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Lo spirito rivoluzionario di Gustave Caillebotte  

Lucia Signore
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 14 Giugno 2015, n. 776
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Area Artisti
Gustave Caillebotte, nato a Parigi nel 1848, fu un artista particolarmente attento alle novità del suo tempo e pertanto promotore di una modernità non immediatamente apprezzata dai suoi contemporanei e a fatica esaltata anche negli anni successivi, se non da artisti animati da grande sensibilità, tanto da essere definito ancora oggi in alcuni manuali un “impressionista minore”, sottovalutato per la sua rivoluzione pittorica, essendo considerato più un ricco mecenate che un vero e proprio pittore. Il suo nome è infatti associato al celebre lascito che fece al più noto museo parigino, il Louvre, a cui donò la sua raccolta di dipinti realizzati da artisti a lui contemporanei, tra i quali si ricordano Monet, Renoir, Pisarro, Cezanne.
Gustave Caillebotte non fu immediatamente apprezzato neanche per questo suo nobile gesto: fu necessario attendere il 1897 e l’intercessione di Renoir affinché trentotto dipinti della sua collezione venissero acquistati dal museo sopracitato, mentre altri trenta capolavori vennero venduti a musei stranieri e collezionisti. Tali opere però furono esposte solo nel 1937 al Museo del Jeu de Paume, «appendice impressionista del Louvre», prima di essere trasferite definitivamente al Museo d’Orsay.1


Nella sua breve, seppur intensa esistenza, Gustave Caillebotte non amò soltanto collezionare dipinti, francobolli2 e altri manufatti artistici, ma osò lui stesso dipingere, influenzato, o meglio, letteralmente colpito dalla pittura di De Nittis che scoprì durante un soggiorno in Italia. La scoperta di quelle tele lo esortò, una volta tornato a Parigi, ad abbandonare la carriera giuridica e a seguire un corso di pittura, divenendo così allievo di Leon Bonnat, per poi essere ammesso all’Ecole des Beaux Arts. Dal maestro apprese la tecnica del disegno, lo studio accurato del supporto, un accademismo dunque che era ormai rigettato dagli Impressionisti, o perlomeno da alcuni di essi. Questo studio preliminare che si esplica talvolta nella realizzazione di numerosi disegni preparatori, ha chiaramente una matrice accademica che si intreccia anche con il costante riferimento alla pittura di Degas che, come è noto, non ha dipinto con quella foga che invece spingeva Monet a far scivolare velocemente il pennello sulla tela per catturare l’impressione in un preciso momento e in un determinato luogo.

Tuttavia la pittura di Caillebotte è alquanto eclettica, non classificabile in un movimento artistico specifico: non è né accademica né impressionista, ma è l’una e l’altra e forse anche qualcosa in più nel momento in cui si prende in considerazione che egli non rimase indifferente dinanzi alla fotografia e al contempo dinanzi al Realismo di Courbet. La fotografia giocò un ruolo determinante e non è da sottovalutare il fatto che nella sua collezione vi fossero anche molti scatti fotografici, purtroppo oggi andati perduti. Si conservano però le fotografie in parte acquistate e in parte realizzate da Martial Caillebotte, fratello minore di Gustave, con cui quest’ultimo condivideva la grande passione per le arti. È appurato che tra i due vi fosse uno scambio reciproco: Gustave si è spesso servito della fotografia del fratello per realizzare alcuni suoi dipinti (si pensi alle lastre fotografiche utilizzate per la resa dei canottieri) e Martial, soprattutto dopo la precoce scomparsa del fratello avvenuta nel 1894 all’età di quarantacinque anni, a causa di una congestione polmonare, sembra che si sia ispirato alle inquadrature e ai punti di vista, talvolta alquanto insoliti, scelti da Caillebotte per le sue tele.

