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Alla scoperta di uno dei più celebri musei europei: “Musée d'Orsay. Capolavori”: una recensione

 

Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 2 Marzo 2014, n. 706
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Area Mostre

 
Si è aperta lo scorso 22 febbraio al Complesso del Vittoriano la mostra, a cura di Guy Cogeval e Xavier Rey [1] , che vede il Musée d’Orsay lato sensu protagonista indiscusso. Strutturata fondamentalmente su due fronti l’esposizione celebra da una parte la storia del Museo come spazio artistico (splendido esempio di archeologia industriale strappato alle demolizioni dei piani urbanistici del XX secolo), e, dall’altra, la collezione stricto sensu dell’istituzione parigina.

Una mini sezione dedicata all’italiana Gae Aulenti, recentemente scomparsa, vincitrice negli anni Ottanta del concorso per la sistemazione interna e il design della gare, ricorda il lavoro fondamentale dell’architetto, prosecutrice delle concezioni di Carlo Scarpa, che ha voluto la presentazione delle opere su pietra e luce indiretta [2] .

Pannelli didattici corredati da affascinanti foto dell’epoca raccontano sinteticamente la vicenda storica del contenitore-Museo, che prima di divenire la stazione ferroviaria Paris-Orléans [3] , è stato un edificio ottocentesco, distrutto dalla furia rivoluzionaria della fine del XVIII secolo.

Una selezione di ben 63 quadri scelti con criterio dai vertici dell’istituzione francese, ma non capolavori stricto sensu come introduce il titolo della rassegna, educa il pubblico alla travolgente e impetuosa epoca artistico-culturale che si sviluppa in Europa tra il 1848 e il 1914 [4] .

L’esposizione ci consegna un coerente excursus stilistico-culturale di un periodo fondamentale della vicenda artistica europea; ci proietta dentro la storia dell’epoca facendoci percepire la voglia di cambiamento in atto, il fervente clima culturale, e la rivoluzione pittorica che sovverte la dirompente e tumultuosa società del tempo. La mostra, articolata in 5 sezioni, è allestita con efficacia e misura: colori diversi qualificano ogni singolo momento/movimento storico affrontato e introdotto da contenuti, ma esaustivi pannelli didattici, a volte dimentichi del tempo verbale.

Si parte con Accademia e nuova pittura: la stagione di rinnovamento della pittura d’Accademia [5] , la cosiddetta arte ufficiale, la protagonista dei Salon parigini (fig. 1),  si confronta con il nuovo realismo di Courbet [6] .

Si presentano, dunque, opere che hanno a lungo simboleggiato le due anime della seconda metà dell’Ottocento, due percorsi contrapposti della storia dell’arte del periodo: la pittura di accademia che, tra il 1860 e il 1870, si rinnova e trionfa, e la nuova pittura di stampo realista che in quegli anni sconvolge e scompagina il pubblico delle arti.

Per i protagonisti  delle due correnti la rappresentazione del corpo rappresenta il terreno preferito di confronto: da una parte l’idealizzazione classica e la resa armonica, dall’altra, in contrapposizione al paludato accademismo, una restituzione realistica e provocatoria del fisico umano.

La seconda sezione, Il paesaggio e la vita rurale: dal classicismo all’impressionismo, ci rivela come il paesaggio, considerato nei periodi precedenti un genere cosiddetto minore, in questo momento acquisti un’inedita considerazione e diventi protagonista dell’arte del periodo elevandosi a genere nobile. La pittura di paesaggio subisce profondi cambiamenti: la corrente naturalista celebra il mondo contadino; per la prima volta, tra i soggetti dei dipinti, compaiono figure di lavoratori ai quali è riconosciuta la dignità di essere rappresentati (fig. 2). Attraverso le opere dei suoi protagonisti si racconta il movimento legato alla “Foresta di Barbizon” [7] , e si riportano quei mutamenti che consentiranno lo sviluppo e l’affermazione della stagione impressionista. Nonostante l’iniziale condanna del pubblico l’esperienza di stampo impressionista continua e molti artisti si uniscono al “cenacolo di luce e colore” (Pisarro, Sisley, Cézanne), non trovando spazio nei salon tradizionali gli impressionisti espongono in luoghi non consoni riuscendo progressivamente ad affermarsi. Merito della mostra è di riuscire a spiegare come l’impressionismo non possa essere ricondotto ad uno stile univoco, evidenziando come partendo dalla comune riflessione sulla luce ogni membro del “sodalizio” giunga ad esiti personalissimi ed unici.

