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Arte e medicina dagli studî anatomici alla Visual Thinking Strategy  

Vincenza Ferrara, Claudia Staffoli, Sara De Santis
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 3 Giugno 2015, n. 775
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L’Arte intesa come tèchne può essere descritta come l’applicazione di un complesso di regole ed esperienze elaborate dall’uomo, quindi della conoscenza, per produrre oggetti o rappresentare immagini tratte dalla realtà o dalla fantasia. Anche la Medicina è una disciplina definita come Arte in quanto capacità di applicare la conoscenza e quindi la Scienza relativa alla salute dell’uomo alla cura della malattia. E non è, probabilmente, un caso che queste discipline spesso hanno recuperato in un rapporto dialettico le esperienze dell’una per lo sviluppo dell’altra. Nel corso dei secoli, infatti, è stata documentata la collaborazione tra artisti e medici. Pensiamo all’arte classica e a quando gli artisti attraverso una pratica di osservazione degli esercizi ginnici degli atleti riuscivano a rappresentare caratteri anatomici ancora poco conosciuti ai medici, i quali non potevano utilizzare, ad esempio, la dissezione di cadaveri vietata per motivi religiosi. Dalle sculture potevano “ammirare” la rappresentazione della tensione muscolare come è possibile vedere nel Discobolo di Mirone.

Nel campo della Medicina solo Erofilo di Calcedonia ed Erasistrato, nel III sec. a. C. effettuavano dissezioni su corpi “vivi”1 e si dovrà aspettare, per sperimentare tale pratica, il 1241 con Federico II il cui editto non solo autorizzava ma stimolava l’uso di cadaveri in campo medico. È del 1316 il trattato “Anothomia” di Mondino de’ Liuzzi che riprende legalmente tali studî settori, fondando la prima Scuola di Anatomia Umana in Europa.

Si dovrà comunque attendere il Rinascimento, con la vera e propria nascita della medicina "moderna", per avere testimonianza che anche gli artisti avranno la possibilità di utilizzare i corpi per i loro studî anatomici. Il primo esempio è Antonio Benci detto il Pollaiolo, i cui disegni anatomici sono conservati al Louvre2. È in questo periodo che la collaborazione tra medici è artisti è più fervida, basta riferirsi al trattato di Anatomia di Andrea Vesalio De humani corporis fabrica libri septem (1543) con le sue 300 xilografie anatomiche illustrate dall' incisore e pittore fiammingo Jan Stephan van Calcar3. Superfluo citare i disegni di Leonardo con gli studî anatomici, le descrizioni per dissezionare i cadaveri o i disegni di Raffaello, studî per la composizione della Deposizione Borghese (1507) che documenta la pratica dell’artista e la conoscenza anatomica.

Ma l’Arte non ha soltanto “attinto” dalla pratica medica per rappresentare la figura umana, ha anche documentato l’arte medica come testimoniano gli innumerevoli dipinti che raffigurano lezioni di anatomia come Una lezione di anatomia per artisti (ca. 1570), Michelangelo circondato da altri artisti che mostrano il muscolo sartorio di un corpo morto, di Federico Zuccari o la Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer (1617) di Michiel e Pieter van Miereveld o la Lezione di anatomia del Dr Nicolaes Tulp (1632) di Rembrandt van Rijn.

In questa breve descrizione dei rapporti tra artisti e medici non è possibile non citare la ceroplastica anatomica. Nel Rinascimento ha luogo la vera riscoperta del corpo umano; artisti e medici ne studiano il cadavere, spinti da un forte interesse scientifico per l’anatomia, ed è in questa fase iniziale di ricerca che la cera svolge un ruolo essenziale, soprattutto nell’opera degli artisti. Tale pratica viene utilizzata nella ricerca anatomica come mezzo espressivo figurativo e numerosi furono gli artisti che si servirono di modellini preparatori in scala ridotta in cera per le loro produzioni. Anche questa tecnica fu utilizzata per rappresentare al meglio la figura umana come ne è esempio Lo scorticato (1678) di Ludovico Cardi, detto il Cigoli guidato nelle indagini anatomiche dal medico fiammingo Maiering, Ed è dalla collaborazione tra Gaetano Giulio Zumbo, ceroplasta siciliano, e il chirurgo francese Guillaume Desnoues che si sviluppa nel ‘700 la ceroplastica anatomica. Gli artefatti anatomici vengono prodotti per la formazione dei medici ma il loro estremo realismo e la rappresentazione dell’aspetto drammatico della morte le fanno considerare vere e proprie opere d’arte.

