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La Galleria Studio Farnese e il segno dell'arte cinetica e del rapporto tra arte, architettura e industria nella Roma degli anni '70


Vittoria de Petra
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Settembre 2019, n. 876
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00876.html
Articolo presentato il 17 Luglio 2019, approvato il 7 Agosto 2019 e pubblicato il 26 Settembre 2019

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La galleria Studio Farnese si affaccia al panorama artistico romano per la prima volta nel febbraio del 1969. La galleria sorgeva a Roma, in piazza Farnese 50. Lo spazio, battezzato dall’intraprendente Maria Di Lella Alfani (1917-2006), era dinamico ed eterogeneo e si apriva su un cortile che spesso veniva utilizzato come prolungamento della superficie espositiva. La quinta di scena, oltre ad essere la piazza celebre per la presenza dell’omonimo palazzo sangallesco e per la sinergia con la diplomazia francese che accoglie al suo interno, era la stessa città. Roma, così come viene raccontata da chi ha vissuto quel periodo, era una fucina di incontri artistici, di mescolanza tra le varie arti, di possibilità di confronto tra eccellenze e persone comuni.

Allo stesso tempo, nel suo grembo, fiorivano i germogli della contestazione che, anche in campo artistico, generò nuove linee guida per le ultime sperimentazioni di poetica, indirizzando l’intervento estetico artistico nell’interesse della società intera1 la cui non-creatività di massa, oramai conclamata, rappresentava l’incipit della crisi di quel rapporto tra soggetto e oggetto, dei processi di pensiero e delle operazioni tecniche2 che erano già stati analizzati dalla pop-art3 e che non tardarono ad ispirare l’arte cinetica e programmata.

Tenendo fede al proprio nome, che si rifà alla parola ‘movimento’ nell’ultimo decennio l’arte cinetica e programmata stava mellifluamente sviluppandosi, estendendosi e cambiando forma, accogliendo l’apporto delle macchine elettroniche moderne, in grado di restituire al pubblico una vera e propria «opera aperta». Dai primi accenni in poi la ricerca visiva cinetica è stata condotta da diversi gruppi operativi accomunati dall’intento di spersonalizzare la prestazione estetica eseguendo una divisione in settori di ricerca o un vero e proprio controllo critico reciproco, seguendo sempre di più l’orma della teoria del disegno industriale, con cui non solo ne condivise i materiali ma anche l’obiettivo di fruizione4.

L’interesse della Di Lella nei confronti dell’arte cinetica nacque durante i quattordici anni della sua permanenza parigina, durante la quale ebbe modo di collaborare con la rivista Planète e con il Direttore generale delle Accademie e Biblioteche, Attilio Frajese, per il quale scrisse articoli di vario genere nell’edizione “Accademie e Biblioteche d’Italia”. La sinergia con il Ministero della Pubblica Istruzione la portò a realizzare articoli sulle Biblioteche scolastiche francesi5, la Biblioteca Saint Geneviève e i mezzi audiovisivi nell’insegnamento francese. In quegli stessi anni partecipò come pubblico all’inaugurazione della storica mostra "Le Mouvement" allestita nel 1955 dalla pioneristica e coetanea gallerista Denise René (1913-2012), alla quale si deve – con la sopracitata mostra – la consacrazione dell’arte cinetica.

Maria Di Lella rimase affascinata dalle possibilità estetiche, dalle illusioni ottiche e dal concept avanguardistico delle opere di Yaacov Agam, Paul Bury, Calder, Marcel Duchamp, Robert Jacobsen, Rafael Soto, Jean Tinguely e Victor Vasarely, presentate nella Galerie Denise René. Una sperimentazione di respiro internazionale che raccolse l’interesse rivolto agli strumenti percettivi di nuova generazione, affrontando problemi già indagati dall’avanguardia storica e adottando una metodologia di osservazione dei fenomeni visivi che riproduceva in chiave estetica i procedimenti ottici e psicologici della percezione, passando dal laboratorio della scienza a quello dell’arte6. Recependo questo interesse polivalente dell’arte cinetica ad accogliere i condizionamenti della scienza e di altre discipline, Maria Di Lella Alfani, fondatrice dello Studio Farnese, dichiarava che la galleria avrebbe coinvolto e realizzato «incontri interdisciplinari tra artisti, architetti, critici, psichiatri, biologi e musicisti» 7.

