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Il Casino di Caccia a pianta triangolare della famiglia Barberini a Palestrina  
Elisabetta Caputo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 16 Luglio 2011, n. 615
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"La meraviglia è scaturigine del sommo piacere intellettuale, in quanto sempre congiunta con sapere ciò che prima era ignoto" [1] è con questa frase che voglio iniziare a parlare di un edificio conservatosi nella storia ed ai miei occhi di straordinaria bellezza.

Il Triangolo Barberini è una struttura architettonica, che nonostante il suo splendore e la sua rilevanza, ha avuto uno studio limitato nel corso degli anni per la scarsità di documenti, i quali, sono andati in parte dispersi durante i bombardamenti della seconda Guerra Mondiale. Tutta via la critica è stata concorde nell’assegnare la realizzazione dell’opera a Francesco Romano Contini, la cui figura emerge da molti documenti riguardanti la famiglia Barberini, come Architetto di “Case”. Il Casino di Caccia è l’opera più interessante di tale architetto. In esso riscontriamo una ricerca combinatoria e simbolica, insieme all’acquisizione di un metodo geometrico compositivo che acquisì sicuramente durante il rilievo di Villa Adriana a Tivoli. L’edificio si snoda in una combinazione meticolosa di triangoli leggibile fin nei minimi particolari e che si può considerare perno di un ampio disegno urbanistico che interessò l’intero lotto. [2] La documentazione presa in esame assegna l’inizio dei lavori nell’anno 1642. Ciò si riscontra nei documenti forniti da Peppino Tomassi [3] che si è fatto carico di farci avere nozione di atti relativi a pagamenti effettuati a tale Giò Maria Pietro Paoli, Aquilano, Cavatirra, ritrovati nel “Libro Maestro del Principe D. Taddeo Barberini” per alcuni scavi che furono realizzati nella zona dove è ubicato il triangolo proprio nell’anno 1642.

Ciò ha costituito, nell’avanzare degli anni, una sorta di topos condizionante per tutti i pareri successivi, concernenti l’anno d’inizio dei lavori nel cantiere in riferimento a questo periodo. Azzaro, Bevilacqua, Coccioli, Roca De Amicis [4] , hanno posto gli inizi dei lavori al 1642, reputando giusta l’ipotesi avanzata da Tomassi. Sono emerse, però, altre tesi che possono essere indicative e sono quelle di Petrini, Rendina, ma anche dallo stesso Tomassi, che in un certo senso contraddicendosi, ha espresso una nuova congettura. Il Feudo di Palestrina, fu acquistato per volere di Papa Urbano VIII da Francesco Colonna nel 1630 e donato al fratello Don Carlo e inoltre fu ereditato alla sua morte dal figlio Taddeo, che ne detenne il principato. Se i lavori fossero stati realmente intrapresi nel 1642 significherebbe che, alla morte di Taddeo (1647), questi non erano ancora stati terminati e che quindi andarono avanti per volere di Maffeo, figlio di quest’ultimo.

Peppino Tomassi ci parla, però, di uno stemma, ancora in loco e visibile sul portale d’ingresso della vigna. Tale stemma riporta la torre della famiglia Giustiniani e le api di quella Barberini. Ciò ha fatto credere che il Casino possa esser sorto in concomitanza con la cerimonia nuziale del Principe Maffeo e Olimpia Giustiniani celebratasi, come noto, nel 1653 e che doveva avere probabilmente la funzione di dote matrimoniale. A sostegno di questa tesi si è unito in maniera simile il Rendina [5] il quale dichiara, mutando però la motivazione, che la costruzione fu fatta edificare da Maffeo a metà Seicento, come omaggio alla moglie per ricordarle l’emblema di famiglia. Il Petrini viceversa, occupandosi degli eventi accaduti nella città di Palestrina nel Seicento, annovera l’edificio tra le sue “Memorie Prenestine”. [6] nell’Anno di Cristo 1677. Se guardiamo, piuttosto alle piante del Catasto Alessandrino, vediamo che il “Triangolo”, se pur in maniera abbozzata, è inserito in quella del 1660. A conclusione di ciò è lecito affermare che il dibattito riguardante la datazione di questa meravigliosa opera resta comunque aperto in attesa di nuovi suggerimenti.

La forma inconsueta della pianta, invece, ha stimolato grandi interessi. Francesco Contini ha potuto far derivare la sua opera da costruzioni precedenti e/o progetti che ebbe modo di vedere in quegli anni: il Casino è stato messo a paragone con un progetto per un edificio classico del Peruzzi pubblicato dal Portoghesi [7] , una qualche influenza può averla fatta derivare dalla Chiesa della S.S. Trinità  a Torino di Ascanio Vittozzi. Quella che resta però, la teoria più gradita, ed è anche quella a cui tutta la critica ha aderito, è sicuramente la derivazione della forma dal simbolo araldico dell’ape Barberini, cosa che a quel tempo era già visibile nella Chiesa di S. Ivo alla Sapienza di Francesco Borromini.

Il complesso monumentale in questione si trova nella vigna Barberini, nella piana sottostante la cittadina di Palestrina. E’ contenuto in un’area che ha una forma rettangolare con lati di 242 x 206 m. e annovera tre fabbricati che sono disposti lungo l’asse maggiore del rettangolo:

·       il portale d’ingresso a m. 95 dalla via dell’Olmata;

·       il Triangolo, piccolo edificio posto al punto d’incontro degli assi del rettangolo, costruito su  pianta triangolare per altezza di tre piani sopra i quali vi è un ambiente a pianta esagonale;

·       i casali, un insieme di tre edifici: il centrale adibito ad ambientazione e i due laterali destinati uno alla Cappella dedicata a San Filippo Neri e l’altro a magazzino, collegati da muri disposti simmetricamente.

