bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
La xilografia di Polifilo davanti alle tre porte dell'Hypnerotomachia Poliphili Hypnerotomachia Poliphili, scheda della xilografia n. 37

Federica Pagliarini
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Settembre 2015, n. 786
http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00786.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Libri

Celebremente cum extrema laetitia et maximo solatio dunque terminata questa iocundissima festa, tutti se poseno ad sedere. Et quivi factomi levare, et dinanti la veneranda Sede della sua Diva maiestate feci profunda riverentia, et decentemente genuflectendome, cusì mi dixe. Poliphile horamai poni in oblivio gli praeteriti et occorsi casi, et d’indi gli fastidiosi concepti, et il transacto discrime, imperoché io son certa, che al praesente pienamente sei restaurato. Dunque volendo tu nelle amorose fiamme di Polia intrepido prosequire, convenevole cosa arbitro, che per questa recuperatione vadi ad tre porte, ove habita l’alta Regina Telosia, nel quale loco sopra di ciascuna di quelle porte, el suo titulo et indice annotato et inscripto vederai, accuratamente legilo, ma ad la opportunitate del tuo guberno et munimine, io ti darò di tante mie facete et herile pedisseque due, le quale exercite illo tutissimo conducerano, et individue commiterano, cum laeto animo perciò va et cum foelice successo. Et incontanente cum regia largitate educto uno annulo aureo dill’annulare digito, cum una petra Anchite, tolli questo dicendo, et teco in memoria della mia amicabile munificentia laeto il portarai. Ad questa exhortatione et pretioso dono, io quasi Amphasiatico divenuto, non sapea per certo cosa alcuna aequivalente che dire, né regratiare. Ma ella benignamente avidutase matronalmente, et cum una genuina praestantia, et cum gravitate maiestale, ad due praeclare et insigne puelle, se voltoe, al suo Imperiale throno propinque assistrice, ad una che al dextro lato sedeva imperitante dixe.

Logistica sarai tu altra che andarai cum il nostro hospite Poliphilo. Et cum sancto religioso et venerabile acto, se voltoe poscia ad lato sinistro dicendo. Thelemia et tu parimente andarai una cum esso, et ambe due datigli ad intendere et chiara notitia in quale porta el debi lui ristare.

[…] Et cusì cum honesti et approbatissimi parlamenti, festivissimamente ad uno lepidissimo fiume pervenissimo. Sopra le rive del quale, vidi uno gratioso Plataneto, oltra gli altri verdissimi arbusculi, et aquatici germini optimamente dispositi, et situati, cum intercalate lothi. Ove traiectava uno lapideo et superbo ponte di tre archi, cum gli capiti alle ripe sopra gli firmatissimi subici, cum le pille dagli dui fronti carinate, ad continere la structura firmissima, et cum nobilissime sponde. In le quale nel mediano repando del substituto cuneo del arco, de qui et de lì, perpolitamente, excitata promineva una porphyritica quadratura fastigiata, continente una cataglyphia scalptura di hieraglyphi. Nella dextra al nostro transito, vidi una matrona d’uno serpente instrophiolata, solum cum una nate sedente, et cum l’altra gamba in acto de levarse, cum la mano dilla sua sessione, uno paro di ale, et nel altro del levarse una testudine teniva. Obvio era uno circulo, il centro dil quale dui spirituli tenendo, cum gli pectioli terga vertendo alla circunferentia.

Logistica etiam quivi me dixe. Poliphile, questi hieraglyphi io so che tu non l’intendi. Ma fano molto al proposito, a cui tende alle tre porte. Et però in monumento delli transeunti opportunissime sono collocati. El circulo dice. Medium tenuere beati.

L’altro. Velocitatem sedendo, tarditatem tempera surgendo. Hora nella mente tua discussamente rumina.

El quale ponte poscia era cum moderato prono, dimostrante la solerte disquisitione, et l’arte et lo ingegno del perspicacissimo artifice et inventore, collaudava in esso la aeterna soliditate, la quale non è cognita dagli caecucienti moderni, et pseudoarchitecti, sencia litteratura, mensura et arte, fucando, et di picture, et di liniamenti operiendo exta per omni modo il fabricato inconcinno et difforme. Il quale era tuto di marmoro Hymetio venustissimo.

