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Battista Sforza Montefeltro e Piero della Francesca  

Ilaria Vespignani
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 4 Marzo 2016, n. 800
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Scarse sono le notizie su Battista Sforza Montefeltro. L’ultima biografia, breve ma sistematica, risale al 1795, realizzata da Nicola Ratti all’interno del volume Della Famiglia Sforza.

Quel poco che si sa di Battista, frutto più di leggenda che di ricerca storica, è un destino comune a tante “principesse” del Rinascimento italiano. I documenti rivelano il loro ruolo nella conquista e gestione del potere, accanto ai loro mariti. Come afferma la Mazzanti [1] , alle “principesse”, durante le lunghe assenze dei rispettivi mariti, è demandato il compito del buon governo dei popoli. Infatti, su una situazione di pace interna, di corretta amministrazione della giustizia, di una tassazione meno gravosa possibile, di grandi opere edilizie, il principe fonda il mantenimento del potere, mentre la fama della sua forza economica, politica e militare diventa elemento indispensabile di sopravvivenza.

Si cerca di garantire il successo raggiunto con alleanze politiche importanti e un’attenta politica matrimoniale che lega casate da un capo all’altro della penisola. L’intreccio di parentele diventa spesso così stretto da rendere a volte necessarie, come nel caso di Battista e Federico, dispense papali per rimuovere l’ostacolo della consanguineità.

Su questo panorama, si staglia la personalità singolare di Battista Sforza, donna intelligente, colta, atta al governo. Alla grande cultura della contessa va ricollegata la formazione della grandiosa biblioteca del palazzo urbinate, che trova degna collocazione nel salone appositamente costruito per ospitare codici rari e preziosi.

Battista è creatura viva e vivace, con la convinzione che la cultura sia a servizio della vita attiva, posizione nella quale si ritrova una giustificazione della cultura umanistica femminile che perdura nel tempo.

Figlia di Alessandro Sforza e Costanza Varano, nasce a Pesaro nel 1446.

In tenera età, è condotta a Milano presso lo zio Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti, e qui entra a contatto con un circolo di giovani letterati.

Moglie di Federico da Montefeltro dal 1460, sa conciliare la cultura umanistica con la sua condizione di donna del tempo, apprezzata fortemente per le sue virtù e per la capacità di occuparsi con ottimi risultati, durante le assenze del marito, dell’amministrazione dei suoi possedimenti.

Nel 1461 è accolta a Roma dal pontefice Pio II, davanti al quale la contessa recita un’elegante orazione, da cui emerge la sua cultura e in particolare l’insegnamento di Martino Filetico, che nelle Iocundissimae Disputationes riporta la dissertazione di Battista con il fratello Costanzo sulla superiorità della lingua greca rispetto a quella latina.

Le Disputationes danno un ritratto vivo della duchessa, segnato anche dalla presenza di alcuni toni colloquiali e di garbata ironia; si riferiscono poi all’esercizio di funzioni pubbliche e rivelano l’interessamento della duchessa ai preparativi militari. [2]   

Battista è erede di una tradizione al femminile che inizia con la bisnonna Battista Montefeltro, la figlia di lei Elisabetta Malatesti Varano e la nipote Costanza Varano Sforza. Sono donne note in campo letterario e politico che, nonostante l’inferiorità femminile sancita dalle dottrine del tempo, sono parte attiva nella conquista e mantenimento del potere dei mariti. La cultura di queste donne è usata anche politicamente in orazioni rivolte a imperatori o a pontefici, nelle quali rivendicano i diritti della propria casata: a contatto con i maggiori letterati del tempo, sanno utilizzare il latino e il volgare.

Lo studioso Guido Arbizzoni delinea la figura di Costanza da Varano, madre di Battista e Costanzo, morta ventunenne nel 1447. Battista, nella sua breve esistenza, sembra reincarnare la madre, donna straordinariamente colta e letterata, in relazione con illustri umanisti. Costanza era stata in grado di fronteggiare, con iniziative politiche personali, le avversità che avevano colpito la sua famiglia, come quando, ancora sedicenne, pronunciò un’orazione davanti a Francesco Sforza per ottenere la restituzione della signoria al fratello Rodolfo.

