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Il Maestro di Castelsardo: contatti con la cultura figurativa del ponente ligure  
Luisa Nieddu
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 3 Settembre 2002, n. 306
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Il bacino del Mediterraneo era un'area privilegiata di dialogo tra le due grandi culture pittoriche del Quattrocento: la Rinascenza italiana ed il linguaggio fiammingo.
Con l'intensificarsi delle attività commerciali, i Paesi Bassi, infatti, instaurarono strette relazioni con le lontane contrade europee.
Il forte influsso dei Maestri fiamminghi fu avvertito in Spagna già dalla prima metà del Quindicesimo secolo, quando J. V. Eyck vi soggiornò di passaggio, tra il 1428 ed il 1429, per recarsi in Portogallo; le sue opere, quindi, dai Paesi Bassi giunsero a Barcellona ed a Valencia.
La stessa sovrana Isabella (1479 - 1504) possedeva una vasta collezione di pittura spagnola e fiamminga e, spesso, ospitava a corte pittori delle Fiandre, come M. Sitow e J. De Flandes.
Tramite la Spagna, le suggestioni fiamminghe giunsero in Sardegna, dove vennero elaborate e fatte proprie dai maestri locali.
Già con la conquista turca di Costantinopoli del 1453, si era verificato l'infrangersi degli equilibri mercantili lungo il Mediterraneo, ed un graduale slittamento delle rotte lungo l'asse dell'Atlantico. Con lo spostamento dei traffici, muta anche la posizione della Sardegna nel quadro delle relazioni con le altre potenze. L'Isola si apre alla Francia Meridionale ed al versante ligure, grazie all'inserimento di Genova nei gangli del sistema economico spagnolo ed all'intensificarsi del traffico d'altura, che consentiva alle coste italiane di raggiungere la Sardegna facilmente.

La collocazione strategica dell'Isola, al centro delle rotte mercantili con i porti aperti ad accogliere il flusso di navi che giungevano da Genova e da Savona, e la soggezione politica dalla Corona d'Aragona spiegano come nel Maestro di Castelsardo 1 si estrinsecassero lungimiranti aperture culturali.
Anche l'attivismo politico e culturale che nel periodo di Ferdinando il Cattolico (1479 - 1516) interessa i paesi che si affacciano sul Mediterraneo non poteva non generare un amalgama di modelli iconografici.
Nel corso del Quindicesimo secolo, dunque, col riassetto delle rotte, la Sardegna si apre al versante genovese sia sul piano economico sia culturale.

Di tali rapporti restano importanti testimonianze come una Maestà con S. Giovanni che, secondo un documento rogato ad Albenga nel 1472, il pittore pinerolese, attivo anche in Liguria, G. Canavesio si impegnava ad eseguire dietro commissione di un privato oristanese per il duomo di Oristano; l'opera non risulta giunta a destinazione 2.
Le influenze dell'arte ligure potevano pervenire al Maestro di Castelsardo anche tramite la Corsica, dove il Banco di S. Giorgio, a partire dal maggio del 1453, ottiene dalla Repubblica Genovese importanti piazzeforti, come Bonifacio, Calvi e Bastia, che conserverà fino alla metà del Sedicesimo secolo.

In Corsica l'anonimo artista instaura intensi rapporti con il conte Ranuccio della Rocca e, proprio per Ranuccio, realizza due importanti pale d'altare destinate alla chiesa di Santa Lucia, annessa al convento francescano di Tallano, fondato dallo stesso committente nel 1492. Di uno dei due polittici resta una Crocifissione (Tav. 3), attualmente in deposito presso il Musée Fesch di Aiaccio, che corrisponde alla tavola mediana alta di un retablo il cui scomparto maggiore, trafugato nel 1928, raffigurava L'incoronazione della Vergine. Il Retablo di Tallano (Tav. 4), invece, conservato in una cappella laterale della Chiesa di S. Lucia, presenta una struttura a doppio trittico con predella, e la consueta disposizione delle raffigurazioni dei retabli catalani coevi. Ranuccio della Rocca era uno dei più potenti signori feudali corsi del XV sec. e contava numerose relazioni in Sardegna dove soggiornò più volte, è possibile quindi che avesse commissionato le due opere di persona.

