bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
“Il favoloso mondo di Amélie”: un pastiche contemporaneo  
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 23 Agosto 2011, n. 621
http://www.bta.it/txt/a0/06/bta00621.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Artisti

A Franca

 

Strana la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai.

Poi, da un giorno all'altro ti ritrovi a cinquant'anni,

e l'infanzia o quel che ne resta è in una piccola scatola, che è pure arrugginita.

(Bretodeau dopo aver ritrovato la scatola con i suoi "tesori")

 

Amélie

Le fabuleux destin d'Amélie Poulain è una “favola contemporanea in pellicola” scritta e diretta da Jean Paul Jeunet nel 2001. Il destino di Amélie, gioire della felicità di aiutare gli altri, è una missione che si intreccia con il suo personalissimo modo di vedere il mondo, di assaporarlo, di raccogliere in briciole l'essenza delle piccole cose. La paladina dei sogni si camuffa da Zorro cercando di risolvere i problemi delle persone e di contrastare le ingiustizie: è come una bambina che gioca prestando la massima attenzione nel tentativo di  non destare sospetti poiché tutto deve sembrare una specie di dono quotidiano.

Non sempre i casi che si presentano all'attenzione di Amélie sono facilmente risolvibili, ma la ragazza avrà un valido aiuto soprattutto dall' “uomo di vetro”, un pittore del quartiere che resta sempre in casa a causa della fragilità delle sue ossa. Amélie cresce nell'aiutare gli altri, sviluppa una consapevolezza di sé fino a capire il suo sogno, le sue emozioni, il suo ruolo.

La trama è un teatro dell'illusione: una favola apparentemente semplice si scontra con la complessità narrativa di Jeunet, fatta di paratassi di parole e minuzia di particolari descrittivi in un gioco che sommerge lo spettatore con una cascata di note colorate, le sfaccettature di ogni cosa, i particolari che nessuno riesce a cogliere.

L'eredità cinematografica è evidente: ci sono citazioni esplicite di Jules et Jim di Truffaut, Ladri di biciclette, Cercasi Susan disperatamente, Zazie dans le Metro di Malle, la Parigi di Varda... I rimandi appartengono alla  “rimediazione”, un recupero consapevole da parte dei nuovi media di mezzi precedenti come operazione incorporativa. L'arte di Jeunet è complessa e sapiente, un assemblage di frammenti attinti al mondo del cinema e ricontestualizzati attraverso una pluralità di codici eterogenei che spaziano dal mondo del fumetto e dell'animazione alla fotografia, dalla poesia alla letteratura, dalla pittura alla televisione.

Il pastiche creato dal regista è linfa perfetta per i cercatori del frammento: ogni fotogramma è un serbatoio di citazioni. Il favoloso mondo di Amélie può essere riletto ogni volta secondo un piano diverso: è cinema che inscena se stesso attraverso molteplici registri.

L'idea che si propone è quella di distillare gli elementi disseminati nel film che richiamano l'arte contemporanea e i suoi codici espressivi.

 

 

Paris: “chance et liste”

La storia di Amélie è raccontata da una voce narrante fuori campo che non manca di raccogliere gli eventi come tante voci parigine che si intrecciano, si sovrappongono, echeggiano parallele. L'azione diventa un  incrocio, una sovrapposizione di strade diverse che convergono nel presente, nell'istante, come tanti viaggiatori che si spostano ad ogni ticchettio dell'orologio de La Gare de Lyon.

“Il 3 settembre 1973, alle 18, 28 minuti e 32 secondi, una mosca della famiglia dei Calliphoridi, capace di 14.670 battiti d'ali al minuto, plana su rue Saint-Vincent, a Montmartre. Nello stesso momento, in un ristorante all'aperto a due passi dal Moulin de la Galette, il vento si insinua magicamente sotto una tovaglia facendo ballare i bicchieri senza che nessuno se ne accorga. In quell'istante, al quinto piano del 28 dell'Avenue Trudaine, IX Arrondissement, Eugène Koler, di ritorno dal funerale del suo migliore amico, Emile Maginot, ne cancella il nome dalla sua rubrica. Sempre nello stesso momento, uno spermatozoo con il cromosoma X del signor Raphaël Poulain, si stacca dal plotone per raggiungere un ovulo della signora Poulain, nata Amandine Fouet. Nove mesi più tardi, nasce Amélie Poulain”.