Della madre Costanza si avverte la mancanza nell’indipendenza un po’ indisciplinata di Battista, la sua abitudine al comando, dovuta forse al senso di superiorità nei confronti delle altre donne, inferiori per educazione e cultura, o per il fatto di essere sola a prendere decisioni sulla sua vita.

La zia Bianca Maria sarà il modello dell’esistenza di Battista; simile è il carattere e il destino di entrambe: hanno mariti più anziani di loro di cui sono innamorate e da cui sono riamate, sono donne energiche, atte al governo, che affiancano i coniugi, non solo nella scalata al potere, ma anche sui campi di battaglia. Non sono riconducibili a stereotipi, perché troppo colte per l’immagine di donna sposata, reggono lo Stato senza rinunciare alla loro femminilità, non mettono la loro cultura all’esclusivo servizio di Dio e, anche se mogli e madri felici, svolgono attività politiche, culturali, legislative, suscitando l’ammirazione dei contemporanei.

Nicola Ratti nel secondo volume Della famiglia Sforza, nel capitolo relativo a Battista Sforza, afferma “Potrà trovarsi donna più diligente ed attenta nell’amministrazione delle cose domestiche di Battista? Eppure fu lei stessa che si applicò insieme alle buone lettere e con tanto successo. Si dica, ora, che lo studio delle medesime non è per le donne. Noi non pretendiamo già che debba esser questo un punto fisso e indispensabile per la loro educazione. Si applichi ognuno a ciò che è coerente alla sua nascita, alla propria condizione, al sesso e giacché delle donne parliamo, siano le loro principali occupazioni i lavori muliebri, la cura dei figli. Ma se talvolta si fanno ad esse apprendere altre cose ancora che accrescano il numero delle loro qualità ed ornamenti, non sappiamo persuaderci perché abbiano a scegliere quelle che atte sono unicamente ad ammollire i costumi, e non piuttosto le umane lettere che istruiscono e formano la persona.” [3]

Battista inizia a rendersi conto di cosa significhi nel suo mondo essere nata donna; questa nuova consapevolezza fa sì che non ci “fu donna veramente in Pesaro che in lavori di tela, d’ago, d’oro, di seta fosse eccellente ch’ella non la volesse per maestra. Quindi al governo et alla cura famigliare si rivolse tanto che in breve operò sì che nel regimento della casa d’Alessandro pareva che Costanza fosse resuscitata”.

Diventata contessa di Urbino, pretende la stessa abilità dalle “donne ch’ella aveva in casa, che erano con una bellissima disciplina governate et non erano mai lasciate otiose; né solamente voleva che sapessero lavori delicati, ma filare ancora et governar la famiglia, facendole essere al far del pane et del bucato; dicendo loro che se fossero per andar a marito voleva che sapessero tutto quello che al governo della casa era necessario”. Tutto questo “accanto allo studio delle lettere non mai dimenticato”. [4]

Tutti gli autori del tempo scrivono delle nozze di Federico e Battista, delle feste grandiose a Pesaro e a Urbino, in particolare Ser Gaugello de la Pergola ne parla nelle sue opere De vita et morte del 1472 e Il Pellegrino del 1464.

Nel De vita egli narra l’addio di Battista alla sua città natale e la gioia degli urbinati al suo arrivo.

L’arrivo della nuova duchessa nei territori del consorte assume una tipologia che esalta la stirpe della sposa e le virtù che la rendono degna moglie del principe. Legata alla cerimonia cavalleresca dell’investitura, la sposa è accolta da un corteo che, muovendo dai confini del suo nuovo Stato, la accompagna fino alla capitale, mentre tutti sono in festa. 

Ser Gaugello ne Il Pellegrino dedica un capitolo intero alla descrizione delle nozze, soffermandosi sugli addobbi delle sale della residenza del conte di Urbino. Gli ospiti di riguardo sono accolti nelle stanze riscaldate, in strutture confortevoli, ambienti appositamente e provvisoriamente edificati nella piazza davanti all’abitazione del conte.

