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Donne in arte: dalle botteghe dei padri alle prestigiose Accademie artistiche  

Stefania Mesce
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Giugno 2016, n. 811
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Alla mia adorata mamma

 

Quando si parla di storia dell’arte di solito vengono in mente i nomi dei più grandi artisti che con i loro capolavori hanno contribuito ad arricchire il patrimonio artistico mondiale mentre si ignorano quelli delle donne artiste. Però esaminando a fondo la vicenda artistica gli studiosi si sono imbattuti in una storia dell’arte diversa tutta al femminile che non vede più la donna solo come musa ispiratrice ma come protagonista nell’inconsueto ruolo di pittrice. Molte furono infatti le personalità femminili che con coraggio e talento riuscirono a vincere i pregiudizi del tempo guadagnandosi a pieno titolo un posto nella storia dell’arte.

 

Cenni storici sulle prime donne artiste dell’antichità

È già possibile avere qualche informazione sulle prime donne artiste dell’antichità grazie alla Naturalis Historia di Plinio che nel XXXV libro [1] riporta una leggenda secondo cui: «la pittura fu inventata da una ragazza di Corinto che per ricordare le sembianze del suo amato che doveva partire per lontani lidi ne tracciò il ritratto sul muro ricalcandone l’ombra proiettata da una lanterna». In essa Plinio riporta anche un elenco con i nomi di alcune artiste greche come Timarete, Kalypso le cui opere non sono sopravvissute forse perché molte di loro furono solo figure leggendarie [2] . Ma fu soprattutto nell’altomedioevo che la vicenda delle donne artiste prese l’avvio quando la necessità di divulgare la parola divina portò alla fioritura degli scriptoria femminili nei conventi [3] . Qui le monache colte e dotate di capacità grafiche e pittoriche si dedicavano alla decorazione di codici e manoscritti miniati guadagnandosi l’appellativo di artiste. Infatti miniatura, tessitura e ricamo costituivano le cosiddette arti minori unica forma d’arte accessibile alle donne nel medioevo.

 

Una diversa educazione

Invisibili da secoli alle donne nel medioevo era concesso solo un sapere incompiuto e rigidamente controllato. L’educazione femminile si basava su tre insegnamenti fondamentali: la religione intrisa di morale, i rudimenti essenziali – come imparare a leggere, scrivere e fare di conto – e tenere in mano ago e filo. La chiesa considerava l’istruzione femminile come un pericoloso flagello da tenere a distanza mentre tra le famiglie aristocratiche più in vista vigeva l’usanza di mandare le proprie figlie in convento dove avrebbero ricevuto un’adeguata preparazione culturale e artistica che avrebbe loro consentito di condurre una vita dignitosa. Dunque se una donna desiderava possedere un minimo di cultura o ricevere un’adeguata formazione l’unica via che doveva intraprendere era quella religiosa. In convento – come detto pocanzi – queste giovani donne avevano la possibilità di dedicarsi alle arti minori dal momento che alla donna non era concesso: il diritto alla creatività, non le si addiceva tenere in mano pennello e scalpello, non le era consentito studiare matematica e scienza così come non poteva fare apprendistato nella bottega di un artista. In un suo studio Consuelo Lollobrigida [4] parlando proprio della formazione dell’artista riporta le regole d’accesso alla professione formulate dall’Alberti nel De Pictura, che escludevano le donne poiché impossibili da seguire. Secondo questi solo la pittura di historia era in grado di evocare la dignità della storia antica e chiunque intendeva occuparsi di questo genere doveva studiare il corpo umano partendo dai cadaveri passando ai modelli vestiti fino ad arrivare al modello maschile nudo. La formazione era poi completata con una serie di viaggi nei principali centri artistici per conoscere le opere dei rivali e dei maggiori artisti delle generazioni precedenti. Tale percorso però era precluso alle donne sia perché non era decoroso studiare un corpo maschile nudo vivo o morto che fosse sia perché non potevano viaggiare da sole. L’esclusione dalla pittura di historia relegò di conseguenza le donne ai livelli più bassi della professione e fu solo a partire dall’inizio del XVI secolo che emersero i primi fautori dell’istruzione femminile che con i loro principi si opposero a chi riteneva l’educazione femminile allargata inutile.

Uno di questi fu Baldassarre Castigliane che nel suo Libro del Cortigiano introdusse un nuovo modello di cultura femminile che venne a sostituire quello religioso e domestico contribuendo all’emancipazione della donna dalla schiavitù dell’analfabetismo e dell’istruzione minima [5] . Castiglione dedicò anche un intero capitolo alla donna ideale e nel configurare il profilo della perfetta donna di corte ne elencò le principali virtù: serietà, onestà e grazia creando involontariamente anche il modello della donna artista, poiché tali virtù accomunavano tutte le donne artiste che si susseguirono nei secoli [6] . Il pensiero di Castiglione influenzò molti biografi d’arte quali: Vasari, Malvasia, Ridolfi che nelle loro opere cominciarono a trattare anche di donne artiste.

 

Alla scoperta dell’altra metà dell’arte

La prima città in cui si trovano opere documentate di questa pittura al femminile è Bologna che diede i natali ad artiste del calibro di: Caterina de’ Vigri una delle più importanti suore pittrici. Properzia de’ Rossi che formatasi nella bottega di Marcantonio Raimondi [7] acquisì ben presto l’abilità di intagliare le figure sui noccioli di pesca e ciliegia impressionando a tal punto Vasari che le dedicò una biografia d’onore nelle sue celebri Vite [8] . Properzia fu l’unica donna e soprattutto l’unica scultrice che ebbe l'onore di lavorare nel prestigioso cantiere della Basilica di San Petronio a Bologna dove realizzò due formelle dedicate alla castità di Giuseppe e alcune sculture [9] . Il talento di Properzia iniziò presto a disturbare il monopolio artistico maschile attirando le invidie di alcuni colleghi uomini come Amico Aspertini che fece di tutto per screditare la pericolosa rivale [10] . Tentativi che si rivelarono vani visto che Properzia fu molto apprezzata dai committenti.

