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Sulle vele di Bindo Altoviti presso la Scuola di Arti Ornamentali del Comune di Roma
Grazia Del Giudice, Simona Irrera e Cristina Mochi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Novembre 2025, n. 989
https://www.bta.it/txt/a0/09/bta00989.html
Articolo presentato in data 09 Ottobre 2025, accettato in data 07 Novembre 2025 e pubblicato in data 13 Novembre 2025
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Abstract

In occasione dell'allestimento della Sala delle Vele nella Scuola di Arti Ornamentali -San Giacomo del Comune di Roma, sono state montate sul soffitto le vele e le lunette originali del demolito Palazzo Altoviti che fronteggiava, sul Lungotevere, Castel Sant'Angelo. Il progetto di allestimento è stato realizzato da Franco Bernardini.

Le vele provengono dagli ambienti al pian terreno del già ricordato Palazzo Altoviti affrescati nel Cinquecento. Giorgio Vasari vi aveva dipinto il soffitto della Loggia, dal 1932 ricostruita nel Museo di Palazzo Venezia.

Questo articolo ha l'intenzione di ricordare l'evento, attraverso tre momenti diversi di approfondimento che ripercorrono la storia delle Scuole storiche del Comune di Roma, in particolare la storia della San Giacomo, le vicende di Palazzo Altoviti e del suo celebre proprietario, Bindo, piegando alla fine verso l'analisi iconografica e tecnica del restauro delle vele.

1) Un percorso virtuoso dell'amministrazione comunale

(di Cristina Mochi)

La collocazione delle vele del Palazzo Altoviti (Fig. 1)

Fig. 1 – Raffaello Sanzio, Ritratto di Bindo Altoviti, National Gallery, Washington (Free Open Access)
Fig. 1 – Raffaello Sanzio, Ritratto di Bindo Altoviti
National Gallery, Washington (Free Open Access)
Foto cortesia di Cristina Mochi

all'interno della Sala ora detta delle vele della Scuola di Arti Ornamentali del Comune di Roma, conclude un percorso d'eccezione iniziato tanti anni fa e documentato dalle carte conservate in prevalenza all'Archivio di Stato e all'Archivio Capitolino di Roma. Lo sforzo è stato grande ma più forte l'intenzione di molti, a cui vanno i nostri ringraziamenti: la Soprintendenza BBCC in risposta alla nota del Comune di Roma prot. n. 60665-A del 14/11/2024 ‹‹concorda con la necessità e l'opportunità di riposizionare le volte, prende atto delle scelte sul riposizionamento delle volte che è frutto -come delucidato in sede di sopralluogo- di necessità ambientali e logistiche (presenza delle finestre, del portone di ingresso, umidità...) nonostante tale sistemazione non rispecchi appieno la disposizione dell'insieme originario (volte a botte) e renda difficile la comprensione delle relazioni tra gli elementi››.

Capita talvolta che gli interessi delle istituzioni, qui in primis del Comune di Roma, e in particolare della Direzione della Scuola di Arte e Mestieri, si incontrino con quelli di studiosi impegnati in ricerche tangenti: il caso ha così voluto che tre docenti della Scuola di Arti Ornamentali (corso di Conservazione e Restauro- Grazia del Giudice, Simona Irrera, Cristina Mochi) avessero iniziato da tempo a indagare le ragioni storiche delle vele, attraverso ricerche condotte secondo declinazioni specifiche dettate dalle diverse competenze di studio delle docenti stesse. Ne è nato un saggio a tre voci. Il restauro delle vele, dei sottarchi e delle lunette era stato avviato già anni fa, e il nuovo programma di riallestimento è stato affiancato da un progetto di ricerca (AD OPERA) che ha visto la rilettura della storia delle Scuole di Arte e Mestieri di Roma e la revisione totale della bibliografia passata. A questo si è aggiunto lo studio dei manufatti, della loro collocazione originaria, e di una possibile strada attributiva attraverso le carte d'archivio. Tali spunti non hanno però rappresentato l'unico obiettivo dal momento che, tra scritti e documenti inediti, la storia si è arricchita di intrecci più complessi, di importanti rettifiche e di argomenti finora inevasi.

(di Cristina Mochi)


2) LE SCUOLE DI ARTI E MESTIERI DI ROMA

(di Simona Irrera)


Nel 1871, Roma diventa la Capitale del Regno d'Italia. Questo evento storico porta cambiamenti radicali, nuove istituzioni scolastiche e un nuovo assetto urbanistico con demolizioni, ricostruzioni ed edificazione d'interi quartieri, ad esempio Testaccio, Esquilino, Prati ecc. L'epoca storica in cui questi eventi avvengono è caratterizzata dalla rivoluzione industriale in cui la produzione manifatturiera muta in modo drastico e irreversibile, l'artigianato diviene produzione industriale in serie. La nuova realtà europea richiede lavoratori preparati nel disegno tecnico e in tutte quelle competenze necessarie a nutrire un sistema unitario industriale nascente in Italia. All'istruzione pubblica è richiesto di preparare la classe dirigente nei licei e la classe operaia nelle scuole tecniche e professionali. A Roma, il nuovo stato italiano trova una realtà educativa in cui le famiglie hanno «la preziosa abitudine di inviare i figli a scuola» 1, questo è il fondamento dell'istituzione post-unitaria delle scuole elementari e trova radici nelle scuole pontificie preunitarie.

Le scuole nello Stato Pontificio nell'Ottocento prima dell'Unione d'Italia si distribuivano in religiose, quindi rette da ordini, congregazioni o confraternite - ad esempio Gesuiti e Scolopi – e private, gestite da maestri e maestre regionarie 2. Le scuole regionarie sono private e a pagamento, centralizzate con dei responsabili dipendenti direttamente dal Municipio. A metà del Settecento perdono il monopolio dell'istruzione di base e diventano dipendenti del Rettore dell'Università La Sapienza 3. Nel 1655, Papa Alessandro VII Chigi istituisce scuole regionarie di Maestre Pie dipendenti dalle elemosiniere del Papa con sede nel rione Monti, che si dedicano all'istruzione delle giovani donne4. Nel 1688 le Orsoline – fondate da Sant'Angela Merici nel 1535 – arrivano a Roma e fondano una scuola in via del Corso per opera della duchessa Lucia Martinozzi 5. Le scuole religiose nascono sulla spinta dei propositi sanciti nel Concilio di Trento 1545-1563, in risposta alla riforma Luterana e alla necessità di insegnare i principi della religione e dei Padri della Chiesa sono anticipate nel concilio Lateranense V nel 1512-1517 6 ma trovano pieno compimento solo dopo il Concilio di Trento ad opera di alcune significative personalità quali Carlo Borromeo e Ignazio di Loyola.

Nel 1551 Ignazio di Loyola fonda il Collegio Romano, prima scuola della Compagnia del Gesù o gesuita a Roma. Nel 1556 sono riconosciuti i titoli accademici da parte di Paolo IV Carafa. La scuola conferiva tutti i livelli da quello elementare fino agli studi universitari, incluso il dottorato, accogliendo allievi che sapevano leggere e scrivere 7, nel tempo specializzandosi solo nelle scuole secondarie e negli studi superiori. Sebbene il fulcro dell'istruzione impartita sia il catechismo, nelle scuole gesuite s'insegnano anche le materie letterarie e scientifiche, in particolare la teologia e la filosofia 8. Il collegio romano s'ispira a una pedagogia affine a quella universitaria. Le scuole gesuite saranno presenti a Roma fino alla soppressione dell'ordine nel 1773. L'ordine rientra in possesso delle proprie istituzioni nel 1824 per concessione di Papa Leone XII Della Genga 9. L'edificio del Collegio Romano è confiscato da parte dello Stato italiano nel 1871 e diventa la sede del Liceo ginnasio Ennio Quirino Visconti, primo liceo di Roma Capitale.

Nel 1560 Marco de Sadis Cusani fonda a Roma una scuola di dottrina cristiana presso Santa Apollinare. Papa Pio V Carafa promuove questa istituzione, mettendo in pratica i principi sanciti dal concilio di Trento, con una bolla nel 1567. Questa iniziativa alimenta la nascita delle confraternite della dottrina cristiana (anche dette dei dottrinari) e, dall'unione di ecclesiastici e laici, deriva la congregazione della dottrina cristiana che, infine, confluisce nell'istituzione francese di Cesare de Bus attiva già dal 1593 nel campo dell'istruzione del catechismo. Papa Gregorio XIII Boncompagni Ludovisi nel 1575 assegna la chiesa di Sant'Agata nel Rione Trastevere ai sacerdoti dottrinari allo scopo di insegnare il catechismo. Questi, prendono il nome di Agatisti e mantengono carattere secolare. Nel 1621 nelle scuole dei padri dottrinari s'insegna la grammatica, la retorica, la filosofia e la matematica oltre alla teologia e alla dottrina cattolica 10. Nel 1726 Benedetto XIII Orsini affida alla Congregazione dei Padri della Dottrina Cristiana la chiesa di Santa Maria in Monticelli nel rione Regola corrispondente a piazza San Paolo della Regola e, in parte, alla sede attuale della Curia dell'ordine 11. Tale concessione include l'oratorio di Sant'Andrea della Valle con una rendita a sovvenzione dell'apertura di altre scuole, questo permette alle scuole di essere accessibili gratuitamente 12. Nel 1747, per opera di Papa Benedetto XIV Lambertini la congregazione si fonde con l'omonima società attiva in Sant'Agata 13. Alla metà dell'Ottocento, i padri dottrinari hanno cinque scuole attive, due presso Sant'Agata in cui s'insegnano il catechismo, lettura, scrittura e il latino (i rudimenti), tre scuole sono presso Santa Maria in Monticelli in cui s'insegna il latino (classi avanzate) e le lettere umane. In totale, studiano presso questi istituti 310 scolari, le scuole sono gratuite e sono organizzate in tre ore la mattina e tre ore nel pomeriggio, la messa è prevista tutti i giorni la mattina 14.

Nel 1597 San Giuseppe Calasanzio fonda le scuole Pie (dette anche Piariste o degli Scolopi) a Santa Dorotea a Trastevere 15 . Questa è la prima scuola gratuita a Roma per l'istruzione «de‘più poveri del popolo» 16. Calasanzio riceve il sostegno di Papa Clemente VIII e prosegue estendendo la sua opera anche a San Pantaleo e San Loreno in Borgo 17. Le scuole avevano una vocazione popolare ed elementare ma svilupperanno anche l'istruzione secondaria 18. Nelle scuole del Calasanzio si davano gratuitamente agli studenti la carta, la penna e l'inchiostro. Lo stesso Calasanzio aveva scelto un banco-scrittoio dove gli allievi potessero esercitarsi e raccomandato la disposizione dei banchi in modo che gli insegnanti potessero agevolmente girare e avvicinarsi agli studenti 19.

Nella Chiesa, e quindi nelle iniziative degli istituti religiosi che aprivano scuole, il primo fine era preparare i giovani verso la dottrina, insegnare quindi i rudimenti della religione, in supporto o in sostituzione dei genitori in uno spirito squisitamente controriformista. Alcune istituzioni nascono con lo scopo didattico come principio fondante mentre altre si adattano ai bisogni della società in cui sono collocate. Molti istituti religiosi, fino alla Rivoluzione francese sono gratuiti, ma la perdita dei beni che caratterizza gli eventi storici che si susseguono in quegli anni porta alla necessità di richiedere un pagamento, e ciò comporta l'esclusione dei ceti più poveri 18.

L'apertura di scuole gratuite porta a un conflitto - una «gagliarda lotta» la definisce Moroni 17 - con i maestri regionari, le cui scuole erano a pagamento. Questi, ritenevano di avere l'esclusiva dell'istruzione romana elementare, inoltre vi era, al tempo, diffidenza verso un'istituzione che non discriminava le classi sociali 20. Nel 1702 i Fratelli delle Scuole Cristiane di Giovanni Battista De La Salle fondano una comunità a Roma e nel 1725 ottengono da Benedetto XIII l'approvazione per aprire case in varie nazioni nel mondo 21. Nel 1793 ricevono da papa Pio VI una scuola gratuita per l'istruzione popolare in San Salvatore in Lauro 22. Nel 1823 in queste scuole, s'insegna a leggere, scrivere, l'aritmetica oltre alle basi di geometria, meccanica e architettura civile 23.

Nel 1587 Papa Sisto V Peretti fonda un ospizio dei mendicanti, la struttura, opera dell'architetto Domenico Fontana, includeva una scuola in cui s'insegnava a leggere, scrivere, oltre ad arte per i ragazzi e cucito per le ragazze 24. Quest'opera pia fu trasferita nel XVIII secolo nell'Ospizio Apostolico di San Michele che fu istituito da Papa Innocenzo XI Odescalchi, con sede a Trastevere, per rispondere all'emergenza sociale e accogliere giovani in condizione di fragilità. Questi giovani erano avviati alle pratiche artistiche da una scuola di arti e mestieri interna 25. La struttura, al contempo assistenziale per anziani ed educativa per i giovani, con l'avviamento a una professione, era famosa soprattutto per gli arazzi (Arazzeria Albani, attiva fino al 1926) e includeva l'ospizio per mendicanti come in origine, oltre a un carcere minorile e un altro femminile.

Nel 1853 nel Giornale di Roma è menzionata una scuola di disegno 26. L'origine di questa istituzione è da far risalire all'iniziativa di alcuni lavoratori che nel 1539 abbandonano la pre-esistente Università dei muratori, corporazione di mestiere che includeva i lavoratori del legno. Papa Paolo III trasforma questo nuovo gruppo in confraternita, e nel 1540 Gregorio XIII la eleva ad arciconfraternita intitolata San Giuseppe dei falegnami. Il gruppo di lavoratori ottiene la Chiesa di San Pietro al carcere Mamertino e, ivi, costruisce, per necessità logistiche, la chiesa di San Giuseppe dei falegnami 27.