Il matrimonio è un’occasione importante di incontro di uomini politici che discutono dei loro interessi e della situazione generale. Le lettere dell’oratore milanese e tutte quelle in partenza da Pesaro e da Urbino danno ampie informazioni sugli ospiti d’eccezione, tra i quali si intrecciano fitti colloqui sul difficile momento politico e sui provvedimenti da prendere per la guerra nel regno di Napoli. Le nozze sono comunque un’occasione di festa e allegria, unite ai festeggiamenti per il carnevale. La stessa Battista Sforza viene ricordata da molti biografi per i motti spiritosi che dimostrano la sua notevole arguzia.

Così, nemmeno due mesi dopo le nozze, Battista, già in attesa del primo figlio, rimane a reggere lo Stato durante una delle più lunghe attese del marito, impegnato lontano in una guerra difficile.

Baptista, sposa illustre, deponendo ogni mollicia, come cupida de vera gloria, aiutava cum omne sollecitudine l’andata del marito, fin ad aiutarlo cum le proprie mane armare. Et in questo principio remase al guberno cum tanta prudencia et animo che facea de maraviglia stupire altrui; per il che tutti li suoi populi ne haveano grandissimo conforto”. [5]

Battista dà subito prova di una forza d’animo senza cedimenti, che le consente di svolgere il suo nuovo ruolo, aiutando addirittura il marito ad indossare l’armatura, desiderosa solo di sostenerlo con il conforto della forza del suo carattere.

Quando i mariti sono assenti, spetta alle mogli anche questo compito. Il vescovo Campano riferisce come Battista “si rivolse alla cura dei confini, ricostruendo le rocche, fabbricando magnanimamente e Federico la gloria non mai sì grande avrebbe conseguito se non avesse potuto lasciare a casa questa Padrona di tutto e certamente nata per comandare.” Quella del vescovo è un’orazione funebre letta pubblicamente alla presenza dei potenti d’Italia, a Urbino per commemorare Battista.

La formazione della parte più cospicua della biblioteca di Federico è datata tra gli anni 60 e 70 del XV secolo. Proprio nella seconda fase dei lavori a palazzo, coincidenti con l’età in cui Battista è contessa, viene costruito il salone per ospitare i preziosi codici che il conte fa venire da ogni dove, avvalendosi del libraio fiorentino Vespasiano da Bisticci. Accanto ai grandi volumi di rappresentanza, vi sono anche i piccoli, maneggevoli, fatti per essere letti, trasportati, come i Paradoxa di Cicerone, che Battista tiene sul suo altarino, in camera da letto.

Piero della Francesca dà un’iconografia insolita della contessa, che testimonia come l’interesse per i testi sacri e profani sia uno dei motivi portanti della sua esistenza e come questa cultura umana possa essere il tramite con la cultura divina, tanto che è inimmaginabile anche nell’aldilà che Battista non legga. Federico, seppur non ami i libri stampati, fa stampare l’orazione funebre del vescovo Campano riguardante Battista, perché sia diffusa in tutte le corti, per far conoscere la vita attiva della moglie.

Nell’intensa attività di Federico Veterani risalta un volume miscellaneo che l’autore dedica al suo principe, in cui sono raccolti tutti i componimenti inviati a Federico in occasione della morte dell’amata seconda moglie.

Un volume, anteriore al 1474, ha come sua particolarità la presenza dell’anello sforzesco dipinto, al centro del margine superiore del frontespizio. Questo indizio consente di collegare il libro alla giovane e colta moglie di Federico. Tale anello compare solo in un altro codice urbinate, quello madrileno dei Trionfi di Petrarca: qui ricorre sia all’interno della ricca ornamentazione del frontespizio, sia nella decorazione sovrastante il Trionfo di Amore, e questo secondo particolare può essere un omaggio del duca alla moglie defunta.

