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Il coro ligneo della Chiesa prenestina dei Carmelitani  

Paola Torniai
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Novembre 2014, n. 741
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La Chiesa di S. Antonio del Carmine, legata prima alla famiglia Colonna poi ai Barberini, è un’interessante emergenza artistico-architettonica della città di Praeneste, anche per il pregevole fondo librario dell’annessa Biblioteca Fantoniana, sebbene sia poco nota ai più1. L’edificio ecclesiastico dal geometrico nitore si erge al lato della Chiesa di S. Andrea, oggi sconsacrata.

L'esterno è opera di Francesco Contini, disegnatore dell’entourage di Cassiano dal Pozzo, Architectus Principis Praefecti al servizio di Taddeo Barberini e, in seguito, del figlio Maffeo. Il fronte della facciata guarda in direzione del vicino ingresso al grandioso Tempio della Fortuna, prossimo alle due terrazze intermedie di via del Borgo – le rampe inferiori del Santuario - e la sottostante Basilica forense “intramuranea”2. Sulla facciata in alto campeggia l’elefantino che sorregge l’albero, ”arme” del Priore Generale dell’Ordine, il prenestino Sebastiano Fantoni seniore. Precisa il carmelitano Antonio Pennazzi, membro del Collegio Barberiniano ed autore di opere dedicate all’Ordine (tra le quali una Cronaca del 1688, particolarmente prodiga di informazioni sulla fabbrica), che il “Convento nuovo” sorge «nel cuore di Preneste, nella regione appellata di San Biagio nell’angolo occ.le e del Borgo all’angolo d’oriente». Si tratta di un’area dall’alto valore archeologico, confermato dallo scavo diretto da Filippo Demma nel 2004, durante il quale è stato rinvenuto un ninfeo “a grotta” (collegato agli altri già scoperti) e si è studiato il sacrario dedicato dal console L. Quinzio Flaminino nel 192 a.C. alla città di Praeneste3.

Successivamente il sito muta più volte destinazione d’uso. In un’incisione firmata da Luigi Rossini nel 1826 in alto a destra è rappresentato l’Ospedale alle Terrazze di Borgo, gestito dalla Compagnia della Frusta, o Compagnia di S.Andrea a Borgo, sorto sulle sostruzioni della Sinagoga. Esistente già nel Medioevo, l’edificio è aperto al culto fino al decreto di Pio V del 1569 che ne stabilisce la demolizione assieme all’attiguo Ghetto, da cui il nome dello Spregato attribuito popolarmente all’intera zona, laddove nel 1620 i locali (donati per lascito testamentario nel 1594 alla Compagnia da Annibale Maulo) accolgono la nuova sede dell’Ospedale4. La Chiesa, già edificata da Stefano Colonna quando nel 1467 i Carmelitani subentrano ai Romiti del Monte Carmelo, è ricostruita «su questo suo nativo aprico sasso» col favore di Francesco Colonna dal Fantoni, «unico Padre di questa Casa e splendore di questa Città», tra il 1614 e il 1623, assieme al Convento e al giardino, «povero Orto rustico,decline à scoglio, senz’acqua, cinto da mura ruinose»5. A riguardo così si esprime Antonio Pennazzi:


«Ridusse il Padre Fantone il detto Giardino all’essere di una delizia di molta stima […] Per renderlo vago il gran vecchio e riporlo in piano fece fondare sul sasso, et anco su le macere di vecchie anticaglie, Archi immensi del mezzo del medemo Orto fino à Lati delle fratti più bassi, e da quella parte fece sublimare muri à forma come di bastioni, quali coperse poscia di tavoloni di piperino e coperse anco il medemo recinto di molte calle di marmo; fece quindi riempire tutto quello spazioso vano di terra portata e riporre in piano; e l’anno 1621 […] fece al di fuori del Chiostro, in faccia la Cantina vecchia, fondare una grande Cisterna […] eresse tre nobili fontane con sue conche ò piscidi di marmo, tutte messe le facciate à smalto di tartaro e conchiglie, che chiamano […] la vena di detta Cisterna. Adornò il Giardino suo infine con vaghi spargimenti di spaliere e d’un grosso Colonnato per le Pergole, e d’innumerevoli vasi di Agrumi e di fiori, i quali si disponevano per maggior vaghezza e fragranza su’bracci stessi della Scalinata del Giardino; fece inarborare molti Cipressi»6.

Nei pressi del giardino sono anche «la Stalla et il Granaro nuovo, quella capace di dodeci Cavalli, questo di 100 rubbie di grano»; al di sotto della stalla si trova una cantina con raffinati lacerti pavimentali in opus alexandrinum del II - I secolo a.C., ancora oggi visibili7.