Il taglio fotografico, spesso menzionato nelle dissertazioni sui quadri di Degas, o anche degli altri Impressionisti, è presente anche nell’opera di Gustave Caillebotte, ma non solo perché, come già detto prima, si ispira all’amico pittore, ma perché sente quanto sia importante, anzi obbligatorio, il confronto con questo nuovo modo di proporre la realtà attraverso non più una rappresentazione, ma mediante la sua diretta presentazione. Che sia un gesto artistico o meno, è ancora da decidere e trascorreranno molti anni prima che la battaglia tra pittura e fotografia possa dirsi conclusa. Nonostante ciò, Caillebotte, con il suo spirito pionieristico, avverte la grande potenzialità e la concorrenzialità di questo nuovo strumento meccanico che può essere posto al servizio della pittura, come del resto è accaduto dal momento che molti artisti hanno utilizzato le fotografie, talvolta anche tacitamente, in un «ambiguo silenzio»3, per poter creare dipinti caratterizzati da un elevatissimo grado di realismo.

Ma ciò che distingue Caillebotte da Degas, che tra l’altro scattava egli stesso fotografie, e da i numerosi altri artisti che ne fecero uso, è dato dal fatto che egli oltre ad ispirarsi ai suoi contemporanei, guardando le stereoscopiche o le cronofotografie, anticipa egli stesso la fotografia degli anni Venti del Novecento: il rapporto con la Nuova Visione è ormai manifesto. La veduta dall’alto, dal balcone della sua abitazione da cui si affacciano amici e parenti e da cui si può vedere il boulevard sottostante, gli scorci e addirittura il filtro di una balaustra Art Nouvau interposta tra il suo, anzi il nostro sguardo e lo spazio circostante, non possono non rievocare alcune opere fotografiche del massimo esponente e teorico della Nuova Visione, Lazlò Mohly Nagy (figg. 1, 2). Quest’ultimo recupera quelle inquadrature “sbagliate” (veduta dall’alto, dal basso, di scorcio) già praticate dagli amatori, per favorire, dopo «cento anni di fotografia e due decenni di film»4, «una visione ottica senza pregiudizi»5, ossia un uso corretto della fotografia che ai suoi tempi, mediante un rovesciamento rispetto alla fase vissuta da Caillebotte, era pittorialista: ora era la pittura ancella della fotografia e non viceversa.

Allora i possibili collegamenti con i fotografi degli anni Venti si moltiplicano, dato il grande successo che Nagy ha riscosso: si potrà conseguentemente citare Rodchenko, Kertész (figg. 3, 4), fino ad arrivare anche ai Surrealisti, tra i quali si ricorda il celebre Man Ray. Parallelismi molto pertinenti tra la pittura ottocentesca di Gustave Caillebotte e la fotografia non solo a lui coeva, ma soprattutto del Novecento, e principalmente quella dei primi due decenni del XX secolo, sono stati presentati tanto in mostra, quanto nel relativo catalogo, nel 2013, alla Schirn Kunsthalle, a Francoforte, ove l’evento espositivo a cura di Karin Sagner e Max Hollein in collaborazione con Ulrich Pohlmann è stato particolarmente importante ai fini della riscoperta di questo artista ingiustamente poco studiato e “sotto-classificato” nei manuali. Gli stessi organizzatori della mostra hanno evidenziato questo aspetto: pochissimi sono stati gli eventi espositivi a lui dedicati, pochissimi sono i testi monografici (e per di più quasi esclusivamente in lingua francese) a lui intitolati. Il fatto di averlo portato fuori dalla sua patria ha sicuramente permesso di rivalutare Caillebotte, perlomeno in terra tedesca, e soprattutto di farlo conoscere ai più, riunendo, per quanto possibile, le sue tele disperse tra musei e collezioni private per metterle a diretto confronto con i lavori fotografici delle varie epoche, per recuperare la sua fama che si è dispersa nel tempo come gli oggetti della sua collezione: «many of the vestige of Gustave Caillebotte’s passions have now disappeared. The house in Petit Gennevilliers was sold after Martial died in 1910, his boat no longer exist, his stamp collection was sold».6