Sempre in Corsica operò anche il genovese Giovanni Barbagelata il quale, nel 1498, realizzò per la chiesa di Saint Jean Baptist, a Calvi, un polittico di cui il pannello centrale andò perduto. Negli scomparti restanti sono raffigurati: la scena dell'Annunciazione, i Santi locali e le scene della vita di Maria e di Gesù 3. Il 22 giugno del 1502-3, il Barbagelata firmò un contratto con Ludovico Brea e Lorenzo Fasolo per la decorazione della cappella di Nostra Donna del Duomo di Genova e della cappella di Pietro di Persio, nella Chiesa del Carmine sempre a Genova, a cui era destinata anche una ancona che probabilmente avrebbe dovuto eseguire il Brea. A cavallo tra il XV ed il XVI secolo, dunque, la bilancia Nord -Sud raggiunge un singolare equilibrio grazie agli artisti di questa koinè mediterranea che guardano ad un tempo alle Fiandre ed all'Italia.
Anche nel Maestro di Castelsardo si concentrano gli esiti di tale cultura assai composita, frutto della circolarità di opere e di artisti.
Il caso dell'anonimo artista è un esempio di come, allo scadere del Quattrocento, nei paesi del bacino del Mediterraneo, come la Liguria, la Provenza, la Catalogna e l'Italia centro - meridionale, si fosse sviluppata una koinè espressiva unica che "riaffiata le parlate pittoriche" 4 delle varie regioni.
Pertanto la Sardegna, come la Liguria, si caratterizza quale centro in cui convergono le istanze della rinascenza italiana e della cultura d'oltralpe.

Sul finire del Quindicesimo secolo, il nizzardo Ludovico Brea partecipa alla diffusione dell'arte fiamminga in Liguria ed alla penetrazione di formule rinascimentali italiane con esiti paralleli a quelli del Maestro di Castelsardo in Sardegna. Entrambi rappresentano, su scala regionale, il configurarsi di uno sfaccettato linguaggio che ancora una volta ripercorre le rotte mediterranee della pittura collegando le Fiandre all'Europa meridionale. L'ambiente pittorico di metà secolo si presenta, quindi, come un punto di diffusione dell'arte rinascimentale, fiamminga ed italiana, nel quadro di una circolazione di opere e di artisti che si estende dalla Catalogna alla Sardegna e dalla Provenza alla Liguria.

Alla luce dei dati raccolti non appare azzardato ritenere che tra il Maestro di Castelsardo e Ludovico Brea ebbe luogo una vera e propria contaminatio, poiché non soltanto attinsero da fonti comuni, ma tramite quella trasmigrazione di idee che teneva legati i vari paesi bagnati dal Mediterraneo si può constatare quanto essi perseguissero i medesimi scopi.

Ludovico Brea nacque a Nizza in una data non lontana dal 1450, attivo in Liguria ed in Provenza, dovette compiere la sua formazione in un ambiente provenzale tra Nizza ed Avignone a contatto con maestri quali Jacopo Durandi e Jean Miralhet. Nel XIV secolo la città di Nizza era un centro artistico che gravitava attorno ad Avignone, ma col trasferimento della Sede Papale a Roma, nel 1378, l'attività artistica subì un arresto, riprendendosi grazie al mecenatismo di Renato d'Angiò (1438-1442) ed all'immigrazione di artisti provenienti da ogni parte della Francia, dalle Fiandre e della Catalogna. Il clima artistico in cui il Brea opera in Liguria presenta, quindi, strette affinità con quello del Maestro di Castelsardo in Sardegna, un ambiente, cioè, dove confluiscono le varie correnti pittoriche: italiana, fiamminga, catalana e provenzale. Tra le prime opere del suo percorso artistico, vi è una Crocifissione (Tav. 5), proveniente dalla chiesa di San Bartolomeo degli Armeni ed attualmente collocata al Museo di Palazzo Bianco a Genova, la cui composizione appare ispirata alla consueta iconografia dei Calvari fiamminghi. La tavola non è firmata, ma l'attribuzione al Brea risale al Soprani che propose di datarla al 1481, anno della morte di Raffaele De Grandi, alle cui spese si doveva la costruzione e l'ornamentazione della cappella ove il quadro era collocato.