Ristrutturato da Orazio Torriani su commissione del Fantoni – lo ricorda l’epigrafe in controfacciata8 - l’edificio, arricchito con marmi preziosi (africano, alabastro a venature nere, bigi, bianchi, pavonazzetti) provenienti in maggioranza dal Foro, è consacrato il I settembre del 1626 da monsignor Cacucci, vescovo di Efeso, per disposizione del vescovo cardinale Domenico Ginnasi. Torriani (1601-1657) è altresì «l'Architetto di Sua Maestà Cattolica in Roma», incaricato da Carlo Barberini dell’allestimento del catafalco in onore di Filippo III di Spagna e nel 1625 di un “talamo” per la processione del Rosario in S. Maria sopra Minerva9, circostanza che conferma ancora una volta i fitti rapporti che legano la famiglia Barberini e il Convento nuovo in Palestrina. La fabbrica presenta una sola ampia, luminosa navata coperta da una volta a botte lunettata con unghie sulle finestre, culminante nel presbiterio, in origine recitato da «balaustri mischij, preziosi», e un fastoso altare maggiore dal quale proviene il dipinto su rame della Madonna del Carmine in trono, già «nel mezzo della facciata con sue Cornici e Cherubini à gli angoli di Bronzo indorato», attualmente nella sacrestia e sostituito nel 1570 da una copia su tavola di buona fattura.



«Risguarda verso l’Occidente l’Altare maggiore; verso mezzo giorno sono distribuiti gli altari di San Sebastiano, di Sant’Alberto e del Crocifisso; e verso settentrione sono posti quelli di San Nicolò, di Sant’Antonio e della Madonna di Trapani. Ricevesi il lume in detta Chiesa per otto gran finestre, per 4 cioè da settentrione et per 4 da austro; e sopra la Porta maggiore, rivolta ad Oriente, porgesi altro lume assai grande dal finestrone; tutte queste finestre sono quadre con sue vetrate, e tellai di ferro»10.



Le cappelle sono tre per lato non comunicanti tra loro, l’ingresso scandito da un arco a tutto sesto. Oggi la terza cappella di sinistra dall’ingresso è dedicata alla Confraternita dello Scapolare, l’istituzione legata a San Simone Stock, come ricorda la tela nella cappella inizialmente riservata al culto di San Nicola di Bari, San Biagio vescovo martire e San Guarino, vescovo di Palestrina. Sul lato opposto, la cappella di destra accanto all’entrata è attualmente adibita a battistero. Le intitolazioni delle cappelle e i soggetti iconografici dei dipinti e delle sculture rimandano alla storia dell’Ordine. Sono rappresentate Il passaggio della Regola, redatta tra il 1206 e il 1214 e approvata nel 1226; Sant’Alberto, il patriarca di Gerusalemme, e San Brocardo, Generale dell’Ordine; la consegna da parte della Vergine dello Scapolare del Carmelo a San Simone Stock che, Generale nel 1245, avvicina i Carmelitani ai Frati mendicanti. Di particolare pregio la cappella prima intitolata a San Sebastiano che « fù fabbricata in Roma dal sig.Nicolò Menghini scarpellino […] tutta di marmi fini, con Colonne di pietra bellissime»11; sempre all’Ordine si riferiscono i depositi in marmi commisti di Fantoni seniore e del vescovo ausiliare di Velletri, il carmelitano Antonio Marinari, effigiati in busti e siti ai lati del presbiterio.

Seguono la “Sagristia” che « misura di quadro palmi 30», abbellita dall’«Armario co suoi Canterani e Ginocchiatori,tutto scornicciato di noce, fatto da frate Giovanni Antonio Salvalaglio laico, figlio del Convento»12, ultimato nel 1665 allorché il Segretariato dell’Ordine Padre Sebastiano Fantoni junior visita nel Dicembre il Convento e il Coro, pregevole opera in noce intagliato «di longo palmi 25»13.

Nel corso della compulsazione dei documenti pressoché inediti conservati nell’Archivio della Chiesa prenestina di Sant’Antonio non è stato possibile reperire l’Esito dal 1616 sino al 1628, strumento elettivo per addivenire alla determinazione della corretta cronologia del manufatto; già Pennazzi aveva rilevato la perdita di vari libri contabili risalenti all’epoca fantoniana.

Tuttavia, la presenza nel Coro dello stemma del Priore Generale Gregorio Canali,14in carica dalla morte del Fantoni nel 1623 al 1631,la notizia delle sue visite al Convento il 22 Ottobre del 1623,il 27 Giugno del 1624 e il 29 Settembre 1625, altresì registrate nell’Introito corrispondente agli stessi anni, congiuntamente alle cospicue donazioni e i «salutarij ordini» emessi dal Priore in tali frangenti, indicano un ragionevole intervallo di tempo nel quale collocare la realizzazione dell’opera. Le pagine della Cronaca di Antonio Pennazzi ancora una volta forniscono preziose informazioni. 15 Il Padre Carmelitano informa il lettore che «detta fabbrica […] poscia si terminò felicemente dal Rev.mo Canale per Settembre 1624, come alle stime del Turriani, col denaro però, lasciato e recuperato dal nostro vecchio Davidde, con cui anco si fece il Coro e il Casale, benché l’Arme affissevi del suddetto Gregorio altro contendano»,16 intendendo per “vecchio Davidde” il Fantoni seniore, ammirato per la faticosa impresa del Convento nuovo «nel secolo scorso già vertente come la Chiesa all’antichità, povero, rozzo, basso, picciolo, angusto» e consacrato 5 anni dopo la sua morte.