Gustave Caillebotte con il suo spirito versatile e rivoluzionario ha esercitato un influsso notevole anche su molte personalità artistiche del suo tempo: Munch, ad esempio, si ispirò ai dipinti ambientati sul balcone per l’opera Rue Lafayette (figg. 5, 6) a cui si è a sua volta rifatto Constant Puyo nel 1900 con Montmartre; in una lettera inviata al fratello Theo, Van Gogh espresse il desiderio di poter guardare una sua opera; i pittori del Nord Europa, come Krohg, forse facendo una crasi tra le figure sempre voltate di Friedrich, alcune delle quali raffigurate dinanzi ad una finestra, e quelle di tergo su un balcone del pittore parigino, hanno replicato tali soggetti. La sua produzione pittorica, dunque, esercitava un fascino profondo credo proprio per il rapporto dialettico tra accademismo e Impressionismo, tra meditazione e sensazione, tra classica pittura e rivoluzionaria fotografia, tra Realismo e fotografia. Tuttavia ai più Gustave Caillebotte non appariva che un eccentrico milionario, un mecenate che cercava di attirare su di sé la propria attenzione attraverso queste bizzarrie e queste novità. La sua posizione economica e sociale non gli impediva certo di osare, era «un milionario che dipingeva a tempo perso».7

Lui non doveva essere necessariamente apprezzato dal pubblico; poteva vivere anche senza il suo denaro e il suo compiacimento. Non era disperato come Monet che, pur portando avanti la sua battaglia impressionista, doveva cercar di compiacere un possibile acquirente per poter vendere le sue tele, per ricavarne denaro, per poter sopravvivere. Del resto sono noti episodi in cui Caillebotte aiutò finanziariamente l’amico Monet: pagò l’affitto del suo studio e acquistò molte sue opere, di certo non spinto da un senso di pietà, ma interessato a quella nuova concezione pittorica che anch’egli sperimentò accantonando, seppur provvisoriamente, il disegno preparatorio per poter disegnare colorando. L’unione dello stile accademico appreso nel periodo di formazione e l’espressione individuale, la tradizione e la contemporaneità, sono i poli in cui si colloca la sua produzione pittorica.
Ѐ soprattutto la fase urbana quella in cui il rapporto con l’Impressionismo diventa particolarmente intenso: «The cityscapes of Caillebotte and other Impressionists were thus a product of the new Paris and grew from the need to develop a form of perception appropriate to this new city transformed by Baron Haussmann. Of all the Impressionist painters, Gustave Caillebotte came nearest to the Haussmannesque aesthetic. He had lived from 1867 in one of the model new districts, which he captured between 1875 and 1882 in pioneering cityscapes, whether from the perspective of a pedestrian or a slightly raised standpoint - from a window or a carriage».8

Il balcone, al pari della finestra, è uno dei punti privilegiati per poter ritrarre dall’alto la città imponente, tanto che spesso è rappresentato anche il davanzale o la balaustra (fig. 7), e la predilezione per questa inquadratura è in parte ereditata da Monet, il cui Boulevard des Capucines viene messo a confronto da Aaron Scharf e Alfredo De Paz con le numerose vedute dall’alto realizzate da Caillebotte.9 Con questa impostazione, il pittore parigino se da un lato tiene conto della fotografia stereoscopica di Jouvin, dall’altro anticipa, come detto poc’anzi, l’opera di Moholy Nagy, il quale sosteneva che «il fascino dell’immagine non risiede nell’oggetto, ma nella vista dall’alto e nei rapporti ben ponderati»10. Attraverso queste tele Caillebotte ha celebrato la novità, lo sviluppo delle arti e della tecnologia, rendendo protagonisti dei suoi dipinti boulevard, lampioni, ponti, panchine e quant’altro ornava la città, sull’esempio di ciò che realizzava Charles Marville. Quest’ultimo fu incaricato di fotografare Parigi prima e dopo la ristrutturazione ad opera del Barone Haussmann per mantenere memoria di quanto era stato edificato nel passato e per celebrare la modernità attraverso la trasformazione: nelle sue fotografie non vi sono presenze umane, ma singoli lampioni presentati nella loro diversità formale, chioschi, i primi orinatoi pubblici, panchine. In un certo qual modo Eugene Atget documenterà anche lui la sua Parigi, ma con un atteggiamento differente da quello di Marville, nonostante le affinità che ci sono per l’assenza, ad esempio, nella maggior parte delle sue fotografie, di figure umane. Atget non riceve alcun incarico dal governo, ma è spinto dalla necessità di conservare nella sua memoria la sua città, pur dando, inconsapevolmente, un contributo fondamentale alla collettività, favorendo lo sviluppo del genere documentario.