Nel 1819 un intagliatore del legno romano, Giacomo Casoglio, desidera istruire i giovani lavoratori e apre a Roma le "scuole notturne", in cui si studia religione e s'impara a leggere, scrivere e far di conto 28. Questa iniziativa ebbe successo e se ne interessò il cerimoniere pontificio Mons. Giannoli che gli assegnò un oratorio notturno presso San Nicola degli Incoronati. La scuola sopravvisse al suo fondatore, scomparso nel 1823, e sotto la guida dei sacerdoti di San Nicola, e grazie all'attività dell'avvocato Michele Gigli, trovò altre sedi e benefattori. Gigli aprì una scuola notturna in San Salvatore in Lauro nel 1830, poi un'altra in Borgo nel 1835. Queste iniziative educative furono proseguite da San Vincenzo Pallotti, istitutore dell'apostolato cattolico. Nel 1841 viene pubblicato l'Ordinamento del pio istituto delle scuole notturne di religione pe' poveri artigiani in Roma, la società dipendeva dal cardinale vicario e si occupava di dare un'educazione di base nelle ore serali e nei giorni festivi. Nel 1842 la società ha otto scuole per circa mille allievi; in alcune di queste scuole, oltre la dottrina, l'aritmetica e l'ortografia, s'insegna nel quarto anno anche disegno lineare, d'ornato e geometria applicate alle arti e i migliori allievi sono premiati con medaglie 29. Nel 1847, aprono cinque scuole notturne 30, fra queste, il 22 luglio 1847 è inaugurata una scuola notturna per giovani a piazza Santa Maria in Monticelli nel rione Regola 31, dove erano attivi i Padri Dottrinari.

Nel 1824 Papa Leone XII riordina l'istruzione pubblica nello Stato Pontificio istituendo la Congregazione degli studi, formula il regolamento delle scuole private elementari nel 1825 imponendo gli insegnamenti della dottrina cristiana, la lettura e la scrittura, la lingua latina, l'aritmetica, la calligrafia, la geografia, la storia; stabilisce che i maestri regionari debbano essere approvati con una patente annuale e istituisce le scuole parrocchiali gratuite per il catechismo e per imparare a leggere e scrivere. In questo momento ci sono 60 scuole regionarie distribuite nei vari rioni 32. Un'ulteriore rivoluzione segue la Repubblica romana, in questo periodo di restaurazione pontificia, Papa Pio IX ordina un rapporto sulle istituzioni scolastiche romane. In questo documento si evidenzia come fosse diffuso nelle tredici scuole notturne attive nel 1851 l'insegnamento del disegno e dell'architettura con lo scopo di avvicinare gli allievi all'arte, quest'attività è ritenuta pericolosa dall'autorità pontificia e, negli anni successivi ridotta al solo insegnamento della religione da parte degli ecclesiastici, la quarta classe, d'indirizzo professionale, è abolita nel 1858 e i maestri laici gradualmente esclusi dall'insegnamento 33.

Nel 1850 i Fratelli di san Giuseppe di Francia aprono il Pio Istituto Artistico a Santa Prisca che si trasferisce presso la Vigna Pia fuori porta Portese in uno stabilimento agricolo sotto Papa Pio IX Mastai-Ferretti il 1° novembre 1851 34. L'istituzione era un orfanotrofio di carità e un istituto agrario in cui i giovani erano istruiti all'arte agraria, ora è sede di un centro sportivo diretto dalla Congregazione della Sacra Famiglia di Bergamo per volere di Papa Benedetto XV.

A questa capillare offerta didattica di base si affiancano e crescono floride accademie, associazioni e confraternite, per iniziativa di artisti e religiosi, principalmente devote all'arte. Nel 1481, per opera di Desiderio de Adiutorio, nasce la Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi del Pantheon, compagnia di artisti devoti alle reliquie della Terra Santa. L'intento era di occuparsi della conservazione e del culto di tali reperti, la congregazione riceverà nel 1543 il riconoscimento papale per opera di Papa Paolo III Farnese 35. I maggiori artisti virtuosi erano associati e fra questi ricordiamo Pietro da Cortona, Perin del Vaga, Francesco Borromini, Diego Velazquez, Luigi Vanvitelli, Giuseppe Valadier, Antonio Canova e Federico Zuccari 36. L'istituzione è sopravvissuta agli eventi storici nei secoli ed è tuttora attiva 37.

Nel 1593 Federico Zuccari fonda l'Accademia Nazionale di San Luca con l'intento di insegnare le belle arti e facendo riferimento alla precedente Università dei Pittori, Miniatori e Ricamatori 38. Questa era una corporazione di mestiere sotto Sisto IV Della Rovere nel 1478 e già nel 1577, sotto Gregorio XIII, si era sancito il passaggio da Università ad Accademia delle Arti della Pittura, della Scultura e del Disegno; il Breve del 1577 riporta l'attività di alloggio per tre studenti giovani venuti a Roma per studiare Disegno. La fondazione dell'accademia si realizzerà formalmente grazie a Zuccari, primo direttore, detto principe, il 14 novembre 1593 con la prima sessione accademica. I principi che hanno nel tempo ricoperto il ruolo di direttore sono eminenti artisti quali, Gian Lorenzo Bernini, Domenichino, Pietro da Cortona, Bertel Alberto Thorvaldsen e Antonio Canova. Gli studenti migliori ricevevano premi, fra questi, ricordiamo il concorso Clementino (da Clemente XI) nel 1702 39. Zuccari esprime il proprio progetto educativo, in anni che precedono la fondazione dell'accademia romana, durante il suo soggiorno a Firenze e in riferimento all'accademia del disegno fiorentina, egli pone la base delle arti nel disegno dal vero che diventa la materia da insegnare ai giovani artisti 40. L'accademia si distaccava dalle corporazioni dette Università e mirava all'arte alta, gli accademici non potevano avere bottega e, per alcuni anni, il regolamento includeva il divieto di tenere classi private di disegno dal vero. Ciononostante, nel 1715 furono autorizzate classi private tenute da accademici di San Luca, e queste, quindi, fiorirono a Roma in seguito 41. Nel 1754, Papa Benedetto XIV fonda in Campidoglio una Scuola del Nudo pubblica e gratuita, gestita dall'Accademia di San Luca, questa rappresentava una novità poiché gli studi accademici si proponevano di elevare l'artigianato ad arte. Nel 1810, durante il periodo Napoleonico, nasce la Scuola delle Belle Arti, in analogia alla realtà parigina, anch'essa pubblica e gratuita; questa nuova realtà è sempre gestita dall'Accademia di San Luca e rappresenta una scuola elementare al contrario della precedente Scuola del Nudo 42.

Nel 1829 alcuni artisti attivi a Roma, fra i quali, Bertel “Alberto” Thorvaldsen e Tommaso Minardi, dell'Accademia di San Luca, e Horace Vernet fondano la Società Amatori e Cultori delle Belle Arti con lo scopo di organizzare mostre e occuparsi delle vendite delle opere. Le mostre si svolgevano nel Palazzo della Dogana Vecchia a Piazza del Popolo e, dal 1884, nel Palazzo delle Esposizioni disegnato dall'architetto Pio Piacentini e inaugurato nel 1883 43.

Nel 1858 il marchese Francesco Patrizi fa costruire un edificio in via Margutta e apre un centro per studi di artista, gli Studi Patrizi, in cui nel 1887 prenderà sede l'Associazione Artistica Internazionale 44 dove, fra gli altri, Umberto Boccioni, ex-allievo di una delle scuole per artieri del Comune di Roma, tiene una conferenza il 29 maggio 1911 come mostra anche la lapide commemorativa presente sul sito.

Tale è l'ambiente educativo di Roma preunitaria, con scuole sia a pagamento sia gratuite, e alcune serali dedicate ai giovani lavoratori. Queste iniziative nutrono la nascita nel periodo post-unitario di scuole variegate che riprendano gli insegnamenti del disegno e dei mestieri artistici, assopiti negli ultimi decenni post-repubblicani. La rivoluzione industriale nell'Ottocento spalanca le porte all'istituzione delle scuole di arti e mestieri per gli artieri che si specializzano nelle arti industriali. Le richieste della nascente realtà industriale spingono queste scuole verso il successo e trovano ampio spazio e credito nel Regno d'Italia.

Nel 1871, all'indomani dell'Unità d'Italia, il sistema d'istruzione pontificio è distrutto, l'edificio dell'Ospizio Apostolico di San Michele è espropriato e affidato al Comune di Roma, nasce quindi l'Istituto Romano San Michele. Le scuole d'arte sono progressivamente chiuse, mentre la struttura carceraria è unificata e destinata a riformatorio minorile che resta attivo fino al 1972. Nel 1938 l'istituto assistenziale è trasferito a Tor Marancia dove è depositata una parte delle opere d'arte originarie delle scuole d'arte. Attualmente l'edificio originale in via San Michele a Trastevere ospita uffici del Ministero della Cultura.

Nel 1873, dopo l'Unità d'Italia e Roma Capitale, l'istituto pontificio di San Luca prende il nome di Regia Accademia e la Scuola di Belle Arti diviene Istituto di Belle Arti di San Luca secondo il regio decreto 1634/1873, l'Istituto di Belle Arti con il regio decreto 2007/1874 si separa dall'Accademia ed è, in seguito, rinominato Accademia delle Belli Arti di Roma. Mentre la Regia Accademia nel 1948 diventa l'attuale Accademia Nazionale di San Luca 45.

Al momento in cui Roma entra a far parte del Regno d'Italia e lo Stato Pontificio si disgrega, il sistema scolastico prevede, come in precedenza illustrato, scuole private regionarie e religiose di tutti i livelli, a pagamento e gratuite. Nel 1870 si registra a Roma un tasso di analfabetismo inferiore al 60% tra le più basse nel paese unito. Gabelli nel 1881 precisa che nonostante la scuola non fosse una novità a Roma, lo è la nuova organizzazione statale che s'instaura progressivamente nei primi anni di Roma Capitale 46. Le nuove scuole, divenute obbligatorie per applicazione della legge Casati n. 3725 del 13 novembre 1859, sorgono su un terreno educativo piuttosto consolidato in cui le famiglie mandano i figli a scuola, ma sono sostanzialmente diverse dal passato con l'istituzione di scuole statali, elementari e superiori, in prevalenza licei classici e istituti tecnici. La predilezione per gli studi classici comporterà controversie e discussioni per i decenni a seguire 47. In contemporanea, l'istruzione professionale è lasciata in quegli anni all'iniziativa dei comuni che, inizialmente, gestiscono anche le scuole elementari, e che si vedono quindi invitati a contribuire cospicuamente all'istruzione pubblica. Le scuole private, prima sostenute dai comuni, soccombono sotto la vasta scelta di scuole gratuite e nel 1870-71 il comune di Roma ha 735 scuole comunali che crescono negli anni immediatamente seguenti fino a superare il migliaio nel 1875-76 48. Nel 1871, il Comune di Roma gestisce le scuole elementari, le serali maschili e le festive femminili, a queste si aggiunge la scuola professionale che le leggi italiane - Casati e Legge Coppino n. 3961 15 luglio 1877 - trascurano e affidano ai comuni con la sovvenzione del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. A queste leggi seguono le circolari ministeriali del 7 ottobre 1879 sulle scuole d'arte e mestieri e d'arte applicata all'industria e del 24 gennaio 1880 riguardante l'apertura delle stesse scuole nelle fasce serali e domenicali. Il Comune di Roma anticipa quanto chiesto nelle citate circolari dedicando una congrua parte della spesa comunale per l'istruzione professionale 49. A Roma «la cultura degli artieri e quella della donna furono soggetto di assidue e costose cure» 50.

Roma diventa Capitale d'Italia con la legge 33 del 3 febbraio 1871, a seguito di ciò diversi edifici sono espropriati per far posto agli uffici necessari al trasferimento della Capitale e l'insediamento della pubblica amministrazione. Il percorso di alienazione dei beni ecclesiastici prosegue e il 19 giugno 1873 il governo italiano promulga la Legge 1402 che estende alla città di Roma il Regio Decreto 3036 del 7 luglio 1866 e la legge 3848 del 15 agosto 1867 sugli espropri dell'Asse Ecclesiastico. La legge 1402 prevede l'istituzione di una Giunta liquidatrice dell'Asse Ecclesiastico di Roma che prende possesso, fra gli altri, del convento di San Lorenzo in Lucina, del Collegio Romano, di Santa Maria in Monticelli, di Sant'Agata in Trastevere, di San Pantaleo, del convento di Gesù e Maria al Corso, di Sant'Andrea delle Fratte, di San Giuseppe a Capo le Case 51. Queste leggi, dette eversive, includevano anche le scuole religiose che sono in alcuni casi soppresse ed espropriate. Molti sono i ricorsi presentati in tribunale e, in alcuni casi vinti. Ciononostante, questi istituti passano sotto il controllo dei ministeri pertinenti quali ad esempio il Ministero della pubblica Istruzione nel caso delle scuole 52. Il Collegio Romano è ceduto al Ministero della Pubblica Istruzione che vi fonda il liceo e il ginnasio Ennio Quirino Visconti e il Regio Istituto Tecnico 53. I beni espropriati sono in parte ceduti al Comune di Roma, secondo l'articolo 8, che li usa anche per collocarvi le scuole elementari e professionali che sono, sulla base delle leggi in corso, di sua pertinenza. L'articolo 2 della legge 1402 prescrive che i beni religiosi espropriati che erano destinati a scuole mantengano la destinazione d'uso originale 54. Conseguentemente, gli edifici che giungono al municipio sono utilizzati, negli anni seguenti, come scuole. Nella guida Monaci del 1871, troviamo, quindi, una trentina di scuole elementari situate in ex-conventi ed ex-residenze di ordini religiosi, fra cui una anche a Santa Maria in Monticelli, nel convento dei Dottrinari. Sono ceduti al comune di Roma anche Sant'Agata, San Pantaleo, Santa Dorotea, Gesù e Maria al Corso. San Lorenzo in Lucina è ceduto alla Provincia di Roma.

