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Un S. Agostino nella chiesa del Gran Priorato di S. Andrea a Piazza Armerina  
Giovanna Di Marco
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 12 Febbraio 2012, n. 643
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La chiesa del Gran Priorato di S. Andrea a Piazza Armerina fu donata nel 1148 da Simone Aleramico all’Ordine dei Cavalieri del S. Sepolcro di Gerusalemme. Sulla data di donazione le fonti che si sono avvicendate non sono state sempre concordi [1] , soltanto Carlo Alberto Garufi, in base ad una ricerca storica più approfondita, all’inizio del secolo scorso, ha posto nel 1148 e precisamente al 30 novembre, giorno consacrato all’apostolo Andrea, la data dell’avvenimento [2] . Questo atto sanciva a tutti gli effetti il riconoscimento politico, da parte della famiglia dei marchesi aleramici, della missione di riconquista dell’isola in senso cristiano, dopo il lungo dominio musulmano.

Ricordiamo che la famiglia in questione, originaria del nord Italia, giunse al seguito del Granconte Ruggero, con cui instaurò una vera e propria politica matrimoniale, il cui caso più esemplare può essere considerato quello delle nozze dello stesso normanno con Adelasia del Vasto [3] , zia di Simone, terza moglie del Granconte, nonché madre del re Ruggero II.

L’azione coincideva anche con un fenomeno storico e culturale che stava coinvolgendo quasi tutta l’Europa, quello delle crociate che vide la Sicilia direttamente coinvolta, in primis come vero e proprio laboratorio di sperimentazione di una vera e propria Reconquista, poi perché, dal punto di vista geografico, la collocazione strategica dell’isola rendeva l’isola stessa un ponte, una piattaforma di sosta per i cavalieri e i pellegrini che avrebbero poi raggiunto i luoghi santi della Palestina.

Dal punto di vista architettonico (Fig.1), la discussione critica non è stata sempre concorde per quanto riguarda la cronologia e gli influssi culturali dell’edificio sacro [4] . L’importanza del monumento, dal punto di vista storico e architettonico, è inoltre corroborata dalla presenza,  al suo interno, di un importante palinsesto di pittura siciliana medievale.

Gli affreschi, restaurati tramite tecnica dello strappo, consistono in 21 pannelli, oggi posizionati sulle pareti dell’edificio e corrispondenti a vari secoli del periodo medievale, precisamente dal XII al XV. Il loro stato di conservazione non ci permette la lettura integrale di quasi tutti i brani pittorici, ad eccezione di quelli che nel XVIII non vennero “dealbati”, perché direttamente legati a questioni di culto e soprattutto di devozione popolare [5] .

La discussione sulla data di erezione dell’edificio medesimo è chiaramente importante per determinare la cronologia afferente agli affreschi. Una prima fase bizantineggiante è stata messa a confronto con altre esperienze quasi coeve sempre riconducibili alla zona centro - orientale della Sicilia (la cappella del castello di Paternò, la chiesa di S. Nicolò a Castiglione di Sicilia, le pitture murali degli oratori rupestri di Assoro e di Enna). I fenomeni che ci rimangono nelle arti visive possono dunque essere interpretati come testimonianze storiche e culturali di grande spessore, poiché la cultura “crociata”, di cui l’edificio fu detentore s’irradiò in altri contesti, si diffuse ed è dunque spia per farci intendere che il ruolo del Priorato dovette dunque essere quello di attore principale, di veicolo attivo nella propulsione dei nuovi valori. Del resto, l’affermazione dei Normanni in Sicilia, dal punto di vista politico, consistette proprio nella creazione di diocesi [6] .

Non si può ritenere che ad atti politici non dovessero corrispondere fatti culturali, e così gli Aleramici, che supportarono fortemente i Normanni, almeno fino al secolo successivo, sposarono in pieno la causa “crociata”, tanto che la stessa Adelasia, dopo la morte del Granconte, sposò Baldovino re di Gerusalemme, divenendo così regina della città santa [7] . La recente mostra svoltasi presso il Museo Diocesano della città di Piazza Armerina, dal titolo La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina dal Granconte Ruggero al Settecento, ha posto fortemente questo problema. In merito alla pittura del XII secolo, è chiaro che ci si trovi di fronte ad una vera e propria koinè bizantineggiante, che denuncia gli evidenti rapporti con l’oriente.