Altro tema che intreccia le discipline artistiche e mediche è rappresentato dalla presenza delle patologie. Questo aspetto ha interessato molto i medici che hanno potuto, attraverso l’osservazione della rappresentazione della figura umana nel corso dei secoli, rintracciare la presenza di alcune patologie oggi, per fortuna, debellate come la peste. È interessante a tale proposito riportare quanto scrive il medico Giovanni Franceschini nel 1906 “anche i lati più tristi e dolorosi della vita umana, così piena di sofferenze fisiche, siano stati, in quasi tutti i tempi, soggetto di studio da parte di artisti preclari, e come anche le scienze più pietose e ributtanti della medicina abbiano strappato al pennello creatore dell’artefice appassionato opere palpitanti di vita, di verità, di sentimento. E poichè il bello è lo splendore del vero, si può dire che anche le più crude verità della patologia umana rivestite degli splendori dell’arte da una mano sapiente di artefice, hanno contribuito alla creazione del bello, con opere sublimi di pittura e di scultura4.

La natura del lavoro negli artisti ne fa degli eccellenti osservatori. Essi catturano ogni più piccolo particolare del corpo delle figure rappresentate registrando anche le condizioni fisiche dei loro modelli. Ed è per questo motivo che i medici possono esercitare le loro capacità di osservazione per descrivere patologie di modelli in dipinti del passato come la diagnosi di scoliosi nella donna di spalle nel Le Tre Grazie (1639) di Peter Paul Rubens5.

Tale pratica ha sviluppato un dibattito in merito alla bontà dell’esercizio clinico rispetto a pazienti che non possono più essere curati e la Iconodiagnostica introdotta in Italia da un anatomo patologo, Il Prof. Vittorio Franco, ha destato critiche dall’ambiente degli storici dell’arte. Ma uno dei risultati presentati e quelli di un collega medico spagnolo sulla Gioconda forse possono accendere curiosità attorno a questa disciplina.

Il Professor Franco, analizzando circa cento opere d’arte ha potuto scoprire che, probabilmente, la Gioconda aveva uno xantelasma sotto l’occhio sinistro, ovvero un deposito di grasso, segno di iperolesterolemia, e un lipoma sulla mano. Il medico spagnolo Francisco Javier Barbado Hernandez per la Gioconda del Prado (1503-1506) opera di allievi di Leonardo, ha riscontrato sulla mano non un lipoma ma segni conseguenza di un salasso. La storica dell’arte Carla Gori comparando le evidenze risultate dalle analisi di quest’ultimo ha riscontrato da una lettera del funzionario ducale Giacomo Seregno datata 2 agosto 1496 “sappiamo che la primogenita del Moro, da mesi sottoposta alle cure dell'archiatra e astrologo Ambrogio da Rosate per una malattia misteriosa, forse da avvelenamento, in quella data rifiutava il salasso”, e quindi pensa che questa documentazione possa aggiungersi a quegli elementi che portano ad identificare la Gioconda con Bianca Sforza6.

Negli ultimi anni l’arte ha un ruolo sociale nei luoghi di cura e l’arte terapia è utilizzata come sostegno o cura nell’indirizzo psichico.
L’arte riveste un ruolo importante nell’apprendimento e il pensiero visivo a partire da Arnheim è un utile strumento per lo sviluppo della conoscenza. È nell’ambito del dibattito sulle funzioni del museo e dell’opera d’arte nella società contemporanea in campo educativo e formativo che è possibile parlare della Visual Thinking Strategy. La pratica dell’osservazione dovrebbe essere uno dei cardini della formazione medica e tale Teoria può rappresentare un aiuto al miglioramento delle competenze cliniche7.

(Vincenza Ferrara)


La Visual Thinking Strategy (VTS)

A metà degli anni ’70, negli Stati Uniti, Abigail Housen, psicologa cognitivista, figlia di una psicologa e di uno storico dell’arte, dà inizio ad un importante studio basato sui comportamenti dei visitatori in un museo e incentrato sui pensieri che vengono stimolati di fronte ad un’opera d’arte.

Housen adotta come strumento d’indagine un’intervista indiretta con la quale i fruitori del museo sono invitati a raccontare ciò che vedono nell’opera e i pensieri che questa gli suscita. Le domande sono aperte e sono volte a non influenzare lo spettatore. Nel corso del tempo questo strumento d’indagine, chiamato Aesthetic Development Interviews (ADI), permette alla Housen di raccogliere un ampio campione di dati e di avere una panoramica complessa sulle idee di molte persone di fronte a un’opera8.