È proprio con Denise René che Maria Di Lella Alfani intrattiene dei rapporti epistolari e degli scambi che avrebbero dovuto sfociare in un’esposizione alla fine del 1969, dal titolo “Hommage à Denise René”8. L’ambizione era quella di proporre in mostra, sottoforma di omaggio della Galleria Studio Farnese all’attività della collega e amica, proponendo dei multipli degli artisti che collaborarono con la galleria parigina, istituzione che oramai vantava alle proprie spalle una ricerca decennale intorno all’arte cinetica. A tale proposito la selezione era orientata a richiedere quattro opere di Leparc dello stesso anno, quattro opere di Vasarely – due del 1967 e due del 1969 – tre opere di Soto tra il 1967 e il 1968 e dei multipli di Tomasello, Sobrino, Demarco e Yvaral9.

L’esposizione sarebbe dovuta essere l’ultima settimana dell’ottobre del 1969, esattamente circa 7 mesi dopo l’inaugurazione della stessa galleria, lasciando intuire il percorso che appariva ben chiaro nella mente della sua direttrice. Infatti, la Galleria Studio Farnese, inaugurò il 7 febbraio del 1969 con una mostra su Nicholas Schöffer, artista che vinse il Gran Premio della critica alla Biennale di Venezia del 1968. L’esposizione venne curata da Giulio Carlo Argan che accompagnò l’evento con un’introduzione esaustiva: «Per quattro motivi principali sono persuaso che, nel quadro delle attività artistiche degli ultimi vent’anni, la ricerca di Nicholas Schöffer, sia la più rigorosa, la più lucida, la più costruttiva, la più importante. Primo: è la sola che realizzi il fenomeno artistico a dimensione urbanistica (…); Secondo: è la sola che ponga in termini di correlazione integrativa il rapporto tra arte e scienza; Terzo: porta a fondo il processo di eliminazione del processo artistico (…); Quarto: dando il fenomeno artistico come fenomeno urbano totale, lo pone come fenomenizzazione integrale di un assunto teorico, di un’estetica» 10. La mostra ebbe grande risonanza mediatica e fu ripresa da gran parte della stampa quotidiana e televisiva dell’epoca11 italiana ed estera.

La concezione del fenomeno artistico inquadrato nella dimensione urbana, guiderà i passi successivi della programmazione della galleria Studio Farnese, in particolare nelle mostre in cui sceglierà di accostare i progetti di architettura alle opere di artisti plastici contemporanei, come fu nel caso delle mostre dedicate a Paola Levi Montalcini, Paolo Portoghesi e Vittorio Gigliotti (1969), Saverio Busiri Vici e Attilio Lunardi (1970); Igino Legnaghi e Tommaso e Gilberto Valle (1970).

Tuttavia, una volta conclusa l’esposizione di Nicholas Schöffer, Maria Di Lella scriveva, in una lettera del 5 settembre 1969 indirizzata a Niki Rolf della galleria Denise René, la richiesta di prestito di quindici opere che sarebbero dovute arrivare a Roma al più tardi il 20 ottobre. Per motivi da definire, la mostra non fu realizzata. Non potendo, per cause ignote sopraggiunte, finalizzare il suo proposito, guardò a un protagonista indiscusso della sperimentazione dell’arte programmata, Bruno Munari. Nel 1962 Munari aveva dato vita, presso il negozio Olivetti della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, alla mostra “Arte programmata”, che passò alla storia per la teorizzazione dell’arte cinetica come paradigma del concetto di «opera aperta»12. Autore del catalogo dell’iniziativa, Umberto Eco, che riunì alla presenza di Mari e Munari, gli artisti del Gruppo T e del gruppo N.