Tutta l’area rettangolare intorno all’edificio presenta alberi da frutta ordinati a esagoni concentrici con vertici sui sei viali che convergono al Triangolo, e sono presenti due gruppi di piante disposte agli estremi del lato nord-ovest e un ampio viale alberato, che completano lo studio della simmetria. [8] Il triangolo si alza su tre livelli oltre al piano interrato e ha per ciascuno dei piani (piano terra, mezzano e primo piano) un vasto ambiente esagonale al centro e piccoli ambienti triangolari in corrispondenza di due vertici dell’edificio. [9]

Lo spazio corrispettivo al terzo vertice è usato per lo sviluppo della scala a pianta triangolare, che tra il primo piano e l’altana diventa a chiocciola. «Tutto il complesso sembra voler illudere l’osservatore, il quale, a seconda del punto da cui lo ammira, ne percepisce un’impressione differente: una residenza agricola; un complesso a scopo difensivo derivato dall’architettura militare; un casino di caccia; una villa dove passare una giornata di svago…». [10]

Al pian terreno nell’ambiente centrale di forma esagonale vi è una pavimentazione rustica a mosaico formata dall’accostamento di ciottoli di colore nero, bianco e arancione, e in origine vi erano collocati sei panchetti di peperino a formarne l’arredo.

Il vano centrale è coperto da una volta a botte con cornice d’imposta sui tre lati e con tre lunette triangolari sulle tre porte d’ingresso poste sui tre lati dell’esagono.

Il pavimento dei due lati degli ambienti triangolari è di cotto ed è disposto a spina di pesce. Il piano seminterrato è illuminato da due aperture poste sotto i vani finestra del pian terreno, e ospita i locali adibiti a servizi (è possibile vedere un forno a sud con piano cottura e cappa semicircolare). Il piano di mezzo è alto 2,90 m nell’ambiente centrale e 3.10 m nei due vani triangolari; l’esagono, pavimentato in cotto a spina di pesce, presenta sui tre lati due caminetti e le porte d’accesso agli ambienti triangolari. [11]

Al piano nobile dell’edificio il pavimento resta un esagono in ceramica smaltata, posto eccentricamente verso sud-ovest e formato da prismi che sono composti di mattonelle di color nero e bianco, mentre una fila di mattonelle smaltate di color arancio termina la composizione. La copertura ripete lo schema del piano terreno, tuttavia le volte dell’ambiente centrale, con cornici di stucco, presentano una considerevole decorazione a foglie d’acanto di cui restano solo alcune tracce.

Il piano dell’attico o altana è un ambiente esagonale interamente affrescato: vediamo vedute esterne e sulla volta ci sono tracce di un disegno di un pergolato che presenta due grandi aperture poste al centro dei lati lunghi dell’esagono, mentre nel terzo lato si sviluppa la scala a chiocciola che sale alla terrazza. Quest’ultima presenta un muro parapetto con caratteristici fori ovali e due “cariatidi-gendarme” che difendono l’edificio [12] .

La decorazione interna è stata quasi del tutto distrutta: restano tracce di stucchi con motivi floreali nella parte del piano nobile e parte degli affreschi, che raffigurano un pergolato, sulle pareti e sull’altana. La facciata è semplice, rispecchia la linearità delle ville extraurbane a carattere agricolo - residenziale del periodo, costituite da volumi a due o tre piani sormontati dalla torretta belvedere.

Il Principe Antonio Barberini commissionò un restauro del complesso nel 1965, con un ripristino che riguardò però solo e unicamente le coperture [13] .

Lo stato attuale della conservazione è sconfortante, perché il Casino è stato soggetto a numerose sottrazioni e spogliato dalla maggior parte dei sedili e dei camini che ne costituivano l’arredo, per non citare i gravi danni agli affreschi delle pareti. L’opera tuttavia è di notevole rilievo e potrebbe essere recuperata e restituita al suo stato originale, siccome la struttura ha salvaguardato la sua interezza originale.

Lo scopo del mio scritto è stato quello di cercare di capire da dove possa esser derivata la planimetria del Casino basata sull’intreccio di due triangoli equilateri che generano all’interno la figura di un esagono irregolare, costituito da un’alternanza di lati lunghi che vengono ad alternarsi con quelli più corti. Avendo cercato di approfondire uno studio che si riferisce alle strutture che possiedono un impianto triangolare, mi sono balzati agli occhi edifici appartenenti alla tipologia delle architetture militari e ho notato che molte di queste opere presentano una conformazione analoga a quella in questione.

L’Architettura militare è una categoria di tipo manualistico che, come le altre (religiosa, civile), intende distinguere nell’ambito della produzione edilizia particolari tipologie e sistemi costruttivi a proposito di specifiche esigenze. Si tratta di tutto un complesso d’interventi intesi a fornire organismi a carattere di difesa e la distinzione teorica di un ramo di tale attività coincide con il momento della diffusione delle armi da fuoco avvenuta in Occidente nella seconda metà del ‘400.

Le architetture militari sono preminenti in Francia e ciò si deve alla munificenza del suo sovrano e all’eccellenza del suo più grande architetto militare: Sébastien Le Prestre de Vauban, che progetta una serie di rivoluzionarie e ingegnose fortificazioni. L’elemento che mi ha interessato di più in questa mia ricerca tipologica è il rivellino, un tipo di fortificazione che risulta indipendente, una sorta di piccolo castello, che è generalmente sito a protezione di una porta di una fortificazione più grande. La struttura si è diffusa in molte parti dell’Europa nell’ambito della fortificazione alla moderna. Si poteva trovare in quasi tutte le grandi fortezze o cinte murarie; queste erano però spesso delle strutture provvisorie (non dovevano offrire protezione a un assalitore che se ne fosse impadronito, cosicché doveva essere facile renderli inutilizzabili nella fronte rivolta alla fortificazione che proteggevano). Nella fortificazione alla moderna questo elemento perde la libertà compositiva e l’aspetto di fortezza in miniatura e la sua forma s’irrigidisce in una struttura triangolare posta davanti alla cortina in cui si apre un ingresso. Fattore caratterizzante del rivellino è la versatilità del suo impianto, caratterizzato da queste geometrie diversificate a seconda delle singole esigenze topografiche e difensive.