Quando ci si confronta con l’arte, nell’intelletto si costituiscono pensieri e giudizi in ragione del sorgere di emozioni e sensazioni che portano ad un'interpretazione soggettiva. Nell’epoca contemporanea un modello fisso e condiviso di verità e di realtà può considerarsi improbabile, partendo da questi presupposti può risultare difficile dare una lettura unitaria e organica dell’opera d’arte.

La Housen nota fin da subito che vi è una grande differenza nella capacità di analisi tra un osservatore abituato a confrontarsi con l’arte e un altro che lo è molto meno. Intuisce che nelle persone a contatto da tempo con l’arte si sviluppano importanti cambiamenti nel modo di pensare. La complessità del pensiero che l’arte è in grado di suscitare fa notare alla Housen che, comunque, anche lo spettatore meno abituato alla fruizione dell’arte, utilizza una serie di meccanismi psichici per trarre conclusioni che sono fondamentali per la comprensione e l’apprendimento. Questi meccanismi vengono generati da associazioni, ricordi, fatti e sentimenti che l’immagine è capace di far emergere in modo inconsapevole dall’osservazione.

Dai risultati di questo studio e dal confronto con altre ricerche su questo tema, la Housen inizia a sviluppare una strategia didattica interamente basata sulla forza della comunicazione visiva e mette a punto il metodo della della Visual Thinking Strategy, capace di aiutare concretamente gli studenti nell’apprendimento e nell’acquisizione di capacità di analisi.

Il titolo di questo nuovo metodo didattico è pensato in onore di Rudolf Arnheim, la cui ricerca spiega in modo convincente la connessione tra la percezione visiva e il pensiero. Identificare ciò che vediamo, secondo Arnheim, è un atto di conoscenza. Quando si guarda qualcosa, si attuano rapidamente dei meccanismi di comprensione per riconoscere e afferrare il senso di ciò che ci viene messo dinanzi agli occhi. Inoltre grazie agli stimoli visivi si mettono in moto automaticamente pensieri e abilità atti a risolve problemi9. Dunque la premessa sulla quale è costruita la didattica della Visual Thinking Strategies è quella di usare l’arte visiva per sviluppare il pensiero critico10.

Nel metodo VTS gli studenti sono chiamati a guardare ed in seguito ad interpretare un’opera d’arte. Vengono guidati nella visione da un operatore che li stimola ad usare le capacità individuali di osservazione, di riflessione e ad esporre e provare le proprie idee agli altri compagni, in un ambiente caratterizzato dal confronto costruttivo.

Le domande poste agli studenti sono volte a sollecitare la curiosità di una visione più profonda e attenta ai dettagli, senza andare però a condizionare i pensieri che ne derivano. Il dibattito critico che nasce da questi quesiti mirati e opportunamente moderati, attiva negli studenti l’abilità a pensare criticamente e a prendere in considerazione le opinioni altrui, imparando a considerare la possibilità di avere più di una soluzione possibile ad un unico problema.

La metodologia VTS parte dalla consapevolezza che le capacità di apprendimento dell’alunno, colgono solo quello che la sua mente è in grado di comprendere autonomamente. Le informazioni e le idee che esulano da tale principio possono essere usate da quest’ultimo, solo in modo superficiale e non indipendente, a meno che, la sua mente non sia stata abituata a ragionare in modo elastico e analitico.

La Housen spiega che la scelta portata avanti dalla VTS di utilizzare l’inchiesta estetica nella didattica scolastica e museale, si deve proprio alla complessità intrinseca dell’oggetto artistico. L’interpretazione di un’opera, infatti, permette di ottenere una molteplicità di possibili risposte. La naturale stratificazione di significati profondi e la naturale ambiguità dell’arte, fa sì che innumerevoli riflessioni e opinioni scaturiscano liberamente da quest’ultima.

In questo modo, nella didattica VTS, l’opera d’arte diventa veicolo dell’apprendimento, viene usata come stimolo estetico per accrescere le capacità critiche e di analisi negli studenti. L’opera, quindi, non viene considerata solo come un pregevole manufatto artistico, come capolavoro, ma viene utilizzata come punto di partenza per innescare riflessioni libere, capaci di potenziare negli studenti competenze fondamentali.

Un elemento chiave della didattica VTS, sta nello spingere gli studenti ad esporre e spiegare le prove della loro valutazione di un'opera d'arte. Le riflessioni comprovate e il confronto delle idee, sono il punto di forza di questo metodo, che vede nell’acquisire l’abilità a sviluppare una modalità di pensiero superiore, il suo obiettivo primario. Questa sfida cognitiva incoraggia gli studenti ad affidarsi alle proprie capacità e alle proprie conoscenze, aumentando così la fiducia in se stessi e la voglia di esporre i propri pensieri e conclusioni.