La prima menzione del Coro risale al 1660; Antonio Severola “arciepiscopo Faentino” e delegato apostolico, nel corso della Visita Apostolica così annota: «Visitatio Choru positu retro Altare Maius,est elegantis formae totu fornicatu […] sedilia pro patribus ex ligneo nuceo elaborato elegantis formae», sottolineandone le forme di armonico disegno e la sobria eleganza degli intagli.17

Con simili accenti si esprime Pennazzi nelle pagine riservate all’importante arredo liturgico. «Il Coro posto in volta, et illuminato à ponente da duoi finestre con sue vetrate, conteine conteine duoi ordini di sedili per li PP.e per li Chierici.Il primo ordine ha di più li suoi Appoggi alti a proporzione. Per inginocchiarsi similmente vi sono li suoi ordini di scabelli,et il primo ha di più tutto il corpo del Coro Inferiore per appoggiarsi,ove sono in oltre al di dentro li suoi cassetti con tiraretti per riporvi direttorij, diurni et altro. Sono li sedili de PP. in numero di 20,distinti l’uno dall’altro con sue colonnette intagliate, che dall’Appoggio sublimano à sostenere tutto l’intiero del Corniccione del Coro che sporge sopra il Capo,e nel mezzo vi è l’Arme del Canale d’intaglio, sostenuta da duoi Angelini d’intaglio. Alla testa superiore delle Colonne, per convesso, vi sono le sue sirene, ò cherubini; et alla testa de Capitelli, sotto gli Appoggi,vi sono le sue Aquile. Tutto il Complesso del Coro, che è indiviso à tre prospetti, è di noce lavorata con artifizio d’intagli e scornicciatura assai nobbile, lavoro e maestria di Gio.Mandelli, et è adorno al di sopra di molte belle Palle di Marmo. Nella facciata del Coro vi è un prezioso quadro in tela con sue cornici nere del Crocifisso nostro di Napoli col segno della Palla, in vero divotissimo e venerando. Nel mezzo del coro è il Legile grande intagliato di noce cò suoi pendoni di dante e ottone per ritenervi sopra i libri»18.

L’immediato confronto tra le compiute descrizioni del Coro redatte da Severola e da Pennazzi e lo stato attuale sottolinea la drammaticità delle perdite subite, che nel tempo hanno compromesso irrimediabilmente la piena fruizione di questo manufatto, creato con materiale ”vivo”, per sua natura già soggetto a continue sollecitazioni di carattere fisico, termoigrometrico, meccanico, climatico. Il legno, chimicamente composto di carbonio, idrogeno, ossigeno, azoto, trattiene un’alta percentuale di ”acqua di vegetazione” nella linfa e nei liquidi vasali e di “acqua di saturazione” nelle pareti cellulari; è materiale anisotropo, soggetto a modifiche in direzione radiale,tangenziale o trasversale. In questo caso, però, l’intervento dell’uomo ha potuto più degli accidenti e delle contingenze, determinando perdite irreparabili, tali da modificare il disegno originale ed i rapporti con il contesto. Negli Anni Sessanta del Novecento il Coro, ignorato dalla critica, che spesso si mostra carente di studi sistematici relativi all’arredo liturgico, è stato parzialmente distrutto al suo centro, laddove era collocato il seggio del Priore Generale Gregorio Canali, andato perduto come pure «L’Arme del Canale d’intaglio» e parte degli stalli, rimossi per consentire la realizzazione di un moderno organo a canne,19riducendo l’opera in condizioni ben più che precarie e tali da comprometterne la fruizione.

Né l’intervento di restauro subito dall’edificio nel 1980, a più di settant’anni dal precedente, ha in alcun modo interessato il manufatto ligneo, forse ritenuto ingiustamente ”figlio di un dio minore”, come fin troppo di frequente accade ai ”prodotti” ascritti alle cosiddette “Arti applicate”20.

Non visibile ai fedeli, il Coro è collocato alle spalle dell’altare maggiore, così come stabilito dai precetti controrifomistici, nell’aula a pianta quadrata con volta a padiglione lunettata; la luce filtra da finestroni gemini e ungolati nel sottotetto sul lato lungo e da due eleganti «finestre ovate con vetri e reti d’ottone» aperte sulla parete dell’altare: Pennazzi rileva «Nella facciata dell’Altare, à lati, duoi finestre ovate e duoi porticelli che rispondono in Coro,tutte incornicciate di marmi mischij».21

Il Coro si appoggia per tre lati alle pareti, nel tramite di un ”telaio a cornice” con piallacci montanti verticali e portanti orizzontali, fissati con chiavi, perni di legno, spinotti ed incastri “a coda di rondine” dacché la colla in falegnameria comincia ad essere adoperata soltanto sul finire del XVII secolo. La struttura, che utilizza coerentemente lo spazio per assolvere in modo adeguato alla sua funzione, non risulta fissata direttamente al muro, tant’è che tra questo e il fondo si rileva una distanza di circa 2 cm., ma è stata malamente ancorata alla parete negli anni Cinquanta del secolo scorso soltanto alle estremità del cornicione-cimasa aggettante, quando sono stati inseriti nei montanti del lato di destra e sinistra gli interruttori dell’impianto di illuminazione, consistente in tre lampadine sul cornicione.