Il tintinnio degli ephemeras è musica ordinata in un carillon d'altri tempi. É la magia della città che permette l'incontro tra oggetti, storie, elementi, come in un collage surrealista [1] , in una scatola cornelliana o in un photosequence di Michals [2] alla Chance Meeting.

Ogni personaggio viene connotato dalla voce narrante secondo un elenco, una lista che indica le abitudini, le preferenze, le repulsioni di queste figure bizzarre. Una manciata di frammenti viene annotata del narratore: la voce presenta allo spettatore delle personalità abbozzate che si riconoscono attraverso quegli elementi, quasi epiteti, seguendo lo stile della fiaba. “A Raphaël Poulain non piace: fare pipì accanto a qualcuno; sorprendere uno sguardo di disprezzo sui suoi sandali; uscire dall'acqua e sentirsi il costume appiccicato addosso. A Raphaël Poulain piace: strappare enormi pezzi di carta da parati; mettere in fila le sue scarpe e lucidarle con cura; svuotare la scatola degli attrezzi, pulirla bene, e riporre tutto, alla fine. La madre di Amélie, Amandine Fouet, maestra originaria di Gueugnon, è sempre stata una persona instabile e nervosa. Ad Amandine Poulain non piace: avere le dita lessate quando fa il bagno; essere - da qualcuno che non le va - sfiorata con la mano; avere il segno del cuscino stampato sulla guancia la mattina. Ad Amandine Poulain piace: il costume dei pattinatori artistici in TV; far brillare il parquet con le pattine; svuotare la borsetta, pulirla bene, e riporre tutto, alla fine”.

Anche Amélie viene presentata attraverso un accumulo: è “una giovane ragazza con un gusto pronunciato per i piccoli piaceri della vita: immergere la mano in un sacco di legumi, spaccare la crosticina di una crème brûlée con la punta del cucchiaino e far rimbalzare sassi sull'acqua del Canal Saint Martin”.

La lista è una selezione, una scelta di elementi colti dal narratore per connotare un personaggio attraverso le sue consonanze interiori: è il filtro con cui dialoga con lo spettatore.

Non mancano gli elenchi numerati dei pensieri che si susseguono nella mente di Amélie: “Nino è in ritardo. Per Amélie ci sono due spiegazioni possibili. La prima: non ha trovato la foto. La seconda: non ha ancora avuto il tempo di ricomporla, perché tre banditi, multirecidivi, che assaltavano una banca, l'hanno preso in ostaggio. Seguiti da tutti i poliziotti della zona, sono riusciti a seminarli, ma lui ha provocato un incidente. Quando ha ripreso conoscenza, non ricordava nulla. Un camionista ex detenuto l'ha raccolto, e credendolo in fuga l'ha messo in un container in partenza per Istanbul. Là, è finito tra avventurieri afgani, che gli hanno proposto di andare a rubare testate missilistiche sovietiche. Ma il camion è saltato su una mina alla frontiera col Tagikistan. unico superstite, è stato accolto in un villaggio di montagna, ed è diventato militante mujahiddin. Perciò, Amélie non vede perché deve stare in quello stato per uno scemo che mangia la minestra di cavolo per tutta la vita con uno stupido portavasi in testa”.

Nel contemporaneo esistono moltissimi esempi di lista [3] artistica soprattutto grazie alla compenetrazione di mezzi e registri diversi. Duane Michals, per esempio, crea ricettari [4] per l'immaginazione [5] o liste di doni [6] natalizi attraverso la fotografia e la scrittura a mano che si fondono in un collage dell'espressione [7] .