Si tratta inoltre di una raccolta di testi metrici e retorici che sembra rispondere alla richiesta che Battista rivolge all’umanista Martino Filetico suo maestro, all’inizio delle Iocundissimae Disputationes. Il testo si apre con la richiesta di Battista di apprendere “la quantità delle sillabe” per apprezzare a pieno i grandi poeti antichi. Battista sapeva leggere e apprezzare queste opere ed è probabile che si sia adoperata per procurarle e farle copiare a Urbino. Buona parte di manoscritti arrivarono a Urbino prima della sua morte e le sue scelte orientarono lo sviluppo della collezione libraria.

Il precoce acquisto di testi grammaticali e retorici suggerisce l’influenza della donna e di Martino Filetico; oltre a quelli più classici e diffusi, ci sono anche autori minori in miscellanee copiate o assemblate a Urbino. In un passo delle Iocundissimae Disputationes, Battista domanda alla sua ancella di portarle i Paradoxa Stoicorum che sta analizzando e il codice che contiene l’opera è stato confezionato a Firenze tra il 1460 e il 1470, quando Battista è a Urbino.

Il De Saturnalibus di Macrobio, citato nelle Iocundissimae Disputationes, è stato prodotto dallo scriptorium urbinate prima della morte di Battista.           

L’alta frequenza nella biblioteca federiciana dei Codici miniati da Francesco Rosselli, con la pagina rosselliana che costruisce fregi metallici o orafi, che somigliano a gioielli, crea un paragone tra i clipei del titolo, cinti da file di perle intercalate a pietre preziose e il collare al collo di Battista nel dittico, così i preziosi castoni e le broche che fermano i capelli della contessa, disseminati nelle pagine urbinati.

La biblioteca dei duchi di Urbino, traslata a Roma nel 1657, è custodita tuttora presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Ben prima del trasferimento definitivo, a cominciare dal sacco del Valentino, nel 1502, la biblioteca subì traslochi e traversie che furono occasione per la dispersione di un numero non irrilevante di libri: la perdita di gran lunga più grave, tuttavia, fu quella del suo ordine originario, ordine in parte recuperabile a cominciare dal cosiddetto Indice vecchio. [6]

Dopo la nascita del tanto atteso erede maschio Guidobaldo nel 1472, Battista si ammala e muore.

Il 17 agosto si tiene la solenne commemorazione, l’orazione del Campano e i Threnos panegyricos di Martino Filetico in onore dell’allieva.

Il Filetico, in una nota marginale ai Threnos panegyricos, dirà che Battista ha lasciato molte lettere, epigrammi molto belli ed una elegantissima traduzione latina dal testo greco dell’orazione di Isocrate a Demonico. Il vanto del Filetico di aver proprio lui guidato l’educazione di Battista, diventerà esplicito quando ricorderà anche l’attività letteraria e l’orazione pronunciata a Roma nel 1461 dinanzi a Pio II “Glorior hanc tecum plures docuisse per annos teque probasse meas, Calliopea, manus; me duce Parnassi studiosa cacumina montis scanderat, et colles Cirrha benigna, tuos; permessi sacro biberat de fonte liquores, Hippocrineas, me duce, novit aquas. Scripserat hinc quaedam teneris, nec fallor, ab annis, docta fuit prosa, carmine docta fuit et potuit rerum dubias conoscere causas: non modo grammaticam novit et historias. Hac orante patres sacri Hupuere senatus, obstupuit praeses maximus ecclesiae.”

La morte di Battista è un evento che permette di misurare il prestigio politico di Federico, in base alle attestazioni di cordoglio e alla vastissima partecipazione alle esequie, sontuose “quanto mai se facessero per alcuno dignissimo principo o principessa”, e consente anche di riconoscere il personale profondo coinvolgimento di Federico sul piano degli affetti. Sulla via del ritorno, dopo l’espugnazione di Volterra, appreso dell’infermità e del pericolo di vita di Battista, accorre a Gubbio appena in tempo per accoglierne le ultime parole e, dopo la morte di lei, dichiara all’ambasciatore dei Gonzaga la sua intenzione di non prendere più moglie.

