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Palazzo Farnese: dalle Collezioni Rinascimentali ad Ambasciata di Francia  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 5 Gennaio 2011, n. 589
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Area Mostre

A distanza di quasi tre secoli la straordinaria Collezione Farnese, in passato ritenuta una delle quattro meraviglie di Roma [1] , frutto della ricercata azione di raccolta antiquaria dell’omonima famiglia, dopo il doloroso e forzato trasferimento a Napoli, voluto da Carlo Sebastiano di Borbone, re delle due Sicilie, torna onorevolmente, anche se solo per qualche mese, ad ornare alcuni ambienti di Palazzo Farnese, cui era legata per testamento [2] .

L’esposizione pensata nel 2007, in occasione della visita al Museo Archeologico della città partenopea [3] , dell’ambasciatore francese, Jean Marc de La Sabliére, è frutto di una eccellente collaborazione tra istituzioni e figure culturali di tre paesi: Italia, Francia [4] e Stato del Vaticano.

L’evento, prodotto da Civita, vanta un comitato scientifico di particolare livello: tra i molti Francesco Buranelli, Roberto Checchi, Stefano Andreatta, Angelo Bottini, Christof L. Frommel, Cristina Ginzburg, Louis Godart, Nicola Spinosa, Claudio Strinati e Rossella Vodret.

La mostra, curata dal professor Buranelli, segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, e dall’architetto Cecchi,  segretario generale del Mibac, non vuole essere una replica pedissequa della condizione originaria della collezione ai tempi dei Farnese, ma ha l’ambizione di essere un momento di riflessione, aspira, cioè, a calare il visitatore in spazi che siano capaci di evocare l’originaria aurea di quei luoghi. A tal fine sono stati  prima individuati, quindi esposti solo i pezzi più significativi e validi, circa 150 opere, per la riuscita della mostra, ma che sono ben poca cosa rispetto al corpus originario della raccolta.

Dipinti, statue, disegni, sculture, monete, gemme, mobili, incunaboli, arazzi e ceramiche, provenienti da diverse parti d’Italia e dall’estero [5] , fanno rivivere cinque secoli di storia del palazzo; un attento cammino, dai fasti cinquecenteschi al periodo moderno.

L’esposizione parte dal pianterreno, nel cortile di accesso sono state innalzate le sagome delle celebri statue-simbolo dei Farnese [6] . Durante il Rinascimento, con il diffondersi della cultura antiquaria, il palazzo era animato e reso ancor più grande da statue  di origine antica, il luogo, seppur ancora in costruzione, esibiva le importanti e monumentali sculture, emerse nel 1545, durante gli scavi nella zona di Caracalla: le due statue di Toro, le due di Ercole, simbolo delle virtù eroiche dei membri della famiglia,  e le due di Flora, allegorie della natura che ritrova la pace [7] .

Salendo al piano nobile, attraverso il Grande Salone, la magnifica Sala dei fasti farnesiani [8] , il Camerino di Ercole, la celeberrima Galleria dei Carracci e la Galleria nord-est, si dipana il percorso espositivo vero e proprio. Grazie ai prestiti del Museo archeologico di Napoli, soprattutto, ma non solo, è stato ricostituito il Museum Farnesianum [9] composto dalle storiche Sale degli Imperatori e dei Filosofi [10] , mentre lungo la Galleria nord-est è stata riallestita la preziosa Quadreria Farnese.

Lavorare a questa mostra ha significato ricontestualizzare opere come l’Atlante, di origine ellenistica, la statua in porfido di Apollo, conosciuta come Roma triumphans, eccellente esempio di arte classica, o lo Studiolo rinascimentale di Ecouen. Questa operazione di contestualizzazione, evidentemente, non ha posto i normali e difficili problemi di allestimento e/o esposizione che si incontrano solitamente in fase di preparazione di una rassegna, si è trattato piuttosto, ha spiegato Buranelli in conferenza stampa, di: “ascoltare e rispettare i luoghi dove le opere si trovavano”. È stata, dunque, un’attenta e cauta azione di ripopolamento di un luogo che già era contenitore eccellente della collezione per cui l’organizzazione non ha posto questioni di natura “etico-artistica”.

È una mostra equilibrata dove spazi, opere e prestiti convivono pacatamente in un allestimento contenuto a cura di Renata Cristina Mazzantini. L’architetto è stata capace di coniugare la necessità di raccontare al grande pubblico con il rispetto della storia e nulla stride. Le sale sono intrise di un’atmosfera serena, forse, la stessa che un tempo permeava le sale del palazzo, il visitatore passeggia in silenzio lungo gli ampi luoghi e contempla le opere antiche e rinascimentali in una condizione assolutamente unica, difficilmente riscontrabile altrove. La collezione, seppur non completa, racchiude in sè una potenza estetica non comune e suscita emozioni palpabili, le medesime, ci piace pensare, che gli antichi e privilegiati ospiti provavano durante le frequentazioni del Dado [11] .