Il ponte è al centro dell’interesse del governo parigino che decreta la costruzione di diverse strutture di collegamento delle sponde della Senna: Auguste Hippolyte Collard viene nominato fotografo ufficiale del Dipartimento Municipale Strade e Ponti tra il 1857 e il 1864.11 Gustave Caillebotte nel 1876 dipinge il Pont de l’Europe12 (fig. 8), celebre opera in cui vi è la rappresentazione della nuova Parigi: il ponte, il boulevard, recenti costruzioni sullo sfondo che testimoniano l’intervento di Napoleone III e Haussmann, il fumo bianco che è il simbolo di una nuova attività economica.
In questo contesto si situano alcuni personaggi e un cane che è una figura di cruciale importanza e casualità che risponde a un’accurata costruzione del dipinto basato su un sapiente gioco di simmetrie ed equilibri. Analisi a raggi infrarossi, ultravioletti e raggi X, effettuate a Colonia nel 2011, hanno mostrato i ripensamenti di Caillebotte che inizialmente aveva affiancato al suo autoritratto emblematico13 la figura della donna che oggi invece appare arretrata rispetto all’uomo e che è stata, ed è ancora oggi, oggetto di svariate interpretazioni: i più sostengono che sia una prostituta, la minoranza sostiene che sia una semplice donna dai cui occhi traspare sorpresa e paura piuttosto che accondiscendenza. Rimane tuttavia ambigua la relazione tra i due personaggi dato che lo sguardo dell’uomo è indirizzato oltre il ponte, come quello del flâneur alla nostra destra che guarda nella stessa direzione, e la donna non sappiamo se abbia o meno udito i suoi commenti; sicuramente, però, nella prima fase di elaborazione i due personaggi erano messi in relazione.
Ciò che risulta interessante per poter fare altri collegamenti con gli sviluppi della fotografia, è il movimento, la posizione di instabilità dell’uomo, che diviene simbolo del fluire della vita parigina e che è presente in molte altre tele, tra cui si ricorda Paris Street. Rainy Day14 (fig. 9), importante anche per l’analisi del nuovo manto stradale che diviene oggetto di interesse anche per i fotografi. La fotografia che immortala, che pietrifica come «lo sguardo della Medusa»15, così come sostenevano i Futuristi, perlomeno nella prima fase, per altri è, al contrario, il mezzo per poter studiare il movimento: in quegli anni Muybridge analizzava il movimento degli animali attraverso lo zoopraxiscopio, Marey introduceva la cronofotografia e il «fucile fotografico» per studi di fisiologia, seguito da Londe che sfruttava il cronofotografo per analisi patologiche. Essi, a prescindere dall’uso che ne facevano, mediante una serie di scatti consecutivi, analizzavano le singole fasi del movimento da vari punti di vista, rivelando «fasi di locomozione che sono al di là della soglia visiva».16


Questo riferimento alla cronofotografia è evidente soprattutto negli ultimi dipinti realizzati da Caillebotte, quelli dei canottieri e dei nuotatori, con cui si può creare un parallelismo anche per il tema affine, oltre che, naturalmente, per l’attenzione rivolta al movimento. Anche le scene di toilette presentano un collegamento con quelle cronofotografate da Muybridge, nonché con quelle dipinte da Degas, ma, come afferma Aaron Scharf, Caillebotte «con la sua esuberanza talvolta oltrepassava persino le innovazioni compositive di Degas, da cui traeva, indubbiamente, lo stimolo iniziale».17 Per quanto concerne questa tipologia di opere, si può evidenziare una sostanziale differenza nel prediligere il sesso maschile anziché quello femminile, scelta che ha portato alcuni studiosi a sostenere che Caillebotte fosse omosessuale, ma una lunga relazione, durata ben undici anni, con Charlotte Berthier, che non sposò mai, ma a cui lasciò parte del suo patrimonio, sembra smentire il tutto.18