L’esposizione “Arte programmata” seguì una vera e propria tournée fino al 1964, cinque anni prima della mostra presentata allo Studio Farnese in cui furono esposte le Flexy (sculture in acciaio scomponibili) e delle Xerocopie originali: «Le opere di Munari – allo Studio Farnese – articolano le loro proprietà attive in modi diversi, ma non contraddittori (…). Tutto si stabilisce in maniera molto spontanea e provocante: il gioco della fantasia e il rigore del calcolo trovano in Munari una perfetta coincidenza»13.

Il sodalizio con Bruno Munari non si voleva esaurire solo con la mostra del 1969. Maria Di Lella, a partire dall’anno successivo, iniziò a impostare una collaborazione con l’Industria Ceramica C.A.V.A.14, con la quale riuscì a dare vita alla linea “Studio Farnese”: una serie limitata di moduli rappresentanti il segno di un nuovo rapporto tra arte e industria, con l’intento manifesto di lanciare «un nuovo orientamento culturale nella realtà dell’industria” che, nella sinergia tra CAVA e la Galleria Studio Farnese, avrebbe stimolato «un più ampio discorso rispondente a quelle istanze qualitative che già urgono oltre i limiti di un malinteso consumismo»15. Da questa collaborazione, sotto la coordinazione di Maria Di Lella, nacquero sei modelli di piastrelle, di rivestimenti, sei modelli di divisorio e sei sculture, rispettivamente firmate dai sei artisti coinvolti: Sara Campesan, Angelo Colangelo, Attilio Lunardi, Nato Frascà, Antonio Niero e Osvaldo Romberg.

I progetti, alcuni dei quali conservati negli anni presso l’archivio della galleria, erano frutto di scambi e confronti con Maria Di Lella. In occasione dell’inaugurazione erano previsti anche due pannelli di Bruno Munari, come testimonia la lettera di risposta che inviò il 26 febbraio del 1972 alla Di Lella. Lettera che si conclude con un apprezzamento spontaneo di Munari, che si premura che la direttrice della Galleria Studio Farnese stesse continuando la propria attività: «Come sta, cara signora? Spero bene e anche per la sua attività così pionieristica per una città come Roma»16.

Purtroppo, invece, in quello stesso anno la galleria chiuderà per motivi che non sono emersi, nonostante l’interesse ricevuto da architetti, artisti, istituzioni e personaggi del panorama artistico romano. A qualche mese dalla cessazione dalla sua attività, lo Studio Farnese continuava ad attivare vivaci collaborazioni, basti pensare al legame con l’American Academy in Rome, allora diretta da Barlett Hayes, che le chiese in prestito un’opera per la mostra “Dealers Choice”17. Un altro interessante sodalizio fu con Ugo Tognazzi, il quale decise di aprire la propria abitazione di Torvaianica a un’esposizione privata estiva con le opere di Antonio Niero, Sara Campesan, Franco Costalonga e Lorenzo Indrini18. Che “la fine” dello Studio Farnese fosse stata repentina lo testimonia la fiorente adesione di nuovi artisti a cui la galleria Studio Farnese, nel corso dei due anni precedenti al termine della sua avventura, dedicò delle mostre: Giorgio Giusti, in “Opere cinetico-luminose” curata da Giulio Carlo Argan (1971); Pier Virgilio Fogliati a cura di Lara Vinca Masini (1970); Sara Campesan, Franco Costalonga, Attilio Lunardi, Marcello De Filippo e Gino Scarpa nella mostra “Strutture grafico-ambientali” curata da Italo Mussa (1970). Successivamente, dopo un approfondimento dedicato alle opere di Osvaldo Romberg, Federico Brook e Nato Frascà, la storia dello Studio Farnese si concluse con la sua ultima esposizione: “Vivre a l’oblique” di Claude Parent, nel maggio del 1972.