 

Il percorso della mostra

Nell'atrio d’ingresso segnaliamo il rientro dal Museo archeologico di Napoli del porfido raffigurante  Apollo citaredo seduto su una roccia (II sec. d.C.), probabile traduzione di epoca adrianea di un modello classico (fig. 1).

Sempre dalla città partenopea provengono i due Daci o Barbari prigionieri (II-III sec d. C.) in splendido marmo proconnesio, provenienti presumibilmente dall’area del Foro di Traiano. L’attuale e temporanea collocazione, ai lati della Sala Grande, è testimoniata dal primo inventario dei beni conservati in Palazzo Farnese (1566) e sembra che resti immutata fino al 1787, anno in cui le due sculture passano nello studio romano di Carlo Albacini.

Si entra, quindi, nella Grande Sala o Sala di Ercole, dove, attraverso incisioni e documenti scritti, è ricostruita la storia architettonica del Palazzo. Commissionato, nel 1513, dal Cardinale Alessandro Farnese (futuro Paolo III), ad Antonio da Sangallo il Giovane il progetto è in seguito sviluppato da Michelangelo, poi dal Vignola e, infine, da Guglielmo della Porta che lo completa nel 1589.

Al centro del salone troneggia il gigantesco calco dell’Ercole Farnese, uno dei capolavori assoluti della collezione, oggi conservato al Museo Archeologico di Napoli. Non si conosce la storia del gesso, che è da considerarsi tra i calchi più antichi tra quelli presenti a Palazzo, ma sappiamo che della scultura, a partire dal XVII secolo, sono stati creati numerosi calchi, copie in marmo, in terracotta e in bronzo.

Sulla destra, entro una teca di vetro, è esposto una versione in gesso di Homme qui marche (cfr. n.6, fig. 2).

Lungo la Galleria Sud-est comincia il percorso vero e proprio, una serie di contenuti pannelli didattici accompagnano il visitatore lungo tutta la mostra, sono indicazioni di massima al contempo esaustive che non tediano il lettore nè lo inducono in distrazione.

Si comincia con una sequenza di dipinti che presentano al pubblico la famiglia Farnese, in primo piano il superbo Ritratto di Paolo III di Tiziano (dal Museo Nazionale di Capodimonte, fig. 3), il fondatore della stirpe romana. Secondo l’inventario del 1653, il quadro si trovava nella terza sala della quadreria, ma, seguendo la logica espositiva, è presentato a inizio mostra e non nel braccio dove è stata riallestita l’antica pinacoteca. Il pontefice è raffigurato a capo scoperto, come se il pittore abbia voluto ritrarre l'animo dell’uomo e non la solennità del pontefice, lo sguardo diretto e penetrante del papa verso lo spettatore rende con immediatezza il carattere, forte ed energico, del rappresentato.

Segnaliamo di Anonimo fiammingo la tela Giglio con albero genealogico della famiglia Farnese (1670 ca.) proveniente dai Musei Civici di Piacenza e, sempre di Anonimo, la  serie di Dieci ritratti di principi e principesse di Casa Farnese (1585-1591), della Galleria Nazionale di Parma, miniature fiamminghe dipinte su pergamena ed incollate su tavola, che ricostruiscono la genealogia dei Farnese.

A seguire il ritorno del Museum Farnesianum, si ricompongono, cioè, le storiche Sale degli Imperatori e dei Filosofi, ma prima di accedervi, entro una piccola teca si trova un documento importante, ai fini della mostra e della comprensione del perché nel XIX secolo  la collezione migra a Napoli, ossia la Nota responsiva di Ennio Quirino Visconti alla richiesta della corte dei Borbone circa la possibilità di spostare i marmi. Nonostante parere negativo è concesso, in deroga alle leggi e al legato testamentario, “il libero trasporto dei marmi richiesti degli Orti Farnesiani” [12] .

Si entra,  dunque, all’interno della I Sala, una serie di ritratti antichi di imperatori di varie epoche si affiancano e fronteggiano ritratti degli stessi commissionati a pittori dell’epoca dai membri della famiglia.