Altra grande artista bolognese è Lavinia Fontana prima donna in Europa ad avere avuto una carriera alla pari degli artisti uomini suoi contemporanei [11] . Figlia di Prospero Silvio Fontana a lui si deve il merito di averla avviata allo studio delle arti non solo per contribuire con i suoi lavori alle spese di famiglia ma soprattutto per garantire la prosecuzione della sua attività  [12] . Specializzatasi come ritrattista, Lavinia fu molto apprezzata dalle nobildonne Laudomia Gozzantini, Isabella Ruini ma anche da intellettuali ed ecclesiastici come il cardinale Paleotti per il quale realizzò una pala d’altare con l’Assunzione della Vergine nella basilica di San Petronio. All’età di trentadue anni la Fontana ricevette la commessa più importante della sua vita una pala d’altare con l’Assunzione della Vergine con i SS. Cassiano e Pietro Crisologo per la cappella del Palazzo Comunale di Imola [13] . Per la prima volta nella storia dell’Europa cattolica veniva affidata a una donna l’esecuzione di una pala d'altare e nel realizzarla Lavina, oltre ad avvalersi della consulenza paterna, si attenne alle norme morali e sociali stabilite dal Concilio di Trento tenendo presente anche i dettami riportati dal cardinale Paleotti e altri su come dovevano essere rappresentate le immagini sacre [14] . Trasferitasi poi a Roma con la famiglia – dove rimase fino alla morte – Lavinia svolse un'intensa attività realizzando ritratti per cardinali, principi e nobildonne romane anche se i suoi principali committenti furono i Borghese. La carriera e la fama acquisita da Lavinia che la portò a essere nominata accademica di San Luca fu d’esempio per molte artiste che vennero dopo di lei come la conterranea Elisabetta Sirani considerata sua erede artistica.

Coetanea della Fontana è la ravennate Barbara Longhi figlia del pittore manierista Luca Longhi. Caso isolato nella cultura artistica romagnola dalla quale le donne erano automaticamente escluse [15] , sin da piccola Barbara mostrò di possedere un certo talento tanto da essere lodata dal Vasari e dal Manfredi che ne decantarono la precoce predisposizione alle arti [16] . Sebbene la mancanza dei documenti abbia reso difficile ricostruire il percorso artistico di Barbara gli studiosi fanno risalire la sua fase iniziale all’attività svolta nella bottega paterna dove si occupava principalmente di soggetti sacri. Tra le opere giovanili spicca soprattutto la tavoletta in onice del Matrimonio mistico di Santa Caterina realizzata tenendo presente un quadro di soggetto analogo del Correggio [17] .

Spostandoci invece a Cremona incontriamo Sofonisba Anguissola e le sue sorelle che incarnarono alla perfezione il modello della piccola nobiltà i cui orizzonti culturali si allargarono per merito di Baldassarre Castiglione [18] . Tra le sorelle Anguissola colei che si distinse maggiormente fu Sofonisba. Formatasi nelle botteghe di Campi e Gatti, insieme alla sorella Elena, Sofonisba si specializzò nel genere del ritratto che eseguiva con cura e meticolosità aggiungendo ai soggetti elementi e particolari che a suo dire servivano a raccontare qualcosa in più sulla personalità del soggetto ritratto. Grazie alle sue doti artistiche Sofonisba fu in grado di vincere i pregiudizi che vi erano all’epoca sulle donne artiste diventando addirittura la ritrattista ufficiale della corte spagnola di Filippo II. Attiva anche presso le corti italiane degli Este e dei Gonzaga, Sofonisba fu molto apprezzata dal Buonarroti rimasto colpito dalla smorfia di dolore del Fanciullo morso da un granchio, smorfia in seguito ripresa anche dal Caravaggio. Apprezzamenti positivi le provennero anche dal Vasari che sosteneva che i suoi ritratti erano così veri che sembravano respirare [19] . Dopo dieci anni trascorsi presso la corte spagnola e dopo un breve soggiorno in Sicilia, a Paternò, Sofonisba si trasferì a Genova dove il contatto con la bottega del Cambiaso provocò la sua evoluzione stilistica [20] . Giunta all’età di novantadue anni Sofonisba ebbe modo di conoscere il giovane Van Dyck – suo successore alla corte spagnola – che le fece un ritratto accompagnato da una dedica in italiano in cui sosteneva: «di aver imparato più cose da quella anziana signora ormai cieca piuttosto che dagli artisti suoi contemporanei». A metà Cinquecento visse e operò un’altra grande artista la mantovana Diana Scultori. Allieva di Giulio Romano [21] , Diana fu maggiormente attiva a Roma dove realizzò due incisioni che la resero celebre: il Convito di Psiche e Cristo e la donna colta in adulterio. Abile imprenditrice la Scultori riuscì ad ottenere dalla corte pontificia il permesso di firmare e vendere i suoi lavori mantenendo il proprio nome [22] realizzando nell’arco della sua carriera circa sessantadue incisioni che colpiscono per: il disegno perfetto, il tratto nitido e la vivacità dei movimenti. L’arte incisoria infatti richiedeva doti artistiche ma anche abilità e determinazione qualità che Diana possedeva e che la resero famosa tanto da essere citata nelle Vite vasariane. Alla fine del Cinquecento si distinse per il suo talento anche Fede Galizia figlia del celebre miniaturista Nunzio Galizia dal quale apprese i primi rudimenti artistici [23] . Inizialmente Fede si dedicò alla miniatura e all’incisione passando poi alla pittura. Infatti a soli dodici anni cominciò a dipingere da autodidatta prendendo ispirazione dal naturalismo lombardo di Leonardo e Correggio e dal tardo-manierismo emiliano. Il suo talento la portò ad essere citata nelle Rime del Lomazzo [24] che in un sonetto dedicato a padre e figlia disse che nonostante la giovane età si era già guadagnata una propria visibilità. Attiva con il padre presso la corte dei Savoia a Torino, Fede ebbe modo di conoscere Sofonisba Anguissola anche lei attiva nella stessa corte [25] e il cui esempio la incoraggiò a proseguire il mestiere di pittrice. Insieme a Caravaggio e altri, la Galizia fu tra le prime a dipingere esclusivamente nature morte dando conferma di essere un’artista straordinaria, dalla linea sottile e scavata ma al contempo ferma e innovativa. Le sue nature morte hanno un’impostazione seriale con: un piano d’appoggio ravvicinato ˗ quasi sempre frontale ˗ su cui poggiano cesti di frutta o fiori che dominano la scena emergendo da un fondo scuro in un’atmosfera rarefatta e atemporale. Come dice Caroli in una chiave molto moderna la Galizia sembra delegare agli oggetti il compito di rappresentare il suo mondo interiore [26] . Sebbene sia maggiormente nota per le nature morte Fede fu anche autrice di ritratti e opere a soggetto mitologico

Al quanto scarse sono invece le notizie sulle artiste venete – Irene Spilimbergo, Marietta Robusti, Chiara Varotari, Giulia Lama e Elisabetta Lazzarini – attive nella Laguna.