Nel 1871, il comune di Roma istituisce la prima scuola per artieri e negli anni a seguire sono fondate cinque scuole. Questi nuovi istituti sono spesso collocati, come per le scuole elementari, nei locali espropriati a ordini religiosi che, talvolta, ospitavano originariamente già scuole di dottrina cristiana e di disegno nei primi dell'Ottocento, come in precedenza esposto.

Le scuole serali per artieri nascono e fioriscono poiché concepite per venire incontro alle esigenze dei lavoratori; esse rispondono alle necessità che scaturiscono dalla contemporanea rivoluzione industriale così come dall'affermarsi del movimento Arts and Crafts di William Morris e John Ruskin. Questo movimento rimandava a una valorizzazione dell'artigianato ed ebbe fulcro geografico nel Regno Unito ma estensione in tutto il mondo negli anni a seguire: la Red House, esempio più completo del pensiero di Morris (e Philip Webb), è del 1860 e sarà completata nel 1862. In questo clima di cambiamento sociale e fermento artistico, nel 1852 nasce a Londra il South Kensington Museum, ribattezzato Victoria and Albert Museum nel 1899. Nei decenni successivi aprono in tutta Europa diversi musei e scuole volte a costruire un dialogo tra arte e industria.

Il 1° dicembre 1871 il Municipio di Roma istituisce una scuola serale maschile di Disegno per artieri, che hanno già frequentato la scuola elementare, nel Rione Colonna nell'ex convento di Sant'Andrea delle Fratte 55. Nell'ottobre del 1871 la giunta approva l'istituzione di una scuola per artieri diretta da Francesco Echert, ingegnere e «maggiore d'artiglieria in ritiro del Reale Esercito» 56, con deputato soprintendente Cesare Mariani, pittore romano, consigliere comunale, e in seguito commissario per il Museo Artistico Industriale. Anche l'orefice Augusto Castellani ne sarà sopraintendente e compare menzionato nella guida Monaci del 1879 57. La scuola inizia le lezioni nel novembre successivo, l'inizio è graduale. Echert, nella relazione di fine anno, indica, infatti, il gennaio 1872 come vera partenza della scuola e i mesi finali del 1871 come preparatori, anche per la penuria di suppellettili e materiale essenziale per la didattica. Nell'anno scolastico 1871-72 la scuola è frequentata regolarmente da 136 allievi ammessi all'anno successivo; è quotidiana, serale (con orari variabili nell'anno dalle 18-21 alle 20-22), le lezioni durano dalle due alle tre ore, il sabato non ci sono lezioni, ci sono lezioni la domenica mattina e, nei mesi di maggio e giugno anche lezioni di disegno diurne dalle 11 alle 15. Già nel primo anno d'istituzione arrivano alla scuola donazioni da privati cittadini di gessi ed esemplari per le lezioni di disegno. Fra questi, Echert ricorda esemplari in gesso d'ornato del ‘500, dodici pezzi degli ornati di Urbino e trenta tavole del De Vico. Il successo della prima scuola per artieri convince l'amministrazione ad aprirne subito un'altra nell'anno scolastico 1872-73, nel Rione Regola al Monte di Pietà. Le scuole in quest'anno scolastico attirano 211 studenti frequentanti. Nel 1873 apre una succursale in via di Propaganda, nel 1875 la terza scuola per artieri intitolata a Ettore Rolli è fondata in via del Boschetto nel Rione Monti. Ettore Rolli botanico, professore universitario, sopraintendente nelle scuole lascia una somma in denaro da destinare a premi per gli studenti. Nel 1876 nelle tre scuole per artieri sono attivi corsi per le arti fabbrili, meccaniche, murarie, decorative (fra cui già compare la fotografia) oltre a tipografi, litografi e sellai. In queste scuole si tenevano anche lezioni speciali di fisica sperimentale e di meccanica, inizialmente solo nei giorni festivi, nel 1881 diventano insegnamenti ordinari come gli altri a causa del successo presso gli allievi. Il fine di queste scuole è di specializzarsi nelle arti in cui i giovani discenti già operano durante il giorno: lo scopo non è di avviare all'esercizio di una professione, non ci sono quindi officine, ma s'insegnano discipline che combinano i bisogni degli allievi e le nozioni necessarie al perfezionamento dell'arte. Gli insegnamenti offerti sono quelli generali quali l'aritmetica, il sistema metrico, la geometria teorico-pratica, il disegno geometrico. Nell'anno successivo, gli studi proseguono in disegno ornamentale, architettonico e industriale. A supporto di queste istituzioni il Comune, anche grazie alle sovvenzioni della Provincia, del Ministero d'Istruzione e del Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, fonda tre scuole preparatorie, collocate tra le scuole elementari e quelle degli artieri, in cui si tengono anche i corsi del primo anno di quest'ultime. Testimonianza della qualità dei corsi impartiti è la partecipazione con tre album di opere eseguite da studenti per complessivi trecento tavole e seicento disegni, raccolti sin dalla fondazione, ciascuno riferito a un quinquennio, e che sono inviati all'Esposizione Nazionale di Torino nel 1884 58. La guida Monaci del 1874 indica tre sedi: la scuola n. 1, denominata Centrale, a via dei due Macelli, presso il convento di Sant'Andrea delle Fratte, la sua succursale a via di Propaganda 10, e la numero 2. a Piazza della Trinità dei Pellegrini 59. Alle scuole per artieri propriamente dette, si aggiungono anche i numerosi corsi preparatori per gli artieri che sono collocati nelle scuole elementari comunali 60. Le sedi delle scuole cambiano come muta l'urbanistica di Roma che si adatta al nuovo ruolo e al nuovo stato. La scuola n. 1 cambierà sede diverse volte in cerca di spazi adeguati fino a essere statalizzata 61. La scuola n. 2 negli anni Ottanta troverà spazio in una parte dell'ex-convento dei Dottrinari di Santa Maria in Monticelli alla Regola, in seguito all'esproprio operato dalla Giunta Liquidatrice dell'Asse Ecclesiastico, in una sede che un tempo ospitava una scuola pre-unitaria di disegno, precedentemente menzionata, in quella che si chiamava Piazza S. Paolino alla Regola ora denominata Piazza San Paolo della Regola 62. La scuola n. 2 era denominata “Nicola Zabaglia” già a fine Ottocento e si trova così indicata nella Guida Monaci del 1890. I lavori di ristrutturazione non sono particolarmente invasivi poiché l'edificio già ospitava una scuola e includono l'apertura di un ingresso indipendente sulla piazza dalla trasformazione di una finestra. L'edificio, infatti, è diviso in varie parti, una sezione è in uso alla parrocchia di Santa Maria in Monticelli, un'altra ospita la curia generalizia dei Padri Dottrinari. Negli spazi dell'ex-convento, oltre la scuola, s'insedia anche una caserma, in affitto fino al 1896. Nei locali del quarto piano, quando anche questa parte è, infine, occupata dal Comune, si trova l'archivio dei Beati di casa Savoia che ivi rimane in affitto. Nel 1937, i locali posti al piano terzo saranno retrocessi al Fondo del Culto (allora Fondo di beneficenza e religione per la città di Roma) 63. Nel 1961, i locali ai piani terra, primo e secondo sono attribuiti alla scuola per artieri, con una scala che li collega dall'ingresso nella piazza; al piano terzo c'è il Fondo del Culto. I rimanenti due piani, quarto e quinto, sono concessi dal Comune, che ne conserva la proprietà, ai Padri Dottrinari. L'accesso agli ultimi piani è collocato in via Santa Maria in Monticelli 28 e persiste su di esso una servitù attiva da parte del Comune 64. Diverse succursali sono state istituite, nel tempo, per accogliere i molti allievi che s'iscrivevano. Fra queste, una sede era in via Galvani e, nel 1886, la via all'angolo dell'edificio fu intitolata a Nicola Zabaglia 65. Nel 1877 s'insegnano nelle tre scuole per artieri nella città di Roma: «aritmetica e sistema metrico, geometria teorico-pratica con applicazioni e disegno geometrico, elementi di architettura e disegno architettonico, nozioni tecniche secondo le professioni e disegno professionale», vi è un corso di prospettiva e di disegno ornamentale e lezioni straordinarie di geografia e storia patria nonché igiene e doveri del cittadino 66. Nel 1875 la scuola n. 3 intitolata al medico botanico Ettore Rolli ha sede nel Rione Monti a piazza Trinità dei Pellegrini; in seguito, varie sedi si susseguono, fra cui via dei Giubbonari, via Urbana, via Farini, per arrivare infine nell'attuale sede di via Macedonia 120 nel quartiere Appio Latino. Questa scuola aveva inizialmente una vocazione verso la Chimica industriale, che, nel 1917, è trasferita alla scuola n. 4 che apre in Viale Glorioso ed è, infatti, denominata, inizialmente, “Scuola di Chimica Industriale”, in seguito prenderà il nome “Scienza e Tecnica” 67. Questa nuova istituzione era stata fondata «allo scopo di fornire agli operai chimici ed ai proprietari di piccoli stabilimenti di industrie chimiche, od aventi attinenza con la chimica: saponieri, tintori, conciatori, elettrochimici, ceramisti, metallurgici, coloristi, profumieri, fotografi, commessi di farmacia» nozioni tecnico-pratiche atte a svolgere al meglio la professione. In questa scuola si tenevano lezioni di Fisica e Chimica generale, tenute da Rinaldo Guareschi, di Chimica tecnologica, tenute da Riccardo Belasio 68.

Nel 1874 Baldassarre Odelscalchi, presidente dell'Associazione Artistica Industriale, crea con l'orefice Augusto Castellani il Museo Artistico Industriale MAI nell'ex-convento di San Lorenzo in Lucina in Campo Marzio. L'iniziativa aveva ricevuto già nel 1872 il plauso e l'approvazione del Consiglio comunale 69, in seguito Odescalchi e Castellani, con Luigi Marchetti, Alessandro Castellani, Antonio Cipolla, Giovanni Montiroli e Guglielmo de Santis sono nominati nella commissione organizzatrice del nuovo museo 70.

Il museo si proponeva come polo pedagogico per arrivare a crescere un gusto artistico nella produzione degli oggetti prodotti industrialmente. Conseguentemente, il museo era organizzato per essere uno strumento didattico per lo studio delle forme e dell'ornato al fine di formare gli artigiani impiegati in botteghe e cantieri di Roma. L'istituzione del museo, infatti, ha portato all'apertura di scuole d'arte diurne domenicali nel 1876 per gli insegnamenti di smaltatura dei metalli, di modellazione della cera e di decorazione pittorica. In seguito, queste scuole diventano quotidiane e serali con l'aggiunta degli insegnamenti degli stili, della plastica decorativa, plastica in cera per le industrie, rialzatura a ribalzo, di cesello, di niello e di smalto 71. Nel 1880, aprono i corsi serali organizzati su base triennale con insegnamenti quali pittura, disegno, modellazione della creta, marmo, legno, stucco e vi si tengono conferenze di storia dell'arte (sostenute dal Ministero della Pubblica Istruzione) e concorsi di composizione; le scuole sono denominate nel 1885 “Scuole di arte applicata all'industria di Roma”, e sono sovvenzionate dal Comune e dal Ministero dell'agricoltura, industria e commercio 72. La proprietà degli oggetti conservati nel museo sono formalmente accettati dal Comune di Roma nella delibera di Giunta n. 13 del 1 ottobre 1884; negli atti del consiglio comunale del 27 ottobre è riportato l'elenco da cui si evincono, fra gli altri, donazioni da parte del pittore Cesare Mariani, dei principi Odescalchi, Baldassare e Ladislao, del barone Adolfo Rothschild, della Compagnia dei Vetri di Murano a Venezia, di Augusto e Alessandro Castellani, del conte Francesco Cini, di Antonio Cipolla, di Guglielmo De Sanctis, del marchese Ginori-Lisci, di Michelangelo Guggenheim, del museo Kircheriano, del principe Marcantonio Colonna, ecc. Gli oggetti includono, ad esempio, fotografie, libri, piatti, vasi, mattonelle, bicchieri e riproduzioni in gesso. 73. Le opere degli allievi sono presentate all'Esposizione internazionale di Parigi nel 1878, all'Esposizione didattica nazionale di Roma del 1880, a quella industriale di Milano del 1881 e a quella Nazionale di Torino nel 1884. In quest'ultima sono presentati un cospicuo numero di studi di gesso e invenzioni che ne riprendono gli stili, elencati nella Relazione Sommaria del Comune di Roma 74. Il MAI ebbe, in successione, varie sedi. Nel tentativo di trovare locali adatti, da San Lorenzo in Lucina fu trasferito al Collegio Romano e, in seguito, a San Giuseppe a Capo le Case fino ad arrivare a una sede definitiva nel 1927 in via Conte Verde. L'ente fu soppresso nel 1954 e le collezioni disperse verso altri musei romani, le scuole assimilate a Istituti d'arte 75.