Le due commemorazioni ufficiali sono affidate al Campano ad Urbino e al Collenuccio a Pesaro, mentre il Codice Urb. Lat. 1193 contiene, oltre a queste, le ulteriori testimonianze di condoglianza di principi e letterati.

Da questi testi nasce la fissazione dei tratti biografici essenziali che andranno a costituire la leggenda di Battista.

Giovanni Antonio Campano più volte dimora a Urbino, sempre accolto da Federico con segni di affetto e stima e a lui tocca, nell’estate del ’72, la mesta incombenza di pronunciare l’elogio funebre sul feretro di Battista Sforza. [7]

L’ambiente dei poeti e dei artisti vive quella perdita con grande partecipazione, i poeti italiani ricambiano l’accoglienza e le attenzioni che Urbino riserva loro.

Giovanni Santi definisce il giorno della morte della duchessa “giorno da bestemmiare”, non riuscendo a sopportare la violenza e l’ingiustizia con la quale la signora è stata portata via. Il cardinale Bessarione, fedele amico e spirito guida di Federico, coglie perfettamente il dolore del duca.

Molti altri scrivono poemi, lettere, carmi, discorsi: Federico Veterani raccoglie tutto in un volume di più di 110 fogli; Porcelio Pandoni, devoto a Battista, sublima il dolore e la dedizione narrando del dolce legame d’amore che ha unito Battista a Federico. [8] In tutte queste opere sono descritte le virtù di Battista che rendono così grave il lutto e le motivazioni consolatorie.

La profonda unione di Federico e Battista, durata dodici anni, dalla quale nascono otto figlie e un erede maschio, è sottolineata anche dal posto d’onore che Federico le concede nel dittico di Piero della Francesca, che immortala i due coniugi e che è considerabile un omaggio postumo all’adorata moglie. Post mortem sono anche la maggior parte delle raffigurazioni di Battista.

Il celebre dittico mostra i due conti di profilo. La rappresentazione dignitosa e monumentale della contessa, riccamente abbigliata e ornata da gioielli, è caratterizzata dall’espressione di profonda calma e assoluta pace.

Sul retro ci sono i due carri trionfali dei coniugi: Battista è raffigurata mentre è intenta a leggere e l’iscrizione sotto il trionfo la celebra come “Colei che mantenne la moderazione nelle circostanze favorevoli vola su tutte le bocche degli uomini adorna della lode delle gesta del grande marito”. Le figure allegoriche sembrerebbero indicare le virtù dei ritrattati.

Piero della Francesca trae ispirazione dal busto della contessa realizzato da Francesco Laurana, ora al Bargello. Il busto deriva da una maschera funebre di Battista, al Louvre, modellata sul calco preso alla sua morte.

La scultura di Laurana è idealizzata e priva di drammaticità; la geometria e la nitidezza delle forme donano al ritratto un forte senso di solidità e di armonia.

I pittori e gli scultori legati a Battista non sono da meno: Domenico Rosselli ne scolpisce il busto con una tale immediatezza d’impressioni da far sembrare vivo e palpitante quel marmo; Piero della Francesca, colpito nel profondo,  riversa in un dittico con i ritratti dei due coniugi tutta l’ammirazione e il rispetto che ha per Battista.

Piero dipinge il retto e il verso di due piccole tavole, perché Federico possa sempre averle vicine a sé: sul retto ci sono i ritratti dei duchi e Battista ha il lato sinistro di chi guarda, il lato d’onore.

Piero non ha mai dipinto la contessa da viva: lavora al ritratto del dittico, confidando inoltre sull’esempio di un bassorilievo, che il giovane Francesco di Giorgio Martini ha scolpito qualche tempo prima, e sul ricordo e sulle emozioni che la giovane gli ha trasmesso.

L’osservazione di Eugenio Battisti che il ritratto di Piero, come quello di Laurana, si basa su una maschera funeraria del soggetto, è corretta, e si potrebbe perciò datare il dittico degli Uffizi a dopo il 1472. Il confronto del dipinto di Piero con il busto di Laurana è decisivo.