Al loro interno, poi, le singole tipologie d’impianto presentano un’altra differenziazione, legata all’evoluzione delle armi e delle tecniche di combattimento come testimonia l’impianto a mezzaluna, che nel secolo successivo compare con andamento triangolare all’esterno e semicircolare all’intero, mentre vedremo che nel Seicento ci sarà solo un unico andamento: quello triangolare. Tra le varie geometrie quella triangolare consegue più successo, perché in grado, più delle altre, di garantire un’efficace difesa non solo della propria struttura, ma anche del complesso fortificato vero e proprio, situato in posizione più arretrata.

Un esempio importante di rivellino triangolare viene offerto dal grande Maestro Leonardo Da Vinci [14] : il disegno del foglio 65r del Manoscritto L rappresenta un rivellino tracciato in pianta e in alzato tra Quattro e Cinquecento. È uno di quei rivellini triangolari che Leonardo ha spesso immaginato a protezione delle porte, con le facce fiancheggiate dai torrioni d’angolo del circuito. Il foglio è databile tra il 1501 e il 1504 e riporta il disegno eseguito a penna con inchiostro seppia, di un rivellino triangolare visto in pianta e in alzato.

Il disegno, che sembra rifarsi a norme architettoniche già esistenti (probabilmente del centro Italia, Romagna o Lazio), mostra un bastione fortemente scarpato, con tamburo e beccatelli su archetti e merli sovrastanti. Nel bozzetto non vi è alcun riferimento al fossato e all’entrata con il ponte levatoio, che invece sono stati aggiunti nel modello. Nella seconda metà degli anni Ottanta per proteggere gli ingressi principali di fortezze quadrangolari, il Maestro disegna rivellini di forma triangolare per assecondare l’azione di fiancheggiamento dai torrioni angolari della fortezza (Ms. B, 5 r, 24 v, 57 v; Codice Atlantico, 763 v, già 281 v-b) [15] .

Le dimensioni del rivellino aumentano al diminuire di quelle del fossato e diminuiscono all’aumentare di queste ultime, come se la variazione di un elemento si ripercuotesse su tutto il sistema, alla maniera di ciò che avviene nella linguistica strutturale, quando la variazione di un fonema si ripercuote sul tutto solidale [16] .

Il disegno di questo rivellino, ispirato probabilmente ad un'architettura già esistente, risale al periodo in cui Leonardo si trovava in Romagna a sovrintendere alle fortificazioni militari di Cesare Borgia. Il modello, a forma triangolare, che presenta sulla sommità tre piccoli edifici di servizio, possiede inoltre un camminamento utilizzato anche come piazza d'armi per la fila superiore delle cannoniere. Ha pareti fortemente scarpate divise in due settori da un cordolo. Nella fascia superiore sono presenti feritoie per le postazioni di artiglieria. Gli spigoli del rivellino sono smussati. Il modello di fortificazione con base scarpata documenta le evoluzioni dell'ingegneria militare nella seconda metà del XV secolo, quando le nuove armi da fuoco impongono modifiche strutturali. È in atto una discussione su ciò che esso possa essere realmente: in altre parole, se si tratta di un rivellino oppure di un baluardo di bastioni, poiché queste strutture verranno così realizzate nel corso del XVI secolo.

Leonardo ha anche immaginato i rivellini in concomitanza di alte torri di avvistamento (Ms. B, 23 v; Louvre, Raccolta Vallardi, 2282). Sull’argomento dei rivellini Leonardo ritorna negli anni Novanta (Codice Atlantico, 121 r, già 43 r-b), e tra Quattro e Cinquecento all’esterno di un impianto ottagonale (Codice Atlantico, 121 v, già 43 v-b) [17] .

Durante la mia ricerca ho incontrato vari edifici con tipologia di pianta triangolare che ho messo a rapporto con il Triangolo Barberini. Ne riporto qualcuno di seguito:

 

 

La Fortezza di Sarzanello

È una fortificazione militare che sorge sulla collina di Sarzanello, nei pressi della città di Sarzana, in provincia della Spezia e domina dall’alto la  Val di Magra. La sua costruzione è antecedente al X secolo e fu terminata solo nel 1502. La struttura è composta di due elementi di fabbrica che sono distinti tra loro; il primo, il vero e proprio castello ed elemento principale della fortificazione ha una pianta triangolare, con ai vertici tre bastioni. Questo elemento di fabbrica ospita la struttura vera e propria del fortilizio. Il secondo è un enorme rivellino in forma di terrapieno fortificato triangolare, quasi delle stesse dimensioni della fortezza contrapposto al primo e collegato attraverso un ponte volante, così da formare con il primo elemento una sorta di rombo costituito da due triangoli [18] . L’accesso alla fortezza è possibile attraverso un ponticello in pietra, che scavalca l’ampio e profondo fossato, fortificato anch’egli.

Nel diploma dell’Imperatore Ottone I (menzionato nel Codice Pelavicino) alla data 19 maggio 963, è documentata per la prima volta l’esistenza di un edificio a scopo militare. In questo viene concesso al Vescovo di Luni Adalberto, il possesso di sei castra tra i quali quello di cui sto parlando. La collina già prima di questa data, sicuramente ospitava una rocca o una torre, con funzioni di presidio viario. Con il passare degli anni e con il mutare delle situazioni sia politiche, sia militari, la fortezza acquistò sempre più importanza. Ospitava negli anni intorno alla fine del X secolo, una delle residenze vescovili della vallata, un Palatium Episcopii del quale però non è rimasta alcuna traccia.

Tra il 1314 ed il 1328 fu plenipotenziario della zona il vicario imperiale Castruccio Castracani degli Antelminelli signore di Lucca e Vicario Imperiale. Egli scegliendo Sarzanello come sua residenza si limitò ad apportare delle variazioni alla rocca preesistente, della quale però non rimane nessuna traccia essendo stata completamente demolita o inglobata nella fortezza che si vede oggi [19] .