Queste iniziative artistico-pedagogiche si sviluppano in analogia ad altre istituzioni fondate in quegli stessi anni, le scuole superiori di Arti Applicate a Venezia nel 1873 e a Vienna, a Firenze in Santa Croce nel 1880 e a Milano nel Castello Sforzesco nel 1882 76.

Le scuole di arte applicata accolgono inizialmente gli studenti provenienti dalle scuole per artieri e dagli istituti tecnici. I responsabili del comune di Roma – fra cui artisti, virtuosi del Pantheon e accademici di San Luca che sopraintendevano le scuole per artieri e che avevano fondato il MAI – notano vari livelli tra gli allievi delle scuole artieri, quelli con livello d'ingresso più elevato sono indirizzati verso un'altra scuola detta “preparatoria”. Negli atti del consiglio comunale di Roma, in occasione della votazione sui fondi destinati al MAI, s'introduce tale necessità 77. La “Scuola Preparatoria al Museo Artistico Industriale” è fondata nel 1885 e prenderà in seguito l'attuale denominazione di Scuola di Arti Ornamentali. Tra i fondatori della scuola troviamo Luigi Bazzani, Cesare Biseo, Domenico Bruschi, Giuseppe Cellini, Guglielmo De Santis, Cesare Mariani, Attilio Simonetti, Ludovico Seitz, Ettore Ferrari, Giovanni Montiroli 78; alcuni tra questi, insieme ai sopraintendenti delle scuole per artieri e ai fondatori del MAI, faranno parte della commissione direttiva delle scuole comunali di disegno che dirige la didattica della scuola preparatoria alle Arti Ornamentali 79 e nella guida Monaci del 1918 compare in commissione anche Duilio Cambellotti 80.

La fondazione del MAI è un'iniziativa che si allinea a ciò che avveniva, in quel periodo, in tutta Europa per altre scuole preparatorie come quelle sorte in Francia come conseguenza dell'Esposizione Universale del 1851, in seguito, a Napoli nel 1878 per i Musei di Arte Industriale, il Werkbund di Monaco, il British Institute of Industrial Art, il Bauhaus di Weimar all'inizio del ‘900 81. Questa nuova scuola si proponeva di estendere l'istruzione delle scuole per artieri verso l'arte decorativa nel contesto industriale che si studiava nelle Scuole del MAI 82. In questo modo, il percorso didattico iniziava nelle scuole per gli artieri, proseguiva nella scuola di arti ornamentali e, quindi, trovava la sua naturale prosecuzione nelle scuole del MAI 83.

La scuola romana di Arti Ornamentali era collocata originariamente in via San Sebastianello 16 vicino a Piazza di Spagna nei pressi del MAI. Nel 1887 la sede della scuola fu trasferita nell'attuale sede a via di San Giacomo (già via degli Incurabili). La nuova sede sorge in un'area che era di proprietà dell'ordine religioso degli Agostiniani Scalzi dal 1615. In precedenza, era stata di proprietà del Cardinale Flavio Orsini; successivamente all'acquisto l'ordine religioso aveva convertito la villa cinquecentesca del cardinale in convento. Sul sito sorgeranno la Chiesa di Gesù e Maria, diverse botteghe, un oratorio, un'infermeria, nelle via Gesù e Maria, del Corso e del Babbuino, infine un giardino confinava con via degli incurabili. La comunità religiosa fu soppressa nel 1873. L'area del giardino fu affittata al sig. Spinetta il quale, in seguito, l'acquistò e chiese licenza di costruzione ottenendola nel 1872 84.

Le scuole arti e mestieri, le tre per artieri e quella di Arti Ornamentali, mantengono un'organizzazione della didattica simile sin dalla fondazione: sono serali, con orari inizialmente dalle 19 alle 22 poi posticipato alle 20, sono frequentate da giovani artieri che lavoravano durante il giorno, sono previste anche attività di domenica. La didattica è gratificata da premi che consistono in libretti di risparmio, strumenti e libri 85.

La scuola si distinse nel tempo crescendo in stima e ottenendo notevoli successi e premi, fra cui la medaglia d'oro conferita dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio [conservata in corridoio]. Nel tempo la scuola riceve diverse sovvenzioni comunali per l'acquisto di opere d'arte e donazioni da privati come opere in gesso, in ferro, marmi e libri che costituiscono una cospicua collezione di oggetti dedicati alla didattica, e fra queste citiamo le grottesche di Palazzo Altoviti 86. Diversi artisti di grande livello sono passati per le scuole per artieri di Roma, fra questi ricordiamo i futuristi Gino Severini e Umberto Boccioni, anche attivo nella limitrofa Associazione Artistica Internazionale, i membri della scuola romana Mario Mafai e Gino Bonichi detto Scipione e Alberto Ziveri 87.

L'istituzione del nuovo settore d'istruzione statale professionale della riforma Gentile nel 1923 lascia le quattro scuole per artieri al tempo esistenti alle dipendenze del Comune e fuori dal Ministero della Pubblica Istruzione, così parimenti i successivi interventi legislativi 88. Le scuole per artieri del Comune di Roma sono quindi giunte ai nostri giorni con la nuova denominazione “Arte e Mestieri”; sono quattro, “Nicola Zabaglia”, “Ettore Rolli”, “Arti Ornamentali” e “Scienza e Tecnica” e hanno adeguato gli insegnamenti e gli indirizzi nel tempo, seguendo le riforme della pubblica istruzione e senza sovrapporsi agli insegnamenti statali, quindi, infine giungendo alla formazione permanente professionale per adulti attuale.

(di Simona Irrera)


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3) 1887 – LE RAFFAELLESCHE DEL COMUNE DI ROMA E L'ESPROPRIO DI PALAZZO ALTOVITI DI PONTE

(di Cristina Mochi)


La Scuola di Arti Ornamentali del Comune di Roma è oggi affidataria delle vele provenienti dal demolito Palazzo Altoviti. Sebbene le trattative siano iniziate molto tempo prima (diversi furono i solleciti agli Altoviti per il restauro dello stabile), lo Stato stabilisce l'esproprio del Palazzo Altoviti il 21 marzo del 1885 e la consecutiva demolizione dello stabile per la risistemazione della sponda sinistra del Tevere dal Ponte Elio al vicolo dello struzzo (notificaz. Municipale 28 luglio 1886 n. 51403). Il Palazzo ‹‹posto in Roma in Piazza di Ponte Sant'Angelo ai numeri Civici 32 al 35 e via Paola n. 34 di proprietà di Altoviti Avila Corbizzo fu Giuseppe e Altoviti Avila Vittoria fu Francesco in Toscanelli›› è espropriato per la cifra di 450.000.000 (17 aprile 1887), eccetto alcuni oggetti familiari, tra cui lo stemma sull'angolo, il busto di Cellini e alcuni quadri. Preventivamente, Emilio Pavillion della Direzione Tevere aveva provveduto al sopralluogo dal quale era emerso che al piano nobile del palazzo erano conservate due stanze dipinte con affreschi a ornamenti di notevole interesse. Nei locali vi erano anche i busti, antichi e moderni, tra cui si evidenziava quello eseguito da Benvenuto Cellini rappresentante Bindo Altoviti. Nel marzo del 1885, il direttore delle Antichità e Belle Arti, Giuseppe Fiorelli, dirige i lavori atti alla rimozione dei dipinti da preservare dalle demolizioni, indicando per la valutazione una commissione composta da Filippo Prosperi, direttore delle Belle Arti, Cesare Maccari e Guglielmo de Sanctis, tutti parte della commissione che, dopo un'attenta analisi, stabilisce la necessità di salvare parte della decorazione presente nelle due sale al piano terreno, in cui figurano ‹‹volte lunettate con pitture ad affresco attribuite a Vasari e ai fratelli Zuccari e nel fondo delle nicchie busti antichi e moderni››. Finalmente nel 1886 il Ministero dei Lavori Pubblici e quello delle Belle Arti stabiliscono in accordo che alcuni affreschi del Palazzo Altoviti dovranno essere salvati e quindi dovranno esser rimossi. Il rendiconto richiesto dai proprietari all'architetto Azzurri ci dà un'interessante descrizione dello stato del palazzo che non sembra versare in cattive condizioni di conservazione. La facciata sul Tevere mostra l'elegante loggia che viene riconosciuta come la Banca Altoviti. Al piano nobile figurano 26 camere, tre delle quali sopra la banca del proprietario. Molti ambienti si trovano in povere condizioni. Anche Pavillion nel suo reportage aveva dichiarato che la loggetta sembra non essere stata completata e che durante l'inondazione del 1870 il piano nobile era stato danneggiato. L'ingegnere capo del Corpo Reale del Genio Civile Cerutti richiede le chiavi del Palazzo ai proprietari (31 maggio 1887). Il termine del possesso Altoviti è stabilito al 10 giugno 1887. Dal ‹‹collaudo del distaccamento›› del 21 gennaio 1888 si evince che il restauratore Pietro Cecconi Principi, affidatario dei lavori, aveva già proceduto al distacco di 23 affreschi della volta della prima sala (riportati su tela) 89 ‹‹meno i 4 tondi in stucco››, perché nel tentativo di rimuoverne uno, essendo lo stesso ancorato con grappe metalliche, era andato distrutto. Gli affreschi devono essere trasportati alla Accademia di Scienze di Palazzo Corsini 90. Nel febbraio del 1888 il rapporto dei lavori riporta che sono già stati asportati gli affreschi del 1500, i tre stucchi rimasti saranno distaccati (con incassatura) 91 quando la demolizione arriverà al soffitto della stanza, e i dipinti presi (staccati senza permesso da Pietro Cecconi Principi) devono essere depositati presso il Reale Istituto per valutare se potranno essere rilasciati al restauratore o meno. Nella stessa relazione si dichiara che le altre opere rimaste saranno lasciate in situ, perché il Ministero non prevede bilanci per pitture del periodo della “decadenza” 92. La postilla allo scritto dichiara però un intento importante: i giovani dell'accademia e delle scuole d'arte potranno copiare soffitti e altro, per il loro studio o affinché ne rimanga memoria. Alla fine di febbraio, il Ministero chiede a Cecconi Principi la riconsegna delle chiavi perché ‹‹la parte principale e più importante della sala maggiore›› era stata rimossa 93. Nella sala minore rimangono invece ancora gli stucchi sopracitati. Gli affreschi vennero portati a Palazzo Corsini (26 marzo 1888) e furono lasciati alla demolizione ‹‹le decorazioni o raffaellesche della loggetta›› per gravi condizioni di deterioramento (27 aprile 1888). La demolizione del Palazzo Altoviti nel 1888 sembrerebbe concludere la storia degli affreschi, ma in realtà i documenti aprono a nuovi aspetti in cui si inserisce l'intenzione illuminata di Cecconi Principe prima e del Comune di Roma poi.

Il Ministero di Belle Arti e Pubblica Istruzione, alla proposta di acquisto per la Scuola di Ornato dell'Istituto, declina l'offerta ritenendo i pezzi in pittura e in stucco di Palazzo Altoviti staccati arbitrariamente dal Cecconi Principe ‹‹segno di epoca di decadenza, mentre nelle intenzioni delle accademie gli allievi devono essere educati al meglio››. Il 15 ottobre 1888 il Direttore Generale Fiorini chiede al Presidente dell'Accademia dei Lincei di ‹‹voler ricevere in deposito altri pezzi in istucco e ad affresco staccati dalle volte di Palazzo Altoviti […] e a voler rilasciare ricevuta come per quelli per cui venne fatta consegna a marzo››. Risulta chiaro da quanto menzionato che, al primo distacco, consegnato a marzo, ne seguì un secondo, quello non autorizzato ma sempre eseguito da Cecconi Principe, come da lettera dello stesso datata al 18 agosto 1888; la ‹‹consegna all'Istituto di Belle Arti delle pitture distaccate senza licenza nel palazzo Altoviti›› prevede: ‹‹4 quadri con figure, ornati e putti con cornici in stucco, 4 quadri con figure e cornici in stucco, 3 quadri con lotte di centauri, 2 quadri con Flore, 5 quadri con giochi di putti, 1 mascherone, 2 quadri con mezze lunette con cornici in stucco›› 94. Cecconi Principi nella stessa occasione consegna anche i tre stucchi staccati dalla sala minore. Il Ministero purtroppo non può provvedere a tali frammenti, ma già nel giugno dello stesso anno il Comune di Roma in una lettera al Prof. Boselli della Pubblica Istruzione fa sapere che è ‹‹disposto a proprie spese a riconnettere tutti i pezzi in un edificio prossimo al Palazzo Altoviti››, nell'intenzione di ricomporre l'antica loggia Altoviti! Il 18 aprile del 1890, come risulta nel carteggio della Commissione Archeologica 95 dell'Archivio Capitolino, nella nota di pitture si fa riferimento ai 3 archi con velette (2 pezzi ognuno), alle 3 lunette con velette (2 pezzi ognuno) e ai 23 frammenti con figurine e ippogrifi, pezzi di cui sarà tutore Cecconi Principe presso il magazzino di via degli Incurabili a Roma, oggi via di San Giacomo. Nel 1921, difatti, la strada cambiò il nome e da Via degli Incurabili divenne Via di San Giacomo. La storia toponomastica di questa via è, e rimane, legata all'Ospedale di San Giacomo, detto un tempo degli Incurabili, e alla Chiesa di San Giacomo in Augusta. Sulla strada si affacciava il Convento degli Agostiniani Scalzi, sostituito dopo l'annessione di Roma al Regno d'Italia da un palazzo per uffici dove poi si è insediata la Scuola di Arti Ornamentali del Comune. Dal carteggio emerge anche che al 21 aprile dello stesso anno (1890) i materiali sono esposti a Palazzo delle Esposizioni. Si specifica che i frammenti erano stati trasportati su tela da Pietro Cecconi Principe per la demolizione del Palazzo Altoviti. Gli affreschi sono ‹‹opera del 1500 di ignoto››.