Nel caso di Irene Spilimbergo le principali informazioni ci provengo da Atanagi da Cagli e dal Gamba dai quali veniamo a sapere che Irene era la secondogenita del conte Adriano di Spilimbergo [27] . Educata dal padre la giovane Spilimbergo fu molto apprezzata dai suoi contemporanei – come la regina di Polonia, Bona Sforza [28] – per la sua precoce intelligenza. Appena sedicenne Irene si trasferì a Venezia nella casa del nonno materno Giovanni Paolo da Ponte dove oltre a ricevere la tipica educazione delle nobildonne veneziane [29] si appassionò alla pittura divenendo l’allieva prediletta di Tiziano. Questi la guidò amorevolmente per due anni incoraggiandola e correggendola con severità come fosse suo padre indicandole come modello da seguire Giovanni Bellini che a sua volta era stato suo maestro. Purtroppo la morte prematura a soli diciannove anni pose fine a quella che sarebbe divenuta una brillante carriera.

Di Marietta Robusti, figlia del celebre pittore Jacopo Robusti, ce ne parla il biografo Carlo Ridolfi che le dedicò una breve biografia nelle sue Meraviglie dell’arte [30] . Tramite questi veniamo a sapere che Marietta, meglio nota come la Tintoretta [31] , mostrò fin da subito un precoce talento che aveva ereditato dal padre che le insegnò i principali trucchi del mestiere. Questi infatti concesse a Marietta di entrare nella sua bottega a soli sette anni e per aggirare i divieti imposti alle donne in campo artistico e poterla portare con sé nelle sue committenze in giro per Venezia la costrinse più volte a vestirsi da garzone [32] . Oltre alla pittura Marietta studiò canto e musica poiché suo padre voleva renderla una dama di elevata cultura come lo erano l’Anguissola e la Spilimbergo. Come ritrattista fu molto apprezzata dai nobili veneziani e dalle principali corti europee come quella di Filippo II di Spagna che richiese la sua presenza a corte ma l’amore morboso del padre ostacolò la carriera di Marietta. Questi non solo non le diede il permesso di partire ma la fece sposare frettolosamente con il gioielliere Marco Augusta costringendola a rimanere a Venezia dove morì poco più che trentenne. Per quanto riguarda l’attività pittorica di Marietta gli esperti dubitano sulla paternità di alcune sue opere confusione che deriva sia dalla naturale vicinanza sia dalla partecipazione a esse del celebre padre. Tra le sue opere certe si ricorda il famoso Autoritratto degli Uffizi di Firenze dove la pittrice si è ritratta insieme a uno strumento musicale con l’obiettivo di comunicare allo spettatore la bellezza e la gioia che derivavano da queste due forme di arte che lei amava molto [33] .

Della padovana Chiara Varotari, figlia del pittore e architetto Dario Varotari e sorella del Padovanino, ce ne parlano Ridolfi e Boschini. Dal primo veniamo a sapere che i Varotari erano originari della Germania e che Chiara – come molte sue colleghe – si era formata nella bottega paterna specializzandosi nei ritratti. Mentre nella Carta del navigar pittoresco [34] Boschini riporta che al pari della Sirani che aveva fondato a Bologna una scuola pittorica per sole donne lo stesso aveva fatto la Varotari a Venezia, affermazioni che furono però messe in dubbio dal Lanzi. Sempre dal Ridolfi veniamo a sapere che Chiara non si sposò mai – rifiutando ogni onorevole accostamento – poiché preferì dedicarsi alla pittura e come lei fece in seguito anche Elisabetta Sirani. [35]

Ancora più scarse sono le notizie su Elisabetta Lazzarini sorella del più noto pittore Gregorio Lazzarini. Di lei ce ne parla Ambrogio Levati [36] dal quale veniamo a sapere che spesso Elisabetta veniva ingiustamente accusata di far completare al fratello le sue opere.

Come per la Lazzarini anche nel caso di Giulia Lama gli studiosi hanno incontrato non poche difficoltà nel ricostruire il suo percorso artistico, tuttavia tramite il Pallucchini [37] veniamo a sapere che in gioventù Giulia si era dedicata agli studi matematici e che solo in età matura si avvicinò alla pittura formandosi nella bottega del padre anche lui pittore. Le sue opere non furono molto apprezzate dalla critica poiché ritenute grossolane e difettose [38] , quella di Giulia infatti era una pittura violenta e antiaccademica lontana dagli stereotipi che volevano la donna artista esperta in quadri di fiori, ritratti e soggetti sacri come le Madonne con i Bambini che resero famosa la Sirani. Giulia era una pittrice controcorrente non solo per la scelta dei soggetti o per via della sua maniera ma soprattutto per i suoi metodi di apprendimento poiché fu la prima donna a studiare e disegnare il nudo maschile osservando un modello dal vivo. Tappa necessaria per la formazione di un’artista ma all’epoca ancora preclusa alle donne [39] . 