L'attenzione magica dedicata alla cura del dettaglio risponde a quella poetica della meraviglia che caratterizza il Novecento e trova un suo spazio e una sua dignità artistica attraverso le tecniche d'accumulo: il collage, l'assemblage [8] , il found footage cinematografico.

 

 

Memo-scatola

Coincidenze e parallelismi indicati dalla voce narrante sono sintomo della ricerca di una coincidenza, di una corrispondenza cercata e voluta, come caccia al collegamento e alla convergenza sulla scia cornelliana, ma anche come attesa dell'evento che permetta un “incontro casuale” [9] .

L'annuncio della morte di Lady D. coincide, nel film, con un momento di sussulto di Amélie e con la caduta del tappo di una boccetta di profumo tra le sue dita che rotola sul pavimento colpendo una piastrella: Amélie trova in modo assolutamente fortuito una scatola nascosta anni prima da un bambino che voleva conservare i suoi piccoli segreti. “Solo il primo uomo penetrato all'interno della tomba di Tutankhamon potrebbe capire l'emozione di Amélie mentre apre la scatola di tesori che un bambino ha assicurato di nascondere una quarantina di anni fa”. L'intenzione di restituire al proprietario quel mucchietto di “tesori” sarà il motore che permetterà ad Amélie di vestire i panni di benefattrice devota al prossimo.

La scatola di latta nascosta dal piccolo Bretodeau altro non è che un accumulo di oggetti: Amélie capisce l'importanza di quelle piccole cose nascoste con cura, ma solo il proprietario sa esattamente quali siano i ricordi legati a quella manciata di ritagli del passato. “Strana la vita. Quando uno è piccolo, il tempo non passa mai. Poi, da un giorno all'altro ti ritrovi a cinquant'anni, e l'infanzia o quel che ne resta è in una piccola scatola, che è pure arrugginita”. Nella capsula temporale c'è la sua storia che rivive magicamente attraverso gli oggetti: “In un istante tutto gli riaffiora alla mente. La vittoria di Federico Bahamontes al giro di Francia del '59. Le sottane della zia Josette. E soprattutto quella giornata tragica... la giornata tragica in cui vinse tutte le biglie dei compagni”.

La scatola come custode della memoria è un oggetto diffuso, ma anche una forma artistica specifica di Joseph Cornell che, nella Shadow Box [10] , crea un piccolo mondo per sognatori: “usciva ogni giorno dalla porta del tempo per esplorare le magiche prospettive dell’immaginazione associativa e, come un bimbo che incolla le figurine la sera, lavorava sul tavolo della cucina della modesta casa di Long Island sepolto in un mondo di piccoli oggetti, ritagli di stampe, biglietti di viaggio scaduti, angeli di bisquit e di carta ricamata, bicchierini, palle di vetro colorate, etichette, piccoli flaconi, carte del cielo e del mare, fotografie, frammenti di specchio, rami secchi e infiniti relitti del tempo” [11] .

La poesia dell'oggetto come madeleine evocativa richiama la caccia al tesoro contemporanea che riqualifica il banale come pezzo prezioso: la scatola è una Wunderkammer in miniatura per l'artista-collezionista.“Nous sommes à une époque de curiosité esasperée qui fouille tout, hommes et choses; à default de la grande histoire que nous ne savons plus faire, nous ramassons les miettes de la petite avec un tel zèle que notre considération en est venue à ouvrir ses grands yeux devant un collectionneur de timbres-poste” [12] .

 

 

Collezionisti di “ephemeras”

L'attenzione al banale, alle piccole cose insignificanti per l'uomo comune (ma non per i sognatori), è il motore della ricerca. I personaggi del fantastico mondo di Amélie sono dotati di una curiosità simile a quella di bambini-esploratori.