1500 - “Libertà vo' cercando ch'è sì cara”. Gli anni di Bindo Altoviti e i fuorusciti fiorentini 96


‹‹Ricordo come a dì 3 di luglio 1553 si fecie al medesimo Messer Bindo Altoviti una loggia in fresco con le guide di stucco con assai storie e di Cerere e di tutti e mesi dell'anno che fu gran lavoro e portò detta loggia scudi cento cinquanta, che parte andò a conto delle spese che ebbimo tutto il tempo che fini fino a quello a tutto dicembre 1554, scudi 150 97››”. Così riferisce Giorgio Vasari nelle sue “Vite” in merito all'opera che lo trattenne suo malgrado a Roma prima del ritorno a Firenze. I rapporti tra l'artista e la famiglia fiorentina Altoviti sono documentati dalle numerose commissioni databili fin dagli anni Quaranta, come quella per la ‹‹grandissima tela in San Giovanni››” (1542) e prima ancora la Pala d'altare dell'Immacolata Concezione per la cappella di famiglia ai SS. Apostoli sempre a Firenze (1541), il Cristo portacroce (1553), più tardo, e la Pietà, ora in collezione privata. A Roma, Bindo Altoviti (1491-1556), di famiglia fiorentina, nel 1513 aveva restaurato il palazzo paterno, sito nel rione Ponte, quartiere dei banchieri sulle sponde del Tevere, fronteggiante Castel Sant'Angelo. Ne risultò così una grande residenza grazie anche all'annessione di alcune case vicine. Dalla demolizione di alcuni caseggiati sul lato di sinistra ne era derivata una grande piazza, appunto degli Altoviti, gremita di botteghe affittate ad artigiani. Sull'altro fianco, verso via Giulia e la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, era il portone d'ingresso all'edificio, che apriva verso un piccolo cortile, da cui una scala portava allo studiolo e alla loggia. «Da questo Antonio (di Bindo Altoviti) e Dianora (Cibo) nacque Bindo, il quale continuò a stantiare in Roma, et à pena fatto maggiore acquistò la piazza detta anche hoggi degl' Altoviti (di Ponte), quale per render maggiormente spatiosa gli fu di mestiere fare il gettito di alcune case, che erano ad essa d'impedimento... ristaurò la casa comprata dal padre in quella guisa che hoggi si trova, e di ciò ne fa testimonianza l'inscrittione in un marmo posta nel cortile della sudetta casa, et è del seguente tenore: i* Bindus Antonii de Altovitis nobilis Florentinus domum ab ejus genitore emptam restauravit anno MDXIIII. Altre case furono gettate a terra per fare un po' di piazza, perciò detta Altovita›› 98. Oltre alle due dimore sopracitate, un terzo palazzo venne acquisito da Bindo Altoviti, del quale ce ne dà riscontro Rodolfo Lanciani: «Vi è memoria di una terza casa con giardino e loggia sul Tevere comperata da Giovanbattista Perini da Firenze. (Ivi, c. 159). In questo Palazzo Altoviti furono radunati più tardi tesori d'arte grandissimi, incominciando dal busto di Bindo, modellato da Benvenuto Cellini, che il Camerlengato Pontificio aveva fatto incatenare alla parete del salone, e che oggi è migrato ad altri climi›› 99. La loggia descritta nel Protocollo notarile deve essere riconosciuta come quella prospiciente il Tevere ancora visibile nelle fotografie ottocentesche prima delle demolizioni. Tale loggia, infatti, viene descritta come loggia delle statue per la collezione antiquaria esposta in essa e già documentata da Ulisse Aldrovandi intorno al

1550 100. Qui doveva essere stato sistemato il celebre busto in bronzo opera di Benvenuto

Cellini 101, forse commissionato in occasione della nomina di Bindo Altoviti a senatore fiorentino nel 1546. Nel 1550 Michelangelo ne rimase impressionato tanto da definirlo «superiore agli antichi››. La sala grande o della loggia era stata decorata da Giorgio Vasari, ospite di Bindo. Vasari aveva soggiornato presso gli Altoviti nel novembre del 1551, nell'estate e nell'autunno del 1552 e poi dalla Pasqua del 1553 fino a dicembre dello stesso anno. L'artista aveva concluso la volta col Trionfo di Cerere nel palazzo di Bindo Altoviti nel 1554, opera dal 1939 ricomposta a Palazzo Venezia. Durante l'ultimo soggiorno presso gli Altoviti a Roma, Vasari si occupa degli affreschi del Palazzo di Ponte e, secondo l'Alveri, della decorazione di una seconda loggia, appartenente alla Villa ai Prati di Castello, acquisita successivamente dal figlio di Bindo, Giovan Battista. Difatti Giovan Battista, figlio di Bindo e di Fiammetta de' Soderini, «ornò parimente la vigna paterna, che è la medesima posseduta hoggi dagl'Altoviti situata incontro all'Orso a Ripetta dall'altra parte del Tevere 102, hauendo la sua entrata fuori di porta di castello, quale ornò di bellissime statue uendute poi alli duchi di Savoia, e già ritrouate nella villa Adriana che era come anche hoggi è degli Altoviti, qual vigna è molto celebre per una gran loggia, ivi dipinta da Giorgio Vasari con molta vaghezza, che in questo genere tiene il secondo luogo doppo la famosa de' Chigi alla Lungara›› 103. Proprio nella vigna, ossia nella villa suburbana, Vasari dipinse una magnifica loggia «piena di Storie e figure in fresco grande con uno ornamento di stuco tutto con mio disegnio››. La "vigna" andò distrutta durante l'assedio di Roma nel 1849, ma le decorazioni erano già scomparse da tempo come si evince dalla recente pubblicazione di Alice Silvia Legè 104.

Le informazioni tratte da Le Vite e dalle Ricordanze di Giorgio Vasari e dai documenti d'archivio confermano la presenza di due dimore Altoviti: quella di città, il Palazzo di Ponte o di Banchi, e quella di campagna, la Vigna dei Prati di Castello oltre il Tevere in prossimità di Castel Sant'Angelo. Se poco si può aggiungere in merito alla loggia della Vigna perché distrutta, più complesso appare il discorso legato alla loggia del Palazzo di Ponte, soprattutto grazie alla revisione dei documenti relativi alla demolizione del complesso. Difatti, come visto, nel 1887, un anno prima che il palazzo venisse abbattuto per la Legge del Tevere e la consecutiva realizzazione degli argini, gli affreschi vasariani vennero separati dal muro con una tecnica affine a quella detta dello "strappo" dal pittore-restauratore Pietro Cecconi Principi, montati su tele (un grande ovale centrale e complessivamente oltre 40 frammenti-in due tempi) e, insieme agli scudi in stucco, vennero trasportati in Palazzo Corsini alla Lungara, sede oggi della Galleria Nazionale d'Arte Antica. La volta Altoviti venne ricomposta dal pittore Torello Rupelli, che si occupò anche dell'integrazione degli affreschi e della loro contestualizzazione all'interno della sala, ottenuta con paraste di gusto rinascimentale decorate a grottesche che corrono verticali lungo le pareti (1932). Rupelli non ricostruisce le arcate mancanti della loggia aperta verso il Tevere, ma alterna vele di diversa grandezza sui lati lunghi in perfetta simmetria. Grazie al nuovo restauro del 2003 sono state individuate le parti originali e quelle integrate nel ‘900 da Rupelli e chiarite le questioni tecniche relative al trasporto e all'ancoraggio degli affreschi alle strutture preesistenti della sala. È stata inoltre ritrovata una botola, corrispondente al monocromo raffigurante Cerere che affida a Trittolemo la sua missione - le cui cerniere dopo la pulitura appaiono evidenti - che ha permesso di rivedere la soprastante volta della Sala Pisana. Torello Rupelli restaura i frammenti originali, spesso ridipingendoli, e li inserisce all'interno di nuove composizioni decorative prodotte ex novo, previste per il riadattamento obbligato dalle nuove proporzioni della sala di Palazzo Venezia. Alcune fotografie dell'epoca dimostrano la distanza tra gli ornati cinquecenteschi e quelli oggi risistemati nel museo.

Giorgio Vasari, per il Palazzo di Ponte, infatti, nel novembre del 1553 affrescò, in sole tre settimane, la loggia del palazzo di Bindo Altoviti, mecenate e banchiere di origine fiorentina al servizio del pontefice Giulio III Ciocchi Del Monte (1550-55); nel 1551 Vasari era anche intervenuto sulla facciata del palazzo realizzando lo stemma di Giulio III.


Sotto il segno del lupo. Giochi eruditi e fantasie romane

Non v'è dubbio sulla mano che ha eseguito il partito centrale della sala della loggia: Giorgio Vasari ne parla nelle sue Rimembranze e la realizzazione dell'Omaggio a Cerere è certamente da attribuirsi a lui. Da parte sua nelle fonti non è documentato nessun intervento nella sala più piccola, non perché Vasari la consideri un tutt'uno con la sala della loggia 105 , ma semplicemente perché, a parer mio, non vi ha operato. La sala minore aveva un partito decorativo che includeva i 4 stucchi tondi, tre dei quali rimossi, a fine demolizione, da Cecconi Principi (ora in Palazzo Venezia). Vero è anche che lo stesso Vasari indica nella lettera al cardinale Sforza Almeni 106 come presenti all'impresa i suoi collaboratori, Marco da Faenza e lo stuccatore Matteo di Nicolò veneziano. Gli stessi sopracitati avrebbero poi lavorato spalla a spalla con il Vasari a Palazzo Vecchio a Firenze, in cui vi sono decorazioni simili alla loggia Altoviti. Nelle carte degli archivi romani l'attribuzione generica a “maestro del 1500” o a “Vasari e Zuccari” non fornisce un valido riferimento per una reale ipotesi attributiva, ma mette in evidenza la presenza di mani diverse. Vasari realizza per il Palazzo, oltre agli affreschi, quattro dipinti ad olio rappresentanti le stagioni, da porsi in una anticamera con soffitto a cassettoni 107, opere scomparse, sembrerebbe, prima dell'esproprio.

La pianta dello stabile realizzata in occasione della demolizione del Palazzo Altoviti descrive con esattezza, al pian terreno, la presenza di una sala maggiore aperta attraverso una loggia verso la cosiddetta loggetta, luogo prospiciente il Tevere in cui era conservato l'archivio degli Altoviti. La grande sala o Loggia delle statue era accessibile esclusivamente da una seconda stanza sulla destra, di dimensioni più ridotte. I due ambienti erano ammorsati quindi a destra da una scala a chiocciola (Fig. 2)

Fig. 2 - Copia della Pianta del pian terreno del Palazzo Altoviti, eseguita dalla Commissione Tevere ora in ACS, Roma (eseguita da C. Mochi).
Fig. 2 - Copia della Pianta del pian terreno del Palazzo Altoviti
eseguita dalla Commissione Tevere ora in ACS, Roma
(Foto di C. Mochi).

e a sinistra da una grande scala regolare che però non dava accesso alla loggia e camerino, ambienti isolati e privatissimi, con un solo ingresso: essi dovevano rappresentare la sede del famoso Banco Altoviti, ma ancor di più il luogo di incontro degli esuli fiorentini, toscani costretti all'esilio perché appartenenti alla fazione repubblicana e antimedicea. Anima di tale gruppo fu certamente Niccolò Ridolfi, nato a Firenze, nipote di Lorenzo de' Medici il Magnifico, eletto a soli sedici anni cardinale (1517) e, in attesa di elezione al soglio pontificio, morto per cause misteriose. Egli è il destinatario del Bruto di Michelangelo, commissionato da Donato Giannotti, come riferisce il Vasari. Il prelato, nella sua vigna sul Quirinale, incontra gli illustri sodali nel viridarium, ornato di sculture antiche e moderne: «Qui sono statue, e teste bellissime››, «e maschere antiche››, ricorda Aldrovandi, disposte anche nella straordinaria biblioteca. Le «rebus aliis etiam preciosis›› trovavano sicuramente una disposizione ordinata e pensata 108, come alcune collezioni antiquariali del Cinquecento a Roma, tra cui quella Altoviti, in cui ornati e sculture fanno a gara con la Natura che appare oltre le logge, dando visibilità a quel potere non solo economico ma anche intellettuale. Questo spaccato storico, così specifico e autentico, è documentato attraverso un'attenta lettura iconologica dagli affreschi di Casa Altoviti; l'Omaggio a Cerere di Vasari realizzato entro il 1553 celebra l'ufficio del grano e la ricchezza familiare. Nel 1508 Bindo aveva sposato Fiammetta Soderini, cementando un'alleanza che aveva le basi nelle tradizioni repubblicane e antimedicee delle due famiglie, ma mantenendo comunque strette relazioni con i papi Medici, Leone X e Clemente VII, cugini del Ridolfi. Anche se il duca Alessandro de'Medici era stato assassinato nel 1532, durante il suo governo tirannico, Bindo venne eletto membro del consiglio dei Duecento. I prestiti ingenti al cardinale Ippolito de Medici, che rivendicava il posto del duca, palesarono lo schieramento di Bindo verso l'ala più conservatrice del fuoriuscitismo antimediceo. A Roma Bindo Altoviti ebbe successo soprattutto con Paolo III Farnese, che gli fruttò numerose cariche, tra cui quelle di Tesoriere della Marca e quella di depositario dell'abbondanza, che segna il pieno raggiungimento della sua potenza economica nel 1554 (mentre gli affreschi di Vasari saranno eseguiti).