La studiosa Maria Katja Guida [8] , curatrice della mostra, mette in relazione il culto dell’icona della Madonna delle Vittorie di Piazza Armerina, agganciandola proprio al contesto di circolazione di cultura “franca” in Sicilia e ad altri fatti storici e culturali, come la crociata che coinvolse Federico II, che lo fece approdare a Cipro [9] . La studiosa considera l’icona piazzese una riproposizione del modello della Madonna del Monastero di Kykkos a Cipro da cui deriverebbero anche le esperienze di pittura murale pugliese [10] . Su questo tema si dispiega l’argomentazione di Maria Katja Guida riguardo a questo periodo storico. Ma la chiesa di S. Andrea  e la sua pittura sono più famosi per un’altra fase individuata e letta da Raffaello Delogu [11] , giustamente, come un unicum, come un fenomeno straordinario in tutta la Sicilia.  Sto parlando della seconda fase cronologica degli affreschi, definita dal Delogu “romanica” e d’impronta tipicamente occidentale, una fase che è divenuta più famosa, tanto da collegare ad essa il Maestro degli affreschi di S. Andrea” [12] .

Dopo il Delogu, altri studiosi hanno preso in considerazione questo momento della pittura della chiesa piazzese, come ad esempio Pierluigi Leone De Castris [13] . Paola Santucci ha poi messo in relazione la pittura di questa fase a quella catalano -  roussiglionese, mettendo in luce alcuni eventi storici dell’ultimo ventennio del XIII secolo che si rifletterebbero in fatti della cultura figurativa dell’Italia meridionale, in particolare della Puglia, e che troverebbero una somiglianza con le opere del pittore Giovanni da Taranto [14] . La lettura “occidentale” è stata contraddetta da Concetta Maiezza [15] , che ha messo in relazione questa seconda fase sempre con pittura di Terrasanta. Il Bella ha confermato quest’ultima lettura [16] . Il Delogu, nel sottolineare la lettura “occidentale”, la postergava al XIII secolo. La sua lettura risulta ancora interessante, proprio per averne sottolineato il carattere eccezionale, romanico e occidentale all’interno di un contesto come quello siciliano, fortemente caratterizzato dal bizantinismo. Alcune linee di continuità potrebbero esser lette in alcuni elementi decorativi – le rotae ad esempio, presenti nelle vesti delle sante - e in altre raffigurazioni, ma vengono notevolmente contraddette da uno stile che marca gli appunti di una poetica vivace, per dirla come Delogu, “di un’arte giovane”.

Ed è su alcuni aspetti di questa seconda fase, che voglio soffermarmi. Consta di otto pannelli, che la Maiezza ha giustamente distinto in due gruppi: la scene e delle vere e proprie raffigurazioni iconiche di Santi e della Madonna che riprendono la staticità tipicamente bizantina. Le scene invece, vivaci e concitate, assumono un’altra connotazione ed una resa icastica del tutto eccezionale per la pittura siciliana, come aveva giustamente notato per primo il Delogu. Proprio un pannello (Fig. 2) appartenente al gruppo delle raffigurazioni iconiche (cm 236 x 105), mostra un santo, il cui volto risulta quasi integralmente abraso e le parti rimanenti molto sbiadite. In generale, però, presenta caratteristiche simili agli altri pannelli: dentro un riquadro con contorno rosso, la figura è posta su un fondo blu. È anche qui nimbata, ed il nimbo presenta due contorni, uno rosso e l’altro ocra; l’abito indossato dal santo è caratterizzato da campiture di bianco su fondo più scuro, che insistono come per definire meglio il panneggio, un particolare che si riscontra anche con altri brani pittorici di quest’epoca. Poiché la figura è molto lacunosa, non ci sarebbero elementi che potrebbero ricondurlo ad un santo piuttosto che ad un altro, se non fosse per una caratteristica alquanto singolare, che si trova in basso, alla sinistra dello spettatore (Fig. 3). Di questa figura che fa capolino dalla superficie abrasa, si distingue ciò che rimane del volto e della testa di un Bambino Gesù (il nimbo è crucigerato), che presenta delle caratteristiche stilistiche sicuramente molto più tarde rispetto al Santo: questi tratti peculiari consistono in una buona resa volumetrica della testolina, nella precisa e definita raffigurazione dei riccioli biondi con contorno nero.

È palese che la figura del Cristo - Bambino sia stata aggiunta in epoca posteriore, ma bisogna chiedersi il perché. La risposta può risiedere nella lettura attenta dei bisogni della committenza e dell’ordine che deteneva il luogo sacro: l’ordine era soggetto alla Regola agostiniana [17] , come del resto la maggior parte degli ordini legati alla Terrasanta - la Regola agostiniana era seguita anche presso la Badia di S. Spirito, anch’essa di epoca medievale, nella vicina Caltanissetta-. Il Santo, a mio avviso, potrebbe essere proprio S. Agostino, e lo confermerebbe l’aggiunta, sicuramente a tempera, successiva. Il fatto potrebbe essere riconfermato seguendo quella tradizione, invero abbastanza tarda, ovvero quattrocentesca, che vuole il Santo accompagnato da un Bambino, a volte raffigurato come angelo, altre come Cristo.