G. Castelnovi, in studi recenti, abbraccia l'ipotesi di Labande, secondo cui il Calvario risalirebbe al 1495. Nell'opera compaiono molteplici componenti analoghe alla Crocifissione di Tallano (Tav. 3), eseguita dal Maestro di Castelsardo attorno al 1492.
Comune ai due quadri la rappresentazione tutta nordica del paesaggio, resa in entrambi con accurata minuziosità dei dettagli su un comune sfondo azzurro atmosferico. Il modulo del volto della Vergine e l'innesto armonioso della testa nel manto sembrerebbero riflettere, in entrambe le opere, la sintesi idealizzante della nostra Rinascenza. La costruzione prospettico - spaziale dell'impianto, data da un calibrato rapporto tra le due figure in primo piano e lo sfondo paesaggistico, richiama la comune fonte di matrice italiana.

Nel 1483 ed il 1488, Ludovico Brea si impegna con Francesco da Pavia ad eseguire il Polittico della Madonna della Misericordia e Santi, commissionato dalla famiglia Pasqua per l'altare maggiore della chiesa di S. Domenico di Taggia. È la prima delle numerose opere che, per mano del Brea, andarono ad arricchire il convento dei Domenicani di Taggia. La costruzione volumetrica del volto della Madonna, chiaroscurata da una luce che irrompe rigorosamente da sinistra, dando un tocco finale agli incarnati, rivela, analogamente alla Madonna di Castelsardo (Tav.1), realizzata dall'anonimo sardo attorno al 1492, la conoscenza diretta dell'arte italiana contemporanea da parte dei nostri autori. Di qualità superiore sono, invece, i Santi raffigurati negli scomparti laterali, che sembrerebbero compiuti in epoca posteriore al 1488. Nell'ordine inferiore del polittico compaiono S. Domenico, S. Giovanni Evangelista, S. Giacomo Maggiore e S. Pietro Martire. Nel registro superiore che, presumibilmente, doveva essere completato da una Crocifissione oggi dispersa, compaiono S. Tommaso, S. Agostino, Santa Caterina da Siena e San Vincenzo Ferrer. Il rigoroso bilanciamento delle forme ed il paziente studio di simmetria e di volume delle figure rievocano l'impostazione degli scomparti laterali del Retablo minore di Saccargia (Tav. 2), probabilmente opera della bottega dell'anonimo, dove i personaggi campeggiano in un vano spaziale di analoga ampiezza e con medesimi accorgimenti prospettici.