Gli affreschi di Giorgio Vasari sono legati anche, probabilmente, alle nozze tra Giovan Battista Altoviti e Clarice Ridolfi, giovane nipote del cardinale appena citato. Nell'ovato centrale appaiono Bindo Altoviti, padre di Giovan Battista, e Michelangelo Bonarroti, anch'egli fuoriuscito. Si aggiungono nei partiti monocromo il mito di Cerere e Trittolemo, mitico fondatore dell'agricoltura, le allegorie di Roma e Firenze, i Mesi e i segni zodiacali 109.

Purtroppo, nell'opera di Giorgio Vasari rimontata a Palazzo Venezia, il restauro in stile del partito decorativo ha variato l'organizzazione pittorica iniziale, come riscontrabile dal confronto delle foto prodotte prima del distacco degli affreschi dal Palazzo. Agli originali frammenti, seppur modificati, ne sono stati aggiunti di nuovi con l'intervento di Torello Rupelli.

Le vele del Comune di Roma dovevano esser poste nella sala grande, a costituire l'affaccio verso la loggetta, loggia e loggetta comunicanti: tre grandi arcate, separate da due pilastri, decorate con vele e sottarchi. A Marco da Faenza, come indicato da Vasari, possono esser affidate le opere pittoriche di corredo al partito centrale del Vasari: simili brani sono presenti in Palazzo Vecchio a Firenze e nella casa di Vasari ad Arezzo, imprese realizzate di ritorno da Roma. Ma è evidente che altre raffaellesche rimasero nella loggetta e nella sala Altoviti. C'è da aggiungere infatti che la stessa commissione di valutazione istituita per la demolizione dello stabile ritenne diverse da quelle del Vasari alcune decorazioni presenti nella sala, distinguendo fin da subito gli interventi. Dobbiamo a Pietro Cecconi Principe l'impegno, e forse l'occhio, per averle volute in parte salvare. Mi sembra difatti del tutto improbabile che gli ambienti pubblici più importanti della dimora Altoviti, e cioè la sua banca o la sua loggia delle statue, abbiano dovuto attendere Vasari per la loro decorazione. Dovremmo piuttosto intendere questa come un restyling di un ambiente danneggiato per l'esposizione aperta sul fiume, ma già decorato in precedenza. L'ipotesi che gli ambienti fossero stati pensati come appartamento dei novelli sposi (Giovanbattista e Clarice) non ci convince pienamente, essendo quello il luogo del Banco familiare 110, accessibile dal cortile, percorso più diretto dalla strada. Tra l'altro lo stesso Giambattista Altoviti chiama Casa vecchia il palazzo di famiglia del padre 111, avendo preferito risiedere fuori Porta del Popolo. Per quanto riguarda le vele della Scuola di Arti Ornamentali del Comune di Roma sono certa che costituivano le aperture verso la loggetta sul Tevere; i collaboratori di Vasari hanno di certo messo mano alle decorazioni, ma sono queste ultime da intendersi come ripresa di un lavoro perduto o “da restaurare”, in cui i motivi di una scuola romana vengono ripetuti con attenzione. Nei documenti dell'Archivio Capitolino ho recuperato in un verbale del 1890 l'attribuzione a Giovanni da Udine 112, a cui si è aggiunta l'indicazione manoscritta di Gaspere Alveri, in cui appare il nome di Perin del Vaga 113. Anche se non possono certo questi esser considerati elementi probanti per un'attribuzione, tali artisti sono personaggi autorevoli nel campo delle grottesche romane, per aver lavorato spalla a spalla con Raffaello, contribuendo all'invenzione di un genere. Ma quello che più ha sollecitato la mia attenzione è stato ritrovare nei brani decorativi delle vele riferimenti simbolici e allegorici che solamente a Roma avremmo potuto trovare nel Rinascimento, sotto l'egida del divin pittore, quell'amico di Bindo ritratto in gioventù quasi come un dio. Sospese tra antichità, fanatismi antiquari ed eruditi significati, le immagini delle vele ci portano in una parte del Cinquecento romano che è inequivocabile: negli affreschi è dipinta la Diana di Efeso o Iside multimammia (Fig. 3)

Fig. 3 - Introdosso vele, Iside multimammia (eseguita da S. Irrera)
Fig. 3 - Introdosso vele, Iside multimammia (Foto di S. Irrera)

statuetta antica e misterica alludente alla Natura e all'Abbondanza, conosciuta nelle collezioni romane e riprodotta nelle Logge vaticane realizzate da Raffaello e dai suoi allievi. Il destino tante volte fa capriole e oggi l'opera, per ironia della sorte, è nelle collezioni dei Musei Capitolini. Vasari conosce tale iconografia, a lui certamente estranea, a Roma e forse nella casa di Bindo, tra le grottesche del Vaticano o della sala maggiore Altoviti, in cui il proprietario si era fatto ritrarre come Apollo, in controparte ad una virtuosa Diana (forse sua moglie?) 114. Ancora nelle vele, appare, all'interno di un clipeo, un leone fiancheggiato da Cupido, derivante da un'incisione di traduzione da un disegno di Giulio Romano, discepolo di Raffaello. Tra girali, mascheroni e putti, dei dipinti delle vele, si distingue ancora un'altra stravagante fantasia, forse più eloquente delle altre: all'interno di una riquadratura è visibile un leone con testa umana con la zampa anteriore sopra ad una lumaca; (Fig. 4)

Fig. 4 - Vele Altoviti, part. 1, leone e chiocciola, Scuola Arti Ornamentali del Comune di Roma, via di San Giacomo, Roma (eseguita da S. Irrera)
Fig. 4 - Vele Altoviti, part. 1, leone e chiocciola
Scuola Arti Ornamentali del Comune di Roma
via di San Giacomo, Roma
(Foto di S. Irrera)

leonessa e chiocciola rappresentano due elementi in opposto. L'immagine allude senza dubbio al motto di Augusto SEMPER FESTINA LENTE, affrettati sempre lentamente, utilizzato a Roma dai circoli eruditi vicini a Pomponio Leto, ma anche da Cosimo I, come simbolo di ponderazione. Nelle opere di Marco da Faenza, eseguite dall'artista a Palazzo Vecchio a Firenze, appare difatti tale impresa di Cosimo I de Medici. Ma a Roma, già prima, Paolo III Farnese (1534-1549), a cui Bindo Altoviti deve la sua fortuna, ne aveva fatto una divisa personale. Non sembra casuale a questo punto la presenza dell'immagine sulle vele, soprattutto se si considera che il papa Farnese in gioventù era stato allievo del Leto e che Marco da Faenza, l'artista che opererà a Firenze, aveva iniziato la sua collaborazione con Vasari proprio a Roma, a Palazzo Altoviti. Il banchiere Bindo Altoviti, che a Roma, dopo la morte del suo Agostino Chigi non ha rivali, sceglie quel motto, che si trasforma in divertite variazioni nelle grottesche. Le decorazioni romane Altoviti delle vele dipendono dallo strettissimo rapporto tra Bindo e il pontefice.

Proprio Bindo aveva scelto come emblema personale l'allegoria della Fortuna, o Occasio, rappresentata da una donna con un mantello che si gonfia al vento che regge una colonna. Vela e Colonna sono raffrontati ad indicare l'equilibrio raggiunto con il lavoro costante, la lungimiranza e la Sapienza. Oggi appare quel simbolo, variante del Semper Festina Lente degli accademici romani, un motto ancora valido e più che mai adatto anche all'intenzione virtuosa del Comune di Roma, programmata tanti anni fa nel 1888 ed ora finalmente compiuta.

(di Cristina Mochi)



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ASC, Archivio Storico Capitolino, Roma, Intimo a restaurare Palazzo Altoviti, Tit. postunitario/ tit. 62, Acque e strade/busta 5/ fasc. 60

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Rodolfo Amedeo LANCIANI, Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità, Roma 1847-1929.

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Paola NICITA MISIANI, Destruction and Preservation: the History of the frescoes and stucchi from Palazzo Altoviti, pp. 263-277, in “Raphael, Cellini and a Renaissance Banker. The Patronage of Bindo Altoviti”, Alan CHONG, Donatella PEGAZZANO, Dimitrios ZIKOS, (Boston Firenze 2003-2004)”, Boston 2004.

PASQUALUCCI, 1889

Loreto PASQUALUCCI, Il Palazzo Altoviti, in "Archivio storico dell'arte", Volume 1, 1889.

PASSERINI 1871

Luigi PASSERINI, Genealogia e storia della famiglia Altoviti, Firenze 1871, pp. 51-52, 54-59.

PASTOR 1922

Ludwig von PASTOR, Storia dei Papi, IV, 1, Roma 1908, pp. 362-363; V, ibid. 1914, pp. 737 e 758; VI, ibid. 1922, pp. 259 e 262;

PEGAZZANO 2004

Donatella PEGAZZANO, Bindo Altoviti's Ancient Sculpture, in “Raphael, Cellini and a Renaissance Banker. The Patronage of Bindo Altoviti”, Alan CHONG, Donatella PEGAZZANO, Dimitrios ZIKOS, (Boston Firenze 2003-2004)”, Boston 2004, pp. 352-373.

RUSCONI, VALERI 1901

Arturo RUSCONI e Jahn VALERI (a cura), La vita di B. Cellini, Roma 1901, pp. 459-461;

SLAVAZZI 2012

Fabrizio SLAVAZZI, Nuove ricerche su alcune collezioni romane di antichità. Altoviti, Giustiniani, Chaen, in “AIR, Archivio Internazionale Ricerca”, Genn. 1, 2012, pp. 101-114.

STELLA 1960

Aldo STELLA, Altoviti, Bindo, ad vocem, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. II, Roma 1960, pp. 574-575.

VASARI 1550

Giorgio VASARI, Le Vite, ed. Firenze 1550, a cura di Luciano BELLOSI e Aldo ROSSI, Torino 1986.

VASARI 1568 Vite

Giorgio VASARI, Le Vite, Firenze 1568.

VASARI 1568 Ricordanze

Giorgio VASARI, Le Ricordanze, ms. 30, Archivio Vasari, Arezzo.



4) STORIA CONSERVATIVA E RESTAURO DEGLI AFFRESCHI STACCATI PROVENIENTI DALLA LOGGIA DI PALAZZO ALTOVITI, CONSERVATI ALLA SCUOLA DI ARTI ORNAMENTALI SAN GIACOMO DI ROMA

(di Grazia Del Giudice)

PIETRO CECCONI PRINCIPI

DISTACCO' QUESTE PITTURE E STUCCHI

DAL PALAZZO ALTOVITI

PER ORDINE DEL COMUNE DI

ROMA NELL'ANNO 1888”.

Questo è quanto è possibile leggere sul retro della struttura di sostegno di alcune delle vele affrescate provenienti da Palazzo Altoviti e conservate alla scuola di Arti Ornamentali San Giacomo di Roma. La scritta, ad acquerello color terra d'ombra, è stata realizzata a pennello con una bella ed ordinata grafia d'altri tempi su un foglio di carta ormai ingiallita. (Fig. 5)

Fig. 5 - Etichetta autografa di Pietro Cecconi Principi apposta sul retro della struttura di sostegno della vela n.2.
Fig. 5 - Etichetta autografa di Pietro Cecconi Principi
apposta sul retro della struttura di sostegno della vela n.2.

Le strutture di sostegno delle vele e delle lunette sono realizzate in legno, con travetti abbastanza spessi, posti a creare centine che seguono l'andamento delle forme architettoniche del luogo d'origine; su queste strutture lignee è stata ancorata una rete metallica, la cui impressione è in qualche caso ancora visibile, e sulla quale è stato colato del gesso, talvolta ricoperto di strisce di tela o carta a completare e “compattare” l'opera di recupero.

Ma come si era arrivati al distacco di questi elementi architettonici affrescati, perchè fu decisa la definitiva separazione di queste pitture dal palazzo per il quale erano state dipinte?

Il lavoro di smontaggio degli affreschi si era reso necessario dopo aver deciso l'abbattimento di palazzo Altoviti, che avrebbe permesso la realizzazione dei nuovi argini del fiume Tevere, indispensabili per evitare pericolose inondazioni e per rendere Roma una città sicura, funzionale e moderna. L'intervento di rimozione delle vele, come detto, realizzato da Pietro Cecconi Principi 115 alla fine dell'Ottocento, ha realmente consentito una buona conservazione delle pitture e degli stucchi di quelle perdute architetture, facilitandone allo stesso tempo la conservazione della memoria delle forme originarie.

La tecnica utilizzata da Pietro Cecconi Principi per salvare i dipinti insieme ai loro stucchi è quella dello “stacco”, con una procedura che troviamo documentata, in una Convenzione 116 stipulata con il committente Comune di Roma, -anche se non specificatamente relativa a questo intervento, ma ad un altro importante intervento da lui realizzato insieme a Giuseppe Missaghi nel 1875, lo stacco dell'affresco della Storia di Psiche a Palazzo Pallavicini Rospigliosi- ma che presumibilmente è la stessa procedura utilizzata in questo caso:

Si procede da prima col pulire e rinettare… con ogni diligenza l'affresco, quindi si prosegue col distaccare dal muro di un sol pezzo ognuna delle suddette pitture con tutte quelle pratiche e diligenze che l'arte consiglia, pareggiare il muro d'intonaco per di dietro fino a quella grossezza che il direttore crederà necessaria per la buona riuscita del lavoro, di attaccarle poi ognuna su n. 2 tele forti e nuove con tenace colla su tutti i punti egualmente assicuratile su forti telai di legno stagionato bene intestati e con il numero delle crociate che la loro grandezza esigerà per sicurezza. Scoprirle poi e tornare a nettarle con diligenza, e farvi sopra qualunque altro lavoro anche di pennello esclusa però qualunque sostituzione di parte mancante, porvi dei regoli attorno o tutt'altro necessario a portarle nel luogo che verrà destinato alla loro collocazione, ove verranno consegnate”.