Grande protagonista del Seicento romano fu invece Artemisia Gentileschi, pittrice di scuola caravaggesca definita da Roberto Longhi come «l’unica donna in Italia che sapeva cosa era la pittura» [40] . Il desiderio di indipendenza, la capacità di affermarsi artisticamente nonostante i pregiudizi del tempo e il coraggio di denunciare la violenza subita hanno fatto di Artemisia il simbolo dell’emancipazione femminile. Figlia di Orazio Gentileschi, Artemisia si formò nella bottega del padre dove imparò a dipingere, a impastare i colori e a dare lucentezza ai quadri. Ad accrescere il suo innato talento contribuì anche lo stimolante ambiente romano che in quegli anni ospitava importanti personalità artistiche. Dopo la violenza subita dal Tassi suo maestro di prospettiva, dopo il processo che si concluse con una lieve condanna e dopo le nozze riparatrici con Pierantonio Stiattesi [41] , Artemisia si trasferì a Firenze dove ebbe modo di riscattarsi. Qui fu ammessa all’Accademia delle Arti e del Disegno fondata da Vasari nel 1562 [42] ; conobbe e divenne amica di Galileo Galilei e di Michelangelo Buonarroti il Giovane e riuscì anche a guadagnarsi la stima e la protezione dei Granduchi di Toscana, Cosimo II de’ Medici e di sua madre Cristina di Lorena. A Firenze, Artemisia cercò di dimenticare gli anni trascorsi a Roma, lo stupro subito e il processo che ne seguì inoltre cambiò il suo cognome da Gentileschi in Lomi vero cognome del padre con il quale non ebbe più contatti [43] . Tuttavia il soggiorno fiorentino fu tormentato dai problemi con i creditori legati alle eccessive spese fatte dai coniugi Stiattesi ed è per questo motivo che nel 1621 Artemisia decise di ritornarsene a Roma e mentre lei rientrava in città suo padre Orazio partiva alla volta di Genova. Malgrado la buona reputazione artistica e i rapporti di amicizia con importanti personalità ˗ come Cassiano dal Pozzo ˗ il soggiorno romano di Artemisia non fu ricco di commesse come aveva sperato, infatti benché fosse apprezzata come ritrattista veniva ancora esclusa dalle grandi commissioni dei cicli pittorici e delle pale d’altare. Spinta dal desiderio di trovare migliori commesse Artemisia si trasferì prima a Venezia e poi a Napoli. In quest’ultima città rimase per tutta la vita esclusa la breve parentesi inglese quando raggiunse il padre a Londra perché richiesta dal re Carlo I Stuart. Dopo tanti anni padre e figlia ritornarono a collaborare di nuovo insieme, collaborazione che fu però interrotta dalla prematura morte di Orazio. Ritornata successivamente a Napoli, Artemisia continuò a lavorare fino alla morte avvenuta nel 1653. Ancora oggi quando si parla di Artemisia vengono subito in mente la violenza subita e il suo ruolo di femminista ante litteram mentre bisognerebbe concentrarsi sul suo valore di artista come fece Roberto Longhi nel saggio Gentileschi padre e figlia (1916). In questo saggio Longhi ha cercato di spostare l’attenzione della critica dalle vicende personali dell’artista alle sue straordinarie doti artistiche attraverso la lettura di uno dei suoi dipinti migliori Giuditta con la sua ancella, oggi a Palazzo Pitti [44] . Di recente un’altra studiosa che ha preso le distanze dalla lettura in chiave strettamente femminista della figura di Artemisia Gentileschi, perché troppo riduttiva, è stata Judith W. Mann.

Come la Gentileschi altra grande artista che visse e si formò nella Roma del Seicento fu Virginia da Vezzo alla quale Consuelo Lollobrigida ha dedicato uno studio. Originaria di Velletri ma cresciuta a Roma, Virginia si formò nella scuola di disegno del pittore francese Simon Vouet [45] che colpito dal suo talento e dalla sua bellezza se ne innamorò e sposò. Le capacità artistiche della da Vezzo la portarono presto a essere nominata accademica di San Luca e stando alla Lollobrigida è molto probabile che la pittrice usò il quadro della Giuditta [46] come tableau d’ingresso nella prestigiosa istituzione romana. Infatti nel 1607 l’Accademia si era dotata di uno statuto volto a ricevere: «le donne insigni nell’arte le quali erano tenute ad offrire all’Accademia un dono della propria arte nonostante fossero ancora escluse dalle sedute» [47] . In Francia, dove si era trasferita insieme a tutta la sua famiglia, Virginia continuò ad ottenere vari riconoscimenti ma la sua reputazione crebbe anche nella natia Velletri tanto da essere menzionata nel Theatro Historico di Velletri dello studioso Bonaventura Theuli. Tuttavia la mancanza di documenti ha reso difficile agli studiosi ricostruire l’attività della da Vezzo alla quale si devono con certezza poche opere come L’Allegoria della pittura [48] o l’Autoritratto. La morte precoce interruppe la brillante carriera di Virginia destinata forse a raggiungere un successo simile a quello di Sofonisba e Artemisia anche loro pittrici di corte. Spostandoci al sud esattamente a Napoli ci si imbatte in Diana de Rosa meglio nota come Annella di Massimo come la ribattezzò il De Dominici nelle sue Vite [49] poiché allieva prediletta del caposcuola napoletano Massimo Stanzione. Anche in questo caso la mancanza di date e di documenti certi ha reso difficile agli studiosi ricostruire la personalità artistica di Diana inoltre alcune opere attribuitele dalla tradizione si sono spesso rivelate prive di fondamento. Le maggiori difficoltà nell’identificare i suoi lavori sono nati dal fatto che la pittrice collaborava attivamente sia alle opere del maestro che a quelle del marito senza mai completarle ed è per tale motivo che oggi Diana è soprattutto nota per essere «una pittrice senza opere certe» [50] . Nel 1969 in un suo saggio Roberto Longhi attribuì ad Annella alcune opere sulla base della sigla ADR intrecciata presente nel margine sinistro del quadro e che lui sciolse come Annella de Rosa. Questa sua affermazione però non fu condivisa da altri studiosi come Raffaello Causa [51] e Ferdinando Bologna secondo i quali si trattava di un apocrifo poiché il vero nome della pittrice era Diana e non Annella, soprannome divenuto noto alla critica solo dopo l’uscita delle Vite del De Dominici. Dunque le uniche opere certe di Diana restano le due tele della Nascita e Morte della Vergine della Pietà  dei Turchini, anche se recentemente Giuseppe Porzio le ha attribuito anche lo Sposalizio della Vergine [52] del museo diocesano di Napoli. Secondo Porzio potrebbe trattarsi di una delle tante opere che Diana aveva eseguito in collaborazione con il marito e ciò giustificherebbe la facies beltranesca che il dipinto promana.