Questo episodio, assente nelle Legenda Aurea, è raffigurato in molti esempi di esimi pittori quali Botticelli, Filippo Lippi, Benozzo Gozzoli e Carpaccio. Non è un episodio che si trova negli scritti di Agostino, né nella vita del Santo scritta da Possidio, ma è stato utilizzato sicuramente sulla scia di una tradizione che riporta ad una delle problematiche teologiche, che aveva fatto riflettere e disquisire di più il Santo: il tema della Trinità. Secondo questa tradizione, in un sogno o in una visione, Agostino, che meditava sul mistero della Trinità, si trovò davanti un infante seduto sulla riva del mare, che, con un cucchiaio o  con una conchiglia, raccoglieva l’acqua per versarla dentro una pozzanghera. Il bambino, rivolgendosi al santo, gli avrebbe detto che prima che Agostino si fosse spiegato il mistero, lui sarebbe riuscito a raccogliere lì l’acqua di tutto il mare.

A livello testuale sappiamo invece come Agostino abbia discusso questa problematica sia nelle Confessiones, sia, in modo più sistematico, nell’opera filosofica che porta appunto il titolo De Trinitate. Nel nostro dipinto, quella striscia di colore azzurro alle spalle del bambino e che copre la sussistente linea rossa di contorno, presente in quasi tutti i pannelli, potrebbe definire, seppur in modo elementare, l’orizzonte del mare; forse il colore potrebbe essere stato aggiunto o  corretto con i restauri, ma un altro limite è definito da un altro sfondo, questa volta giallo, che potrebbe voler raffigurare la spiaggia. Quindi ci troviamo di fronte ad un S. Agostino, dell’epoca degli affreschi precedenti, raffigurato non con gli attributi vescovili - nella stessa chiesa sarà così raffigurato in un altro affresco del pieno Quattrocento - ma come monaco agostiniano [18] , di certo una veste più vicina agli intenti e alla consuetudine dei monaci agostiniani del Priorato.

Sono dunque lontana dal Bella quando sostiene che si possa trattare di un ipotetico S. Cristoforo [19] , a quanto pare, molto ricorrente in quegli anni come santo legato agli ordini militari: per prima cosa, tradizionalmente S. Cristoforo reca sulle spalle il piccolo Cristo, secondo poi, non trovo la motivazione per cui si sarebbe dovuta apportare così in ritardo un’aggiunta che in realtà non appartiene ad una tradizione di un’epoca così avanzata, visto che il Bambino Gesù caratterizza da sempre l’iconografia di questo santo, mentre definisce Agostino solo nel Quattrocento inoltrato, un’ epoca che, tra l’altro, combacia perfettamente, in base a dati stilistici, con quella in cui venne posta l’aggiunta. Il registro “popolare” che si evince nel pannello preso in analisi, non contraddice, ma è anzi in linea con il resto delle pitture rinvenute nella chiesa piazzese, ed è quindi questo linguaggio non aulico il vero denominatore comune, il vero protagonista  e fil rouge che lega eventi figurativi tra loro invece lontani nel tempo.




NOTE

[1] Tommaso Fazello attribuisce la fondazione all’anno 1099 e la donazione da parte di Simone d’Altavilla, primogenito di Ruggero I e Adelasia del Vasto. Cfr. T.Fazello, Storia di Sicilia, trad. di R. Fiorentino, II, Palermo, 1830, p. 395 e sgg.; Il Maurolico riportato dal Pirri ad attribuire la donazione a Simone Aleramico, ma nell’anno 1106. Cfr. R.Pirro, Sicilia sacra disquisitionibus; et notitiis illustrata, p.586, vol.II, Palermo 1630 - 47;  Chiarandà e Alceste  Roccella non aggiungono nulla di nuovo. Cfr. G.B. Chiarandà, Piazza città di Sicilia Antica, Nuova, Sacra e Nobile, Messina 1664 p. 209; A. Roccella, Il  Granpriorato di Sant’Andrea a i monasteri benedettini in Sicilia, Piazza Armerina 1883.

[2] Cfr. C.A. Garufi, Gli Aleramici e i normanni in Sicilia e nelle Puglie in Centenario della nascita di Michele Amari, Palermo 1910, p. 80. 

[3] Cfr. C.A. Garufi, Gli Aleramici e i Normanni…, op. cit., p.48; Cfr. I. Mirazita, Trecento siciliano, Napoli 2003, p.17; Cfr. E. Pontieri, La madre di Ruggero: Adelaide del Vasto contessa di Sicilia regina di Gerusalemme, in  Atti del convegno internazionale di studi Ruggeriani, Palermo, 1955.