Caillebotte voleva presentare l’uomo moderno, messo letteralmente a nudo nella sua quotidianità, esaltando la sua eroicità, una moderna eroicità che non si esplicava più nella realizzazione di grandi imprese. Ѐ, pertanto, alquanto interessante affiancare a questi dipinti ambientati in interni di appartamenti borghesi, una tela molto singolare per il suo schema compositivo, per la tecnica pittorica, nonché, soprattutto, per il soggetto raffigurato: I rasieratori di parquet del 1875 (fig. 10). L’opera presentata insieme ad altri sette dipinti per il suo debutto nel 1876, in occasione della seconda mostra impressionista, fu inizialmente molto criticata soprattutto per il soggetto rappresentato, ossia degli operai - che qualche anno dopo verranno fotografati per strada e in posizioni alquanto analoghe da Atget (fig. 11) - i quali non erano presenti nella produzione pittorica coeva ove, in contrasto con i ricchi borghesi, venivano raffigurati i contadini con scarpe rotte, con i vestiti laceri e con le membra madide di sudore.

Ma in quest’opera, forse anche per la ragguardevole posizione economica dell’artista, non ci sono rivendicazioni sociali, per quanto non del tutto assenti nella sua produzione pittorica (si pensi alle nature morte esposte nelle vetrine, pronte per essere “acquistate” e mangiate, rappresentanti il cibo proibito per la classe operaia)19, ma c’è, al contrario, l’esaltazione del lavoro. Gli operai con il torso nudo, in posizioni quasi ginniche, sono presentati in maniera statuaria, quasi fossero antichi atleti greci dal corpo perfettamente scolpito, simbolo di uno sforzo fisico che nobilita, al contrario del lavoro contadino associato, nelle tele coeve, a una condizione di estrema povertà. È un’opera ricca di significati poiché è ambientata nel proprio studio – riconosciamo la balaustra Art Nouveau spesso presente nei numerosissimi ritratti di amici e parenti – e documenta una ristrutturazione del suo appartamento realmente avvenuta, ma che simboleggia anche un cambiamento di natura stilistica: «per Caillebotte la pittura nuova fu una fede contro la mediocrità che lo circondava».20

Agli aspetti tecnologici della città si unisce il culto per lo sport praticato nelle campagne, pertanto, accanto alle vedute urbane e agli interni dei palazzi haussmanniani, vi sono le numerose tele ambientate in campagna, molte delle quali legate al canottaggio (figg. 12, 13). Il movimento degli arti umani, oggetto di studio anche in ambito fotografico, via via viene sostituito da quello della natura che diventa assoluta protagonista delle ultime tele da lui realizzate prima del trasferimento a Petit-Gennevilliers dove riporrà definitivamente i pennelli per dedicarsi esclusivamente al giardinaggio. Laundry Drying. Petit Gennevilliers (1888) è esemplare per mostrare l’ennesimo, ma questa volta ultimo mutamento avvenuto nulla sua produzione pittorica all’insegna dell’eclettismo. Caillebotte, che aveva raggiunto con il suo estro un realismo fotografico a dir poco impressionante, termina la sua carriera pittorica con una sorta di astrazione che ispirerà Man Ray e i suoi colleghi surrealisti: «Here we see the approach of the future Surrealist movement: isolated and freed from their context, things metamorphose».21 La forza del vento che gonfia la biancheria stesa nelle ultime tele di Caillebotte, ritorna nelle fotografie di Man Ray (Moving Sculpture or France, 1920) o di Herbert List (Laundry in the Wind, Finkenwerder, 1934), nelle quali quei panni stesi si caricano di significati reconditi del tutto estranei all’opera di questo pittore francese che costituisce tuttavia il loro punto di riferimento (figg. 14, 15).