Ritornando nuovamente a Bologna incontriamo Elisabetta Sirani grande protagonista del secolo d’oro della pittura bolognese la cui biografia la troviamo inserita nella Felsina pittrice del Malvasia che la definì: «l’angelo vergine della pittura bolognese che dipingeva meglio di un uomo» [53] . Figlia di Giovanni Andrea Sirani sin da piccola Elisabetta mostrò di possedere un particolare talento e a dodici anni entrata nella bottega paterna apprese le principali tecniche pittoriche. Al Malvasia si deve sia il merito di aver scoperto, plasmato e perpetuato il mito della Sirani modellandolo volutamente su quello di Guido Reni e sia di aver tramandato una dettagliata Nota che la pittrice aveva compilato dei suoi quadri. Attraverso essa è stato possibile ripercorrere anno dopo anno l’attività di Elisabetta già a partire dai diciassette anni quando affrancatasi dall’influenza paterna iniziò a dipingere su commissione dimostrando una straordinaria padronanza tecnica. Apprezzata dai più grandi collezionisti del Seicento fu più volte costretta a dipingere in pubblico per allontanare il sospetto che non fosse lei a dipingere con così tanta bravura [54] . Nel 1662 a causa della malattia del padre [55] Elisabetta assunse la direzione della bottega Sirani dove vi fondò la prima scuola pittorica per sole donne e nella quale si formarono le sorelle della stessa Sirani, Teresa Muratori, Ginevra Cantofoli e le figlie di vari artisti ˗ come Lucrezia Bianchi ˗ che venivano mandate a studiare da Elisabetta anziché essere formate dai rispettivi padri, infrangendo così il tradizionale modello di educazione artistica uomo-donna: da padre a figlia, da fratello a sorella, da marito a moglie. Sempre in quegli anni Elisabetta fu nominata accademica di San Luca e membro della Compagnia de’ Pittori di Bologna. Secondo Adelina Modesti si potrebbe quindi affermare che nel 1663 la Sirani era un’artista professionista poiché insegnava e dirigeva una bottega tutta sua mantenendo con il proprio lavoro non solo la numerosa famiglia ma anche allievi e assistenti. Infatti attraverso Malvasia si viene a sapere che la principale risorsa finanziaria della bottega Sirani proveniva proprio dalla produzione artistica di Elisabetta [56] , anche se i suoi lavori non sempre venivano retribuiti con denaro ma con doni preziosi conservati in un apposito armadietto nello studio della pittrice per essere ammirati dai visitatori. Quanto detto permette di capire perché la Sirani fosse definita dai suoi contemporanei come un “virtuoso” [57] al femminile dotata di genio artistico e inventiva doti ritenute superflue per una donna. Morta prematuramente a causa di un ulcera perforante Elisabetta fu dimenticata per anni per poi essere rivalutata dalla critica a inizio Novecento come accadde a molte sue colleghe. 

Altra artista che fu molto apprezzata dai biografi d’arte è l’ascolana Giovanna Garzoni. Celebre miniaturista Giovanna mostrò fin da subito il suo innato talento realizzando a soli sedici anni le due tele della Sacra Famiglia e il Sant’Andrea molto apprezzate da Palma il Giovane [58] . Attiva in diverse città d’Italia e anche all’estero la Garzoni lavorò per importanti personalità del mondo scientifico e diplomatico e per committenti di alto rango come: il viceré spagnolo il Duca di Alcalà  a Napoli, i Savoia a Torino dove rimase dal 1632 al 1637 e i Medici a Firenze dove rimase dal 1642 al 1651. Per i Medici eseguì copie di opere famose ma anche ritratti e nature morte. Queste ultime erano molto apprezzate dai suoi committenti per la fedeltà con cui riproduceva i prodotti della natura [59] .                                              

La Garzoni trascorse gli ultimi anni di vita a Roma città dove aveva già soggiornato diversi anni prima quando ebbe modo di conoscere Cassiano del Pozzo che la mise in contatto sia con l’Accademia dei Lincei ˗ prima accademia scientifica in Italia ˗ sia con la famiglia Barberini. Morta nel 1670 fu sepolta nella chiesa dei SS. Luca e Martina e in onore di questa grande artista il segretario dell’Accademia di San Luca, Giuseppe Ghezzi le fece costruire un monumento funerario [60] .

Spostandoci a Venezia incontriamo infine Rosalba Carriera l’artista italiana più celebre dell’Europa del Settecento la cui fama di ritrattista non conobbe confini. Formatasi nelle botteghe di Lazzari e Diamantini [61] , Rosalba si specializzò nei ritratti a pastello guadagnandosi i consensi di artisti e committenti [62] tanto da diventare la ritrattista ufficiale dei regnanti europei. Infatti per quasi mezzo secolo le principali corti europee cercarono di accaparrarsi i suoi servigi ma nonostante i frequenti inviti e le generose proposte la Carriera – esclusi i due soggiorni in Francia e in Austria – preferì rimanere a Venezia dove lavorò incessantemente per tutta la vita. Rosalba ebbe anche l’onore e il merito di essere nominata accademica di San Luca, membro dell’Accademia Clementina di Bologna e membro dell’Accademia Reale di Pittura e Scultura in Francia. Colpita da una grave malattia agli occhi che la portò alla completa cecità Rosalba smise di dipingere e questa condizione le fece perdere la ragione come riportano i suoi biografi [63] . Morta nel 1757 fu sepolta nella chiesa dei Santi Vito e Modesto a Venezia.

Come visto molte di queste artiste furono apprezzate in vita per poi essere completamente dimenticate alla loro morte e fu solo alla fine degli anni '80 del Novecento che si riaccese un interesse nei loro confronti grazie alle Guerriglia Girls, un gruppo di donne che denunciarono la penalizzazione e l’assenza delle donne artiste nelle gallerie d’arte, nei musei e nelle collezioni americane. Alla rivalutazione di quella che potremo definire l’altra metà dell’arte contribuirono ben presto molti studiosi – soprattutto donne – che hanno cercato di colmare i vuoti lasciati da chi aveva scritto prima di loro la storia dell’arte. Tra i numerosi studi possiamo citare Properzia de' Rossi: una scultrice a Bologna nell'età di Carlo V di Vera Fortunati e Irene Graziani, Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese di Adelina Modesti, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo di Consuelo Lollobrigida e ancora Invisible women. Forgotten artist of Florence di Jane Fortune ribattezzata “Indiana Jane” poiché ha fatto della rivalutazione dell’arte al femminile la sua missione.