A filo della linea sottile che ha distinto il clima del 1968 e quello del 1970, sono sorte e sono state presentate a Roma le elaborazioni di correnti artistiche emerse quali il minimalismo, l’arte concettuale, l'arte povera e la land art. Esposizioni memorabili che hanno segnato la storia dell’arte quali le personali del 1969 di Kounellis “12 cavalli vivi” e di Merz presso la Galleria L’Attico di Roma; la retrospettiva su Pascali alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e “Vitalità del Negativo 1960-1970” al Palazzo delle Esposizioni19.

Tuttavia, nella stessa città, fino all’exploit della galleria Studio Farnese, la presenza dell’arte cinetica a Roma si può contare sulle dita di una mano. Pertanto, nel clima di quel periodo storico orientato ad accogliere artisti e correnti internazionali, il tentativo messo in atto da Maria Di Lella Alfani, gallerista, donna, nella difficile Roma degli anni ’70, rimane una gemma rara fino a questo momento non annoverata.

* Si ringrazia Federico Alfani per la disponibilità alla consultazione dei documenti inerenti all’archivio dello Studio Farnese, del quale si rimanda al sito https://studiofarnese.com/ per la consultazione di alcuni articoli e contenuti digitalizzati, così come all’indirizzo email studiofarnese@mail.com per maggiori approfondimenti.



NOTE

1 G. C. ARGAN, L’arte moderna, 1770-1970, Sansoni editore 2009, pp. 275-276

2 G. C. ARGAN, Ibidem, p. 282

3 G. C. ARGAN, Ibidem, p. 281

4 G. C. ARGAN, Ibidem, p. 277

5 FRAJESE A., Lettera a Maria Di Lella Alfani, 23 marzo 1961, Roma. Nello scambio epistolare con Attilio Frajese si possono apprezzare le parole di stima del Direttore generale delle Accademie e Biblioteche nei confronti del lavoro svolto di Maria Di Lella: «(…) Vivemente grato per la sua collaborazione e assicurandoLe che sarò lieto di pubblicare i Suoi articoli sulle Biblioteche scolastiche francesi nel prossimo fascicolo di “Accademie e Biblioteche d’Italia (…)»;

6 BERTELLI C., BRIGANTI G., GIULIANO A., Storia dell’arte italiana, Volume IV, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori 2009, p. 570;

7 Statement della galleria per la comunicazione stampa, 1972;

8 DI LELLA M., Lettera A Denise René, 15 marzo 1969;

9 DI LELLA M., Ibidem

10 ARGAN G. C., Nicholas Schöffer, catalogo della mostra, Studio Farnese 1969;

11 AAVV, Una città inabitabile, in “L’Unità”, 25 marzo 1969;

12 MENEGUZZO M., MORTEO E., STAIBENE A., Programmare l’arte, Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, Johan & Levi editore, 2012, p. 21;

13 ORIENTI S., “Xerocopie” e “Flexy” a Roma, ne “Il Popolo”, 12 ottobre 1969;

14 Acronimo di Ceramiche Artistiche Vietri Antico;

15 Estratto dal depliant della Linea Studio Farnese – CAVA (1969): «Il punto di arrivo di una ricerca operativa la C.A.V.A. spa ha voluto iniziare fin dal suo primo Seminario 1968 nel rapporto tra la ceramica e l’architettura. L’iniziativa per un nuovo orientamento culturale nella realtà dell’industria è per la CAVA un impegno a farsi stimolo di un più ampio discorso rispondente a quelle istanze qualitative che già urgono oltre i limiti di un malinteso consumismo. Ad un gruppo di artisti dello Studio Farnese CAVA ha così chiesto forme nuove per il più antico materiale del mondo: sono nate – dal segno originario – una piastrella, un rivestimento, un divisorio, una scultura. I risultati, che la CAVA s.p.s. ha oggi il piacere di presentare, sono frutto di uno sforzo articolato in tre momenti – organizzazione, creazione, produzione – rispettivamente assunti dalla CAVA stessa, dagli artisti dello Studio Farnese che è stato l’agente coordinatore dell’incontro operativo. È rilevante che i prodotti di una operazione così concepita vadano oltre le risposte espressive dei singoli artisti indicando un nuovo rapporto arte-industria, mediato attraverso l’azione di organismi operativi e culturali di nuova caratterizzazione. Al dovere quindi di tutti gli industrialI, artisti, architetti, professionisti, di far sì che la produzione sia espressione autentica delle loro esigenze, è dedicato questo sforzo».