La terza sezione, Rappresentare la proprio epoca: la vita contemporanea, dunque, illustra la parabola impressionista, gli artisti del sodalizio di luce e colore ritraggono la vita moderna. Alcuni di loro si dedicano a paesaggi rurali e attività di svago all’aperto, altri sono interessati all’urbanizzazione (fig. 3) e ai progressi della tecnica (fig.4), altri ancora sono attratti da soggetti, espressione di contemporaneità, come ballerine (fig. 5), donne al bagno, scene galanti e cavalli.

La quarta sezione,  Stati d’animo: il simbolismo, è dedicata all’evolversi del linguaggio pittorico nella sua declinazione simbolista. Si delinea quello strano stato d’animo tipico dei pittori di questa corrente. Il simbolismo, movimento multiforme dalle numerose declinazioni (paesaggio, ritratto, scene di genere), testimonia alla fine dell’Ottocento, l’emergere di un forte sentimentalismo (fig. 6). Insieme al realismo e all’impressionismo, rappresenta una chiave fondamentale di lettura della pittura di fine XIX sec.

Si traccia la vicenda dei Nabis, i pittori che seguono Gauguin a Pont-Aven, lontano dalle grandi trasformazioni del secolo, che dopo aver a lungo meditato sulla lezione impressionista, inventano un nuovo registro stilistico-formale e conferiscono alle loro opere il segno di una emozione particolare e intima. I profeti, nel realizzare opere silenziose e piene di significati, rappresentano un mondo interiore, indecifrabile e complesso, e si interrogano sul destino dell’uomo facendo emergere un immaginario onirico che sfugge al campo dell’osservazione diretta.

Questa tendenza si esprime al meglio con il ritratto, che consente un’indagine psicologia del personaggio, lo stato d’animo è rivelato anche attraverso il semplice arredo o la scelta di certi elementi dell’interno.

In ultimo, Dopo l’impressionismo: verso le avanguardie del XX secolo, la mostra si conclude con una sezione che spiega come alla fine dell’800 e nei primi anni del ‘900 si attui il definitivo superamento dell’impressionismo con sviluppi, quelli post-impressionisti [8] , che aprono già alle avanguardie del XX secolo. Siamo all’alba della modernità, il vecchio secolo consegna al nuovo un terreno su cui le avanguardie storiche cresceranno e si svilupperanno. Si sottolinea, dunque, il valore immenso dell’eredità lasciata dall’impressionismo alle generazioni successive,  senza la quale probabilmente non ci sarebbero stati certi esiti artistici del XX secolo.

Una mostra che è allo stesso tempo un pezzo di museo e un pezzo da museo.

 

 

Il catalogo

A cura di Guy Cogeval e Xavier Rey e pubblicato da Skira, il catalogo in brossura esibisce un’apprezzabile cura editoriale. Significativo e degno di nota l’apparato fotografico, a complemento della parte saggistica e del corpus delle opere esposte, particolarmente ricco e studiato con una notevole quantità di dettagli importanti.

Alla tradizionale parte introduttiva di ringraziamenti di coloro che hanno reso possibile questa impresa espositiva (istituzioni, partner ed organizzatori), segue un’unità saggistica, di circa 25 pagine, di carattere meramente storico [9] , stupisce in questo contesto la mancanza di scritti a carattere letterario-scientifico.