È sorprendente notare che il “triste destino” di Gustave Caillebotte sia alquanto affine a quello del fratello Martial, la cui fama di musicista e compositore è letteralmente svanita, in parte sostituita da quella di fotografo. Anche l’opera musicale di Martial è oggetto di studio e di rivalutazione, come mostra l’estratto del seminario tenutosi nel 1999 alla Sorbona22, in cui si sottolinea l’affinità tra i due fratelli data non solo dal grande gusto per l’arte (quella antica, ma anche e soprattutto quella moderna), o dall’eclettismo, ma anche dal comune abbandono della propria attività: Gustave, dopo il matrimonio del fratello, la conseguente vendita del palazzo collocato nel Boulevard Haussmann in cui aveva vissuto insieme a lui per trentaquattro anni e il successivo trasferimento nella casa di Petit Gennevilliers, abbandonò l’attività pittorica per dedicarsi al giardinaggio e Martial, parallelamente, smise di comporre musica. Entrambi hanno avuto una preparazione accademica, ma nonostante la loro formazione, i due hanno sempre agito in base alla propria volontà creativa: «questa libertà fondamentale era davvero la forza trainante», era il grande pregio di due borghesi che guardavano il mondo con obiettività, come l’obiettivo della macchina fotografica cattura senza artifici la realtà schietta e talvolta anche “inconscia”, ma pur sempre la realtà del proprio tempo.





NOTE

1 G. CRICCO, F.P. DI TEODORO, Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 2005, p. 723.

2 Piccola curiosità: la collezione filatelica dei fratelli Caillebotte fu acquistata nel 1887 da Thomas Keay Tapling e ora fa parte dell’United Kingdom’s National Philatelic Collection del British Museum ove Gustave e Martial Caillebotte sono ricordati con il titolo di “padri della filatelia”.

3 A. DE PAZ, L’occhio della modernità. Pittura e fotografia dalle origini alle avanguardie storiche, Clueb Editrice, 1987, p. 195.

4 L. MOHOLY-NAGY, Pittura Fotografia Film, Torino, Einaudi, 2010, p. 27.

5 ID., p. 5.

6 K. SAGNER, Max Hollein, Gustave Caillebotte: an impressionist and photography, Frankfurt: Schirn Kunsthalle; Munich: Hirmer Verlag, 2012, p. 231.

7 M. VOLPI, L’occhio senza tempo: saggi di critica e storia dell’arte contemporanea, Roma, Lithos, 2008, p. 122.

8 K. SAGNER 2012, p. 21.

9 DE PAZ 1987, p. 185

10 L. MOHOLY-NAGY 2010, p. 91.

11 K. SAGNER, p. 80.

12 Eadem, p. 100. Questo dipinto è emblematico non solo dal punto di vista figurativo, ma anche per la sua storia, dal momento che mostra quanta poca notorietà abbia avuto questo pittore. L’opera fu regalata all’amico Eugène Lamy, il quale, dopo l’improvvisa morte di Caillebotte, la diede in prestito per la retrospettiva a lui dedicata che si tenne dal 4 al 16 giugno del 1894 alla Galerie Durand-Ruel. Da allora l’opera non fu più mostrata al pubblico, fino al 1956, quando un suo discendente la mise all’asta e venne poi acquistata dal Petit Palais Museum.

13 Eadem, p. 95. Si parla di «enigmatic self-portrait» dal momento che, sulla base del confronto con la fotografia realizzata da Martial Caillebotte, viene riconosciuto il volto dell’artista, ma il corpo sembra essere quello di un’altra persona.

14 Quest’opera è particolarmente importante per quanto concerne la riscoperta di Gustave Caillebotte. La tela fu acquistata dall’Art Institute di Chicago nel 1960, dando avvio alla riscoperta di questo artista, riscoperta ufficialmente intrapresa negli anni Settanta del Novecento: «Se Caillebotte ha fatto la storia del 1870, il 1970 ha ricostruito la storia di Caillebotte».http://artchive.com/artchive/C/caillebotte.html