Il Coro ha un’altezza di 3.16 metri e le altre misure oggi ridotte rispetto agli originali «25 palmi»; insiste sulla pedana strutturale a tre livelli, ormai priva di impiallacciatura e lucidatura, che funge da piano di calpestio, ma non presenta la consueta rifinitura a becco di civetta bensì una modesta modanatura, mentre gli stalli sono 4 sul lato dell’entrata, 4 interi e uno mutilo alla destra del perduto seggio del Priore, tre a sinistra sul lato lungo, 5 sul lato opposto rispetto ai 20 iniziali 22.

Ogni singolo stallo presenta braccioli dal profilo estroflesso in forma di imperiose aquile stilizzate, allusive all’impresa del Priore Generale Gregorio Canali; le aquile sono gli elementi diaframmatici entro i quali è contenuta l’ampia seduta sorretta dagli appoggi di forma arcuata introflessa, che si concludono verso il basso con una voluta, vero e proprio pendant del motivo a ricciolo dei braccioli, qui però racchiusa in un elegante motivo fitomorfico dall’andamento ondulato.

Lo schienale, appoggiato alle tavole orizzontali del fondo,è inquadrato da semicolonne, ciascuna sormontata da un elegante capitello composito che scandisce la divisione tra uno stallo e l’altro e sul quale si impostano le curve culminanti nei cherubini dall’intaglio morbido, che sembra alludere per dialettica chiaroscurale agli effetti pittorici di alcune scultore medioimperiali, come il Genio dell’Autunno nel fornice centrale dell’Arco di Settimio Severo al Foro romano, inaugurato nel 203 d.C.

Ogni spalliera è decorata da specchiature a semplici cartellature in radica di noce, perimetrate da cornice quadrata a doppio listello modanato, analoga alla rifinitura del cornicione sommitale, che sottolinea per contrasto sia l’altorilievo dal marcato aggetto di cherubini ed aquile, emergenti dal piano con effetti a tutto tondo, sia i particolari finemente incisi con il bulino d’acciaio, dopo la sbozzatura con scalpello e sgorbia, strumento simile al primo,ma con una lama a sezione curva. Il noce nazionale conoscerà un ampio utilizzo tra il 1700 e il 1735, appunto il”periodo del noce”; è un legno duro rispetto a quelli della famiglia conifere, spesso adoperato in listre (impiallacciature) su un’anima di materiale meno pregiato e solitamente lucidato al termine della lavorazione con vernici trasparenti (sandracca), a differenza dei legni morbidi (pino, abete, pioppo) stuccati, laccati o dorati.

Nel Coro, sebbene la patina, che non è semplicemente lo strato superficiale di polvere o i residui carboniosi di cere, lanterne e candele, bensì l’accentuarsi del colore naturale, abbia determinato viraggi in diverse tonalità di grigio e bruno, è ancora possibile individuare l’uso di legno di alburno, la parte più chiara del tronco, tuttavia anche la più tenera e maggiormente esposta agli attacchi degli insetti xilofagi, adoperato per i braccioli dei divisori, per il fronte della seduta, per gli appoggi laterali dei sedili, per le colonnine e per i cherubini, ovvero per tutte quelle porzioni più finemente trattate 23.

Il noce, come pure i legni dolci, è aggredito con facilità dagli insetti xilofagi e in questo caso le superfici presentano fori tondi e netti all’esterno, mentre all’interno,in prossimità delle fratture,si scorgono cunicoli dall’andamento irregolare o parallelo al piano, scavati dai tarli che stanno inesorabilmente distruggendo l’opera, rendendo il materiale fragile, spugnoso e privo di compattezza.

Come si diceva, il coro, di forma armonica e sobria eleganza, dispone coerentemente dello spazio che occupa per un più razionale assolvimento delle funzioni liturgiche: le linee severe e il colore scuro del legno di latifoglia utilizzato si accordano alle austere regole dell’Ordine, trattandosi di un materiale, il noce, particolarmente prediletto dagli ordini mendicanti; inoltre, negli Anni Sessanta del XVI secolo in area iberica i mistici Santa Teresa d’Avila e San Giovanni della Croce avevano avviato la ”Riforma dei Carmelitani Scalzi”, con una regola più rigida rispetto ai Confratelli Calzati.

Il 7 Luglio del 1636 a Torino la Compagnia dei Minusieri,istituzionalizzata nel 1654 in Università dei Minusieri, Ebanisti e Maestri di Carrozza,acquista la prima cappella a sinistra rispetto all’entrata nella chiesa di Santa Maria di Piazza, come documenta il relativo Instrumento nell’Archivio locale 24.

La chiesa parrocchiale in vicolo Santa Maria appartiene all’Ordine dei Carmelitani,quasi a confermare quella particolare predilezione per l’artigianato del legno di cui si è già argomentato;si procede alla convenzione notarile durante il Capitolo presieduto dal Priore Reverendo Padre Domenico, al quale partecipa Giovan Battista Truccone, Sindaco dei venti minutieri altresì presenti.

I minutieri, neologismo che adatta il francese menusier, sono i ”falegnami di minuto e di fino”, che intendono così distinguersi dai carpentieri, ”mastri di grosseria”; la loro arte si esprime anche nella realizzazione di cori ed arredi liturgici, spesso avvalendosi della collaborazione degli ebanisti per procedere all’intarsio su base in massello o alla marquetiere su lastronatura di legni diversi 25.