Havendo nui el ponte transacto, ambulavamo sotto per le fresche umbre, di vario garrito di avicule suavemente celebrate. Ad uno saxoso et cotico loco, ove gli excelsi et ardui monti se attollevano, pervenissimo. Et d’indi poscia contiguo ad una abrupta et invia, et salebrosa montagna, tuta derosa et piena di hernia scabricie. Alta fino nel aere, appendice fina delumbata, et nuda de omni virentia, et monti adryi circunquaque. Et quivi erano interscalpte le tre randuscule porte, rudemente excavate

nel vivo saxo, opera antiquaria, et oltra il credere veterrima in magna asperugine di sito. Sopra qualunque delle quale, di charactere Ionico, Romano, Hebraeo, et Arabo, vidi el titulo che la Diva Regina Eleuterilyda haveami praedicto et pronosticato, che io ritroverei. La porta dextra havea sculpta questa parola. THEODOXIA. Sopra della sinistra questo dicto. COSMODOXIA. Et la tertia havea notato cusì. EROTOTROPHOS.

Da poscia che nui quivi applicassimo immediate, le Damigelle comite incominciorono ad interpretare disertamente, et elucidare gli notandi tituli, et pulsando alle resonante valve dextere occluse, di metallo, di verdaceo rubigine infecte, sencia dimorare furon aperte. Et ecco che ad nui, una donna grandaeva se praesentoe, di aspecto coelibe, la quale fora di una craticea casuncula cum fumido tecto et parieti fumigati per la pusilla porta egressa (La quale sopra sé havea notato PYLURANIA) veniva cum pudico matronato, in solitario loco collocata la sua aedicula, et in una opaca rupe et cariosa di nudo et friabile saxo, lacera, squallida, macilenta, povera, cum gli ochii ad terra defixi, Theude il suo nome. Et seco havea sei contubernale et individue vernule ministrante,

assai deiectamente vestite et obese. Delle quale una nominavasi Parthenia. La seconda Edosia, et una Hypocolinia. La quarta Pinotidia. Et ad presso egli era Tapinosa, la ultima Ptochina. La quale veneranda matrona cum il dextro brachio nudo, l’alto Olympo monstrava.

Habitava all’ingresso di una strata scrupea, di progresso difficile, di spini et sente impedita. Il loco apparendo scabroso et dispiacevole, cum il coelo pluvio et turbato, et cum nubila caligine infuscata, et arctissimo calle.

Diqué Logistica animadvertendo, che io al primo intuito tale cosa abhorriva, quasi moesta dixemi. Poliphile, questo calle si non all’ultimo si cognosce. Et cusì questa veneranda et sancta donna Thelemia argutula praesto mi dixe. O Poliphile, per te hora non è l’amore di tale laboriosa foemina. Io ad Thelemia accortamente anuendo, d’indi fora venissimo. Et rachiusa la porta, pulsarono alla sinistra Et ecco che ad nui, una donna grandaeva se praesentoe, di aspecto coelibe, la quale fora di una craticea casuncula cum fumido tecto et parieti fumigati per la pusilla porta egressa (La quale sopra sé havea notato PYLURANIA) veniva cum pudico matronato, in solitario loco collocata la sua aedicula, et in una opaca rupe et cariosa di nudo et friabile saxo, lacera, squallida, macilenta, povera, cum gli ochii ad terra defixi, Theude il suo nome. Et seco havea sei contubernale et individue vernule ministrante, assai deiectamente vestite et obese. Delle quale una nominavasi Parthenia. La seconda Edosia, et una Hypocolinia. La quarta Pinotidia. Et ad presso egli era Tapinosa, la ultima Ptochina. La quale veneranda matrona cum il dextro brachio nudo, l’alto Olympo monstrava. Habitava all’ingresso di una strata scrupea, di progresso difficile, di spini et sente impedita. Il loco apparendo scabroso et dispiacevole, cum il coelo pluvio et turbato, et cum nubila caligine infuscata, et arctissimo calle.

Diqué Logistica animadvertendo, che io al primo intuito tale cosa abhorriva, quasi moesta dixemi. Poliphile, questo calle si non all’ultimo si cognosce. Et cusì questa veneranda et sancta donna Thelemia argutula praesto mi dixe. O Poliphile, per te hora non è l’amore di tale laboriosa foemina. Io ad Thelemia accortamente anuendo, d’indi fora venissimo. Et rachiusa la porta, pulsarono alla sinistra Ecco sencia praestolatione fue patefacta, et intromessi, se fece ad nui una Matrona chrysaora cum gli ochii atroci et nell’aspecto prompta, vibrante cum la levata sua spatha in mano et praelucente. In medio della quale, una corolla d’oro, et uno ramo di palmula intraversato suspesa pendeva, cum brachii Herculei et da fatica, cum acto magnanimo, cum il ventre tenue, bucca picola, humeri robusti, nel volto cum demonstratione di non terrirse di qualunqua factione ardua et difficile, ma di feroce et giganteo animo. Et il suo nominativo era Eucleia, et di Sene nobile giovenette et obsequiose venerabilmente comitata. Il nome della prima Merimnasia, della secunda, Epitide. Dell’altra, Ergasilea. La quarta era chiamata, Anectea. Et Statia nominavasi la quinta. La ultima era vocata Olistea. Il loco et sito mi parea essere molto laborioso.