La piccola Amélie raccoglie immagini con una macchina fotografica catturando eventi, attimi del presente in istantanee dell'esistenza. Sono immagini-objet trouvés [13] raccolti in pellicola. La passione della ragazza per il frammento e la cattura delle immagini non si limita alla fotografia: Amélie registra brevi sequenze di fotogrammi dai programmi TV, come se si trattasse di un resoconto del suo zapping: così facendo crea videocassette di frammenti che dona al vicino, l'uomo di vetro. Questa pratica bizzarra appartiene ad un genere cinematografico specifico, il found footage, di cui Cornell è l'inventore. La passione collezionistica di Amélie segue quella dell'artista: “Cornell giuntava immagini e spezzoni di vecchi film di Hollywood trovati nelle botteghe dei rigattieri. Montava collage cinematografici guidato solo dalla poesia delle immagini” [14] .

Nella propria presentazione, Amélie si rivolge direttamente allo spettatore in una specie di metateatro spiegando la sua grande passione per il cinema e per quei particolari dei film che nessuno coglie, come un piccolo insetto che appare nella proiezione, un ephemera. La ragazza non ama solo la visione del film, ma la vive come un evento-spettacolo: l'ambiente del cinema e le espressioni delle persone che seguono i fotogrammi della proiezione sono una specie di spettacolo aggiunto. “Mi piace molto voltarmi nel buio e osservare le facce degli altri spettatori”. L'inquadratura della cinepresa del registra offre una panoramica sulle poltroncine, sugli sguardi di chi assiste al film e sugli occhi attenti di Amélie. La luce che illumina quei volti è data dalla proiezione: gli spettatori diventano magicamente blu. É un monocromo che ricorda proprio il primo found footage cornelliano del 1936, Rose Hobart. “La vita è solo un'interminabile replica di uno spettacolo che non avrà mai luogo”.

Il padre di Amélie, invece, è dedito al monumento funebre per la moglie, un accumulo di chincaglierie che si raggruppano come in un assemblage su cui troneggia un nano da giardino. L'eccessiva cura del nano da parte del padre infastidisce la ragazza che ruba la statua e la affida ad un'amica hostess: quest'ultima, in versione Biancaneve, porta il nanetto con sé per il mondo scattandogli delle polaroid di viaggio e spedendole al padre di Amélie. Le fotografie vengono raccolte dall'uomo come se fossero delle cartes-de-visite [15] da collezione e allineate accuratamente in una parete della casa.

Nino, il ragazzo di cui si innamora Amélie, è la sua anima gemella, un sognatore con la testa tra le nuvole: prima si divertiva a fotografare i passi delle persone lasciate nel cemento fresco o a registrare le risate più divertenti delle persone. Ora lavora in un sexy shop come commesso, ma dedica il suo tempo libero a collezionare manciate di scatti abbandonati nei cestini, per terra o vicino alle macchinette per le fototessere.

Il ragazzo ha raccolto quegli scarti in un album, un catalogo da collezionista del frammento, ricomponendo   con le pinze le foto strappate  proprio come un investigatore surrealista. Sono oggetti trovati, pezzetti di carta ormai cestinati. “Tutto ciò che la grande città ha gettato via, tutto ciò che ha perso, tutto ciò che ha disprezzato, tutto ciò che ha schiacciato sotto i suoi piedi, egli lo cataloga e lo raccoglie.. Egli classifica le cose e sceglie con accortezza; egli accumula, come un avaro che custodisce un tesoro, i rifiuti che assumeranno la forma degli oggetti utili o gratificanti tra le fauci della dea industria” [16] .

Nino è un artista del reimpiego, “esteta del rottame” [17] , come Cornell, Duchamp e molti esponenti del contemporaneo: “affascinato dai rottami e dai relitti delle nostre vite – legni trovati sulla battigia, ramoscelli secchi, francobolli, lustrini e pipe di terracotta- egli conservava questi preziosi articoli con la stessa cura con cui un collezionista protegge la sua raccolta” [18]. Sembra un gioco tanto contenutistico quanto letterale: le fotografie scartate, ratées, rappresentano l'anagramma delle foto ben riuscite, taréés. Questa è fautographie [19] !