Secondo il criterio adottato in mostra delle 5 sezioni, il catalogo presenta, poi,  l’insieme delle opere della rassegna. Ogni gruppo di dipinti è intelligentemente preceduto da una scheda introduttiva che esplica al lettore il periodo artistico o il movimento culturale de quo. Curiosa la scelta di dotare di schede di catalogo solo alcuni dipinti (i medesimi che in rassegna esibiscono un cartellino didattico, evidentemente il contenuto non cambia). L’impostazione delle cartelle è quella classica (autore, titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di acquisizione, numero di riferimento, analisi storico-critica [10] ). Dobbiamo infine rilevare l’assenza tout court dei tradizionali strumenti di studio a completamento del volume: nessuna appendice documentaria, e neppure la fondamentale, per gli studiosi, bibliografia, mentre i crediti fotografici precedono i ringraziamenti istituzionali.

 

 

 

LA MOSTRA
Dove: Complesso del Vittoriano, Roma
Quando: 22 febbraio  - 8 giugno 2014

 

 

 


NOTE

[1] Rispettivamente il Presidente dei Musées d’Orsay et de l’Orangerie e il direttore delle collezioni e conservatore del dipartimento di pittura del Musée d’Orsay.

[2] Dal 2011 l’allestimento dell’Aulenti  ha lasciato il posto a un nuovo ordine che prevede  colori profondi, moderni e più adatti alla valorizzazione delle opere del XIX secolo, anche l’illuminazione è stata sostituita da un sistema di ultima generazione. Nella galleria degli impressionisti la luce zenitale prevista nel rispetto della concezione open air è stata rimpiazzata da un’illuminazione che, nelle intenzioni del designer, crea una maggiore intimità.

[3] In occasione dell’Esposizione Universale del 1900 la compagnia ferroviaria dota strategicamente la città di Parigi di una stazione di lusso che porti visitatori danarosi all’evento che vede  la ville protagonista. L’evidente carattere industriale dell’edificio, però, suscita i rumor di chi denuncia la distonia con il contesto, motivo per cui l’architetto Victor Laloux decide di dissimulare la struttura dietro una facciata di pietra che rimandi al Museo del Louvre sito sull’altra riva della Senna. La stazione, che ha al suo interno un albergo di lusso, introduce, per la prima volta, l’uso della locomotiva elettrica. Con l’aumento del traffico ferroviario  lo scalo è abbandonato, e inizia per la costruzione una fase di abbandono e degrado che sarebbe culminata nella demolizione se, alla fine degli anni Settanta,  il presidente Valéry Giscard d’Estaing non avesse deciso di assegnare la Gare ad ospitare un nuovo Museo dedicato all’Ottocento francese. (Crf. G. Cogeval, Il Nuovo Orsay: la veste nuova di una collezione antica, , in  Musée d’Orsay. Capolavori., catalogo della mostra Roma, Complesso del Vittoriano 22 febbraio- 8 giugno 2014, a cura di  G. Cogeval e X. Rey, Roma 2014, p. 26).

[4] Quando negli anni Settanta del secolo scorso si decide di realizzare il “Museo dell’Ottocento”, dedicato al quel momento storico, artistico e culturale particolarmente significativo e vitale per la Francia, motivi di spazio inducono gli ideatori a circoscrivere agli anni 1848-1914 i limiti temporali della nuova istituzione parigina. Si decide, dunque, di lasciare al Louvre le importanti opere precedenti il 1848 e di adottare il termine di cerniera 1914 perché unanimemente condiviso come l’anno di passaggio al Novecento. (Crf. X. Rey, Capire la storia dell’arte raccontata al Musée d’Orsay, in  Musée d’Orsay. Capolavori., catalogo della mostra Roma, Complesso del Vittoriano 22 febbraio- 8 giugno 2014, a cura di  G. Cogeval e X. Rey, Roma 2014, p. 46).

[5] Nucleo originario della collezione. Le opere del d’Orsay hanno una duplice origine: da un lato le acquisizioni ufficiali provenienti dai Salon (dipinti accademici, mitologici e di storia di artisti celebrati come Alexandre Cabanel e William Bouguereau), dall’altro, a partire solo dal 1900, le aquisizioni/donazioni di opere impressioniste. (cfr. Cogeval, op. cit., 2014, p. 23).