Quando gli alunni padroneggiano tali competenze, queste finiscono per diventare dei processi mentali che si ripetono, più o meno consapevolmente, ogni qualvolta venga attivato un meccanismo di comprensione e apprendimento. Sono quindi trasferibili e applicabili a tutte le materie scolastiche, dalla matematica alle scienze, e sono auspicabili a tutti gli allievi di ogni ordine e grado11.

Gli studî sull'impatto della VTS mostrano infatti che, oltre alla crescita della comprensione estetica, viene sostenuta anche la crescita delle capacità di pensiero critico e creativo che possono essere facilmente trasferite ad altre aree tematiche. Inoltre è stato dimostrato che l’uso del linguaggio visivo aiuta notevolmente il profitto e l’integrazione di studenti disagiati per questioni sociali, fisiche o linguistiche12.

(Claudia Staffoli)



La VTS in medicina

A partire dagli anni ’60 si sviluppa la disciplina delle medical humanities dall’esigenza di arricchire gli studî nelle scienze mediche con le discipline umanistiche13. Nella convinzione che la medicina sia qualcosa di più che un insieme di conoscenze e di abilità tecniche, gli educatori medici hanno ritenuto importante inserire materie umanistiche come arte, letteratura, filosofia, etica, storia, nel programma di studî formativi di un buon medico. Infatti negli ultimi decenni, mentre da un lato abbiamo assistito a progressi in campo medico sul fronte della ricerca, delle analisi strumentali e di laboratorio, con il risultato di una efficacia migliore nella diagnosi e nella cura, dall’altro si è verificato un aumento dei costi per il ricorso a tali strumenti, molte volte non necessari, con la conseguente congestione dei laboratori e un aumento dei falsi positivi. Il motivo sta nella perdita di interesse da parte del medico nell’esame fisico del paziente e nell’inadeguato insegnamento della Semeiotica, ovvero la disciplina medica che studia segni e sintomi per giungere ad una diagnosi. Poiché solo una corretta diagnosi guida la decisione di una terapia adeguata, è necessario implementare l’insegnamento della semeiotica per formare medici preparati. C’è un consenso generale sul fatto che la Semeiotica inizia da una corretta e approfondita osservazione, si parla quindi di “occhio clinico”, per indicare la competenza semeiologica che consiste nell’uso dei sensi per fare diagnosi di malattia14.

Nonostante vi siano esempi precedenti di ricorso all’arte nell’ambito dei corsi di studî di medicina come strumento conoscitivo per sviluppare la capacità di osservazione e descrizione15, la “Visual Thinking strategy”, come è stata ideata dalla Housen, viene applicata per la prima volta in un corso di laurea in medicina e chirurgia nell’università di Harvard nell’anno accademico 2003-2004 agli studenti del 3° anno, con un corso elettivo di 9 settimane dal titolo Training the eye16. Il corso è realizzato per una parte al museo di belle arti di Boston e per un’altra parte con lezioni cliniche, sia in aula sia in corsia, in cui i docenti medici mettono l’attenzione sulla diagnosi visiva e correlano l’esame fisico a concetti artistici. Al museo gli studenti si esercitano, lavorando in coppia, direttamente con opere d’arte originali sull’osservazione, descrizione e collaborazione creativa del significato. Nella sessione finale un paziente con una patologia complessa viene intervistato e visitato dal medico direttore del corso, con la partecipazione attiva degli studenti17.

Negli anni successivi tale strategia è stata adottata da altre università statunitensi come quella dell’Ohio in collaborazione con il museo d’arte di Colombo, nel corso Art of Analysis, che a partire dall’anno accademico 2010-2011 ha coinvolto gli studenti del 5° anno di medicina. Seguendo la linea di pensiero della VTS della Housen, è stata ideata una rubrica del pensiero critico per guidare l’analisi delle opere, chiamata ODIP, acronimo di Osservare, Descrivere, Interpretare, Provare18.
Nell’anno accademico in corso (2014-15) anche il dipartimento di dermatologia di Dallas e il museo d’arte della città hanno inaugurato un corso dal titolo Art of observation, in cui gli studenti divisi in piccoli gruppi di discussione vengono messi di fronte ad opere d’arte e vengono guidati nel focalizzare la loro attenzione sull’osservazione e la descrizione dell’opera, nonché a discutere insieme con l’aiuto di un facilitatore19.