NOTE

[1] S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 206

[2] IBIDEM p. 206

[3] S. Urbini, Sul ruolo della donna incisore nella storia del libro illustrato, pp. 367 – 391 in Donne, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo a cura di Gabriella Zarri, Edizioni di storia e letteratura, Roma, 1996.

[4] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, p. 5

[5] IBIDEM p. 5

[6] IBIDEM p. 7

[7] A. Saffi, Della vita e delle opere di Maria Properzia de’ Rossi. Scultrice bolognese, Bologna, Tipografia della Volpe, 1832, p. 9

[8] G. Vasari, “Properzia de’ Rossi” in Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori, Napoli, prima edizione napoletana con note a cura di Gabriele de Stefano. Francesco Rossi – Romano Editore, 1859, pp. 320 – 322

[9] A. Saffi, Della vita e delle opere di Maria Properzia de’ Rossi. Scultrice bolognese, Bologna, Tipografia della Volpe, 1832, p. 9

[10] G. Vasari, “Properzia de’ Rossi” in Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori, Napoli, prima edizione napoletana con note a cura di Gabriele de Stefano. Francesco Rossi – Romano Editore, 1859, pp. 320 – 322

[11] J. Fortune, Invisible women. Forgotten artist of Florence, Prato, The Florentine Press, 2010,  p. 80

[12] IBIDEM p. 80

[13] Questa commessa le era arrivata grazie alla famiglia del marito Gian Paolo Zappi il cui padre faceva parte del consiglio comunale. Enciclopedia Treccani, “Lavinia Fontana”, a cura di Vera Fortunati, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 48, 1997.

[14] IBIDEM 1997

[15] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, p. 10

[16] M. Manfredi, “Barbara Longhi” in Lettione da lui pubblicamente recitata nella illustre Accademia de Confusi, Bologna, 1575, p. 22

[17] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, p. 10

[18] IBIDEM   p. 8

[19] G. Vasari, “Properzia de’ Rossi” in Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori, Napoli, prima edizione napoletana con note a cura di Gabriele de Stefano. Francesco Rossi – Romano Editore, 1859, p. 322

[20] A. Nicotra, Sofonisba Anguissola dalla Sicilia alla corte dei Savoia in Incontri Sicilia e altrove, Sicilia, 2013, p. 14

[21] C. D’Arco, Diana Scultori Ghisi in Di cinque valenti incisori Mantovani del secolo XVI, e delle stampe da loro operate, Mantova, Tipografia di Ferdinando Elmucci, 1840, p. 28

[22] M. Lota Brown, K. McBride, “Diana Scultori Ghisi” in Women's Roles in the Renaissance, Westport, Greenwood Press, 2005, p. 249

[23] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, p. 11

[24] A. Nicotra, Sofonisba Anguissola dalla Sicilia alla corte dei Savoia in Incontri Sicilia e altrove, Sicilia, 2013, p. 34

[25] IBIDEM p. 36

[26] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, p. 12

[27] B. Gamba, Irene da Spilimbergo Friulana in Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane, Venezia, Tipografia Alvisopoli, 1827, p. 317

[28] D. Atanagi da Cagli, Irene da Spilimbergo in Fiori d'arti e di lettere italiane, Milano, Santo Bravetta, 1839, p. 142

[29] Irene infatti fu educata alle lettere, alla musica e al ricamo come tutte le nobil donne veneziane   B. Gamba, Irene da Spilimbergo Friulana in Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane, Venezia, Tipografia Alvisopoli, 1827, p. 317

[30] C. Ridolfi, Marietta Robusti in Le meraviglie dell’arte, Venezia, Gio Battista Sgava, 1648, p. 259

[31] IBIDEM p. 259

[32] IBIDEM p. 260

[33] J. Fortune, Invisible women. Forgotten artist of Florence, Prato, The Florentine Press, 2010, p. 70

[34] M. Boschini, Chiara Varotari in Carta del navigar pittoresco, Venezia, 1660, pp. 525-526; Si veda anche Biografia universale antica e moderna ossia Storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti. Opera affatto nuova compilata in Francia da una società di dotti ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni, Venezia, Tipografia Molinari, 1830, pp. 105 – 106

[35] Ispirata dalla Varotari, pittrice della quale venne a conoscenza leggendo la sua biografia inserita nelle Meraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi e di cui la biblioteca Sirani possedeva una copia, anche Elisabetta antepose la carriera professionale al desiderio di formarsi una famiglia. A. Modesti, Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese. Prefazione Vera Fortunati e facente parte della collana Donne nell’Arte, Bologna, Editrice Compositori, 2004, p. 53

[36] A. Levati, “Elisabetta Lazzarini” in Dizionario Biografico delle Donne Illustri, volume secondo, Milano, Niccolò Bettoni, 1822, p. 179

[37] R. Pallucchini, Per la conoscenza di Giulia Lama, in Arte veneta, XXIV, Venezia, 1970, pp. 161-172

[38] G. Zarri, “Giulia Elisabetta Lama” in Donne, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1996, p. 376

[39] IBIDEM p. 376

[40] T. Agnati, Artemisia, Roma, 2001, p. 3

[41] “Artemisia Gentileschi” in Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, tomo 1, Pisa, Tipografia Raniero Prosperi, 1792, p. 455

[42] R. Contini, Gianni Papi, Artemisia, Roma, Leonardo de Luca Editori, 1991, p. 13

[43] IBIDEM pp. 14-15

[44] T. Agnati, Artemisia, Roma, 2001, p. 3

[45] C. Lollobrigida, “Virginia da Vezzo” in Donne artiste nella Roma barocca, Roma, 2005, p. 64

[46] IBIDEM p. 64

[47] C. Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012, pp. 10 -11

[48] L’opera oggi a Milano le è stata attribuita dalla Lollobrigida. C. Lollobrigida, “Virginia da Vezzo” in Donne artiste nella Roma barocca, Roma, 2005, p. 66