Per questo avidutasi Logistica prompta incomincioe cum Dorio modo, et tono di cantare tolta la lyra di mano di Thelemia, et sonando suavemente a dire. O Poliphile non ti rencresca in questo loco virilmente agonizare. Perché sublata et ammota la fatica, rimane il bene. Tanto fue vehemente il suo canto, che già consentiva cum queste adolescentule cohabitare, quantunque lo habituato di fatica apparisse, subito Thelemia politula et blandivola, et cum dolce sembiante mi dixe. Cosa ragionevola ad me pare, che ante che quivi Poliphiletto mio oculissimo te affermi, debbi per omni modo et la tertia porta videre. Consentiendo io fora et di quest'altra egressi, et pesulate le aenee valve, Thelemia percosse la tertia et mediana porta, et rimoto lo obice, senza dilatione fue aperto. Et intromessi obvia se fece ad nui una insigne Dona, il nome della quale era Philtronia.

Cum risguardi petulci et inconstanti, l’aspecto quam iocundissimo suo, al primo intuito al suo amore me violentoe et traxime. Inquilina di uno loco voluptuoso, di helvelle virente l’area et di fiori vestita abundante di solacio et piacevole Ocio, manante cum scatebre di limpidissimi fonti et rivuli, cum sonora scaturigine discursivi, ad maxima voluptate irriguo, Campi aprici, et le umbre degli fogliosi arbori sugelide et fresche.

Seco similmente et essa havendo sei herile formosissime fanciulle aequaeve et in guardatura lepidissime, cum praegratissima lauticie et amorosi ornamenti, falerate, di ambitiosa bellecia decore, delle quale l’appellatione della prima era Rastonelia, l’altra nominavase Chortasina, la tertia Idonesa, et la quarta era chiamata Tryphelea. Et dicta era la quinta Etiania. l’ultima Adia.

Queste tale et cusì facte praesentie, ad gli intenti ochii mei summamente grate se praestorono et delectevole. Per questo la sincera Logistica praestamente cum moeste voce vedentime disponere et già abruptamente deflexo all’amore di essa in servile modo addicto dixe.

O Poliphile fucosa et simulata bellecia di costei è mendace, insipida et insulsa, imperoché si le sue spalle discussamente mirare le volesti nauseabondo comprenderesti forsa quanta indecentia subiace, et quanto aspernabile sono, et di fetulento stomachose et abhominabile, eminente sopra una alta congerie di sorde.

Diciò che perpete et evanida fuge, et la voluptate passa, et il pudore cum penitudine, cum isperance vane, cum brevissima alacritate, cum pianti perpetui, et anxii sospiri la erumnabile vita superstite, rimane. O di miseria adulterata dolcecia in sé continente tanta amaritudine, quale il melle in Cholco dalle fronde stillante. O morte deterrima et soza come induta sei di veneno dolce, cum quanti discrimini et mortali periculi, et solicitudine da gli caeci amanti, inconsulta et praecipitamente quaesita. Praesente et dinante ad gli ochii tu li stai et miselli non te vedeno, o di quanti dolori et amara poena et cruciamento gerula sei, o pravo impio, et execrabile appetito, o insania detestabile, o defraudati sensi, per voi cusì lubricamente, cum il medesimo piacere belluo, et gli miseri mortali ruinano. O sordido amore. O absordissimo furore. O disordinata et inane Cupidine, di tanti errori et tormenti ad gli pertacti cori nidulabonda lacescente. O di multiplice bene malvagio et exitiale interito. O immane monstro, come agevola et subdola gli ochii degli infoelici amatori tui, veli et nubili ? O tristi et sciagurati chi se inviscida cum tanti mali, in tanto poco, et venefico piacere, et in fincto bene praessati.