Il Coro di S. Antonio risulta affine per soluzioni compositive e cadenze stilistiche all’analogo dell’Abbazia di Farfa, datato al I quarto del Seicento, mentre i pressoché coevi Cori della Cappella dei Canonici in S. Pietro in Vaticano, S. Maria della Salute a Venezia, di S. Sigismondo a Cremona palesano un linguaggio più ricco nell’articolata impaginazione e nell’opulento apparato esornativo.

La tradizione degli arredi liturgici in legno conosce poi nel XVIII secolo una fiorente produzione, segnatamente in Piemonte - è il caso della Cattedrale di Asti, del Santuario di Mondovì, di S. Maria della Scala a Mosso, vicino Biella, di S. Maria di Moncalieri - e della Lombardia, con le innovative scelte adottate da Andrea Fantoni (1659-1743) nel Coro di S. Maria Assunta, in provincia di Bergamo.

Alla tradizione lombarda sembra proprio ispirarsi il minutiere che Pennazzi indica quale autore del Coro di S.Antonio, quel Giovanni Mandelli, del quale ancora oggi poco si conosce, ma è presumibile giunga nel Lazio dal Settentrione, dacché il cognome riporta alla località lombarda di Mandello sul Lario, in provincia di Lecco, dove lavorano altri importanti artigiani del legno, i Pigazzi di Pasturo.

Di Giovanni Mandelli, trascritto anche Mandella o Mannella, stante la perdita dell’Esito dal 1616 al 1628, si comincia ad avere notizie nell’Archivio dagli anni Quaranta, con annotazioni negli Esiti di quel periodo relativi a lavori di falegnameria e di manutenzione all’interno del Convento nuovo 26.

E’interessante osservare che,viceversa,dalle note della Computisteria Barberini il nome del nostro minutiere è presente negli anni Trenta;Taddeo Barberini(1603-1647)stabilisce i pagamenti per i «lavori fatti nelle cucine nuove et credenzoni per l’Armaria» e per le altre opere nel Palazzo 27.

Mandelli diventa così una sorta di trait d’union tra i Carmelitani di Palestrina e la famiglia baronale, già vicina al Priore Fantoni nell’allestimento della Biblioteca, e che vedrà poi Nicolò, figlio di Taddeo e Anna Colonna, prendere i voti in quest’Ordine e finanziare a Montecompatri l’Eremo di S. Silvestro dei Carmelitani Scalzi, consacrato dal cardinale Antonio Barberini nel 1604.

L’acquisto del feudo prenestino da parte dei Barberini nel 1630 segna l’ingresso di Praeneste-Palestrina nell’orbita di una prestigiosa committenza che lega la ”Città”, l’Urbe, a ”Campagna”; lo ”stile Barberini”, la promozione culturale favorita in primis dal Cardinale Francesco, straordinario mecenate, si traducono anche in provincia nel programma di rinnovamento delle arti e delle lettere 28.

Con il sostegno di Francesco Colonna fino al 1630 e della famiglia Barberini, in particolare nella persona del ”Cardinal Padrone” Francesco, il Priore Generale Sebastiano Fantoni seniore, ancor prima che i Barberini si stanzino in città, allestisce dal 1614 una Biblioteca di più di mille volumi, annessa al Convento,29incrementata nel tempo attraverso le cospicue donazioni dei Colonna e Barberini, determinati questi ultimi a promuovere la capillare diffusione della cultura nel feudo 30.

In tale contesto il Convento beneficia di una particolare attenzione da parte dei Barberini; le cronache raccontano infatti che Urbano VIII, in visita nel 1640, commosso davanti all’ Ecce Homo ligneo commissionato da Paolo V Borghese per la Cappella del Crocifisso (oggi in sacrestia), esenta il Convento dalla giurisdizione del Provinciale con la concessione di poter rispondere direttamente al Generale dell’Ordine, assicurando così autonomia ed indipendenza dalla Provincia Romana.31







NOTE

1 Si ringrazia il Prof. Stefano Colonna per aver gentilmente concesso di pubblicare questo lavoro;un particolare ringraziamento va al parroco di S. Antonio in Palestrina, Padre Simone Gamberoni per la cortesia, la sollecitudine e la disponibilità con le quali ha messo a disposizione i materiali dell’Archivio locale, rendendo possibile la ricerca. Grazie per le indicazioni e il sostegno alla Dott.ssa Anna Maria Fiasco della Biblioteca Fantoniana di Palestrina, alla Dott.ssa Cinzia Di Fazio e al Dott.Piero Scatizzi dell’Archivio Diocesano Prenestino, agli storici locali Peppino Tomassi e Angelo Pinci, e per l’eccellente documentazione fotografica a Timoteo Salomone.