[4] Cfr. W. Leopold, Sicilianische Bauten des Mittalters in Castrogiovanni, Piazza Armerina, Nicosia und Randazzo, Berlin 1917, pp. 25 - 28; G. Ciotta, La cultura architettonica Normanna in Sicilia, Messina 1992, p. 61; Cfr. E. Maganuco, Opere d’arte in Sicilia inedite e malnote, Torino 1944, p. 11; S. Bottari, L’architettura della Contea in Siculorum Gymnasium, Catania 1948, p. 1 e sgg.; Cfr. R. Schwarz, Die Bankust Kalabrien und Siziliens in “Zeitalter der Normannen in Romische Jahrbuch fur Kunst geshiche, VI, 1942 - 1943, pp. 23 - 25; Cfr. P. Lojacono, La chiesa del Priorato di S. Andrea, prototipo del gotico siciliano, in “Palladio”, Roma 1957, p. 133; Cfr. R. Delogu, La diocesi di Piazza Armerina, Caltagirone 1967, p. 61; T. Bella, Il Priorato di S. Andrea a Piazza Armerina tra Occidente e Terrasanta, nuove considerazioni sul manufatto architettonico, in Rivista della Chiesa piazzese, Anno V, luglio - settembre 2005, p. 105.   

[5] Cfr. C. Minacapelli, in “La Siciliana”, IX, 9, Settembre 1926, pp. 161 - 164.

[6] Cfr. C. D. Fonseca, La Chiesa, in I Normanni popoli d’Europa 1030 – 1200, a cura di M. D’Onofrio, Marsilio, Venezia  1994, p. 167.

[7] Cfr. G. Villari, Primati etnei, Siracusa 1991, p. 21 e sgg.

[8] Per il catalogo della mostra  cfr. M. K. Guida (a cura di) , La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina, dal Granconte Ruggero al Settecento, Electa, Napoli 2009.

[9] Cfr. D. Abulafia, Federico II, un imperatore medievale, Einaudi, Torino 1988.

[10] Cfr. M. K. Guida, op. cit., p. 17.

[11] Cfr. R. Delogu, Mostra degli affreschi restaurati del Gran Priorato di S. Andrea, Palermo 1963, p. 4.

[12] Cfr: G. Bongiovanni in L. Sarullo , Dizionario degli artisti siciliani, Pittura, a cura di M. A. Spadaro, Palermo 1993, vol. II, p. 310.

[13] Cfr. P. L. Leone De Castris, Pittura del Duecento e del Trecento nel Meridione in Storia della pittura in Italia -  Duecento e Trecento, Roma 1986, p. 474.

[14] Cfr. P. Santucci, La produzione figurativa in Sicilia dalla fine del XII secolo alla metà del XV, in Storia della Sicilia, vol. V, Napoli - Palermo, 1981, pp. 161 - 162.

[15] Cfr. C. Maiezza, Un ciclo maturo del Duecento con Storie di S. Andrea,  in Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona, Palermo 1995, p. 498.

[16] T. Bella, Il Priorato di S. Andrea a Piazza Armerina tra Occidente e Terrasanta, Un riesame dell’apparato pittorico in Rivista della Chiesa Piazzese, II Parte, luglio - settembre 2006, Anno VI, Nuova serie numero 3, p. 153.

[17] Cfr. L .J. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Catania 1984, p. 356; Cfr. M. Pacaut, Monaci e religiosi nel Medioevo, Il Mulino, Bologna 1989, p. 189.

[18] “Agostino quasi sempre è raffigurato come Vescovo d’Ippona, e perciò con gli attributi episcopali della mitra e del pastorale; qualche volta come semplice monaco agostiniano con il saio scuro e la cintura di cuoio.” E. Croce, Iconografia di S. Agostino, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1955, vol. I, p. 178.

[19] T. Bella, Il Priorato di S. Andrea a Piazza Armerina tra Occidente e Terrasanta, Un riesame dell’apparato pittorico in Rivista della Chiesa Piazzese, op. cit., p. 178.







Fig. 1
Gran Priorato di S. Andrea, sec. XII,
portale meridionale, Piazza Armerina (En)

Fig. 2
SECONDO MAESTRO DEGLI AFFRESCHI DI S. ANDREA, S. Agostino, sec. XIII - XV
affresco e tempera, cm. 236 X 105
Gran Priorato di S. Andrea, Piazza Armerina (En)

Fig. 1
SECONDO MAESTRO DEGLI AFFRESCHI DI S. ANDREA, S. Agostino, partic., sec. XII - XV
affresco e tempera, cm. 236 X 105
, Gran Priorato di S. Andrea Piazza Armerina (En)




Foto cortesia di Giovanna Di Marco

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