Queste et consimigliante parole cum vehementia agitata, et nella fronte cum insurgente ruge indignabonda Logistica dicendo, proiecta la lyra ad terra la rumpete, diqué, Thelemia impigra et di tale suasione inperterita fecemi nuto ridibonda che ad Logistica non attendese. Per la quale cosa Logistica cognita la mia iniqua proclinatione succensa de disdegno, voltate le spalle, sospirosa, properamente cursitabonda, uscite fora.

Et io restai cum la mia victrice et chara Thelemia, la quale blandiente hilara mi dixe. Questo è quel loco Poliphile, ove non sarà dilatione di tempo, che tu trovarai senza fallo la più amata cosa da te, che è tua, ch’è cosa del mundo, della quale il tuo obstinato core senza intermissione pensa et opta. Diqué tra me scrupulosamente discursitando, solamente io trovai, che altro nel mio misello core, si non la mia Elioida Polia è impresso cogitabile et desideratissimo. Per queste solatiose et praegratissime et dive parolette laetificato presi extremo confortamento.

Avidutasi dunque Thelemia che ad me tale Matrona cum le sue, et il loco et conditione era di piacere et contento, et la benignitate sua, columbinulamente basciantime et strictamente amplexantime, da me chiedete licentia et cummeato.

Dunque con grande letizia e gioia è terminata questa bellissima festa e tutti si siedono. Quindi mi fece alzare e davanti la sua grande maestosità, dimostrai profonda reverenza e genuflettendomi mi disse: «Polifilo, ormai stai dimenticando le cose passate, i pensieri cattivi e i rischi fastidiosi, perché sono certa che adesso sei pronto per il presente. Dunque, volendo proseguire verso l’ardente amore per Polia, credo ti convenga andare alle tre porte, dove abita la regina Telosia, nel cui luogo, sopra ognuna delle porte, vedrai un titolo scritto; leggilo accuratamente, ma all’opportunità, per guida, io ti darò due delle mie fanciulle, che esperte, ti porteranno nel luogo senza pericolo, compagne inseparabili. Và quindi con tranquillità verso un successo sicuro. Con regalità la regina si tolse dall’anulare un anello con una pietra anancite e disse: «Porta con te questo, in ricordo della mia generosità». A questa esortazione e dopo aver ricevuto il prezioso dono, io non sapevo cosa dire, né ringraziare. Ma la regina con gentilezza e con benevolenza, con sovranità si rivolse a due bellissime fanciulle che assistevano al suo trono. A quella di destra comandò: «Logistica sarai tu che andrai con il nostro ospite Polifilo. E con un atto venerabile e religioso, si voltò al lato sinistro dicendo: «Telemia, anche tu andrai con Polifilo e sia tu che Logistica gli farete capire in quale porta sarà meglio entrare».

[…] E così, con queste maestose parole, giungemmo ad un limpidissimo fiume, sopra le rive del quale, vidi un grazioso bosco di platani, oltre ad altri verdissimi alberi e piante acquatiche disposte graziosamente insieme a fiori di loto. Sopra passava un superbo ponte di marmo a tre archi, le cui estremità finivano su saldi sostegni alle rive e i pilastri a forma di carena su tutti e due i lati, sostenevano la struttura. Sulle sue nobili sponde, sopra l’arcata mediana e in corrispondenza alla chiave di volta, da una parte e dall’altra, si vedevano due edicole quadrate riccamente decorate, con geroglifici scolpiti in rilievo. Alla nostra destra era scolpita una matrona con una corona serpentiforme, seduta su uno sgabello solo con una natica e con l’altra gamba in atto di alzarsi. Dalla parte dove era seduta, teneva un paio d’ali con la mano, dall’altra, dove stava per alzarsi, una tartaruga. Dalla parte opposta, c’era un tondo, dove erano scolpiti due genietti uno di fronte all’altro, mentre davano le spalle alla circonferenza. Logistica qui mi disse: «So che tu non capisci questi geroglifici, ma capito a proposito di chi si trova sulla via delle tre porte e per questo sono collocati come ammonimento per chi passa. Il tondo significa: FELICE CHI HA SEGUITO LA VIA DI MEZZO, l’altro: SEDENDO MODERA LA VELOCITÀ, ALZANDOTI LA LENTEZZA. Ora rifletti attentamente».