La passione per la colla è comune ai due ragazzi: sono due esperti di collage d'eccezione. Se Nino ricompone con cura le fototessere strappate, Amélie si dedica alle lettere. Nel corso delle sue innumerevoli imprese da paladina del bene, la ragazza decide di regalare alla portinaia del palazzo la notizia che aspetta da trent'anni, una lettera dal marito. Leggendo un articolo di giornale scopre un immenso ritardo di consegna delle poste per uno schianto aereo sul Monte Bianco avvenuto trent'anni prima. Amélie progetta di montare un finto evento a fin di bene: realizzare una lettera d'amore per la donna con la scusante della tragedia aerea.

Dopo aver raccolto le lettere dell'uomo, minuziosamente conservate dalla moglie, Amélie si rivolge allo spettatore mostrando epistole e forbici come strumenti da lavoro per realizzare la “poesia dadaista”: “Prendete un giornale/ Prendete le forbici./ Scegliete nel giornale un articolo della lunghezza che desiderate per la vostra poesia./Ritagliate l’articolo./Ritagliate accuratamente ognuna delle parole che compongono l’articolo e mettetele in un sacco./Agitate delicatamente./Tirate poi fuori un ritaglio dopo l’altro disponendoli nell’ordine in cui sono usciti dal sacco./Copiate scrupolosamente./ La poesia vi somiglierà./Ed eccovi divenuto uno scrittore infinitamente originale/ e di squisita sensibilità, benché incompresa dal volgo” [20] .

La scrittura dell'uomo viene conservata dal ritaglio (è una prova, come nell'arte di Michals [21]), ma viene rimontata in nuove frasi: il foglio viene fotocopiato per parificare i ritagli, come in un'opera surrealista [22] , e immersa nel the per invecchiarne la carta. Amélie segue gli stessi procedimenti che appartengono alla creazione del collage e della scatola cornelliana.

 

 

La macchina delle meraviglie

La macchina per le fototessere diventa, nel film, un luogo prediletto, un mondo magico, distributore di oggetti trovati, trait d'union tra arte e tecnica: è fotografia ! I ritagli abbandonati sono preziosità da collezione, come francobolli rarissimi per l'album di Nino.

La cabina è un'eredità degli anni Venti che ripropone due opposti utilizzi del ritratto fotografico ottocentesco: “quello identitario, medico e poliziesco, e quello trasformativo e d'evasione legato a certe esperienze dell'atelier di Disderi. Allo stesso tempo, la cabina per le fototessere interpreta e riunisce in modo perfetto alcuni concetti fondamentali per l'arte del Novecento: l'esaltazione dell'automaticità meccanica, il progressivo esautoramento dell'autore, la svalutazione dei tradizionali valori formali e pittorici dell'immagine” [23] .

La macchina fotografica era già stata vista come prodigio e meraviglia da Lewis Carroll che, nei suoi scritti, la chiama Chimera: questo termine, in inglese, ha lo stesso suono di camera, ovvero la macchina fotografica.

La cabina dei sogni è una stanza dei segreti nascosti dalla tendina che si chiude per gli scatti: le immagini realizzate all'interno sono pezzi di un puzzle, un mistero legato ad un ritratto ricorrente che compare in diversi punti di Parigi proprio accanto a queste macchine di immagini. Amélie pensa che quell'uomo sia una specie di fantasma che faxa la sua immagine in questo mondo: solo la pellicola fotosensibile è in grado di darne traccia. La metafora legata alla morte, allo spettro, all'aldilà è legato allo stesso concetto di fotografia: “La morte del soggetto, la sua resurrezione al di là del reale, l’arresto del tempo, la presenza di ciò che è presente, tutti questi paradossi Carroll li ha vissuti un’infinità di volte dietro il suo obiettivo” [24] .

Il ritratto-objet trouvé viene trovato ai quattro angoli della città come se si trattasse di una specie di rituale. La curiosità è data proprio da quel numero, quattro, perché quattro sono le versioni del volto che vengono catturate dalla macchina. È un numero che indica la totalità, l'intero, come i quattro punti cardinali o i quattro angoli del mondo.