[49] B. De Dominici, Vita di Diana de Rosa detta Annella di Massimo, pittrice in Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, volume secondo, Napoli, Tipografia Trani, 1843, pp. 97- 98

[50] A. Della Ragione, Diana De Rosa detta Annella di Massimo. Opere certe e nuove ipotesi attributive in Pittori napoletani del Seicento. Aggiornamenti ed inediti Repertorio con 2000 immagini dei pittori napoletani, Napoli, Edizioni Napoli Arte, 2011, p. 17

[51] IBIDEM p. 19

[52] G. Porzio, Ricerche su Gaspare Del Popolo. Con una nota su «Annella» Di Rosa in S. Andrea Avellino e i Teatini nella Napoli del vicereame spagnolo, Napoli, M. D’Auria Editore 2012, p. 600

[53] A. Modesti, Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese. Prefazione Vera Fortunati e facente parte della collana Donne nell’Arte, Bologna, Editrice Compositori, 2004, p. 22

[54] C. C. Malvasia, “Elisabetta Sirani” in Felsina Pittrice, Bologna, 1678, pp. 385 – 411

[55] A. Modesti, Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese. Prefazione Vera Fortunati e facente parte della collana Donne nell’Arte, Bologna, Editrice Compositori, 2004, p. 115

[56] Sempre il Malvasia riporta che Giovanni Andrea Sirani – ancora amministratore economico della bottega – tratteneva tutto il denaro guadagnato dalla figlia infrangendo le regole della Compagnia contrarie allo sfruttamento. IBIDEM p. 116

[57] IBIDEM p. 14

[58] G. Casale, Giovanna Garzoni “Insigne miniatrice” 1600-1670, Milano, Jandi Sapi Editori, 1996, pp. 31-35

[59] IBIDEM p.  23

[60] Ritornata a Roma, Giovanna chiese e ottenne dall’Accademia di San Luca il permesso di costruire una casa accanto all’Accademia con la promessa che l’avrebbe nominata erede dell’edificio e dei suoi beni. G. Cantalamessa Carboni Intorno a Giovanna Garzoni di Ascoli Pittrice del Secolo XVII. Lettera al chiarissimo Raffaele Fogliardi Professore di pittura pp. 307- 316 in Ricerche sulla vita del commentatore Annibal Caro e considerazioni intorno le sue opere, Dai tipi di Luigi Cardi, Ascoli 1858, p. 314

[61] Memorie intorno alla vita di Rosalba Carriera Pittrice veneziana scritte dall’abate N. N. nel 1755, Padova, Angelo Sicca, 1843, p. 9

[62] IBIDEM p. 10

[63] Elogio a Rosalba Carriera, letto da Girolamo Zanetti, in una privata sessione dell’accademia di belle lettere e arti di Padova il 6 dicembre 1781, Milano, Tipografia A. F. Stella, 1818, p. 80





BIBLIOGRAFIA

Agnati 2001

Tiziana Agnati, Artemisia, Roma, 2001.  

 

Artemisia 1792

“Artemisia Gentileschi” in Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, tomo 1, Pisa, Tipografia Raniero Prosperi, 1792, pp. 453 – 465.

 

Atanagi da Cagli 1839

Dionisio Atanagi da Cagli, Irene da Spilimbergo in Fiori d'arti e di lettere italiane, Milano, Santo Bravetta, 1839, pp. 139 – 153.

 

Biografia 1830

Biografia universale antica e moderna ossia Storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti. Opera affatto nuova compilata in Francia da una società di dotti ed ora per la prima volta recata in italiano con aggiunte e correzioni, Venezia, Tipografia Molinari, 1830, pp. 105 – 106.

 

Boschini 1660

Marco Boschini, Chiara Varotari in Carta del navigar pittoresco, Venezia, 1660, p. 526.

 

Cantalamessa Carboni 1858

Giacinto Cantalamessa Carboni Intorno a Giovanna Garzoni di Ascoli Pittrice del Secolo XVII. Lettera al chiarissimo Raffaele Fogliardi Professore di pittura pp. 307- 316 in Ricerche sulla vita del commentatore Annibal Caro e considerazioni intorno le sue opere, Dai tipi di Luigi Cardi, Ascoli 1858.

 

Casale 1996

Gerardo Casale, Giovanna Garzoni “Insigne miniatrice” 1600-1670, Milano, Jandi Sapi Editori, 1996.

 

Contini 1991

Roberto Contini, Gianni Papi, Artemisia, Roma, Leonardo de Luca Editori, 1991.

 

D’Arco 1840

Carlo D’Arco, Diana Scultori Ghisi in Di cinque valenti incisori Mantovani del secolo XVI, e delle stampe da loro operate, Mantova, Tipografia di Ferdinando Elmucci, 1840, pp. 27 – 36.

 

De Dominici 1843

Bernardo De Dominici, Vita di Diana de Rosa detta Annella di Massimo, pittrice in Vite dei pittori, scultori ed architetti napoletani, volume secondo, Napoli, Tipografia Trani, 1843, pp. 96 – 100.

 

Della Ragione 2011

Achille Della Ragione, Diana De Rosa detta Annella di Massimo. Opere certe e nuove ipotesi attributive in Pittori napoletani del Seicento. Aggiornamenti ed inediti Repertorio con 2000 immagini dei pittori napoletani, Napoli, Edizioni Napoli Arte, 2011, pp. 17-19.

 

Elogio 1818

Elogio a Rosalba Carriera, letto da Girolamo Zanetti, in una privata sessione dell’accademia di belle lettere e arti di Padova il 6 dicembre 1781, Milano, Tipografia A. F. Stella, 1818, pp. 80-102.

 

Ferri 1946

Silvio Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, p. 206.

 

Fortune 2010

Jane Fortune, Invisible women. Forgotten artist of Florence, Prato, The Florentine Press, 2010.

 

Gamba 1826

Bartolomeo Gamba, Irene da Spilimbergo Friulana in Alcuni ritratti di donne illustri delle provincie veneziane, Venezia, Tipografia Alvisopoli, 1827, p. 317.