Il ponte aveva una leggera pendenza e questo dimostrava la sagace ricerca, l’arte e l’ingegno dell’intelligentissimo costruttore, di cui si esaltava la solidità imperitura, del tutto ignota ai moderni architetti, ciechi, letterati, ignoranti d’arte e misure: anche quando decorano di pitture e ricoprono di modanature l’edificio questo resta disamornico e senza grazia. Il nostro ponte invece era bellissimo e di marmo dell’Imetto. Oltrepassato il ponte, si camminava sotto le ombre, che risuonavano del più vario e soave cinguettio degli uccelli. Arrivammo in un luogo arido e sassoso, dove si vedevano monti altissimi e inaccessibili: accanto, c’era una montagna a precipizio, impervia e dirupata, corrosa e scabra, con molti crepacci. Svettava fino in cielo, scoscesa e senza piante sulle pendici e intorno c’erano montagne brulle: sopra vi erano scolpite tre porte senza ornamenti, scavate rozzamente nella pietra, opera antica di un’antichità inimmaginabile in un luogo di asprezza estrema. Su ognuna, in caratteri greci, latini, ebraici e arabi, vidi l’iscrizione che la divina regina Eleuterillide mi aveva predetto, pronosticandomi che l’avrei trovata. La porta a destra aveva scolpite queste parole: GLORIA DI DIO; su quella di sinistra c’era questa frase: GLORIA DEL MONDO; e la terza aveva questa frase: MADRE D’AMORE. Dopo esserci avvicinati, le damigelle che mi accompagnavano iniziarono subito a interpretare e illustrare con chiarezza quelle mirabili iscrizioni. Bussammo ai chiusi, risonanti battenti della porta destra, di un metallo macchiato di ruggine verde: furono aperti senza paura. Ci si presentò una vecchia, eremita d’aspetto, che ci venne incontro con pudico e matronale portamento uscendo dalla porta sulla quale era scritto PORTA DEL CIELO di una casa di canne, dal tetto e dalle pareti annerite di fumo. La casetta si trovava in un luogo deserto, sotto una rupe nuda, di pietra corrosa. La vecchia era squallida, misera, e con gli occhi fissava a terra: il suo nome era Teude. Con lei stavano sei compagne, tutte giovani e al suo servizio, vestite poveramente. I loro nomi erano: Partenia, Edosia, Ipocolinia, Pinotidia, Tapinosa e Ptochina. La veneranda matrona indicava con il braccio destro verso il cielo. Abitava all’imbocco di una strada sassosa, difficile da percorrere, piena di rovi e pruni: il luogo sembrava scabroso e per nulla piacevole, i cielo faceva cader giù pioggia, un sentiero stretto nella nebbia fosca. A questo punto Logistica, rendendosi conto che rifiutavo uno spettacolo del genere, con mestizia mi disse: «Polifilo, questo sentiero lo si può conoscere solo alla fine» e anche Telemia con arguzia mi disse: «O Polifilo, non è questo il momento di innamorarti di una donna così triste». Feci un cenno d’intesa con Telemia, uscimmo fuori dalla porta; bussarono a quella di sinistra e si aprì subito. Entrammo e ci vennero incontro una matrona dagli occhi cattivi e dall’aspetto austero: impugnava e agitava, alzandola in alto una spada dorata, sulla cui metà pendeva sospesa una corona d’oro attraversata da un ramo di palma. Con un atteggiamento magnanimo, aveva braccia possenti, fianchi stretti, bocca piccola, spalle robuste, il volto mostrava di non temere nessuna impresa ardua e difficile: aveva l’animo tracotante dei giganti. Il suo nome era Eucleia ed era accompagnata con venerazione da sei nobili giovani: i loro nomi erano Merimnasia, Epitide, Ergasilea, Anactea, Stazia e l’ultima Olistea. Il luogo e la situazione mi sembravano molto impegnativi. Accortasi di questo, Logistica cominciò a cantare in modo dorio e presa la lira dalle mani di Telemia, sunando soavemente diceva: «Oh Polifilo, non ti rincresca combattere virilmente in questo luogo perché, finita e passata la fatica, rimane il bene». Il suo canto fu così veemente, che già cominciavo ad unirmi a queste fanciulle nonostante il loro aspetto sembrasse molto provato. Allora Telemia, con garbo e aspetto soave disse: «Mi pare una cosa giusta, Polifiletto mio amatissimo, che prima di fermarti qui, tu debba vedere anche la terza porta». Acconsentii e, usciti fuori da questa porta, chiusisi i battenti di bronzo, Telemia bussò a quella di mezzo, la terza che, rimossa la spranga, si aprì subito. Entrammo e ci venne incontro una nobile donna il cui nome era Filtronia: con occhiate lascive e sfuggenti, l’aspetto di un’estrema avvenenza, mi costrinse ad amarla subito.