Se la versione di Laurana precede cronologicamente il ritratto di Piero, allora è ragionevole supporre che il pittore tenga presente la scultura per la sua versione di Battista. Alcune specifiche osservazioni di carattere stilistico potrebbero indurre a ritenere che Piero abbia tratto ispirazione proprio da Laurana. [9]

Dal punto di vista estetico, il ritratto di Piero incarna stilizzazioni tipiche del suo linguaggio, come la forma della fronte, degli occhi e del collo, volutamente impiegate per assicurare una rappresentazione dignitosa e monumentale della contessa, caratterizzata dall’espressione di profonda calma e assoluta pace. Una tale immagine comunicava pienamente, secondo la sensibilità del tempo, la dignità spirituale della persona. La scultura di Battista Sforza di Laurana riesce a illustrare con successo lo stesso complesso di valori.

Inoltre ho avanzato l’ipotesi che, tra le varie rappresentazioni post mortem della contessa, omaggi di Federico da Montefeltro alla memoria della consorte, ci possa essere anche la Natività di Piero della Francesca dove, nelle vesti di Maria, può celarsi Battista e, nei personaggi che la circondano, suoi familiari e membri della corte urbinate.

Nella Natività, Battista Sforza è individuabile nelle sembianze di Maria, per il volto, che ricorda molto il dittico di Piero della Francesca, il busto di Laurana e il ritratto giovanile nel Trittico Sforza, e per il vezzo della contessa di ornarsi di perle e pietre preziose.

Mi baso anche sulle testimonianze storiche circa le caratteristiche fisiche di Battista, quali risultano tra gli altri, dal De Baptista di Sabadino degli Arienti, Historia de’ fatti di Federico di Montefeltro Duca d’Urbino di Gerolamo Muzio, Feltria di Porcelio Pandoni. Dell’atteggiamento regale del volto e di tutto il corpo, della dignità solenne, parla Pandolfo Collenuccio nel Codice urbinate latino 1193. Il poeta Porcelio Pandoni nel Feltria descrive i capelli biondi dono di Venere “crine venus flavo et forma decoravit et ore”.

Nei personaggi che circondano la Madonna, identifico, nei volti dei pastori, Luca Pacioli e Piero della Francesca, alle spalle dei quali si scorge una veduta di Sansepolcro, luogo natio di entrambi.

Nel pastore sulla destra ravviso, attraverso le somiglianze fisionomiche, il frate francescano e noto matematico Luca Pacioli, secondo Pier Gabriele Molari, precettore di Guidobaldo, figlio di Battista. Il Molari evince ciò dall’inventario dei beni più pregiati dell’eredità di Vittoria della Rovere, dove si dice che il quadro di Jacopo de’ Barbari, Ritratto di Luca Pacioli, raffigura i precettori di Guidobaldo, Luca Pacioli e Piero della Francesca.

Il frate matematico Luca Pacioli, introdotto a Urbino da Piero della Francesca, dedica la Summa de aritmetica geometria proportioni et proportionalità a Guidobaldo, figlio di Battista e Federico.

Negli angeli, ipotizzo di individuare alcuni figli della coppia, alla luce del confronto iconografico con gli angeli della Pala di Brera, che Molari [10] identifica con alcuni figli di Federico e Battista, riferendosi alla testimonianza del manoscritto urbinate latino 1204, nel quale i figli dei conti sono elencati in base alla rilevanza che avevano a corte.

Giuseppe, con lo sguardo rivolto fuori dalla scena, a contemplare un paesaggio individuabile come quello di Montecopiolo, dove sorgeva anticamente il castello dei Montefeltro, sembra alludere a Federico.

Il Bambino non è tenuto tra le braccia della donna, ma giace a terra, a significare l'impossibilità per lei di sostenere il tanto atteso erede maschio Guidobaldo, perché deceduta pochi mesi dopo la sua nascita, in seguito alle complicanze del parto, nel 1472. 

Il dipinto è pertanto un tributo a Battista, morta prematuramente dopo la nascita del figlio, sventura di cui è presagio la gazza che si trova sul tetto della capanna.