La fondazione della città di Praeneste, strategicamente posta sulle alture del Monte Glicestro - Ginestro tra la Via Latina e la Via Labicana, in prossimità del passaggio tra il Meridione (Valle del Sacco) e Settentrione (Valle dell’Aniene verso l’Etruria), collegata da un antico asse viario ad Anzio, si attesta alla II metà del II millennio a.C., allorché il nucleo autoctono dei Prisci Latini entra in contatto con le influenze greco – orientali, etrusche e osco - umbre. Nel “periodo orientalizzante” (metà VIII fine VII secolo a.C), caratterizzato dalle Tombe principesche della Necropoli della Colombella (i sontuosi corredi funerari sono oggi smembrati tra i Musei Vaticani,il Museo di Villa Giulia,i Musei Capitolini e il British Museum) si afferma una cultura di straordinaria raffinatezza, favorita dal crescente potere economico della città che fonda la sua ricchezza sul mercato degli schiavi. Dal IV secolo a.C. si registra un considerevole incremento urbanistico e architettonico – artistico, culminante nel II secolo a.C. nella ricostruzione in modi pergameni dello scenografico Santuario di Fortuna. La città lega la sua fama anche allo straordinario mosaico nilotico, “carta geografica” dell’ Alto e Basso Egitto realizzato in opus vermiculatum alla metà del II secolo a.C. da maestranze ellenistiche e, in origine, pavimento dell’Aula Absidata nel Foro intramuraneo di Praeneste (oggi conservato nel locale Museo Archeologico). Entrata nell’orbita romana dopo la distruzione sillana del 82 a.C., Praeneste, luogo di villae otium, si avvia ad un lento declino. Dal 1043 il feudo passa ai Colonna; durante il loro governo la città subisce altre due distruzioni, la prima nel 1298 con Bonifacio VIII, la seconda nel 1437, con Eugenio IV e il Vitelleschi. Nel 1630 il feudo è venduto ai Barberini, che ristrutturano la città con modi barocchi, intervendo sull’impianto viario e sulle mura urbiche; si realizzano, tra l’altro, il ninfeo di Palazzo, la Chiesa di S. Rosalia e il “Triangolo ai Prati”.

Cfr. O.Marucchi, Guida archeologica della città di Palestrina,Roma, 1932; F. Fasolo, G. Gullini, Il santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina, Roma, 1953; L. Quilici, L’impianto urbanistico della città bassa di Palestrina, in “Roma”, LXXXVII, 1980, pp.177-214; I Barberini a Palestrina, Palestrina, 1992; A. M. Reggiani, Il Museo Nazionale Archeologico di Palestrina, Roma, 1993; N. Agnoli, S. Gatti, Palestrina. Il Museo Archeologico Nazionale, Milano, 1999; J. M. Mertz, Das Heiligtum der Fortuna in Palestrina und die Architektur der Neuzeit, Monaco, 2001; S. Pittaccio, ll Foro intramuraneo a Praeneste, Roma, 2001; I Barberini e la cultura europea del Seicento.Atti del convegno Internazionale,Palazzo Barberini alle Quattro Fontane 7-11 dicembre 2004,Roma, 2007.


2 PENNAZZI 1668 (edizione a cura del Comune di Palestrina - Biblioteca Fantoniana, Palestrina, 1995), p.23.

Il manoscritto cartaceo (mm.312 x 22) è conservato nel fondo Provincia Romana dell’AGOC (Roma, Archivio generale dell’Ordine Carmelitano (AGOC), II Romana,Conventus 11; consta di 10 fascicoli per complessivi 204 fogli (di questi risultano bianchi i fogli dal 41 al 44, il 132, il 179, dal 201 al 204). Antonio Pennazzi da Massalombarda nel 1666 compone i Regolamenti per il Collegio Barberiniano di Palestrina, del quale è “Reggente degli Studi” nel 1672; nel 1676 ricopre la carica di vicario priore del Convento di S. Antonio. Dopo un periodo trascorso a Roma tra il 1677 e il 1685, ritorna «alla diletta città di Preneste», argomento di una delle sue molte opere, l’Historia Praenestina in sei volumi (Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. Lat. 2697); muore intorno al 1709.

3 DEMMA 2010, pp. 3-57.

4 Cfr. CECCONI 1756, PETRINI 1795.

5 Cfr. SMET 1996.

6 PENNAZZI 1668, p. 24-25.

7 «Al di sotto poi della stalla vi è il sito d’una bellissima Cantina,ove si riponevano li vasi degli agrumi et in oggi si conservano li Tini, legnami. Nota che nel pavimento della Cantina rimane ancora un pezzo d’Astrico antico à Mosaico assai vago,che secondo l’immaginazione ortografiche del tempio della Prenestina Fortuna delineate dal Suaresio, denota di essere stato ivi ne prischi secoli proteso da quei barbari Gentili idolatri un lembo de privati litostroti di esso tempio[…]». Ibidem, p. 24.

8 Fr. Sebastianus Fantonus Praen./Carmelitarum Generalis/A fundamenta extruxit/Francisci Columna Praenestinorum Principis Liberalitate/ Anno D.ni 1623.

9 BRANDI 1625.

10 PENNAZZI 1668, pp.28-29; si legge a proposito dell’Altare Maggiore: «Si sublima questo nell’altezza fino al primo Cornicione della Chiesa, e nella Latitudine chiude tutta la Cappella in isola. Il Quadro in Rame, nobbilissimo, della Vergine del Carmine nostra Sig.ra, è nel mezzo della facciata con sue Cornici e Cherubini à gli angoli di Bronzo indorato. La facciata è tutta messa à marmi preziosi, mischi e bianchi, con due grosse Colonne artificiosamente inteste di vene o righe nere,sul marmo di alabastro […] Di sotto l’ambito del quadro della Vergine vi è il Tabernacolo, ove si ripone in pisside e sfera d’argento il Sacramento augustissimo della Eucarestia; è di legname indorato alla moderna con varie statuette. […] Chiude il detto Altare o Capellone una vaga scalinata di marmo bianco cò suoi balaustri mischi, preziosi», pp. 32-33.