Viveva in un luogo di voluttà, dal sulo verde di erbette e rivestito di fiori, pieno di fronzoli e di piacevole ozio, dove sgorgavano limpidissime fonti e ruscelli mormoranti che scorrevano ad irrigare con delizia campi solatii e alberi frondosi dalle fresche, refrigeranti ombre. Anche lei aveva con sé sei servitrici, fanciulle graziose tutte della stessa età, dagli sguardi seducenti, che sfoggiavano frange e collane dagli ornamenti sontuosi. Si chiamavano Rastonelia, Cortasina, Idonesa, Trifelea, Etiania e l’ultima Adia. Tali presenze, vennero sommamente gradite e dilettose ai mie occhi sgranati. L’onesta Logistica, vedendomi ben disposto e già irragionevolmente incline ad assoggettarmi alla schiavitù del suo amore, con meste parole si affrettò a dire: «Oh Polifilo, la bellezza di costei è falsa e ingannevole, mendace, insipida e insulsa, perché se tu volessi esaminarla attentamente da dietro, como renderesti nauseato quanta indecenza si nasconde e quanto sia ripugnante, stomacosa e abominevole per la puzza che supera il più alto mucchio di zozzeria. Fra le cose che incessantemente fuggono e svaniscono, anche voluttà e pudore passano e resta solo un’esistenza misera, fatta di pene, di speranze vane, dell’estasi di un attimo, di pianti continui e sospiri affannosi. O dolcezza affatturata dalle miserie, piena di tanta amarezza quanto il miele stilante dalle fronde della Colchide ! O sporca morte, la peggiore di tutte, come ti sei rivestita di dolci veleni, con quali rischi, mortali pericoli e affanni sei sconsideratamente e precipitosamente cercata dai ciechi amanti ! Tu stai ossessivamente davanti i loro occhi e i poveretti non ti vedono. O portatrice di innumerevoli dolori, amare pene e tormenti! O abietto, empio, esecrabile appetito, detestabile follia, o ingannati sensi, per voi i miseri mortali rovinano assieme allo stesso ingannevole e bestiale piacere! O sordido amore, o sordissimo furore, o disordinata e vana passione, che susciti tanti errori e tormenti annientandoti nei cuori straziati, o malvagio, esiziale annientamento di ogni bene, o immane mostro, con quale subdola facilità veli e offuschi gli occhi dei tuoi infelici amanti ! O tristi e sciagurati coloro che si invischiano in sì tanti mali in una così effimera, venefica voluttà, oppressi da un bene menzognero !». Dette queste parole, Logistica, piena di sdegno, con la fronte corrugata, con tanta passione gettò a terra la lira e la infranse. Al che Telemia, imperterrita davanti a un tale discorso, ridendo mi fece prontamente cenno di non dare retta a Logistica, che, accortasi della mia brutta inclinazione, piena di sdegno, voltate le spalle, sospirando, uscì fuori correndo precipitosamente. Io rimasi con la mia cara e vittoriosa Telemia, che, disse felicemente: «Questo è il luogo Polifilo dove non passerà tempo che tu troverai senz'altro la cosa da te più amata, che è tua, la sola cosa al mondo pensata e desiderata senza interruzione dal tuo cuore ostinato». A ciò mi misi a rimuginare tra me e me pensando attentamente e trovai soltanto che nessun altro pensiero e desiderio così forte era impresso nel mio misero cuore se non quello del mio sole: Polia. Quelle sue divine parole, piacevoli e graditissime, mi allietarono e ne trassi estremo conforto. Telemia si accorse che la benevolenza di quella matrona e delle sue ancelle, come la condizione del luogo, mi davano gioia e piacere: allora, dopo avermi baciato, tenera come una colomba mi abbracciò strettamente e, chiesta licenza, si accomiatò.























































































FONTI ICONOGRAFICHE:

La xilografia rappresenta Polifilo davanti a tre porte insieme a due donne che lo accompagnano. La scena è abbastanza intuitiva, ossia mette Polifilo nella condizione di scegliere in quale porta entrare.

Molto probabilmente il motivo ispiratore della scena è l'episodio di Ercole al bivio. È un'allegoria dell'eroe presentato seduto o ai piedi di un albero, tra due figure femminili che rappresentano il Vizio e la Virtù. Come trasposizione iconografica la si comincia a vedere solo nel Rinascimento e in età barocca, in antico era molto rara, essendo preferite le scene delle fatiche, molto più note. La via della Virtù era formata da un sentiero angusto e roccioso, invece la via del Vizio conduce a soavi pascoli.