 

Levati 1822

Ambrogio Levati, “Elisabetta Lazzarini” in Dizionario Biografico delle Donne Illustri, volume secondo, Milano, Niccolò Bettoni, 1822, p. 179.

 

Lollobrigida 2005

Consuelo Lollobrigida, “Virginia da Vezzo” in Donne artiste nella Roma barocca, Roma, 2005, pp. 64 – 68.

 

Lollobrigida 2012

Consuelo Lollobrigida, Di mano donnesca, donne artiste dal XVI al XIX secolo, Roma, Editori Andreina & Valneo Budai, 2012.

 

Lota Brown 2005

Meg Lota Brown, Kari Boyd McBride, “Diana Scultori Ghisi” in Women's Roles in the Renaissance, Westport, Greenwood Press, 2005, p. 249.

 

Malvasia 1678

Carlo Cesare Malvasia, “Elisabetta Sirani” in Felsina Pittrice, Bologna, 1678, pp. 385 – 411.

 

Manfredi 1575

Massimo Manfredi, “Barbara Longhi” in Lettione da lui pubblicamente recitata nella illustre Accademia de Confusi, Bologna, 1575, p. 22.

 

Memorie 1843

Memorie intorno alla vita di Rosalba Carriera Pittrice veneziana scritte dall’abate N. N. nel 1755, Padova, Angelo Sicca, 1843, pp. 9 – 23.

 

Modesti 2004

Adelina Modesti, Elisabetta Sirani una virtuosa del Seicento bolognese. Prefazione Vera Fortunati e facente parte della collana Donne nell’Arte, Bologna, Editrice Compositori, 2004.

 

Nicotra 2013

Alfio Nicotra, Sofonisba Anguissola dalla Sicilia alla corte dei Savoia in Incontri Sicilia e altrove, Sicilia, 2013, pp. 10 – 16.

 

Pallucchini 1970

Rodolfo Pallucchini, Per la conoscenza di Giulia Lama, in Arte veneta, XXIV, Venezia, 1970, pp. 161-172.

 

Porzio 2012

Giuseppe Porzio, Ricerche su Gaspare Del Popolo. Con una nota su «Annella» Di Rosa in S. Andrea Avellino e i Teatini nella Napoli del vicereame spagnolo, Napoli, M. D’Auria Editore 2012, pp. 596 – 600.

 

Ridolfi 1648

Carlo Ridolfi, Marietta Robusti in Le meraviglie dell’arte, Venezia, Gio Battista Sgava, 1648, pp. 259 – 260.

 

Saffi 1832

Antonio Saffi, Della vita e delle opere di Maria Properzia de’Rossi. Scultrice bolognese, Bologna, Tipografia della Volpe, 1832.

 

Urbini 1996

Silvia Urbini, Sul ruolo della donna incisore nella storia del libro illustrato, pp. 367 – 391 in Donne, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo a cura di Gabriella Zarri, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1996.

 

Vasari 1859

Giorgio Vasari, “Properzia de’ Rossi” in Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori, Napoli, prima edizione napoletana con note a cura di Gabriele de Stefano. Francesco Rossi – Romano Editore, 1859, pp. 320 - 322.

 

Zarri 1996

Gabriella Zarri, “Giulia Elisabetta Lama” in Donne, disciplina, creanza cristiana dal XV al XVII secolo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1996, pp. 376 – 379.

 

Sitografia

Enciclopedia Treccani, “Lavinia Fontana” di Vera Fortunati in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 48, 1997.










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Fig. 1
Properzia de Rossi, Spilla in oro, diamanti e perle con al centro un nocciolo di ciliegia scolpito con più di cento teste
oro, diamanti, smalti, perle e nocciolo di ciliegia, cm 4,2 x 2,3,
Firenze, Palazzo Pitti, Museo degli argenti.

Fig. 2
Lavinia Fontana, Minerva in atto di abbigliarsi
1613, olio su tela,
Roma, Galleria Borghese.

Fig. 3
Barbara Longhi Ravenna, Matrimonio mistico di santa Caterina
olio su onice, cm 22 x 22,5,
Roma, collezione privata.

Fig. 4
Sofonisba Anguissola, Ritratto di quatto bambini
olio su tela, cm 103 x 102,
collezione della casa Reale di Hannover, Schloss Marienburg, Collezione privata.

Fig. 5
Sofonisba Anguissola, La Madonna dell'Itria
1579, olio su tavola, cm 230 x 162,
Paternò, Chiesa della SS. Annunziata.

Fig. 6
Diana Scultori Ghisi, Convito di Psiche
1575, bulino,
Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.

Fig. 7
Fede Galizia, Natura morta con fruttiera, prugne, fichi e due fiori di gelsomini su un tavolo
olio su tavola, cm 31,5 x 40,
Torino, collezione privata.

Fig. 8
Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura
1638-1639, olio su tela, cm 98,6 x 72,5,
Windsor, Collezione Reale.

Fig. 9
Virginia da Vezzo, Giuditta
olio su tela, cm 87 x 74, 1624-1626,
Nantes, Musée des Beaux-Arts.

Fig. 10
Virginia da Vezzo, Autoritratto o una Musa
olio su rame, cm 30 x 24, 1630-1632,
Francia, Collezione Privata.

Fig. 11
Diana Di Rosa, detta Annella, Sposalizio della Vergine
quarto decennio del secolo XVII,
Napoli, proveniente dal San Giovanni Maggiore e oggi Museo diocesano.

Fig. 12
Elisabetta Sirani, Porzia che si ferisce alla coscia
1664,
Texas, Miles Foundation a Houston.

Fig. 13
Giovanna Garzoni, Caterina d'Austria, duchessa di Savoia
tempera su pergamena, cm 44 x 33, inv. n. 814,
Firenze, Galleria degli Uffizi.

Fig. 14
Giovanna Garzoni, Un fiore, una farfalla ed un insetto
cm 10,2 x 9,2,
Una farfalla
cm 8,2 x 8,5,
dal Libro di miniature e disegni
tempera su pergamena,
Roma, Accademia di San Luca.

Fig. 15
Rosalba Carriera, Ritratto di donna
pastello su carta, cm 54,5 x 44,8,
Milano, collezione privata.


Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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