Più avanti, esattamente di fronte l’antro che conduce alla Galleria dei Carracci è stata posizionata l’imponente Statua di Atlante (II sec. d.C.), che per mancanza di repliche precise successive rappresenta nel panorama archeologico un unicum. Alla scultura si sono ispirati i fratelli Carracci nella realizzazione dell’Ercole che porta il globo, nel III Camerino, affresco chiaramente modellato sulle forme della statua antica.

Scaltramente i curatori hanno posto, lungo l’itinerario della mostra, la celeberrima Galleria dei Carracci, e un suggestivo confronto tra i disegni preparatori, conservati al Louvre, e le immagini della volta, della Galleria affrescata, è istituito nel piccolo corridoio di passaggio alla stessa.

Accediamo, quindi, alla Sala dei Filosofi, oltre ai busti marmorei dei Filosofi provenienti da Napoli incontriamo una bellissima Afrodite Callipigia del II sec. d.C. (fig. 4),  vestita di un lungo chitone a fitte pieghe, che mostra la parte sinistra del corpo scoperta dalla vita in giù.

Di particolare pregio la così designata Testa Lamberti o Busto maschile in bronzo cosiddetto Servilius Ahala, di età repubblicana, proveniente dal Museo Archeologico partenopeo, una delle poche opere antiche in bronzo sopravvissute all’uso indiscriminato di riutilizzare la lega per farne opere cristiane. Profonde rughe caratterizzano il volto smagrito e la fronte dall’incipiente calvizie è contratta, ciocche di capelli, rese con elegante maestria, invadono lateralmente la faccia descritta da un naso affilato e due occhi seri ed infossati, sormontati da naturalistiche sopracciglia. Una barba corta e folta incornicia il volto.

Un busto marmoreo del 160 d.C. circa raffigurante Omero, affianca la precedente opera; in marmo pentelico, il poeta vate è raffigurato avanti con l’età, il volto si mostra con zigomi alti e prospicienti, occhi semichiusi, per la leggendaria cecità, e infossati sotto profonde arcate sopracciliari, bocca semichiusa e fronte corrugata.

Si accede, quindi, al I Camerino, luogo in cui è esposto un assoluto capolavoro dell’arte ebanista rinascimentale: lo Studiolo di Flaminio Boulanger (1578 ca., fig. 5), proveniente dal Musée National de la Renaissance di Ecouen. Contemporaneamente alla costituzione della raccolta di statue classiche i Farnese ricorrono ad altre forme di collezionismo di materiali antichi, in particolare quelli minuti come piccoli bronzi, monete, cammei, gemme e iscrizioni, e, ai fini della conservazione, sviluppano l’idea del cosiddetto studiolo, come  ambiente destinato ad ospitare quel genere di manufatti.

Si transita, quindi, attraverso il II Camerino, ove è esposta la cospicua collezione numismatica: le monete sono messe in relazione con il testo del bibliotecario Fulvio Orsini (1577) che traccia memoria delle monete recuperate durante gli scavi archeologici.  In un angolo dello stesso sono esposti le opere di glittica richiamate per la rassegna, sono cammei bellissimi che rifulgono una luce particolare. Segue la sala delle ceramiche dove sono esposti manufatti delle Officine Castelli d’Abruzzo (1580/89),  maioliche di un blu molto intenso e lumeggiato d’oro.

Si entra, poi, nel Camerino di Ercole, realizzato dai Carracci, una copia non all’altezza dell’originale riproduce il famoso Ercole al bivio (fig. 6), il messaggio che si voleva dare è ancor oggi chiaro si fa appello alle virtù che indicano la retta via da percorrere nella vita. Anche la volta ripete il medesimo soggetto e nei riquadri che la affiancano sono le rappresentazioni di Ercole a riposo e Ercole che solleva il globo. L’ideatore del messaggio è stato probabilmente Fulvio Orsini, bibliotecario di famiglia e mentore di Alessandro, nipote di Paolo III, colui che effettivamente abitò il Palazzo e che aveva in quest’ambiente la camera da letto privata.

Si noti che la dicotomia tra vizi e virtù è presente a livello iconologico in tutta la raccolta Farnese, dai marmi alle pitture, dalle decorazioni alle opere bibliotecarie; la famiglia, infatti, è interessata a diffondere un messaggio ben preciso, ossia che il comportamento virtuoso dei suoi membri vince sempre sulle tentazioni che la vita riserva.