Una rappresentazione antecedente la xilografia dell'Hypnerotomachia, la si trova in un quadro di Niccolò Soggi, che rappresenta appunto la scena di Ercole al bivio (fig. 1). Dell'opera non si conosce con certezza la data di composizione, ma è databile alla fine del XV secolo.


Fig. 1

Fig. 1 Niccolò Soggi, Ercole al bivio, inizio XVI secolo, Berlin, Bode Museum


La cosa che accomuna entrambe le rappresentazioni è sicuramente la tematica del bivio, della scelta. Entrambi si trovano davanti a una scelta da fare: Ercole di fronte appunto ad un bivio e Polifilo di fronte a tre porte. Nell'Hypnerotomachia Polifilo, dopo aver assistito a un regale banchetto e a delle sontuose danze nella dimora della regina Eleuteryllide, viene esortato dalla stessa a riconquistare la sua amata Polia e l'unico modo per farlo è quello di andare dove si trovano le Tre Porte dove dimora la regina Telosia. Come guida, la regina gli mise accanto due fanciulle, ossia Logistica e Telemia. Dopo aver attraversato un ponte e aver visto due lastre dai temi molto interessanti, Polifilo viene a conoscenza delle tre porte, ognuna delle quali reca rispettivamente tre scritte sulla sommità. Le tre scritte sono mostrate in lingue differenti, non solo latino e greco, ma anche ebraico ed arabo. Un simile interesse, lo si può cogliere, molto probabilmente, nel ritrovamento durante i lavori di ristrutturazione della Basilica di S. Croce in Gerusalemme di un legno (che è stato attribuito al legno delle vera croce) che recava appunto una scritta trilingue, greca, latina ed ebrea. Dato che questa scoperta avvenne nel 1492, è possibile che Francesco Colonna ne sia venuto a conoscenza ed abbia introdotto quest'uso di più lingue nelle sue xilografie. Tornando alla storia, Logistica cerca di convincerlo a scegliere una delle due laterali, ossia o la vita contemplativa (Gloria Dei) o la vita attiva (Gloria mundi) e cerca di distoglierlo dall'andare nel regno della Voluptas. Polifilo invece preferisce proprio quest'ultimo e scatena l'ira di Logistica che va via infuriata.

Nel quadro di Niccolò Soggi, nonostante non abbiamo la rappresentazione di tre porte, abbiamo sempre una scena che impone una scelta al protagonista. Ercole, infatti, come racconta il mito, si troverà di fronte alla condizione di scegliere tra la via del Vizio per quella della Virtù. Nel quadro si vede Ercole con la pelle del leone Nemeo fiancheggiato dalle personificazioni del Vizio e della Virtù e si può notare come da una parte ci sia un sentiero tortuoso, arido e sassoso, simbolo della via della Virtù e dalla parte opposta una via molto più amena e idilliaca, senza strade strette e accidentate.

Un'altra rappresentazione contemporanea alla xilografia dell'Hypnerotomachia, la si trova in un desco da nozze di Girolamo di Giovanni Di Benvenuto (fig. 2), che rappresenta appunto la scena di Ercole al Bivio (1500 circa). Rispetto all'opera precedente, questa presenta uno stile più classico, vicino quasi allo stile del Mantegna e rappresenta un Ercole molto esile che viene tenuto per braccio, da una parte e dall'altra dalle due personificazioni del Vizio e della Virtù. In questo caso il Vizio è vestita di bianco e sfoggia una posa avvenente. Da notare inoltre che Ercole non ha con sé nessun segno di riconoscimento, nemmeno la clava o la pelle del leone Nemeo che aveva precedentemente ucciso nelle sue dodici fatiche; ma il soggetto è chiaramente intuibile dalla rappresentazione delle due strade, quella rocciosa e irta della Virtù e quella soave e beata del Vizio, dove si vedono anche delle persone che fanno il bagno dentro un piccolo laghetto. (un altro elemento simbolico che può presentarsi in questo tipo di soggetto). Anche in questo caso, la cosa che avvicina maggiormente il quadro con la xilografia è la tematica della scelta. Ercole poi, sceglierà la via della Virtù, al contrario del Polifilo che si lascerà sedurre dalla voluptas venerea, scatenando l'ira di Logistica.