I rapporti tra arte e medicina, come abbiamo visto, sono tantissimi a partire dall’importanza che, in entrambe le discipline, ha l’osservazione del dettaglio, così come del contesto e della dimensione affettiva e narrativa della persona. L’arte, mediante le attività di osservazione, analisi, confronto e discussione date dalla VTS, consente allo studente di medicina di acquisire un metodo da applicare anche nell’attività clinica, migliorando le competenze nell’esame obiettivo del paziente, implementando le capacità di problem solving e pensiero critico, abituandosi al lavoro di gruppo, coltivando l’empatia verso il paziente e il rispetto dell’altro (sia esso paziente o collega).

(Sara De Santis)



Conclusioni e prospettive

La VTS viene applicata sia nell’ambito dell’apprendimento scolastico che in quello universitario in ambito di cura in America. In Europa e in particolare in Italia non ci sono state ancora esperienze di questo tipo, anche se nei Corsi di Laurea in medicina sono sempre più frequenti attività integrative legate all’arte, alla letteratura, alla musica. Presso il Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia della Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza è attivo un corso integrato di metodologia-scientifica e scienze umane che ha introdotto la formazione umanistica per gli studenti.

È nell’ambito di questa formazione che è in corso una sperimentazione della VTS per gli studenti del III anno di Medicina con la collaborazione della Galleria Borghese. Ritenendo la VTS strumento utile per lo sviluppo del pensiero critico e adatto a stimolare la sensibilità all’arte e alla visita dei luoghi di cultura e una maggiore consapevolezza dell’importanza del patrimonio culturale, al termine di questa sperimentazione, analizzati i risultati e l’impatto sul miglioramento delle competenze, si proporrà tale pratica nei diversi ambienti di apprendimento e come integrazione alle attività educative dei musei.

(Vincenza Ferrara)








NOTE

1 Mingazzini, P., Leonardo e l'anatomia in IL BASSINI, 30(1), 2010, pp. 62-74.

2 Joconde Database http://www.culture.gouv.fr/public/mistral/joconde_fr?ACTION=CHERCHER&FIELD_3=AUTR&VALUE_3=POLLAIUOLO%20ANTONIO%20DI

3 Vesalio, A., De humani corporis fabrica http://archive.nlm.nih.gov/proj/ttp/flash/vesalius/vesalius.html

4 Franceschini, G., La patologia umana nell’arte in Emporium rivista mensile illustrata d'arte - letteratura - scienze e varietà, vol. XXIV, n. 144, dicembre 1906.

5 Ge, S. Mengxiao. "Observation: The Importance of Art in Medicine." (2013) http://aoc.mcgill.ca/library/files/library/susan_ge_art__medicine.pdf

7 Familiari,G., Ziparo, V., Relucenti M., De Biase, L. Gallo, P., Frati, L. , Arti figurative e Formazione in Medicina. Potenzialità e prospettive in MEDICINA E CHIRURGIA (ISSN:2279-7068), 2010, 2143- 2150.

8 Housen A., Aesthetic thought, critical thinking and transfer in Arts in Learning Journal, 18(1), 2002, 99-132.

9 Arnheim R., Visual Thinking, University of California Press, Berkeley-Los Angeles, 1969; trad. it. Il pensiero visivo, Einaudi, Torino, 1974.

10 Visual Thinking Strategy WebSite http://www.vtshome.org

11 Visual Thinking Strategies, Research Major Findings - https://apopheniainc.wordpress.com/page/27/

12 Lampert, N., Critical thinking dispositions as an outcome of art education. studies in Art Education, 47(3), 2006, pp. 215-228.

13 Polianski, I. J., & Fangerau, H. Toward “harder” medical humanities: Moving beyond the “two cultures” dichotomy. In Academic Medicine, 87(1), 2012, pp. 121-126.

14 Toro-Huamanchumo CJ, Aree-Villabos LR. The clinical eye: a need to improve the teaching of semiology in undergraduate medical education in t J Med Students. 2014 Jul-Oct; 2(3):144-5.

15 Braverman I.M. To see or not to see: How visual training can improve observational skills. Clinics in Dermatology 29,2011, pp. 343-346.

16 Shapiro, J., Rucker, L., & Beck, J. Training the clinical eye and mind: using the arts to develop medical students' observational and pattern recognition skills in Medical Education, 40(3), 2006, pp. 263-268.

17 Katz and,J. T., Khoshbin S., Can visual arts training improve physician performance? In Trans Am Clin Climatol Assoc. 2014; 125:331-342.

18 Jacques A., Trinkley R, Stone, L., Tang R., Hudson W., Khandelwal S., Art of analysis: a cooperative program between a museum and medicine in Journal for Learning though the Arts, 8(1) 2012.









 

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