Si accede, poi, al IV Camerino decorato al tempo dei Borboni, durante l’esilio a Roma di Francesco II. In quell’occasione oltre alla decorazione di questo ambiente si procede ad un intervento di restauro globale del palazzo, e vi si portano le innovazioni del tempo come  l’illuminazione a gas o l’acqua corrente con pompa idraulica. Le pareti  mostrano vedute dei feudi famigliari di Parma e Piacenza, nonché i possedimenti storici dell’alto Lazio (Marta, Caprarola), sul  soffitto troneggia lo stemma dei Farnese, cimato dalla corona di Napoli.

Lungo la Galleria  nord-est sono prima esposti una coppia di Arazzi (manifattura di Joost van Herzeele), provenienti dal Palazzo del Quirinale di Roma, i soli elementi noti di una serie che comprendeva sedici grandi pannelli narrativi, quattro portiere e quattro sopraporta.

Si passa, infine, alla riallestita Quadreria [13] , dove segnaliamo due dipinti dell’artista Domenico Theotokopoulos, detto El Greco: Guarigione del cieco (1570, Parma, Galleria Nazionale) e Giulio Clovio (1572, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte). Artista straordinario ed eccentrico concepisce l’arte e i suoi soggetti in maniera assolutamente nuova e rivoluzionaria per l’epoca, il suo linguaggio scioccante, però, non è compreso dalla corte Farnese che lo allontana dopo qualche anno dal suo arrivo.

Invitiamo il pubblico ad apprezzare l’illuminazione della grande tela di Annibale Carracci, Cristo e la Cananea (1595, Collezioni Civiche di Parma e Piacenza, fig. 7), reduce di un brutto restauro che ha lasciato delle vistose macchie. Evidentemente non deve essere stato facile studiare l’efficace posizione che metta in luce il dipinto e allo stesso tempo nasconda le brutture di detto intervento.

Indichiamo degna di attenzione la Testa di Clemente VII (1531 Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte) di Sebastiano del Piombo, pittura a olio su lavagna, che ha l’aspetto affascinante del non finito di uno studio.

Interessante, per il pubblico che conosce la Cappella Sistina, è il Giudizio Universale (da Michelangelo), ripreso, nel 1549, da Marcello Venusti.

Di particolare pregio il Ritratto di Settimia Jacovacci (1545/6, Budapest, Szépmüvészeti Múzeum) splendido dipinto del  Tiziano che lascia in chi guarda emozioni palpabili.

Ultime opere esposte, ma non meno considerevoli, i disegni del Parmigianino Ritratto di donna e Studio per la pentecoste lavori di forte potenza comunicativa e di rara eleganza estetica.

 


Il catalogo

A cura di Francesco Buranelli ed edito da Giunti il catalogo è un’opera completa sul Palazzo e sulle sue collezioni. Una corposa parte iniziale si compone di interessanti e pregevoli saggi di personalità importanti del panorama storico-artistico contemporaneo, nazionale e internazionale. Circa 300 pagine e ben 31 scritti ricostruiscono con abbondanza di particolari la storia del Palazzo e  l’evolversi della proprietà. Le successive 150 pagine costituiscono il catalogo propriamente detto delle opere che in occasione della mostra sono tornate a popolare gli spazi del piano nobile del Dado.

Infine, alcuni apparati di studio completano l’opera: una genealogia minuziosa dei Farnese, un elenco degli ambasciatori francesi ed una pregevole bibliografia per chi volesse approfondire determinate tematiche.

 

 

INFORMAZIONI

Dove: Palazzo Farnese, Roma
Quando: 17 dicembre 2010- 27 aprile 2011
Solo su prenotazione al tel.: 06 32810

 

 



[1] G.A. Guattani, Roma Descritta ed illustrata dall’abate Giuseppe Antonio Guattani romano, in  Roma, 1805, passim.

[2] Il Cardinal Alessandro Farnese lega per testamento la collezione al Palazzo, il legato è confermato dai suoi successori, con l’estinguersi della nobil famiglia, Palazzo Farnese passa al figlio di Elisabetta Farnese, Carlo di Borbone che chiede dispensa di trasferire la raccolta presso la sua reggia a Napoli, nonostante il parere negativo di Ennio Quirino Visconti, di cui si ha una lettera manoscritta conservata  presso la Biblioteca Vaticana (Vat Lat 10307) ed esposta in mostra, il trasferimento avviene e il Palazzo rimane orfano dei suoi tesori.

[3] Oggi sede di gran parte dei marmi farnesiorum.

[4] Dal 1874 Palazzo Farnese è sede definitiva dell’Ambasciata di Francia.

