratorio. Sono stati quindi effettuati la pulitura e il trattamento antibatterico e antitarmico, procedendo poi con l’asciugatura. I tessuti lacerati sono stati consolidati, individuando quindi un crespo di seta del colore idoneo a costituire il sottofondo neutro. La parete è stata predisposta tramite l’applicazione di una foderatura sulla quale è stato montato un mollettone. I parati restaurati sono stati quindi ricollocati, protetti per mezzo di un tulle e tramite il tendaggio già esistente.

 

 

 

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BM = Biblioteca Marucelliana, Firenze.

BG = Biblioteca della Galleria degli Uffizi, Firenze.

ASFi = Archivio di Stato di Firenze.

BNCF = Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

GDSU = Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze.

 

 

Le fonti iconografiche sono riportate nelle didascalie in fondo alle immagini e dove non espressamente indicato sono da intendersi di proprietà dell’autore.

* Architetto, Paesaggista, Dottore in Progettazione Paesistica, dal 2008 Cultrice della Materia presso la cattedra di Storia del Giardino e del Paesaggio, Prof. Luigi Zangheri, Università degli Studi di Firenze.

© Copyright dell’autore. Ne è consentito l’uso purché sia correttamente citata la fonte.

 


NOTE

[1] Il Piazzale di Porta Romana è oggi un nodo cruciale della viabilità fiorentina e della rete che da via Senese collega la città con i territori a sud di Firenze.

[2] ASFi, Piante Regie Possessioni, tomo IX, 653.

[3] Ibidem.

[4] Cascio Pratilli G. Zangheri L., La legislazione medicea sull'ambiente, Firenze, Olschki, 1994, p. 76.

[5] ASFi, Mannelli Galilei Riccardi, 315, cc. 20, 21.

[6] ASFi, Fabbriche, carte non numerate.

[7] ASFi, Possessioni, 5036, febbraio 1706.

[8] ASFi, Catasto, 68, c. 108r.

[9] Panichi O., Villa Mediceo-Lorenese del Poggio Imperiale, in Zangheri L., Ville della provincia di Firenze. La città, Milano, Rusconi, 1989, p. 150.

[10] ASFi, Possessioni, 653, tomo IX e Miscellanea Medicea, 947, c. 137v.

[11] Panichi O., Villa Mediceo-Lorenese…cit., p. 150.

[12] ASFi, Fabbriche, 1985, ins. 5.

[13] ASFi, Guardaroba Mediceo, 479 c. 12v.; 657, c. 12v; 992, c. 14r.

[14] ASFi, Miscellanea Medicea, 11, c. 39r.

[15] Ibidem.

[16] ASFi, GM 479, in La villa di Poggio Imperiale, a cura di G. Capecchi, L. Lepore, V. Saladino, Roma, Giorgio Bretschneider, 1979, p. 19.

[17] BG, ms. 62, p. 27, in La villa di Poggio Imperiale…cit., p. 19.

[18] BNCF, Magliabechiano, XIII, 34, cc.163 segg, 186 segg, 321 segg, ivi, p. 21.

[19] ASFi, Guardaroba Mediceo, 1088, c. 397 e segg.; 992, c. 40 e segg, ivi, p. 24.

[20] BNCF, Magliabechiano, XIII, 34, cc. 163 e segg., 186 e segg., 321 e segg., 323 e segg, ivi, p. 23.

[21] BNCF, Magliabechiano, XIII 34, c. 171v, ivi, p. 24.

[22] BM, ms. 197, 14., in La villa del Poggio Imperiale, a cura di G. Capecchi, L. Lepore, V. Saladino, Roma, Bretschneider, 1979, ivi, p. 28.

[23] AG, V, 33, ivi, p. 29.

[24] ASFi, IRC 1623, in La villa di Poggio Imperiale…cit., p. 19.

[25] Il 2 aprile 1770, poco dopo il passaggio della villa di Poggio Imperiale ai nuovi regnanti, il giovane Wolfgang Amadeus Mozart vi tenne l'unico suo concerto eseguito in Firenze, come ancora oggi ricorda una targa nel portico d'ingresso.

[26] Panichi O., Villa Mediceo-Lorenese…cit., p.153.

[27] Ibidem.

[28] Panichi O., Villa Mediceo-Lorenese…cit., p. 154.

[29] ASFi, Possessioni, Piante, 588, c. 10, ivi, p. 156.

[30] ASFi, Possessioni, Piante 588, c. 10 e segg., ivi, p. 157.

[31] ASFi, IRC 1628, parte 2a, p. 25, in La villa del Poggio Imperiale…cit., p. 36.

[32] AG. f. A 1865, p. 2, ins. 35, ivi, p. 3.

[33] API, Inventario 1872, Libro 1l. ivi, p. 36.

[34] Ivi, pp. 29-37.

[35] L’Educandato ospita in maniera ricorrente eventi culturali e convegni. Promuove inoltre costantemente visite guidate agli ambienti aperti al pubblico, provvedendo a formare in questa direzione alcune delle allieve che frequentano il Collegio.

[36] Spinelli R., Simbologia dinastica e legittimazione del potere, in Le donne Medici nel sistema europeo delle corti, XVI-XVIII secolo, Atti del Convegno internazionale di Studi, Firenze, San Domenico di Fiesole, 6-8 ottobre 2005, a cura di G. Calvi e R. Spinelli, Firenze, Polistampa, 2008, p. 655.

[37] Ivi, p. 669.

[38] Panichi O., Villa Mediceo-Lorenese…cit., p. 151.



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