Nel 1421 Tomaso di Campofregoso fece eseguire dei lavori di riadattamento della rocca e altre modifiche si susseguirono poi fino alla venuta della Signoria Fiorentina nel 1487. Dopo che la città fu fortificata, i Medici decisero di trasformare la vecchia rocca e di adeguarla alle nuove esigenze belliche. L’incarico fu dato a Francesco di Giovanni detto il Francione e a Luca del Caprina. La nuova struttura sostituì completamente la precedente. Nel 1494, quando Piero dei Medici consegnò Sarzana e Sarzanello a Carlo VIII, la fortezza era ancora incompleta. L’opera fu ripresa in seguito quando il re tornò in Francia e i due siti entrarono in possesso del genovese Banco di San Giorgio e curata da Pietro Biancardo e Matteo Civitali che la terminarono nel 1502.

Il progetto del Francione e del Caprina fu seguito fedelmente, in ossequio ai dettami espressi dalle teorie sull’architettura militare del senese Francesco di Giorgio Martini. Completata la costruzione della fortezza, con i tre torrioni ai vertici, s’iniziò la realizzazione del rivellino che probabilmente inglobò l’antica torre del castrum. Questa nuova struttura si rese necessaria sia per proteggere l’ingresso alla fortezza, sia per evitare che questo lato potesse essere battuto dalle artiglierie dalla collinetta a sud-est, luogo detto il Fortino, dove ben presto venne approntata una rudimentale linea di difesa.

Fu allora che la fortezza raggiunse la sua compiutezza formale, in uno straordinario equilibrio di volumi, facilitato nella comprensione dall’isolamento che godeva rispetto ad altri edifici, condizione che tuttora ci permette di ammirarla [20] .

Nel XVIII secolo i francesi apportarono nuovi cambiamenti agli elementi difensivi, dettati dall’ammodernamento delle tecniche militari. Nel 1747, durante la guerra per la successione austriaca, i soldati di Maria Teresa d’Austria, al comando del generale Wocter, tentarono di impadronirsi della fortezza senza riuscirvi. Durante la dominazione francese la fortezza corse il rischio, inspiegabile, di essere demolita e fu risparmiata solo per ragioni di tempo poiché l’operazione doveva compiersi entro tre mesi. Nel 1814, con il passaggio del Ducato di Genova al Regno di Sardegna, fu decretato il restauro e il ripristino della struttura.

Come l’architettura, oggetto del mio studio, la fortezza è costituita dunque da  pianta triangolare. La purezza della loro geometria planimetrica rendono entrambi gli edifici un esempio straordinario di architettura rinascimentale, ben assimilabile alle teorie dei più grandi costruttori dell'epoca e l'uno e l'altro si alzano a formare imponenti edifici che messi a confronto risultano molto simili nelle loro tipologie costruttive.

 

 

 

Il Castello di Gagliano Aterno

Gagliano Aterno è uno splendido e antico borgo di circa 315 abitanti sito nella Valle Subequana, all’interno del meraviglioso Parco Naturale del Sirente - Velino. Qui troviamo il sorprendente Castello medievale costruito da De Aquila, che esisteva nella cittadina sotto forma di palazzotto-fortezza per i feudatari.  Il palazzo fortificato fu ricostruito sui ruderi di un’antica fortezza, come attesta una lapide, per opera della Contessa Isabella di Celano nel 1328. Nel 1462 fu distrutto da Baccio da Montone, passò dai Piccolomini, che furono feudatari nel 1463, alla famiglia dei Barberini che ne conservarono la proprietà sino al 1806 [21] . Eretto su pianta triangolare, il manufatto si compone di tre corpi di fabbrica che sono disposti intorno all’elegante cortile con loggiato. Scenografico lo scalone a giorno che conduce al primo piano e notevole è il rivellino antistante all’ingresso principale, connesso con il ponte levatoio, uno dei pochi superstiti nella regione.

L’irregolarità della pianta denuda fasi successive di completamento, che dalla struttura militare si evolvono verso il Castello – dimora cui s’ispira il loggiato su due piani che conduce il lato verso il paese [22] . È possibile pertanto che per la realizzazione del Triangolo il Contini abbia potuto guardare anche a quest’opera, dal momento che era di proprietà dei Barberini.

 

 

La Fortezza Medicea di Volterra

É uno dei complessi difensivi più grandi che si possano trovare nella penisola. La struttura anticipò le successive fortezze medicee che si svilupparono nel corso del Cinquecento. Si presenta costituita da due nuclei; il primo denominato Rocca Antica presso porta a Selci, include parti di più antica fortificazione resi visibili da recenti restauri, e la torre di forma semiellittica, detta volgarmente la Femmina, fu costruito nel 1343 dal Duca di Atene [23] . Si presenta con una tipologia di pianta triangolare come il nostro Casino di Caccia. Ha come differenza un bastione, uno sprone e una torre ellittica poiché nasce effettivamente come Rocca a differenza della mia architettura, la quale ancora oggi non si capisce bene quale sia stata la sua funzione originaria.

Per quanto riguarda la Rocca Nuova, invece, fu eretta nel 1472 da Lorenzo il Magnifico sul luogo dove esisteva il Palazzo dei Vescovi distrutto dai fiorentini nel 1472 dopo la resa e il saccheggio della città. Questa presenta una pianta quadrangolare con torri cilindriche agli angoli e mastio interno che domina. I due corpi furono all’epoca collegati tra loro mediante una doppia cortina, coronata da un ballatoio sorretto da archetti pensili (il cosiddetto Cammino di Ronda), mentre all’interno forma un vasto piazzale privo di opere difensive [24] .

Tale fortezza edificata a uso militare fu in realtà realizzata fin dall’inizio per essere adibita a carcere politico.