[5] In questa sede citiamo solo alcuni dei numerosi prestatori: gli Archivi di Stato di Roma e Modena, la Biblioteca Apostolica Vaticana, la Bibliotheca Herziana di Roma, la Biblioteca Reale di Torino, la Biblioteca di Besançon, gli Uffizi di Firenze, la Galleria Nazionale d’arte antica di Roma, la Galleria Nazionale di Parma, il Musèe du Louvre di Parigi, il Musèe National de la Renaissance di Ecouen, il Musèe Rodin di Parigi, i Musei Civici di Palazzo Farnese di Piacenza, il Museo Archeologico di Napoli, il Museo di Capodimonte di Napoli, il Museo Nacional del Prado di Madrid, le Raccolte Civiche di Parma.

[6] All’inizio del XX secolo, appositamente per il cortile del Palazzo, Auguste Rodin progetta e fonde in bronzo la scultura Homme qui marche (1910). L’opera simboleggia il passaggio tra XIX e XX secolo. Purtroppo quella collocazione suscita grossi malcontenti, si grida allo scandalo e per evitare ulteriori disordini, con grande dispiacere dell’artista, è spostata prima a Villa  Medici, poi al Museo di Belle arti di Lione quindi al Museo d’Orsay di Parigi. Oggi in mostra, nel Grande Salone, che ospita la sezione dedicata all’architettura del monumento, è esposta una versione in gesso.

[7] Grazie ai Farnese la città di Roma recupera la pace, come gli antichi romani avevano sconfitto i barbari e restituito la pace alla città, così la nobil famiglia sconfigge i ribelli (Colonna) e riporta l’urbe ad uno stato di quiete.

[8] Affrescata dagli artisti Francesco Salviati e Taddeo Zuccari,

[9] La celebre collezione, conosciuta grazie a precisi inventari redatti nel XVII secolo, si costituisce a partire dal XVI secolo e celebra la famiglia stessa come continuatrice della grandiosa opera degli antichi imperatori romani. A differenza delle collezioni di antichità coeve, quella dei Farnese ha il precipuo scopo di creare un parallelismo, quand’anche un fil rouge, che leghi la famiglia alla storia antica. Il parallelismo tra antico e moderno è perseguito dai Farnese al fine di stabilire una discendenza imperiale e nobilitare, dunque, la famiglia di origine gentry (i Farnese facevano parte della piccola nobiltà dell’alto Lazio).

[10] Gli imperatori e i filosofi, evocavano le antiche dimore imperiali che ospitavano gallerie di ritratti di uomini illustri. Sul pavimento del museum, per un certo periodo, sull’onda del continuo  richiamo all’antico perseguito dai Farnese, hanno troneggiato i resti della formae urbis.

Anche le tele moderne commissionate dai membri della famiglia volontariamente si rifacevano all’antico: mi riferisco, per esempio, alle 12 tele dei Cesari di Tiziano, che nel XVII e XVIII secolo diedero inizio ad una vera e propria moda, o ai quadri di Bernardino Campi, esposti in mostra, raffiguranti gli imperatori Galba e Vespasiano (1561).

[11] A partire dal Settecento e per tutto il secolo successivo i romani erano soliti indicare Palazzo Farnese con il nome di Dado, per la sua forma quadrata.

[12] F.Buranelli (a cura di), Palazzo Farnese. Dalle collezioni rinascimentali ad Ambasciata di Francia, Roma 2010, p. 368.

[13] Le stanze dei quadri sono descritte minuziosamente negli inventari di Alessandro e Ranuccio Farnese. Nelle intenzioni originarie la quadreria, accanto alla biblioteca, era da considerarsi lo strumento di conoscenza che favorisse lo sviluppo della “scuola pubblica del mondo”, concetto ideato da Fulvio Orsini sapiente bibliotecario e consigliere fidato di casa.

 








Fig. 1
Apollo seduto,già Roma Triumphans, particolare, II sec. d.C.,
porfido,
Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Fig. 2
AUGUSTE RODINL'homme qui marche, 1899,
versione in gesso,
Musèe Rodin, Parigi

Fig. 3
TIZIANO VECELLIORitratto di Paolo III Farnese a capo scoperto, 1543,
olio su tela,
Museo di Capodimonte, Napoli

Fig. 4
Venere Callipigia, II sec. d.C.,
olio su tela,
Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Fig. 5
Flaminio Boulanger, Studiolo, 1578 ca.,
legno,
Musée de la Reinassance, Ecouen

Fig. 6
ANNIBALE CARRACCI, Ercole al bivio,
olio su tela,
Museo di Capodimonte, Napoli

Fig. 7
ANNIBALE CARRACCI, Cristo e la Cananea, 1595,
olio su tela, cm. 255 x 196,
Palazzo Comunale, Parma

Foto cortesia Ufficio Stampa della Mostra

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