Lo “stacco a massello” era una tecnica antichissima, ampiamente utilizzata fin dai tempi dei Romani, che permetteva di staccare le pitture murali insieme al loro supporto di intonaco e a tutto o a parte del loro supporto murario, di trasferirle su pannelli per salvarle dalla distruzione dovuta all'abbattimento o all'adeguamento stilistico dei luoghi per cui erano state create.

Lo “stacco” invece prevedeva la rimozione del solo intonaco, che veniva poi ulteriormente assottigliato e pareggiato dal retro una volta staccate le pitture. A Roma la tecnica dello stacco aveva raggiunto il massimo sviluppo tecnologico nella prima metà del Settecento grazie a Niccolò Zabaglia 117, al quale è dedicata, non a caso, una delle quattro Scuole di Arti e Mestieri del Comune di Roma.

Sul finire del secolo purtroppo, a questa tecnica fu gradualmente preferita la traumatica tecnica dello “strappo”, che permetteva di trasferire su tela non pittura e intonaco insieme, ma la sola pellicola pittorica di superficie, “strappandola” letteralmente dal supporto su cui era stata originariamente dipinta, e trasformando così pitture nate appositamente per un luogo specifico e dunque legate indissolubilmente ad esso, in veri e propri quadri su tela che venivano poi facilmente rivenduti come opere d'arte in sé.

Lo stacco e lo strappo degli affreschi diventarono un modus operandi fino a quando la Commissione Generale Consultiva di Antichità e Belle Arti, organo di tutela dello Stato Pontificio, e l'Accademia di San Luca, cominciarono ad opporsi alle richieste di privati cittadini di poter distaccare i dipinti di loro proprietà 118. Qualunque distacco, dal 1839, doveva infatti essere soggetto ad un'autorizzazione preventiva, e agli “estrattisti” venne notificato il divieto di eseguire trasporti non autorizzati.

Per fortuna, nel caso di Palazzo Altoviti, grazie all'interesse e alla lungimiranza di Domenico Gnoli119, che riconobbe la bellezza e l'importanza degli antichi120 affreschi che lo decoravano, si riuscì a salvare dalla distruzione alcune delle pitture, e lo si fece mediante la tecnica dello “stacco”, tecnica molto meno invasiva e più rispettosa della materia originale rispetto a quella dello “strappo”.

Nel 1887, in vista dell'abbattimento, era stato firmato l'accordo per l'esproprio del Palazzo, che si affacciava sul Tevere all'altezza di Ponte Sant'Angelo, presso San Giovanni dei Fiorentini. Per fortuna, la cosa attirò l'attenzione di studiosi e tecnici, così, prima che venissero avviati i lavori di demolizione, il Ministero della Pubblica Istruzione (che a quel tempo aveva anche competenze e funzioni relative alle Antichità e Belle Arti), chiamò l' ”estrattista 121” Cecconi Principi a “staccare” alcune delle antiche pitture e degli stucchi, Le Storie di Cerere e il ciclo dei Mesi, realizzate dal Vasari per Bindo Altoviti nel 1553.

Nella lettera di collaudo che il direttore dell'Istituto di Belle Arti inviò alla Direzione Generale, si dichiara che il Cecconi Principi aveva “distaccati e riportati su tela 23 affreschi della volta di una sala” ma anche, di sua iniziativa, aveva distaccato alcune decorazioni non comprese nella lista dei dipinti da conservare e che, altrimenti, sarebbero andate distrutte.

Gli affreschi vennero smontati, su commissione del Ministero, da due importanti ambienti del Palazzo, la loggia ed il camerino, per essere poi ricoverati a Palazzo Corsini alla Lungara, in attesa di dare loro una nuova collocazione e dunque una nuova vita. Le pitture della volta furono poi rimontate a Palazzo Venezia nel 1929 dove sono tuttora, nella Sala Altoviti, ex sala Pisana dell'appartamento Cybo. Ma altre decorazioni ad affresco, quelle oggetto di questo saggio, destinate alla distruzione insieme al Palazzo per cui erano state create, vennero salvate grazie al Comune di Roma, che sollecitò la Direzione Generale Antichità e Belle Arti a provvedere alla conservazione di ogni “oggetto pregevole per arte o per antichità che si rinvenisse nella demolizione di quell'edificio 122”.

Fu così che vennero fortunatamente sospese le demolizioni, affinchè Pietro Cecconi Principi potesse staccare e quindi salvare, in questo caso non più per il Ministero ma questa volta per il Comune di Roma, le decorazioni a grottesche 123 che decoravano la saletta e l'attigua loggetta, e che da allora sono conservate nella Scuola di Arti Ornamentali San Giacomo.

Nell'inventario di consegna del 18 aprile 1890, “Nota delle pitture distaccate dal Sig. Pietro Cecconi Principi nelle demolizioni del Palazzo Altoviti 124, esistenti ancora in via degli Incurabili 125 n.10, proprietà del Comune, sotto tutela del Sig.Principi”, si elencano:

N.° 3 archi con velette con ornati e figurine formanti due pezzi ognuno.

N.° 3 Lunette con velette, eguali ornati, in due pezzi ciascuno come sopra.

N.°23 frammenti con figurine ed ippogrifi.

A conferma dell'avvenuta consegna degli affreschi staccati, il 21 aprile 1890 l'ispettore del Comune inviava al Sindaco una lettera in cui comunicava che i dipinti staccati erano:

tre archi con sue velette, e tre lunette, due de'quali mancanti di pitture nelle punte.

I dipinti sono opera del 1500 di autore incognito, ove sono rappresentati fogliami, maschere, figurine, ed animali fantastici ben conservati 126.


Le vele con motivi decorativi a grottesche, insieme alle loro cornici in stucco, erano state staccate dalla sommità delle pareti laterali della sala terrena, in prossimità dell'attigua loggetta 127, i sottarchi formavano probabilmente l'imbotte delle porte-finestre centinate di passaggio tra sala e loggia e provenivano quindi dal lato occupato dalle finestre prospicienti la loggetta sul Tevere, mentre le lunette ellittiche, due con fondo ocra ed una a fondo rosso, contenevano probabilmente piccoli busti a tutto tondo, racchiusi in cornici di stucco ovali, ed oggi risultano prive di decorazione.

Dei 23 frammenti con figurine ed ippogrifi, menzionati nella lista delle opere consegnate, si sono purtroppo perse le tracce 128, molto probabilmente per la maggiore facilità con cui potevano essere commerciati, rispetto alle strutture delle vele, delle lunette e dei sottarchi, che, fortunatamente, furono destinate con fini didattici alla Scuola d'Arte Ornamentale San Giacomo di Roma, dove sono conservate da allora.

In questa sede, sul finire del secolo, venne dunque deciso di allestire le strutture affrescate a soffitto, nell'aula di Affresco, così da poter rimanere a disposizione degli allievi per lo studio delle tecniche e come fonte di ispirazione per la creazione dei loro lavori.

Per circa 120 anni queste opere rimasero dunque relativamente al sicuro, stabilmente ancorate al soffitto ligneo cassettonato del Laboratorio di Affresco, fino a quando furono decisi interventi di ristrutturazione e di adeguamento degli impianti della scuola 129. Le vele vennero così smontate e trasferite in sala conferenze, al piano terra del palazzo, in attesa di essere restaurate e riallestite in quella stessa sala.

Gli interventi di restauro sulle vele furono condotti dalla professoressa Gabriella Gaggi 130 insieme agli allievi del Corso di Perfezionamento del Restauro di dipinti, stucchi e lapidei da lei tenuto negli anni dal 2015 al 2017. Purtroppo, in quell'occasione non venne condotta una specifica campagna diagnostica, dunque, ci si basò su un'indagine visiva per descriverne la tecnica esecutiva:

l'intonachino risulta essere composto da calce, sabbia e polvere di marmo, così come gli stucchi modanati.

La superficie degli affreschi appare ben levigata, e in qualche zona risultano ancora visibili i segni degli strumenti utilizzati per la stesura dell'intonaco.

Prima di dipingere, l'artista ha tracciato i disegni preparatori, che sono stati trasferiti mediante incisioni per lo più dirette, cioè senza interposizione del cartone, lasciando tracce incise che appaiono direttamente eseguite sull'intonaco e che sono servite principalmente ad inquadrare geometricamente la composizione. Sono inoltre visibili i segni dello spolvero, altro metodo di trasferimento del disegno, utilizzato per ripetere velocemente i motivi decorativi ad ornato. L'esecuzione pittorica rispetta in linea generale le tracce disegnative, anche se la stesura del colore viene effettuata con una certa libertà e velocità.

I pigmenti utilizzati sono quelli compatibili con l'affresco: ocra gialla e rossa, terra verde, bianco sangiovanni, morellone. Gli stucchi di marmorino comprendono fasce modanate con motivi “a perline sferiche”, a “ovuli e dentelli” e a “foglie”, impreziositi su alcune delle fasce dalla doratura.


Prima dell'intervento di restauro gli affreschi apparivano in un discreto stato di conservazione, nonostante le diverse lacune ed abrasioni presenti in maniera generalizzata un po' su tutta la superficie e nonostante le numerose mancanze di superficie dipinta, le più estese delle quali ritroviamo nella zona delle punte di due delle tre vele -così come descritto esattamente nel 1890 dall'ispettore del Comune al Sindaco (vedi nota 12) - e dovute in gran parte alle conseguenze dello “stacco” subìto. L'intervento di restauro è stato condotto cominciando con una depolveratura effettuata con aspiratore e pennello morbido. Dopo una prima pulitura condotta a secco per eliminare i depositi di particellato, sono stati effettuati alcuni piccoli interventi di preconsolidamento nelle zone in pericolo di caduta. A questo punto è stato possibile avviare l'operazione di pulitura della superficie affrescata con una soluzione satura di acqua e carbonato di ammonio passata a pennello con interposizione di carta giapponese.

La pulitura degli stucchi è stata condotta principalmente a secco, con l'utilizzo di solventi specifici previamente testati solo su alcune zone molto circoscritte.

Dopo aver pulito e consolidato l'intera superficie, si è proceduto con la stuccatura delle lacune e delle fessurazioni e al rifacimento delle porzioni di intonaco mancanti, con una malta composta da polvere di marmo di fine granulometria e calce, con l'obiettivo di ripristinare la continuità strutturale ed estetica e di rendere la superficie più stabile e leggibile. Anche questa operazione è stata effettuata scegliendo materiali compatibili con i materiali costitutivi originali del dipinto. Il criterio utilizzato per il livello delle stuccature, la lavorazione della texture superficiale e il loro cromatismo (a tono o sottotono) sono state valutate caso per caso. Per completare le cornici laddove mancanti sono stati realizzati calchi in silicone per riprodurre i motivi ornamentali da integrare plasticamente.

L'integrazione pittorica è stata condotta, con metodo riconoscibile e reversibile, a “punta di pennello” con acquerelli Winsor &Newton; per l'integrazione dell'oro degli stucchi le tonalità utilizzate sono state ocra gialla, terra d'ombra naturale, rosso indiano e verde cromo. Le vele hanno così ritrovato stabilità, armonia cromatica e leggibilità. Oggi finalmente, dopo tanti anni, grazie al bel progetto di allestimento curato dall'architetto Franco Bernardini e, soprattutto, grazie all'energia e all'impegno del Comune di Roma e della Direzione delle Scuole Arti e Mestieri, in collaborazione con la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, gli archi e le lunette, in coppia con le loro rispettive vele, sono state ricollocate nel Salone al pian terreno, da oggi denominato Sala delle Vele.

(di Grazia Del Giudice)




    

NOTE

1GABELLI 1881 p. 158.

2CASTRACANE, Storia delle Scuole d'Arte e dei Mestieri a Roma, Roma 2016, pp. 16-18, 20-23.

3MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 1853, Vol. 63, p. 113.

4Ibidem. Moroni 1853, Vol. 63, pp. 111-112.

5QUERINI, 1881, p. 70; Moroni 1853, Vol. 63, pp. 62, 112; PELLICCIA, Vol. VI, p. 836.

6Castracane 2016, p. 14.

7MORONI, Vol. 63, p. 90.

8PELLICCIA, Vol. VIII, pp. 1134-1135.

9VILLOSLADA 1954, pp. 11-13, 317.

10MORONI 1853, Vol. 20, pp. 246-248, 255-257; PELLICCIA, Vol. III p. 978.

11MORONI 1853, Vol. 63 p. 112.

12VENUTI 1767, Vol. I, Parte II, p. 534, in MORONI 1853 Vol. 20 p. 257.

13MORONI 1853, Vol. 20 p. 258.

14MORONI 1853, Vol. 20, p. 259.

15MORONI 1853, Vol. 63, pp. 88-90.

16MORONI 1853, Vol. 63, p. 89.

17MORONI 1853, Vol. 63, p. 111.

18PELLICCIA, Vol. VIII, p. 1135.

19PELLICCIA, Vol. VIII, p. 1154.

20PELLICCIA, Vol. II p. 929.

21MORONI 1853, Vol 63, pp. 75-79.

22MORONI 1853, Vol 53, p. 98.

23Diario di Roma 1823, n. 88, p. 2.

24Domenico FONTANA cit. sul sito IRSM.

25QUERINI 1881, p. 84.

26Giornale di Roma 1853 n. 123 p. 492 in MORONI 1853, Vol. 63 p. 109.

27Maestri del legno, 2010, pp. 12-13; Moroni 1853, Vol. 63 p. 109.