Fig. 2

Fig. 2 Girolamo Di Giovanni Di Benvenuto, Ercole al bivio, 1500 circa, desco da nozze, Galleria Franchetti, Ca' d'Oro, Venezia


Un ultimo riferimento lo si può fare con l'Ercole al bivio di Annibale Carracci (fig.3). Il quadro è datato 1596, quindi quasi un secolo dopo la pubblicazione dell'Hypnerotomachia, ma sicuramente è uno dei dipinti più belli rappresentanti questo soggetto. Faceva parte di una serie di dipinti che Annibale Caracci realizzò per il cardinale Odoardo Farnese, all'interno del suo “Camerino” (dopo realizzerà i dipinti della volta del Palazzo dello stesso cardinale). Erano dei dipinti che avevano come tematiche l'esaltazione della Virtù attraverso le imprese di alcuni eroi della mitologia greca.

Il quadro oggi si trova a Napoli nel Museo di Capodimonte e l'Ercole è rappresentato seduto e non in piedi, con l'attributo della clava, fiancheggiato dal Vizio, qui con abiti trasparenti e quindi quasi nuda e dalla Virtù. Il Vizio è accompagnata dai due simboli della maschera e del tamburello, entrambi due elementi che possono essere raffigurati in questo tipo di mito.


Fig. 3

Fig. 3 Annibale Carracci, Ercole al bivio, 1596, Museo di Capodimonte, Napoli


FONTI TESTUALI:

Amorosa visione di Boccaccio:

Una storia simile a quella narrata nel Polifilo, la si trova nell'Amorosa visione del Boccaccio. Il protagonista, è stato colpito dalla frecce d'amore di Cupido per Fiammetta, la donna amata (come Polia per Polifilo), si addormenta e sogna di andare errando per luoghi deserti, quando incontra una donna che lo invita ad entrare in un castello che ha due porte: quella più piccola e stretta conduce alla virtù, quella più larga, promette ricchezza e gloria mondana. Il protagonista si lascia convincere da due giovinetti ad entrare nella porta più grande, quindi quella delle glorie terrene. La attraversa e dentro vi trova delle pareti affrescate con i trionfi della “Sapienza”, della “Gloria”, degli “Avari” e dell'”Amore”, della “Fortuna” e di una donna gentile. La storia naturalmente continua, ma questo è il passo che più ci interessa, ossi il sogno che il protagonista fa, come Polifilo, e la scelta che deve fare davanti a delle porte (in questo caso due invece che tre), ma anche qui viene scelta la porta delle cose terrene e non quella più vicina alle glorie intellettuali o spirituali. Sicuramente può essere stato spunto per la realizzazione della xilografia. Infatti anche la datazione è vistosamente antecedente alla pubblicazione del Poliphilo, più di un secolo prima, ossia nel 1342-43; e dato che Francesco Colonna romano signore di Palestrina era un intellettuale molto colto doveva conoscere l'opera.


Cypria: antico poema classico che faceva parte del “Ciclo troiano” composto probabilmente alla fine del VII secolo a.C. Raccontava in versi tutta la storia della guerra di Troia. Il poema si componeva di undici libri scritti in esametri dattilici.

Sicuramente il poema è posteriore all'Iliade di Omero, da cui l'autore anonimo dell'opera ha attinto. Può essere visto come un'introduzione dell'Iliade.

All'interno si parla anche del Giudizio di Paride. Nonostante l'episodio non abbia un preciso riferimento alle porte o a delle vie, Paride ha davanti a sé una scelta da fare, che è quella di assegnare la somma bellezza a una delle tre dee tra Afrodite, Era e Minerva. Queste tre incarnano tre diversi tipi di esistenza: l'onore incarnato dalla dea Minerva, la vita attiva incarnata da Era e la voluptas incarnata da Afrodite. Paride come è noto, eleggerà come dea più bella Afrodite e sceglie quindi di conseguenza la via della voluttà dell'amore, come fa lo stesso Polifilo nell'Hypnerotomachia.






BIBLIOGRAFIA

ARIANI 2006
Ariani M., Gabriele M., (a cura di),
Hypnerotomachia Poliphili, Milano, 2006.

BELPONER 2003
Belponer M.,
Il mondo degli eroi. Epica antica e medievale, Milano, 2003.

HALL 2010
Hall J.,
Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte, Varese, 2010.

LUPERINI 2004
Luperini R., Cataldi P., Marchiani L., Tinacci V. (a cura di),
La scrittura e l'interpretazione. Gli autori italiani, il canone europeo, la scrittura delle donne, gli intrecci interculturali e tematici, Milano, 2004.

POZZI 1980
Pozzi G., Ciapponi L., (a cura di ),
Hypnerotomachia Poliphili, Padova, 1980.







PDF

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali


BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it