15 G. LISTA, Cinema e fotografia futurista, Milano, Skira, 2001, p. 138.

16 A. SCHARF, Arte e fotografia, Torino, Einaudi, 1979, p. 218.

17 A. SCHARF 1979, p. 178.

19 Caillebotte ha realizzato due tipologie di nature morte: da un lato, seguendo la tradizione, ha realizzato classiche composizioni in cui la selvaggina priva di vita è disposta su tavoli di marmo, pronta per essere consumata; dall’altro ne ha realizzate altre molto più cruente e violente, ove maiali e buoi squartati sono appesi nelle vetrine per essere acquistati. Queste carni però vengono gustate solo dalla classe borghese che ha la possibilità di comperarle, essendo questo il cibo proibito per la classe operaia. Tale freddezza e crudeltà è probabilmente da associarsi alla condizione di sfruttamento della classe operaia che è la forza trainante dell’economia del paese, ma che non viene ripagata giustamente. Queste vetrine di macellerie raffigurate da Caillebotte se hanno dei precedenti in pittura come il Bue macellato di Rembrandt, oppure La bottega del macellaio di Annibale Carracci, è a sua volta fonte di ispirazione per la fotografia: si pensi ad Atget che fotografa le vetrine di Parigi, e tra queste anche quelle di una macelleria (Butcher’s Shop, Marché des Carmes, Parigi, 1910-1911); a Eli Lotar e Al macello a le Villette, 1929 e alle fotografie inquietanti di Wols.

20 M. VOLPI, p. 123.

21 Kristin SCHRADER in K. SAGNER 2013, p. 220.






BIBLIOGRAFIA

CRICCO, DI TEODORO 2005
Giorgio CRICCO, Francesco Paolo DI TEODORO, Itinerario nell’arte. Dall’Età dei Lumi ai giorni nostri, vol. 3, Bologna, Zanichelli, 2005

DE PAZ 1987
Alfredo DE PAZ, L’occhio della modernità. Pittura e fotografia dalle origini alle avanguardie storiche, Clueb Editrice, 1987

LISTA 2001
Giovanni LISTA, Cinema e fotografia futurista, Milano, Skira, 2001

MOHOLY-NAGY 1925
Lázlò MOHOLY-NAGI, Pittura Fotografia Film, Torino, Einaudi, 2010

SAGNER 2012
Karin SAGNER,
Max Hollein, Gustave Caillebotte: an impressionist and photography, Frankfurt: Schirn Kunsthalle; Munich: Hirmer Verlag, 2012

SCHARF 1979
Aaron SCHARF, Arte e fotografia, Torino, Einaudi, 1979

VOLPI 2008
Marisa VOLPI, L’occhio senza tempo: saggi di critica e storia dell’arte contemporanea, Roma, Lithos, 2008







SITOGRAFIA

http://artchive.com/artchive/C/caillebotte.html

www.gustavcaillebotte.org

http://anacoledaalderop.free.fr/musicologie/












Fig. 1
GUSTAVE CAILLEBOTTE, View through a Balcony Grille, 1880
Olio su tela, 64 x 54 cm.

Fig. 2
LÁSZLÒ MOHOLY-NAGY, Marseille, 1928

Fig. 3
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Le boulevard vue d'en haut, 1880
Olio su tela, 65 x 54 cm. Collezione privata

Fig. 4
ANDRÉ KERTÉSZ, Avenue de l'opéravue de haut, Parigi, 1929

Fig. 5
EDVARD MUNCH, Rue Lafayette, 1891
Olio su tela, 92 x 73 cm.
Oslo, The National Museum of Art, Architecture and Design

Fig. 6
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Homme au balcon, Boulevard Haussmann, 1880
Olio su tela, 117 x 90 cm.
Collezione privata

Fig. 7
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Boulevard Haussmann Snow, 1880-1881
Olio su tela, 65 x 82 cm.
Collezione privata

Fig. 8
GUSTAVE CAILLEBOTTE, The Pont de l'Europe, 1876
Olio su tela, 125 x 180 cm.
Musée du petit Palais, Genève

Fig. 9
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Paris Street. Rainy Day, 1877
Olio su tela, 212 x 276 cm.
Chicago, Art Institute

Fig. 10
GUSTAVE CAILLEBOTTE, The Floor Scrapers, 1875
Olio su tela, 102 x 146,5 cm.
Parigi, Musée d'Orsay

Fig. 11
EUGÈNE ATGET, Asphalt-Layers, Parigi, c. 1900

Fig. 12
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Oarsmen, 1877
Olio su tela, 81 x 116 cm. Collezione privata

Fig. 13
EADWEARD MUYBRIDGE, Athlete, Rowing, 1887

Fig. 14
GUSTAVE CAILLEBOTTE, Laundry Drying, Petit Gennevilliers, 1888

Fig. 15
MAN RAY, Moving Sculpture or France, 1920
La Révolution Surréaliste, n. 6, 1 Marzo 1926

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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