[6] Un nuovo genere di pittura molto dibattuto, spesso rifiutato il cui protagonista indiscusso è Courbet, artista spesso tacciato di volgarità che godrà del giusto riconoscimento solo nei primi decenni del XX secolo.

[7] Luogo dove gli artisti si incontrano per dipingere all’aperto soggetti mutuati dalla natura. Evidentemente quivi si delineano i primi elementi di una pittura di tipo impressionista. È proprio nella foresta di Barbizon che Claude Monet e Frédéric Bazille  realizzano i loro primi capolavori e sperimentano la frammentazione della pennellata, principio a fondamento della resa impressionista della luce.

[8] Negli anni Ottanta dell’Ottocento un gruppo di giovani pittori, i puntillisti, convinto della capacità ottico-estetiche dell’occhio umano di sintetizzate i colori, inizia a portare al limite il processo di separazione delle macchie cromatiche sulla tela, come estremizzazione del processo di divisione dei colori sperimentato dagli impressionisti.
Dal 1886 ogni artista intraprende un personale percorso di sperimentazione verso una pittura sempre più moderna, Pisarro si dedica alla tecnica puntillista, Monet interessato al cambiamento della luce e del colore con il passare del tempo e ritrae uno stesso soggetto nei vari istanti della giornata. Le sperimentazioni si moltiplicano: il neo-impressionismo di Seurat e Signac si diffonde al di fuori dei confini nazionali.
Il personalissimo stile di Van Gogh, che parte dall’ammirazione per la resa della luce impressionista, giunge a prefigurare l’espressionismo di inizio XX secolo (fig. 7). Il cloisonnisme di Gauguin e dei nabis, che attraverso l’uso di colori accesi ed autonomi , afferma la dimensione puramente estetica della pittura (fig. 8).  Le grandi composizioni decorative di Vuillard e Bonnard denotano una ricerca di compostezza e grandezza quasi classiche. Infine l’abbandono della prospettiva classica del puntinismo e il processo di semplificazione delle forme, portato avanti da Bernard e Sérusier,  prefigurano già  le astrazioni del XX secolo.

[9] Solo tre saggi: due redatti dai curatori della mostra e un terzo di Alice Thomine-Berrada. Gli scritti informano con abbondanza di particolari e dovizia circa la storia del museo e delle collezioni, nonché pongono l’accento sulla nuova veste del rinnovato Musée D’Orsay.   Il catalogo assurge dunque ad una funzione inedita:  informare e comunicare la nuova immagine del museo.

[10] Le opere prive di cartella di catalogo recano una completa didascalia (autore, titolo, datazione, supporto/tecnica, dimensioni, provenienza e data di acquisizione e numero di riferimento).







Fig. 1
WILLIAM BOUGUEREAU, La Jeunesse et l'Amour, 1877
olio su tela, h. 1.925 x l. 0.88 m.
Collezione privata

Fig. 2
JEAN-FRANÇOIS MILLET, Bergère avec son troupeau / Pastorella con il suo gregge, 1863 ca.
olio su tela, cm. 81 x 101
© photo musée d'Orsay / RMN

Fig. 3
GIUSEPPE DE NITTIS, Piazza delle Piramidi, 1875 ca.
olio su tela, cm. 92,3 x 75

Fig. 4
CLAUDE MONET, Gli scaricatori di carbone, 1875 ca.
olio su tela, cm. 54 x 65,5

Fig. 5
EDGAR DEGAS, Ballerine che salgono una scala, 1886-1890
olio su tela, cm. 39 x 89,5

Fig. 6
ODILON REDON, Pianta verde in un'urna, 1900 ca.
olio su tela, cm. 85 x 60

Fig. 7
VINCENT VAN GOGH, L'italiana, 1887 ca.
olio su tela, cm. 81,5 x 60,5



	
Foto cortesia dell'Ufficio Stampa della Mostra




	

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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