 

 

La Rocca di Ostia

Tra il 1434 e il 1487, durante il pontificato di Sisto IV, il Cardinale Giuliano della Rovere, eletto Cardinale nel 1471, futuro Pontefice nel 1503, promosse la costruzione del Castello, affidando i lavori all’architetto fiorentino Baccio Pontelli [25] . La sua fama è legata alle sue iniziative politiche che valsero alla riconquista dei territori dello Stato Pontificio perduti dai suoi predecessori, così da essere ricordato come il Papa guerriero [26] . La Rocca si trova a 4 km. da Ostia Lido, sulla via del mare, dove una volta c’era l’ultima grande ansa del Tevere. Il suo compito era quello di sbarrare la strada a qualunque scorreria che al di là tendesse a risalire nel retroterra [27] .

Il complesso architettonico è costituito da un sistema perimetrale di casematte ovvero camere da sparo, che raccordano tre torrioni, il principale dei quali ingloba la più antica torre di papa Martino V. Il Castello è ulteriormente protetto da un rivellino e da un ampio fossato.

All’interno lo scalone monumentale presenta volte e pareti decorate con affreschi policromi eseguiti nei primissimi anni del XVI secolo. Il castello posto a difesa del borgo si presenta a forma di triangolo scaleno con la base rivolta verso il mare. [28]

Anticamente, infatti, la foce del Tevere si trovava a ridosso delle mura del castello. [29] Per il suo ruolo fondamentale nel sistema difensivo costiero, che aveva il compito di proteggere Roma, fu fatto costruire dal cardinale d’Estouteville, che prima fece restaurare la torre di Martino V e, in seguito, pensò alla costruzione del castello, la cui progettazione fu affidata al famoso architetto Baccio Pontelli, aiutato nei lavori da Giuliano da Sangallo.

L’opera fu portata a termine nel 1484 sotto la direzione del Cardinale Della Rovere, la cui attività è testimoniata dall’iscrizione sull’architrave marmoreo del portale centrale che reca, oltre il suo nome, anche quello dell’architetto. Nel 1537 una parte della Rocca fu colpita da un fulmine e rimase semidistrutta. Ne fu poi ordinata la ricostruzione da Paolo III Farnese [30] .

Oggi il castello si presenta formato da diversi torrioni dai quali emerge la torre di Martino V, che costituisce il mastio del castello, sul quale sono visibili gli stemmi dei pontefici che apportarono delle migliorie al castello stesso: a sinistra quello di Sisto IV, al centro quello di Giulio II e a destra quello di Innocenzo VIII. L’edificio è attorniato da un fossato e si articola attorno a un cortile da dove si possono raggiungere e visitare i locali adibiti ai servizi militari e gli altri ambienti dove si svolgeva la vita dei soldati. Sempre dal cortile inizia una rampa cordonata, le cui pareti furono decorate da Baldassarre Peruzzi, dalla quale si sale sino alla piazza d’armi e al terzo piano, composto di tre stanze con cinque finestre che affacciano sul cortile [31] . Il castello all’occorrenza fungeva anche da residenza signorile. Quando nel XVII e XVIII secolo Ostia fu abbandonata, il castello fu utilizzato come deposito di fieno e come dormitorio per i detenuti impiegati nei lavori di scavo nella zona archeologica di Ostia Antica.

 

 

Il Castello Dentice di Frasso

Il Castello di Carovigno sorge in una posizione eccentrica, si trova sul punto più alto del paese ed è per questo che è strategicamente più adatto alla difesa. Il Castello presenta una pianta triangolare, con una torre quadrata sul vertice orientale, una circolare sul vertice occidentale e una a mandorla sul vertice settentrionale. Il primo nucleo del Castello è sicuramente di origine Normanna [32] . Sul lato sud, a ridosso della torre quadrata probabilmente doveva svilupparsi il “palatium” descritto nell’inventario di Maria d’Enghein del 1440. Le fabbriche successive a questa data insistono sulla zona nord, inglobando in una struttura triangolare sia la torre quadrata, normanna, sia quella circolare, forse aragonese. Il torrione a mandorla posto sullo spigolo nord-est fu fatto edificare, tra Quattro e Cinquecento, dai Loffreda, feudatari di Carovigno in questo periodo come testimonia la presenza dalle insegne araldiche di matrimonio di Pirro Loffreda, che sono state murate nella stessa torre. Pare che gli architetti della torre a mandorla abbiano subito gli influssi dell’architetto senese Francesco di Giorgio Martini, la cui presenza in Puglia è attestata nel 1492 per sopraintendere alla costruzione delle piazzeforti di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Con l’inserimento della torre a mandorla la fortezza prende la planimetria triangolare, che rimarrà invariata nel corso dei secoli nonostante i numerosi interventi di restauro che ha subito [33] .

La dimensione e l’importanza del maniero, che consta di 101 ambienti, viene notata subito entrando dal lato Nord e dal lato Nord-ovest. Un’imponente struttura che guarda il mare Adriatico che sovrasta le torri che, disposte lungo la costa, guardavano e preservavano il territorio da attacchi nemici. La città ha origini antichissime e il suo nome deriva dal messapico Carbina. Di tale città restano tracce delle mura; queste sono visibili alle spalle della Chiesa nuova. Nel 473 a.C. fu espugnata dai Tarantini [34] . I Romani la chiamavano “Corvineum” e i carovignesi furono fedeli a Roma anche quando altre città si arresero ad Annibale. Fu dominata, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, da Visigoti, Bizantini, Longobardi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Veneziani. Il castello sarebbe stato realizzato dopo la conquista di Carovigno da parte del regno di Napoli (XIII) con una sola torre di avvistamento e ampliato successivamente dalle famiglie feudali che amministravano il territorio della cittadina.

La rocca assunse la sua forma definitiva solo nel 1792 per opera dei Dentice di Frasso, che la abitarono dal 1806 al 1954. Si può affermare, dunque, che tale cittadella è un tipo di fortificazione militare tardo medioevale a impianto triangolare con torri ai vertici. I locali a piano terreno e quelli corrispondenti sotterranei hanno conservato inalterata la struttura originaria [35] . Questo castello a mio avviso si sposa bene con la struttura di Palestrina anche per il tipo di materiale utilizzato per la costruzione, presentano entrambi un carattere molto residenziale.