Nelle opere cornelliane il quattro è presente in diverse opere: le quattro scene di Monsieur Phot (più epilogo) del 1933, i gruppi di quattro ritagli in Object (Hotel Theatricals by the Grandson of Monsieur Phot Sunday Afternoons) [25] , i quattro cilindri del Soap Bubble Set del 1936 [26] , le quattro immagini del cacciatore in Black Hunter del 1939,  in quattro pappagalli di Habitat group for a shooting Gallery del 1943 [27] .

Le Shadow Boxes sono macchine per le immagini, risultati combinatori, giustapposizioni di frammenti, slot machines. Non è un caso che il poeta Charles Simic ne Il cacciatore di immagini. L'arte di Joseph Cornell accosti la scatola del piccolo Medici ad una macchina per le fototessere descrivendo le componenti che si assemblano all'interno dell'opera come una moderna favola underground che si svolge nella metropolitana: “Il nome incanta, e così l'idea- la giustapposizione del ragazzo rinascimentale, la slot machine da sala giochi, e la cabina delle foto automatiche nella metropolitana; mondi che a prima vista sembrano del tutto incompatibili ma, naturalmente, siamo nelle 'zone magiche' di Cornell, tra la Quarantaduesima Strada e Times Square. Il ragazzo ha l'aria di chi, perso nelle fantasticherie, sta per appoggiare la fronte al vetro della finestra. (…) Il suo ritratto è riprodotto dalla macchina in formato tessere” [28] .

L'automatismo della cabina per le fototessere non esclude la necessità dell'interazione dell'utente che, con un gesto, la mette in moto, in atto, in arte. La macchina è un assemblage di ingranaggi, di pezzi, di parti diverse come le scatole cornelliane e la Chimera carrolliana: “La macchina, come tutti i miti, è fatta di parti eterogenee. Devono esserci ruote dentate, rotelle ed altri congegni ingegnosi connessi alla leva. Devono essere ingegnosi. Il nostro sguardo affettuoso può metterli in moto. Una slot machine poetica che offre un jackpot di significati incommensurabili attivati dalla nostra immaginazione” [29] .

La cabina è un giocattolo nelle mani di sognatori come Amélie e Nino: quella macchina diventa una scatola speciale, una mail box in cui scambiarsi messaggi e lasciarsi appuntamenti. Nino attacca volantini per cercare di ritrovare il suo album o chiedere appuntamenti mentre Amélie, travestita da Zorro, si fotografa nella cabina mentre mostra cartelli di indizi e indicazioni. É una caccia al tesoro contemporanea, un corteggiamento anomalo di due amanti degli ephemeras.

I due personaggi diventano giocatori in un gioco che è Parigi stessa: sfruttano ogni cosa come bambini. La città è lo spazio della partita: sono ammessi tutti gli oggetti, i mezzi, gli stratagemmi. La raccolta degli indizi viene seguita come un'indagine poliziesca di stampo surrealista: è una caccia agli oggetti trovati. Così Amélie prepara l'appuntamento per restituire l'album a Nino invitandolo davanti alla giostra di Montmartre e, attraverso la cabina telefonica più vicina, detta le mosse per la pedina-Nino. Traccia per lui il percorso da seguire attraverso frecce disegnate a terra o composte da mangime per uccelli, sfruttando la gestualità degli artisti di strada immobili come statue (“Se il dito indica il cielo l'imbecille guarda il dito”) e un visore per le panoramiche alte.

Amélie si comporta a sua volta come fantasma aiutando Nino a riprendere l'album, ma anche a scoprire il ritratto dell'uomo misterioso che compare in tante fototessere trovate: è il tecnico di quegli apparecchi per sognatori, l'addetto alla manutenzione delle macchine magiche.