16 MUNARI B., Lettera a Maria Di Lella Alfani, 26 febbraio 1972

17 HAYES BARLETT Lettera a Maria Di Lella Alfani, 21 gennaio 1971

18 TOGNAZZI U., Lettera a Maria Di Lella Alfani, 25 agosto 1971

19 PANCOTTO P., Arte contemporanea: dal Minimalismo alle ultime tendenze, Carocci Editore 2016, p. 47


BIBLIOGRAFIA

ARGAN 2009
Giulio Carlo Argan, L’arte moderna, 1770-1970, Sansoni editore 2009, pp. 275-277, 281, 282

ARGAN 1969
Giulio Carlo Argan, Nicholas Schöffer, Catalogo mostra, Studio Farnese, Roma 1969

BERTELLI, BRIGANTI, GIULIANO 2009
Carlo Bertelli, Giuliano Briganti, Antonio Giuliano, Storia dell’arte italiana, Volume IV, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori 2009, p. 570

DI LELLA 1969
Maria Di Lella, Lettera a Denise René, 15 marzo 1969

FRAJESE 1961
Attilio Frajese, Lettera a Maria Di Lella Alfani, 23 marzo 1961

HAYES 1971
Barlett Hayes, Lettera di Barlett Hayes a Maria Di Lella Alfani, 21 gennaio 1971

MENEGUZZO, MORTEO, SAIBENE 2012
Marco Meneguzzo, Enrico Morteo, Alberto Saibene, Programmare l’arte, Olivetti e le neoavanguardie cinetiche, Johan & Levi editore, 2012, p. 21

MUNARI 1972
Bruno Munari, Lettera di Bruno Munari a Maria Di Lella Alfani, 26 febbraio 1972

PANCOTTO 2016
Pier Paolo Pancotto, Arte contemporanea: dal Minimalismo alle ultime tendenze, Carocci Editore 2016, p. 47

TOGNAZZI 1971
Ugo Tognazzi, Lettera di Ugo Tognazzi a Maria Di Lella Alfani, 25 agosto 1971


DÉPLIANT

  1. Statement della galleria per la comunicazione stampa, 1972

  2. AAVV, Una città inabitabile, in “L’Unità”, 25 marzo 1969

  3. Sandra Orienti, “Xerocopie” e “Flexy” a Roma, ne Il Popolo, 12 ottobre 1969

  4. Estratto dal depliant della Linea Studio Farnese – CAVA (1969): “Il punto di arrivo di una ricerca operativa la C.A.V.A. spa ha voluto iniziare fin dal suo primo Seminario 1968 nel rapporto tra la ceramica e l’architettura. L’iniziativa per un nuovo orientamento culturale nella realtà dell’industria è per la CAVA un impegno a farsi stimolo di un più ampio discorso rispondente a quelle istanze qualitative che già urgono oltre i limiti di un malinteso consumismo. Ad un gruppo di artisti dello Studio Farnese CAVA ha così chiesto forme nuove per il più antico materiale del mondo: sono nate – dal segno originario – una piastrella, un rivestimento, un divisorio, una scultura. I risultati, che la CAVA s.p.s. ha oggi il piacere di presentare, sono frutto di uno sforzo articolato in tre momenti – organizzazione, creazione, produzione – rispettivamente assunti dalla CAVA stessa, dagli artisti dello Studio Farnese che è stato l’agente coordinatore dell’incontro operativo. È rilevante che i prodotti di una operazione cos’ concepita vadano oltre le risposte espressive dei singoli artisti indicando un nuovo rapporto arte-industria, mediato attraverso l’azione di organismi operativi e culturali di nuova caratterizzazione. Al dovere quindi di tutti gli industriale, artisti, architetti,, professionisti, di far sì ce la produzione sia espressione autentica delle loro esigenze, è dedicato questo sforzo”.

    
    
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