 

 

Il castello Orsini a Scurcola Marsicana

Il territorio di Scurcola Marsicana presenta due esempi di castelli medievali: uno si trova sull'altura di Monte S. Nicola e l’altro sulla sommità dell'attuale centro storico con l'evidente mole della rinascimentale Rocca Orsini. Meno conosciuto il primo, sovrapposto a un precedente insediamento fortificato italico, per la sua posizione apicale e per gli scarsi resti, il secondo ha una maggiore fama per l'imponenza della struttura muraria, per la sua importanza nella storia dell'architettura fortificata italiana e per l'attribuzione della sua trasformazione, da Castello medievale a Rocca rinascimentale, al famoso architetto senese Francesco di Giorgio Martini [36] . La struttura fortificata del Castello Orsini, che oggi vediamo si presenta nella sua fase rinascimentale con una pianta triangolare dotata alla base da due torrioni cilindrici sugli spigoli e un bastione, di forma semiovata, sul puntone a nord-ovest. A questa rocca apicale posta a quota 768 s.l.m., si contrapponeva il recinto murario trecentesco di Scurcola che, con impianto trapezoidale su pendio e dotato di successivi torrioni cilindrici rompitratta rinascimentali, racchiudeva il borgo medievale. Sulla recinzione si aprivano due porte dette «Porta Cantalupo», sul versante ovest e «Portella», sul versante est. Nel corso del Cinquecento nello spazio che si poneva fra questa prima cinta e il castello, fu innalzata la nuova chiesa di S. Maria della Vittoria. A questa prima recinzione in età rinascimentale, se ne aggiunse una seconda che scendeva verso il piano fino a raggiungere la parrocchiale della SS. Trinità sulla cui piazza si svolgeva il mercato, mentre la vecchia Pieve di S. Egidio era posta fuori le mura. I soci degli Archeoclub abruzzesi di Pescara e della Marsica dal 1997, hanno eseguito una ripulitura parziale della parte interna del Castello Orsini e ciò ha permesso una prima lettura delle strutture e delle fasi cronologiche del manufatto fortificato [37] .

Tali interventi hanno evidenziato, nelle vicinanze dell'ingresso principale sopraelevato del lato sud-ovest, resti di un muro che divideva il piccolo cortile d'ingresso del versante sud e da cui ci s’immetteva su un secondo che era caratterizzato da una pavimentazione rocciosa, su questo si aprivano due ambienti e una scala. Gli ambienti individuati sono caratterizzati dal crollo di un grande portale ad arco ogivale tardo-gotico e dai resti di una cappella piccola interna dedicata a S. Angelo cui sono riferibili i numerosi frammenti architettonici di epoca rinascimentale e neoclassica rinvenuti ed ora conservati nella torre angolare est.

Sul versante nord-ovest si sviluppa una scala rinascimentale, ancora ben riconoscibile, che permetteva di accedere ai piani superiori. La scala si avvolge ad una piccola cisterna a pianta trapezoidale con volta a botte, che sembra aver condizionato nel tempo lo sviluppo architettonico interno: la riserva d'acqua per la sua posizione centrale e la pianta obliqua, ha fatto ipotizzare una sua relazione, come cisterna interna, con una torre d'avvistamento concernente la prima fase d’incastellamento dell'area (XI-XII secolo). La ripulitura del cortiletto centrale fino al livello di roccia ha portato alla luce numerosi frammenti ceramici databili fra il XIV e il XVIII secolo (Ceramica smaltata, Maiolica Arcaica, Rinascimentale e Moderna). I ritrovamenti testimoniano che nel corso del Trecento e Quattrocento i lavori di sistemazione degli interni approntati dai monaci cistercensi e dagli Orsini dovettero essere consistenti, tanto da asportare i livelli più antichi nell'area del cortile interno. Sul settore dei muri perimetrali nord-est, è stato ripulito il secondo accesso sopraelevato del Castello, un’apertura minore relativa a una posterla rinascimentale caratterizzata da uno stretto corridoio interno dotato di una scalinata, che dal puntone (mastio) sopraelevato permetteva di raggiungere l'esterno. È stato sostenuto un esame del corridoio che ha permesso di riconoscere la successione di tre recinzioni difensive contenenti, inglobata nella muratura, una torretta-rompitratta ad "U" relativa alla recinzione duecentesca: lo stesso è verificabile sul recinto del lato sud-ovest, dove un grosso crollo ha evidenziato le tre murature in successione, una torretta-rompitratta e l'inizio del puntone della prima fase. Sulle murature perimetrali interne (sud-est e nord-est e sul puntone a nord-ovest) si sono evidenziate numerose feritoie da arciera duecentesche, strombate verso l'interno e chiuse dalle successive murature trecentesche e rinascimentali. Dall'esame delle strutture emerse con relativo materiale ceramico e frammenti architettonici, si può tracciare un primo profilo cronologico del Castello di Scurcola. La prima fase, dell'XI-XII secolo, ancora da perfezionare, è forse rappresentata da una piccola torre trasversale (quella della cisterna) molto simile, come pianta, a quella del vicino "Castello Vetoli" di Corcumello (AQ). Una piccola torre di avvistamento di fondovalle dell’XI secolo,  racchiusa nel XII secolo da un recinto a puntone (torre-cintata) dotato di feritoie ("arciere") e collegata al castello-recinto di Scurcole posto sul sovrastante Monte S. Nicola. Il recinto murario, a filo, è in opera incerta medievale con cuciture degli spigoli composte di blocchi ben rifiniti, con accesso sopraelevato, dotato forse di battiponte esterno sul versante sud-ovest.

All’inizio di questa prima fase (XI secolo) si può ipotizzare l'appartenenza del manufatto, insieme con il sovrastante incastellamento di Monte S. Nicola, a un esponente della Contea dei Marsi del ramo carseolano, probabilmente Oderisio II, poiché a metà del successivo secolo abbiamo le fortificazioni scurcolane in mano ai suoi discendenti Taino e Rainaldo De Pontibus definiti nei documenti normanni “Filii Oderisii”.