28QUERINI 188, p. 73.

29MORONI 1853, Vol. 63, pp. 113-114, 118-122; SANI 2008, p. 964.

30SANI 2008, p. 959.

31Diario di Roma, n. 60, 27 luglio 1847

32MORONI 1853, Vol. 63, p. 115.

33SANI 2008, p. 970-973 e citazione n. 118 a p. 970: «Rapporto sulle scuole notturne di Roma s.d. (ma 1852) in b. ASVR, scuole 1829-1890, fasc. Notizie sulle scuole notturne ed asili infantili esistenti in Roma 1850-1852, p. 7.»

34MORONI 1853, Vol. 53, p. 233.

35Monografia della Città di Roma e della campagna romana, Vol II, Roma 1881 p. CLVI-CLVII.

36PEVSNER p. 56.

37D'ANDREA 2003 p. 16.

38MORONI 1853 Vol. 1 p. 49; CASSESE 2016 p. 85.

39Monografia della Città di Roma e della campagna romana volume II Roma 1881 p. CLIII.

40ZUCCARI cit. in PEVSNER pp. 51-52.

41PEVSNER pp. 51-66; ROCCASECCA pp. 13-14.

42ROCCASECCA p. 15.

43D'ANDREA 2003 pp. 13 e 15.

44D'ANDREA 2003 p. 15.

45ROCCASECCA p. 19; CIMBOLLI SPAGNESI p. 161.

46GABELLI 1881 pp. 158-159.

47VIOLA 2014 Cap. 1 e 3.

48GABELLI 1881 p. 160.

49FRANCESCANGELI p. 73.

50GABELLI 1881 p. 178.

51MASOTTI p. 101-108.

52MASOTTI p. 110.

53Guida Monaci 1871 p. 162.

54MASOTTI p. 149.

55FRANCESCANGELI p. 74.

56Come riportato nella relazione finale 1871-72 sotto il nome dell'autore.

57Guida Monaci 1879 p. 252.

58Relazione sommaria 1884 pp. 34-37 e 63.

59Guida Monaci 1874 p. 78.

60Guida Monaci 1890 p. 521.

61CASTRACANE 2016 p. 37.

62Guida Monaci 1884 p. 416.

63CUTRI 2004, cit. Atto registrato a Roma, 16/2/1937 n. 4390/32 volt. 4835/39.

64CUTRI 2004 p. 5.

65Atti 1886 p. 804.

66Guida Monaci 1877 p. 175.

67CASTRACANE 2016 p. 39.

68Guida Monaci 1924-25 p. 608.

69Atti 1872 p. 1110 e 1149.

70FRANCESCANGELI pp. 75-77; D'ANDREA 1885 p. 18; D'ANDREA 2003 pp. 15-16 e 18.

71Relazione sommaria 1884 p. 40.

72FRANCESCANGELI pp. 78-79.

73Atti 1884 p. 99 e elenco allegato.

74Relazione Sommaria 1884 pp. 64-66.

75FRANCESCANGELI pp. 80-82.

76CASTRACANE 2016 pp. 45 e 63.

77Atti 1883 pp. 639-640.

78SACCHI LODISPOTO 2003 pp. 33-37.

79Guida Monaci 1890 p. 519.

80Guida Monaci 1918 p. 873.

81CASTRACANE 2016 p. 45.

82FRANCESCANGELI p. 74 cit. Regolamento della scuola di Arti Ornamentali del 1886.

83D'ANDREA 2003 p. 21.

84BENINCASA 2003 p. 8.

85D'ANDREA 2003 p. 23.

86D'ANDREA 2003 pp. 69-73; D'ANDREA 1985 pp. 23-25.

87RIDOLFI 1985 p. 14; COLLARILE 2003 pp. 53 e 60.

88CASTRACANE 2016 pp. 48-54.

89Si tratta degli affreschi relativi al soffitto opera di Giorgio Vasari, posti nella sala della Loggia, sala maggiore.

90Atto notificato il 17 luglio 1887. ACS, Roma, Palazzo Altoviti.

91Cecconi Principi aveva proposto, visto il danneggiamento al primo tondo, di realizzare dei calchi.

92Da intendersi “di maniera”, appartenenti quindi al Manierismo “più decadente”.

93Le chiavi della sala terrena furono consegnate in data 8 marzo 1888.

94Altri 21 frammenti si aggiungono ai primi già depositati. Si tratta delle vele del Comune di Roma.

95ASC, Commissione Archeologica-Carteggio (4° quinquennio), 1888-1893, b24, prot. 171 bis, 18 aprile 1890.

96Motto, ripreso da Dante (in Divina Commedia, Purgatorio”, canto I, vv.71-72), utilizzato sulle insegne Altoviti per la battaglia di Montemurlo contro i Medici. Nel 1554 Cosimo I dichiarò Bindo Altoviti “ribelle”.

97VASARI, 1527-1573, c.21; Vasari, Le Vite, 1568, VI, pag. 398.

98ALVERI, II, p. 103. Altri ingrandimenti ebbero luogo nel 1552, nel quale anno Guido Ascanio Sforza, cardinale camerlengo, vendette a Bindo Altoviti una casa con forno, presso quella di Simone Bonadies «retro Banche in rione Ponte». (Prot. 6158. e. 199. A. S.). Anche questo Bonadies cedette al ricco banchiere i suoi stabili sull'intrrosi^o di via Paolina, R. LANCIANI, Notizie degli scavi di Roma, II, 1902-12, p. 163.

99LANCIANI, II, p.164; ALVERI, p. 110; ASR, Prot. 6158, c. 155, c. 159.

100ALDOVRANDI, ULISSE, Delle statue, p. 141.

101Il busto in bronzo di Bindo Altoviti opera di Benvenuto Cellini, rimase nel palazzo Altoviti di Ponte fino al 1888, quando su suggerimento di Bernard Berenson, fu acquistata da Isabella Stewart Gardner nel 1898.

102Bindo acquista la vigna di prati di castello nel 1524.

103ALVERI, II, 105. Il Knibbio, Berlin, A. 61. e f. 40, mostra avere copiato iscrizioni e nella «casa in Banchi» e nel «giardino al Campo Vaticano».

104LEGE', ALICE, SILVIA, La villa Altoviti ai Prati di Castello. Eclissi di un paesaggio fluviale, Roma 2024. Notizie della Vigna sono anche riportate dall'Alveri che descrive la loggia.

105Come vorrebbe Pegazzaro, cit.

106PEGAZZANO, p. 195, cit.

107«E l'altra, nel terreno della sua casa in Ponte, piena di storie a fresco. E dopo, per lo palco d'una anticamera, quattro quadri grandi a olio delle Stagioni dell'anno››, in Vasari, 1568, VI, p. 397. Cfr. LEGE', 2024, cit., p. 56.

108L. ANGIOLINO, C. MOCHI, La vendita Colonna Bandini a Montecavallo, in “De Naevia et Amore”, S. COLONNA, Roma 2016, pp. 243-247.

109Marzo e aprile avrebbero i volti di Giovanbattista e Clarice, mentre luglio quello di Vasari.

110L'acquisto della casa Bonadies è da tener conto, ma non sappiamo in verità quale parte della Casa Altoviti occupasse.

111Vasari a Vincenzo Borghini in Firenze, 14 novembre 1572, in ACR, Intimo a restaurare Palazzo Altoviti, Tit. postunitario/ tit. 62, Acque e strade/busta 5/ fasc. 60.

112ACS, Ufficio VI, serie I, b.32, fasc. 30, tit. 1891-1907, f.2, 9 ottobre 1890, Verbale Moretti, cfr. estratto 3.

113ALVERI, La verità, in ASC, Cardelli-Donazione Carlo, appendice II, vol. VI, ff. 210-273. Nel manoscritto il nome di Vasari è affiancato a quello di Perin del Vaga nella descrizione della decorazione della loggia ai Prati (vol IV, f. 316v.). Alveri potrebbe aver confuso le due logge, difatti il nome di Perino è omesso nella versione a stampa. Cfr. Legé, pag. 37, nota 84. Vasari riferisce di aver incontrato, in carrozza con Bindo Altoviti, Giovanni da Udine vestito da pellegrino per il Giubileo. Riconosciuto, lo fermò.

114La madre di Bindo era la nipote di papa Innocenzo VII Cybo e si chiamava Dianora... A tale proposito va ricordato che dalle decorazioni del Palazzo Altoviti nell'Ottocento vennero tratte delle stampe, due in particolare copie dalla loggia (sembrerebbero pilastri, in verità sono gli introdossi verso la loggia del Comune di Roma), in cui appaiono Diana, per l'appunto, e il leone appena descritto.

115Pietro Cecconi Principi fa parte di una dinastia di restauratori romani che conta quattro generazioni. Il cognome Cecconi Principi viene utilizzato dal momento in cui Pietro sposa la figlia del restauratore Filippo Principi, già molto conosciuto all'epoca. Le prime notizie sull' attività di Pietro risalgono al 1869, presso la Galleria Borghese. Intorno agli anni Ottanta del secolo il suo nome era fortemente accreditato presso il Ministero, avendo eseguito numerosi interventi su commissione della Direzione Generale Antichità e Belle Arti, e diventando membro della Commissione ministeriale di controllo sui restauri degli affreschi nel 1901. Morirà nel 1908.

116Documento d'archivio, autore Giuseppe Falcioni, Convenzione, Archivio Storico Capitolino, 1875/09/14, in ASC Atti Privati 1871-1875, Segnatura: faldone P3, ottobre-dicembre 1875

117Nicola Zabaglia, 1667-1750, fu inventore, ingegnere e sampietrino. Le sue invenzioni innovative vennero illustrate nel volume Castelli e Ponti di Maestro Nicola Zabaglia, pubblicato nel 1743 e ristampato con aggiunte nel 1824. E' a lui dedicata la Scuola di Arti e Mestieri di Piazza San Paolo alla Regola 43.

118F. GIACOMINI, Il distacco [dei dipinti murali] a Roma dal Cinquecento all'Unità d'Italia, Catalogo della mostra “L'incanto dell'affresco”, Ravenna, MAR, 2014, vol. 2

119D. GNOLI, Le demolizioni in Roma: il Palazzo Altoviti, in ‘Archivio storico dell'Arte', 1888, pag. 202

120La decorazione del Palazzo risale agli anni cinquanta del Cinquecento.

121L'“estrattista” era il professionista che si occupava di staccare e trasportare le pitture murali.

122Lettera di Camillo Re, Archivio Storico Capitolino, Gabinetto del Sindaco, prot. Titolo 19, 1888, oggetto: Archeologia-Palazzo Altoviti.

123La grottesca è un genere ornamentale introdotto nella pittura italiana sul finire del Quattrocento, in seguito alla scoperta delle decorazioni della Domus Aurea, che offrirono agli artisti rinascimentali un ricco repertorio di motivi ornamentali di grande fantasia e libertà inventiva

124Archivio Storico Capitolino, Commissione Archeologica, prot. 171 bis, 1888, quarto quinquennio, oggetto: Pitture Palazzo Altoviti

125Oggi via di San Giacomo, dove ha sede la Scuola di Arti Ornamentali San Giacomo

126Archivio Storico Capitolino, Commissione Archeologica, 1890, oggetto: Pitture Palazzo Altoviti

127Dichiarazione firmata da Pietro Cecconi Principi inviata dall'Ufficio del Tevere al Ministero dei Lavori Pubblici, 21 giugno 1888, ACS, LLP, B.46, fasc. 132

128P. Nicita Misiani, La ricostruzione degli affreschi della loggia Altoviti nel Palazzo di Venezia tra conservazione e invenzione in La volta vasariana restaurata, 2003

129I lavori di ristrutturazione del palazzo cominciarono nei primi anni 2000 e si protrassero a lungo, per oltre 10 anni

130Grande professionista, Gabriella ci ha lasciati nel gennaio del 2022. A lei è stato dedicato il laboratorio di Restauro, l'aula Gabriella Gaggi al primo piano della Scuola di Arti Ornamentali San Giacomo



            

BIBLIOGRAFIA

CECCHINI 1908

Silvia CECCHINI (a cura di), Archivio storico nazionale dei Restauratori italiani. Banca dati, codice identificativo scheda 3/2/70 Pietro Cecconi Principi, Roma s.d.- 1908, prima notizia 1870.

ARCHIVIO STORICO CAPITOLINO

GIACOMINI 2014

Federica GIACOMINI, Il distacco dei dipinti murali a Roma dal Cinquecento all'Unità d'Italia, catalogo della mostra “L'Incanto dell'affresco”, Ravenna, MAR, 2014, vol. 2.

GNOLI 1888

Domenico GNOLI, Le demolizioni in Roma: il Palazzo Altoviti, in “Archivio storico dell'Arte”, 1888.

HERMANIN 1948

Federico HERMANIN, Il Palazzo di Venezia, Roma, 1948.

MARCONI 2004

Nicoletta MARCONI, Castelli e ponti, apparati per il restauro nell'opera di maestro Nicola Zabaglia per la fabbrica di San Pietro in Vaticano, Foligno, 2004.

NICITA MISIANI 2003

Paola NICITA MISIANI, La ricostruzione degli affreschi della loggia Altoviti nel Palazzo di Venezia tra conservazione e invenzione, in “La volta vasariana restaurata”, 2003.

NICITA MISIANI 2003

EID., Destruction and preservation. The history of the frescos and stucchi from Palazzo Altoviti, in Raphael, Cellini and a renaissance banker. The patronage of Bindo Altoviti, catalogo della mostra, Milano, 2003.

SCONCI 2003

Maria Selene SCONCI (a cura di), Il restauro degli affreschi della volta Altoviti, Roma, 2003.


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