11 A. Borzi, Storia ecclesiastica della Diocesi di Palestrina,Palestrina 1989,pp.41-44. Anche Niccolò Menghini (1610-1665)appartiene all’ambiente barberiniano; nel 1632 già risulta tra gli artisti che lavorano per il Cardinale Francesco. Sempre alla cerchia barberiniana si ricorre anche una perizia alla facciata della Chiesa nel 1631 (Pennazzi, p. 44), effettuata dall’«Architetto dell’Eccellentissimo Principe Don Taddeo», ovvero Paolo Maruscelli.

12 A. Pennazzi, cit. (nota 2), p. 47.

13 Ibidem.

14 J. Smet, cit. (nota 5), p.24; pp. 330 – 331.


15A.Pennazzi, cit. (nota 2), p. 28;a conferma di un precedente progetto del Coro da attribuirsi al Fantoni,sempre Pennazzi scrive «il lavoro anch’egli del Coro costò più di scudi 600».

16 A.Pennazzi,cit.(nota 2), p. 28.

17 Generalis Visitationis omnium ecclesiarum et piorum locorum Praenestinae Diocesis,Palestrina 1660,pp.101-112. Al 1703 si data un’altra Visita Apostolica(non diocesana,poiché la Chiesa diventa parrocchia soltanto nel 1802);Monsignor Giuseppe Crespini,Vescovo di Amelia,scrive«Nel coro sono ci sono sedili di noce nel primo e secondo ordine. Il primo à sedie d’appoggio con gli genuflessorii d’avanti,il secondo à banchi con li banchetti d’avanti. In mezzo al Choro un legile di noce con il suo piedistallo,e di sopra la lumiera di ferro con legile,e pendoni d’ottone. Sopra il cornicione di detti sedili vi sono otto palle di marmo mischio con piedistalli,et in mezzo un Arma con due putti che sta legata con un ferro alla muraglia. Un quadro con la cornice nera con l’effigia del Crocifisso. Quindici pezzi di libri di canto in foglio di carta pecora foderate di corame con le lastre,e chiodi d’ottone nelle estremità,et in mezzo[…]»in De Visitatione,et Ecclesis Civitatis Praenestinae, Palestrina 1703.

18 A.Pennazzi,cit.(nota 2),pp.29-30


19 A.Borzi,cit.(nota10),p.43. Tra il 1964 e il 1965 è istallato il moderno organo a canne a 17 registri,2 tastiere e una pedana,realizzato nel 1962 dagli artigiani della ditta Famiglia Vincenzo Mascioni di Cuvio in sostituzione del precedente«posto sù la Cantoria à Cornu Epistolae»nel 1621 e gravemente danneggiato nel corso dei tragici bombardamenti del 1944;ciò ha determinato una traumatica violazione dell’integrità del Coro,che oggi necessita di urgentissimi restauri.Il 3 febbraio 2013,presso il Museo Diocesano di Palestrina,è stato organizzato un Convegno dedicato al Complesso conventuale dei Padri Carmelitani,di proprietà del Fondo Edifici di Culto(FEC),con la partecipazione di Nicoletta Marconi dell'Università Tor Vergata,Roma e di Dora Catalano, funzionario responsabile di zona della Soprintendenza per i Beni Storico Artistici del Lazio;. l’intero Complesso conventuale ora è al centro di un apprezzabile progetto culturale curato dalla locale cooperativa “Spazio Articolo 9”.

20 Sul tema : A.Gonzàles-Palacios,I mobili d’arte,Milano 1973;S.Colombo,L’arte del legno e del mobile in Italia dal Medioevo al XIX secolo,Milano 1981;M.Gregori,R.Ruololo,L.Bandera,Il mobile italiano,Milano 1981;M.Cera,Il mobile italiano dal XVI al XIX secolo.Gli stili,le forme,il mercato, Milano 1983;A.Gonzàles-Palacios,I mobili italiani,Milano 1996.

21 A.Pennazzi,cit.(nota 2),pp. 32.

22 Scheda Inventariale OA,BSA,12/00519659,Compilatore Cinzia Ammannato,Funzionario responsabile M.P. D’Orazio,1994


23 Si veda: G.Liotta, Gli insetti e i danni del legno.Problemi di restauro, Firenze 1994; A. Gambetta, Funghi e insetti nel legno. Diagnosi, prevenzione, controllo, Firenze, 2010; S. Valtieri, (a cura di),Insetti e opere lignee d’arte e d’architettura:degrado e restauro,Atti del Symposium internazionale, Reggio Calabria, 8 Luglio 2010, Università degli Studi Mediterranea, Dipartimento PAU- Scuola di Dottorato d’Ateneo, Roma, 2011.

24 Il 14 Agosto del 1844 Carlo Alberto, promulgando le regie patenti, priva di personalità giuridica le Corporazioni di mestiere, sopprimendo così l’Università, alla quale subentra nel 1854 la Società dei Minutieri; l’Archivio dei Minusieri è conservato all’Archivio di Stato di Torino (inv. n. 255 - Associazioni di Mestieri, Antica Università dei Minusieri di Torino - Documenti per la storia delle arti del legno). Cfr. C. Laurora, I. Massabò Ricci, F. Paglieri, Antica Università dei Minusieri di Torino. Documenti per la storia delle arti del legno, cat. della mostra (Torino, Archivio di Stato), Torino, 1986.