La seconda fase, del XIII secolo, è caratterizzata dall'aggiornamento del recinto, con la realizzazione di almeno tre torrette-rompitratta ad "U" su tre lati e, probabilmente, anche di due sul puntone, nelle vicinanze degli angoli ottusi. Nell'area del puntone a nord-ovest, in posizione sopraelevata, fu ricavata una torre quadrangolare (m. 7 × 7) ammorsata direttamente sulle murature precedenti del puntone dotato di feritoie su due livelli. La zona interna era occupata dalle riserve idriche e dalla torretta centrale ridotta in altezza che aveva due ambienti affiancati. Le ricerche che gli studiosi hanno fatto hanno dimostrato che nel 1269 Scurcola era posseduta da Odorisio De Pontibus, un sostenitore di Carlo I d'Angiò: è possibile che allo stesso sia da attribuire la costruzione di questo castello di Scurcola; il feudo era però tenuto da Oderisio per una quarta parte, mentre altra quarta parte era proprietà di Rosanie De Pontibus [38] .

Il castello medievale è sostanzialmente rimasto in questa forma fino a Virginio Orsini. La storia del maniero per gli inizi del XV secolo è complessa. Agli inizi del Quattrocento, infatti, ma probabilmente già al termine del Trecento, il Castello di Scurcola era caduto in mano del demanio regio di Napoli, con rivendicazioni e tentativi di recupero da parte di Giacomo Orsini e la badia di S. Maria della Vittoria: il definitivo possesso da parte di Giacomo Orsini avvenne solo nel 1426.

La quarta fase, della fine del XVI secolo, è attribuibile a Virginio Orsini con il sostanziale apporto progettuale di Francesco di Giorgio Martini   [39] . Lo spessore murario fu ampliato con l'aggiunta di una terza fasciatura esterna larga circa m 1.40, dotata di fori per cannoni e merloni superiori su beccatelli in mattoni. Furono realizzati i due torrioni cilindrici angolari inferiori, dotati di fori per colubrine e l'ingresso minore. Il puntone fu avvolto da un nuovo bastione avanzato a forma semiovata dotata di fori per cannoni sull'attacco delle cortine rettilinee. Nell'interno il mastio fu reso pentagonale e collegato a due ambienti triangolari sorti ai lati tramite la creazione di nuovi inserti murari. La vecchia cisterna fu avvolta da una scala che permetteva l'accesso al mastio tramite due ambienti triangolari di passaggio alle cannoniere interne e ai piani superiori. L'ingresso maggiore fu dotato di ponte levatoio e di fregio d'arme con iscrizione sul fronte estero. L'interno fu ulteriormente suddiviso con la creazione di un secondo cortile e di una piccola cappella che fu dedicata a S. Angelo. Con i Colonna, possessori del castello dal 1497, questo perde d'importanza perché i nuovi feudatari preferivano risiedere nella rocca di Avezzano, trasformata in palazzo da Marcantonio Colonna. [40] Più interessante appare la notizia riportata dal Corsignani nel Settecento, riguardo al possesso della prima fortificazione da parte dei De Pontibus e dei successi miglioramenti degli Orsini [41] . Il Settecento vede un nuovo conflitto fra i Colonna e la Curia napoletana che rivendicava il possesso del castello scurcolano: nel 1768, grazie all'abilità dell'avvocato Aloi, i Colonna ebbero sentenza favorevole e quindi la riconferma ufficiale della loro proprietà sul “feudum Sculculae”. Nei secoli successivi non vi furono ristrutturazioni degne di nota, eccezion fatta per quelle che si riferiscono al terremoto del 1706, che sono ancora leggibili (archi a sesto ribassato e rifacimenti delle cortine degli ambienti interni), e le successive che portarono alla realizzazione della piccionaia sul torrione angolare sud. [42]

 

 

Conclusioni

A partire dal Rinascimento e poi ancora per tutto il XVI e XVII secolo, la teoria e la pratica dell'architettura sono strettamente connesse allo studio della scienza. Inoltre, in particolare nel Seicento, le scienze esatte si intrecciano con l'occulto, l'astrologia, l'alchimia, e le opere d'arte sono ricche di significati espressi in simboli, allegorie e metafore; comprensibili agli interlocutori di allora, ma non sempre ad un odierno osservatore profano. L’immagine del triangolo si collega alle varie simbologie del ternario. Questa figura esprime sia l’ideale della Divinità, dunque simbolo della Trinità, sia l’idea dell’Ascesi dell’uomo verso la trascendenza divina; il Macro-Cosmo, l’universale, ma anche l’idea della proiezione Divina o di potenze celesti verso l’umanità e la natura.

Ciascun triangolo corrisponde ad un singolo elemento: l’equilatero alla terra, il rettangolo all’acqua, lo scaleno all’aria e l’isoscele al fuoco. Se lo si considera con la punta in alto vediamo che questo simboleggia sia il fuoco che il sesso maschile, se presenta invece la punta in basso sta a significare l’acqua e il sesso femminile. Il Pentacolo di Salomone (comunemente chiamato Stella di David) è composto da due triangoli inversi e significa saggezza umana. Esso è altresì la chiave della geometria ed è la base della sezione aurea, per cui è chiamato anche proporzione divina.

Oltre l'importanza riconosciutagli dai Pitagorici, in alchimia il triangolo è, ad un tempo, simbolo del fuoco e del cuore. A questo proposito occorre considerare i rapporti tra triangolo dritto e triangolo rivoltato, essendo il secondo il riflesso del primo e, per estensione, la natura divina di Cristo e la sua natura umana, cioè la montagna e la caverna. Ai triangoli sono legate varie speculazioni, così come sui poliedri regolari del resto che derivano dai poligoni equilateri sulle innumerevoli triadi della storia religiosa; sui trittici della moralità: ben pensare, ben dire, ben fare; saggezza, forza, bellezza; sulle fasi del tempo e della vita, passato, presente e futuro; nascita, maturità, morte; ancora sui tre principi base dell’alchimia: sale, zolfo, mercurio.