Il tempo reale viene sconvolto: gli appuntamenti, gli intervalli tra una foto e l'altra, lo scatto, la pianificazione, le coincidenze temporali diventano le nuove costanti, strappi d'infinito. “È il 28 settembre 1997, e sono le undici in punto del mattino. Alla Giostra del Trono, a due passi dal trenino dei Carpazi, la macchina per impastare i dolci impasta i dolci. Nello stesso momento, su una panchina di Place Villette, Félix L'Herbier scopre che ci sono più connessioni possibili nel cervello umano che atomi nell'universo. Nel frattempo, ai piedi del Sacre-Coeur, delle benedettine migliorano il rovescio. La temperatura è di 24 gradi Celsius, il tasso di umidità di 77, e la pressione atmosferica di 990 ettopascal”.

Intorno a Nino e ad Amélie il mondo vive secondo il suo tempo, nel tentativo di rallentarlo e dilatarlo, nella paura del ticchettio delle lancette, nel timore dell'attimo: “L'angoscia del tempo che passa ci fa parlare del tempo che fa”.

 

 

 

 

Bibliografia

P. ADAMS SITNEY, The  cinematic gaze of Joseph Cornell, in  “Joseph Cornell”, Catalogo della mostra a cura di K. McShine, Museum of Modern Art 1980, New York, 1996², p. 69-79

D. ASHTON, A Joseph Cornell Album, New York 1974.

R. COHEN, A Chance Meeting: Intertwined Lives of American Writers and Artists, 1854-1967, (tr. It. a cura di S. Manferlotti, Un incontro casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani, 1845-1967), Milano 2006.

U. ECO, Vertigine della Lista, Milano 2009.

B. FÄSSLER, La fotografia come ready-made –il ready-made come fotografia, Seminario Spinacci, fotografia, < www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/duemilasei/Faessler06.pdf >

L. LEUZZI, Elenchi, enumerazioni ed elenchi enciclopedici in Sophie Calle, “RolSA”, num. 7, 2007

M. LIVINGSTONE, The Essential Duane Michals, Boston 1997.

F. MARUZZELLI, Formato tessera. Storia, arte e idee in photomatic, Milano 2003

F. NADAR, Quand j’étais photographe, Plan de la Tour (Var) 1979²

A. NIGRO, Tra polimaterismo e polisemia: note sul collage surrealista, in “Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e M.G. Messina, (Torino 2007-2008), Milano, 2007, pp. 280-296.

R. RIZZO, Lewis Carroll fotografo, Milano 2009.

Joseph Cornell: Navigating the Imagination, catalogo della mostra a cura di L. Roscoe Hartigan, (Salem, Washington 2006 – 2007), Salem, Washington, London 2006.

E. ROVIDA, American Beauty, “Bta”, n. 571, 01/09/10, http://bta.it/txt/a0/05/bta00571.html

E. ROVIDA, Fotografica-mente, "Bta", n. 573, 13/09/10, http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00573.html

E. ROVIDA, Giochi di parole nell'arte di Joseph Cornell, “RolSA”, n. 12, 2009.

E. ROVIDA, Lee Miller e Joseph Cornell: La Musa e l'argonauta, “Bta”, n. 566, 20/06/2010 <http://bta.it/txt/a0/05/bta00566.html >

E. ROVIDA, “Spirit Houses”:presenze spettrali nel luna park surrealista, “Bta”, num. 587, 19/12/2010

E. ROVIDA, Time voyager: echi di Joseph Cornell nel bestseller “The time's Traveler's Wife”, “Bta” n. 577, 17/10/2010, http://bta.it/txt/a0/05/bta00577.html

E. ROVIDA, “Un'inquietante simmetria”: un mosaico di immagini, “Bta” n. 579, 03/11/2010, http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00579.html

A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni, costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell, “La Rivista di Engramma on line”, n. 70, marzo 2009, < www.engramma.it>.

A. SBRILLI, Wanderer a New York. Una psico-geografia del Romanticismo nell'opera di Joseph Cornell, intervento al Convegno Paesaggi, cartografie e architetture nel romanzo tedesco dell'Ottocento, Istituto Italiano di Studi Germanici, Villa Sciarra-Wurst, 23 aprile 2010.

A. SBRILLI, Joseph Cornell. Ogni cosa è illuminata, “Art e Dossier”, n. 260, novembre 2009.

C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy: The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell) Milano 2005².