25 Sul tema si vedano i contributi online nella “Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia” (www.unipa.it/OADI/Rivista).

26 Nell’Esito dal 1645 sino al 1670 si registrano pagamenti al Mandelli nel Febbraio 1646 (f. 30), il 16 Novembre 1653 per «Giuli 31» (f. 236), nel Gennaio 1656 e nell’Aprile 1657, nel Novembre 1659, quindi nel Gennaro 1660(f. 297 «Gio:Mandelli e sue fatiche Giuli dodici»). Il Convento diventa parrocchia soltanto nel 1802; pertanto non esistono i relativi registri degli Stati delle Anime; la ricognizione degli Stati delle Anime del Duomo di S. Agapito non ha individuato il nome di Giovanni Mandello, mentre risulta un Lorenzo Mandello nel 1695.

27 Nella Computisteria il nome di Giovanni Mandelli ritorna con frequenza tra il 1635 e il 1637. La prima citazione recita: «è[...]A’ M’ro Giovanni Mandella falegname scudi 60 quali gli facciamo dare à conto de’ lavori fatti nelle cucine nuove et credenzoni per l’Armaria nel nostro palazzo di Pelestrina». (Vaticano, Biblioteca Apostolica (BAV), Arch. Barb., Comp. 193, 24 Marzo 1635). Al 10 Luglio dello stesso anno si registra la somma di scudi 63.29 erogata per completare la cifra di 123.29 scudi. Si tratta di un compenso aggiuntivo straordinariamente cospicuo, considerando che, ad esempio, la paga mensile di un soprastante sampietrino è al tempo di 10 scudi e che, tra Maggio 1632 e Ottobre 1637, l’architetto Maruscelli riceve un salario di 50 scudi ogni 6 mesi. Segue un ulteriore pagamento: «[…] A’ M’ro Gio. Mandella falegname 50 à buon conto delli credenzoni dell’armeria et altri lavori fatti da lui nel nostro palazzo di Palestrina conforme alla fede de Paolo Maruscelli architetto» (Vaticano, Biblioteca Apostolica (BAV), Arch.Barb, Comp. 194, 5, Dicembre 1635). Il 9 Luglio 1636 il Nostro riceve altri 30 scudi sempre con l’approvazione di Paolo Maruscelli, architetto di Palazzo baronale Colonna-Barberini; il pagamento di altri 150 scudi per i lavori di Palestrina risale al 14 Marzo 1637, mentre il saldo è del 30 Dicembre 1637: «[…] A’ M’ro Gio. Mandella falegname costi scudi 101.24 [...] sono à compimento di scudi 311.24 dovuti per saldo, et inter o pagamento d’accordo di una misura,e stima di lavori fatti in cotesto Palazzo et altri luoghi, conforme alla detta misura, e stima saldatami di P.Valerio Poggi […] havendo havuto altri 230 scudi con tre altri nostri mandati a buon conto». (Vaticano, Biblioteca Apostolica (BAV), Arch. Barb., Comp. 194).

28 L. Mochi Onori, F.Solinas, S. Schutze(a cura di), I Barberini e la cultura europea del Seicento, Roma 2007.

29 L’Inventario dei libri del Convento di Pelestrina:de’Carmelit:,elenco del fondo originario della Biblioteca Fantoniana,è accluso dai curatori in A.Pennazzi,cit.(nota 2),Appendice III,pp.56-72,previa autorizzazione della Biblioteca Apostolica Vaticana.La Biblioteca Fantoniana vanta attualmente un fondo di 6.000 volumi tra antichi e moderni,tra i quali 2 incunaboli,15 manoscritti,668 volumi del XVI secolo,più di 500 dal XVII al XVIII.

30F.Petrucci Nardelli,Francesco Barberini junior e la<Stamperia Barberina>di Palestrina, “Accademie e Biblioteche d’ Italia”, LII, 1984, pp. 238 – 267; Ead., Il cardinal Francesco Barberini senior e la stampa a Roma,“Archivio della Società Romana di Storia Patria”,108, 1985, pp.134 – 198.

31 «Cinque case in Italia erano sotto la giurisdizione immediata del Priore Generale. Una sesta casa, Palestrina, posta sotto il Priore Generale da Urbano VIII nel 1640, fu restituita alla Provincia Romana nel 1759». J.Smet, cit. (nota 5), p. 298.









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Fig. 1
Gli stalli, Coro di S. Antonio del Carmine, Palestrina (Roma)
Foto di Timoteo Salomone, per gentile concessione dell'Autore

Fig. 2
Elementi diaframmatici in forma di aquile, Coro di S. Antonio del Carmine, Palestrina (Roma)
Foto di Timoteo Salomone, per gentile concessione dell'Autore

Fig. 3
Elementi diaframmatici in forma di aquile, particolare, Coro di S. Antonio del Carmine, Palestrina (Roma)
Foto di Timoteo Salomone, per gentile concessione dell'Autore




Foto cortesia Paola Torniai

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