La forma del triangolo, nonché la sua simbologia spesso è stata usata dagli artisti per la realizzazione di opere relative a quelle che vengono considerate le tre arti maggiori, ovvero, scultura, pittura e architettura. Anche il Triangolo Barberini, potrebbe racchiudere in sé molti di questi significati. Durante la mia ricerca ciò che mi ha colpito di più di esso è stata proprio questa particolarità della pianta. La struttura, le dimensioni ridotte delle porte e delle finestre, come pure il trattamento delle superfici e la presenza delle statue dei gendarmi, figure un po’ misteriose, che sono collocate sulle balaustre, mi hanno fatto poi abbandonare l’idea che il Casino possa esser stato realizzato sulla base dello schema dell’ape, che resta pur sempre una fonte attendibile, e mi sono dirottata sull’ analisi della tipologia di architettura che ho sopra illustrato avendo tutto sommato dei riscontri soddisfacenti. Sulla base di quanto raccolto,studiato ed esplicato posso affermare il concetto che il Casino Barberini deriva secondo la mia argomentazione dall’architettura militare e in particolare da quella a pianta triangolare.

 

 



NOTE

  [1]   Cfr. Sforza Pallavicino, Trattato dello Stile e del Dialogo, Roma 1662.

[2] Massella L., Fornar Z., L’attività architettonica promossa dalla famiglia Barberini a Palestrina attraverso l’opera di Francesco Contini Romano (in) I Barberini a Palestrina ,Peppino Tomassi (a cura di), Circolo Culturale Prenestino R. Simeoni, Palestrina 1992.

[3] Cfr. Tomassi P. (a cura di), Il triangolo Barberini ai prati, (in) I Barberini a Palestrina, Studi e fonti per la storia della regione Prenestina,    Circolo Culturale Prenestino R. Simeoni, Palestrina 1992 pp. 57-118.

[4] Azzaro B., Bevilacqua M., Coccioli G., Roca De Amicis A., Atlante del Barocco in Italia, Lazio/1 provincia di Roma, De Luca ed. d’arte, Roma 2002.

[5] Rendina C., Le grandi famiglie di Roma, Newton & Compton ed., Roma 2006, Vol. I.

[6] Petrini P., Memorie Prenestine disposte in forma di Annali, 1795, ed. cons., ristampa anastatica a cura del Circolo Culturale Prenestino R. Simeoni, Palestrina 1990.

[7] Portoghesi P., Francesco Borromini, 2° ed., Milano 1970

[8] Cfr. Tomassi P., Il triangolo Barberini ai prati, (in) I Barberini a Palestrina, Studi e fonti per la storia della regione Prenestina, Circolo Culturale Prenestino R. Simeoni, Palestrina 1992 pp. 57- 118.

[9] Ibidem pp. 57-118.

[10] Ilaria Barberini, Il triangolo Barberini tra magia antica e architettura moderna, in I Barberini e la cultura europea del Seicento, a cura di Mochi Onori, Shutze, Solinas, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Roma 2007, pag. 564.

[11] Ibidem pp. 57-118.

[12] Ibidem pp. 57-118.

[13] Ibidem pp. 57- 118

  [14] A. Fara, Leonardo e l’architettura militare, Giunti gruppo editoriale, Firenze, 1997, pag 15.

  [15] Ibidem. Pag 15.

[16] Ibidem. Pag. 15.

[17] Ibidem. Pag.15.

[18] F. Stratta, U. Ugolini (foto), Fortezza di Sarzanello: su una terra di confine, Sagep Editrice, Genova, 2004.

[19] Cfr. F. Bonatti, M. Ratti, Sarzana, Sagep Editrice, Genova, 1991.

[20] Cfr. F. Stratta, U. Ugolini (foto), Fortezza di Sarzanello: su una terra di confine, Sagep Editrice, Genova, 2004.

[21] Cfr. da Cartellonistica Regione Abruzzo, Settore Turismo www.regioneabruzzo.it.

[22] Ibidem.

[23] Cfr. L. Boschini M., Castelli d’Europa, Hoepli, Milano, 2000, pag. 213.

[24] Ibidem. Pag. 213.

[25] G. De Fiore, Baccio Pontelli: architetto fiorentino, Edizioni dell'Ateneo, 1963 University of Michigan

[26] C. Rendina, I Papi, storia e segreti, dalle biografie dei 265 romani Pontefici rivivono retroscene e misteri della cattedra di Pietro tra antipapi, giubilei, conclavi e concili ecumenici, Newton & Compton editori, Ariccia 2005.

[27] Cfr. L. Boschini M., Castelli d’Europa, Hoepli, Milano, 2000, pag. 213.

[28] E. Rocchi, Baccio Pontelli e la Rocca d'Ostia,  Roma, 1898.

[29] Cfr. L. Boschini M., Castelli d’Europa, Hoepli, Milano, 2000, pag. 213

[30] Ibidem. Pag.213.

[31] Ibidem.Pag. 213.

[32] Cfr. da http://www.castellodenticedifrasso.it/

[33] Ibidem.

[34] Ibidem.

[35] Ibidem.

[36] M. Moretti, Architettura Medievale in Abruzzo, Stefano De Luca ed., Roma, 1971.

[37] Soprintendenza BAAAS dell’Abruzzo (Aquila), a cura di, I. Architettura, (Catalogo della Mostra tenuta nel Castello Piccolomini di Celano nel Luglio-settembre 1994), L’Aquila 1984, pp.197-199.

[38] M. Moretti, Architettura Medievale in Abruzzo, Stefano De Luca ed., Roma, 1971.

[39] Prof. Giuseppe Grossi, (in) Il castello Orsini, Comune di Scurcola Marsicana – Terre marsicane. Indirizzo elettronico http://www.scurcolamarsicana.terremarsicane.it/

[40] Ibidem.

[41] Ibidem.

[42] Ibidem.




 

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