D. SOLOMON, Utopia Parkway: the life and work of Joseph Cornell, Boston 2004.

Lewis Carroll, Alice nel Paese delle Meraviglie e Attraverso lo specchio Magico, a cura di S. Vinci, Roma 2009.

D. WALDMAN, Collage, Assemblage and the Found Object, London 1992.

D. WALDMAN, Joseph Cornell: Master of dreams, New York 2002.

R. WERNICK, The Lightfoot Boxer,  “Smithsonian Magazine”, New York 1980.

 

 

NOTE

[1]      A. NIGRO, Tra polimaterismo e polisemia: note sul collage surrealista, in “Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e M.G. Messina, (Torino 2007-2008), Milano, 2007, pp. 280-296.

[2]      M.  LIVINGSTONE, The Essential Duane Michals, New York 1997

[3]      U. ECO, Vertigine della Lista, Milano 2009.

[4]      D. MICHALS, Necessary Things for Writing Fairy Tunes 1989, http://www.cmoa.org/searchcollections/details.aspx?item=91818

[5]      D. MICHALS, Necessary Things for Making Magic 1989, http://www.cmoa.org/searchcollections/imageview.aspx?image=100582&irn=91819

[6]      LIVINGSTONE 1997, pp. 182-183

[7]      Per approfondire il concetto di lista nell'arte contemporanea: L. LEUZZI, Elenchi, enumerazioni ed elenchi enciclopedici in Sophie Calle, “RolSA”, num. 7, 2007

[8]      D. WALDMAN, Collage, Assemblage and the Found Object, London 1992

[9]      R. COHEN, A Chance Meeting: Intertwined Lives of American Writers and Artists, 1854-1967, (tr. It. a cura di S. Manferlotti, Un incontro casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani (1845-1967), Milano 2004, p. 308.

[10]     A. SBRILLI, P. CASTELLI, Esplorazioni, estensioni, costellazioni. Aspetti della memoria in Joseph Cornell,  “La Rivista di Engramma on line” n. 70, marzo 2009, <www.engramma.it >.

[11]     Joseph Cornell, catalogo della mostra a cura di K. McShine, (Firenze 1981), Firenze 1981, p.11.

[12]     F. NADAR, Quand j’étais photographe, Plan de la Tour (Var) 1979², p. 191-192.

[13]     WALDMAN 1992.

[14]     SIMIC 2005, p. 97.

[15]     Joseph Cornell: Navigating the Imagination 2006, p. 27

[16]     S. SONTAG cit.  B. FÄSSLER, La fotografia come ready-made –il ready-made come fotografia, Seminario Spinacci, fotografia, < www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico/leparole/duemilasei/Faessler06.pdf >

[17]     E. ROVIDA, Giochi di parole nell'arte di Joseph Cornell, “RolSA”, n. 12, 2009.

[18]     Joseph Cornell 1981,  p.13

[19]     C. CHĖROUX, Fautographie. Petite histoire de l’erreur photographique, Crisnée (Belgique) 2003

[20]     TRISTAN TZARA, Per fare una poesia dadaista, in Manifesto sull’amore debole e l’amore amaro, 9 dicembre 1920

[21]     D. MICHALS, Real dreams, Danbury (New Empshire) 1976

[22]     Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada 2007, pp. 280-296.

[23]     B. MONDADORI, Nota a F. MARUZZELLI, Formato tessera. Storia, arte e idee in photomatic, Milano 2003

[24]     BRESSAI, Lewis Carroll Photographe ou L’autre côté du miroir,  (trad ita. a cura di R. Rizzo, Lewis Carroll fotografo    o l'altra faccia dello specchio), in R. RIZZO,Lewis Carroll fotografo”, Milano 2009, p. 24.

[25]     D. WALDMAN 2002, p. 122

[26]     SIMIC 2005, p. 92

[27]     D. WALDMAN 1992, p. 212

[28]     SIMIC 2005, pp 55-56

[29]     Ivi, p. 56




 

Risali



BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it