NOTE

[1]               La professoressa Marinella Bonvini Mazzanti nel 2009 pubblica la monografia su Battista Sforza con il titolo Battista Sforza Montefeltro una “principessa” nel Rinascimento italiano.

[2]       FILETICO 1992, pp. 13-14

[3]       RATTI 1795, p. 132

[4]       MUZIO 1605, p. 355

[5]       BONVINI MAZZANTI 2009, p. 76

[6]       PERUZZI 2004, p. 11

[7]       FRANCESCHINI 1959, p. 125

[8]       Porcelio Pandoni, devoto a Battista, sublima il dolore e la dedizione narrando del dolce legame d'amore che ha unito Battista a Federico. In tutte queste opere sono descritte le virtù di Battista che rendono così grave il lutto e le motivazioni consolatorie.

[9]       DAMIANAKI 2008, p. 130

[10]      MOLARI 2009, p. 9






BIBLIOGRAFIA

 

BONVINI MAZZANTI 2009

Marinella BONVINI MAZZANTI, Battista Sforza Montefeltro una “principessa” nel Rinascimento italiano, Urbino, Edizioni Quattroventi, 2009

 

DAMIANAKI 2008

Chrysa DAMIANAKI, I busti femminili di Francesco Laurana, Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2008

 

FILETICO 1992

Martino FILETICO, Iocundissimae Disputationes, Introduzione, traduzione e testo critico di Guido Arbizzoni, Modena, Panini, 1992

 

FRANCESCHINI 1959

Gino FRANCESCHINI, Figure del Rinascimento urbinate, Urbino, Steu, 1959

 

MOLARI 2009

Pier Gabriele MOLARI, La soluzione dell’enigma di Piero della Francesca, Bologna, 2009. File PDF

 

MUZIO 1605

Gerolamo MUZIO, Historia de' fatti di Federico di Montefeltro Duca d'Urbino, Venezia, Ciotti, 1605

 

PERUZZI 2004

Marcella PERUZZI, Cultura potere immagine: la biblioteca di Federico da Montefeltro, Urbino, Accademia Raffaello, 2004

 

RATTI 1795

Nicola RATTI, Battista Sforza Contessa di Urbino, in Della Famiglia Sforza, Modena, Stamperia Salomoni, 1795, pp. 125-145

 







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Fig. 1
Piero della Francesca, Doppio ritratto dei duchi di Urbino
1465-72, olio su tavola, 47 x 66 cm
Firenze, Galleria degli Uffizi

Fig. 2
Piero della Francesca, Trionfo di Battista
1465-72, olio su tavola, 47 x 33 cm
Firenze, Galleria degli Uffizi

Fig. 3
Francesco di Giorgio Martini, Battista Sforza
1475-99, bassorilievo, 39 x 31 cm
Urbino, Galleria Nazionale delle Marche

Fig. 4
Domenico Rosselli, Battista Sforza
1472-73, bassorilievo, 45 x 39 cm
Pesaro, Musei Civici

Fig. 5
Francesco Laurana, Battista Sforza
1472-75, marmo, 49 x 54 cm
Firenze, Museo Nazionale del Bargello

Fig. 6
Artista umbro, Battista Sforza
fine XV sec, terracotta, 34,5 x 24 cm
Parigi, Museo del Louvre

Fig. 7
Rogier Van Der Weyden (bottega), Trittico Sforza
(particolare), 1457-60, dipinto su tavola, 53,7 x 44,8 cm
Bruxelles, Musees Royaux des Beaux-Arts de Belgique

Fig. 8
Piero della Francesca, Natività
1470-75, olio su tavola, 124,4 x 122,6
Londra, National Gallery

Fig. 9
Jacopo de' Barbari, Ritratto di Luca Pacioli
(particolare), 1495, olio su tavola, 99 x 120
Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte

Fig. 10
Piero della Francesca, Sacra conversazione con la Madonna col bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro
(particolare), 1472, tempera e olio su tavola, 248 x 170 cm
Milano Pinacoteca di Brera

Fig. 11
Veduta di Montecopiolo

Fig. 12
Veduta di Sansepolcro

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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