Superiore alla pala della Misericordia è il polittico raffigurante S. Caterina da Siena tra S. Agata e S. Lucia, commissionatogli nel 1488 dalle Suore Terziarie di S. Domenico. L'ancona, destinata alla stessa chiesa dei Domenicani, oggi è conservata nella chiesa di Nostra Signora della Misericordia a Taggia.
Fa da sfondo alla pala il consueto fondo oro, caro all'arte provenzale, minuziosamente lavorato a losanghe, che rievoca la tendenza all'ornamentazione atapizada, data dalla subordinazione di tutta la tavolozza agli effetti dell'oro, come nel caso del Retablo di Castelsardo ( Tav.1; scomparto mediano basso), dove spicca una fitta orditura vegetale di stucchi a rilievo (campes embotits); entrambi i maestri si pongono, così, in contrasto con il momento storico nel quale le esperienze spaziali interessavano, ormai, sia i pittori del nord sia quelli italiani.
Il 12 aprile del 1495 il Brea sottoscrive il Polittico della Assunzione della Vergine fra la Natività e lo Sposalizio mistico di S. Caterina, già nella Cappella Chiabrera in S. Giacomo degli Zoccolanti, oggi al Museo della Cattedrale di Savona.
Il volto della Madonna presenta precise rispondenze con la tavola della Madonna di Castelsardo. In entrambi i casi vediamo ripetersi identicamente il contorno del volto, segnato da un sottile filo d'ombra ai lati, ed i tratti purissimi che caratterizzano la forma regolare dei volti, rivelando palesi inflessioni rinascimentali. Il rigore geometrico e l'attenzione ai valori della luce suggeriscono un accostamento del Brea alle soluzioni mediterranee formulate in Provenza sul finire del Quindicesimo secolo da artisti quali Nicolas Diprè o il Maestro di Santa Clara di Palencia 5.
L'assialità della figura della Madonna, la disposizione speculare degli angeli intorno e la resa minuziosa del dettaglio ornamentale rievocano l'impostazione della Madonna in trono nel Retablo di Castelsardo, nel quale gli angeli inginocchiati costituiscono il primo gradino di una scala prospettica accentuata da un ardito angolo acuto della pedana. Il fondo aureo a losanghe, in questo caso, riduce la profondità spaziale, suggerita dal pavimento in prospettiva degli scomparti laterali, portando in primo piano le figure di cui si colgono i raffinati particolari, secondo un espediente comune al maestro sardo nella Madonna di Castelsardo o in quella del Latte.
La stretta affinità col Polittico di Savona conferma l'assegnazione al 1495 di un'ancona che si trova nella Chiesa della Misericordia a Taggia e che rappresenta il Battesimo di Cristo con molti Santi. L'opera non è firmata, ma è certo che il Brea ne sia l'autore 6.
Il polittico, dipinto su tavola e fondo oro, presenta una complicata cornice a trafori e a ramages, motivo assai diffuso in tutta la Liguria.
Il colorito dell'opera è vivo e brillante come nel Retablo di Tuili, ultima opera realizzata nel 1500 dal Maestro di Castelsardo. La disposizione di S. Pietro e di S. Paolo manifesta la consueta rotazione a tre quarti degli scomparti mediani inferiori del polittico di Tuili, raffiguranti il medesimo soggetto, mentre il calibrato disporsi delle figure lo accomunano ai principi che regolano il rapporto spazio- figure negli scomparti laterali del Retablo minore di Saccargia (Tav.2), o di in quello minore di Tallano (Tav.4).
Entrambi i casi sono il risultato, in senso spaziale e luminoso, di spunti tanto italiani quanto fiamminghi.
I preziosismi cromatici nel manto dei Santi, la resa plastica dei panneggi e la definizione spaziale dell'impianto, con il particolare del parapetto in secondo piano che consente un taglio a mezza figura di matrice nordica, rappresentano ulteriori comuni caratteristiche ai due maestri.

Fra il 1495 e il 1500 esiste una lacuna sulle testimonianze riguardanti Ludovico Brea. Durante questa parentesi potrebbe inserirsi l'Annunciazione fra S. Fabriano e S. Sebastiano, realizzata per la Cappella della famiglia "Asdente" nella Chiesa di Nostra Signora della Misericordia di Taggia.
È databile ad un momento successivo al Polittico della Rovere, in quanto le aureole a rilievo della Vergine e dell'Angelo riprendono la forma di quelle adottate nel polittico savonese.
La fattura preziosa del manto dei personaggi, chiuso nel petto alla fiamminga, o lo studio minuzioso dei dettagli rappresentano particolari che si ripetono anche nelle opere dell'artista sardo.
Nonostante la lacuna centrale, la nitida struttura spaziale, costruita dal loggiato in prospettiva, e la sintesi prospettico luminosa costituiscono tradizionali motivi della pittura fiamminga comuni anche negli scomparti mediani superiori del Retablo di Tallano (Tav.4), o nella Predica di S. Francesco del Retablo della Porziuncola, il cui punto di vista fortemente scorciato contribuisce ad accentuarne l'ardita costruzione prospettica.
Presso il Santuario della Madonnetta a Genova, è collocata un'altra Annunciazione che si presenta a guisa di dittico nella sua cornice dorata.
A tale Annunciazione si riferisce il documento con cui il patrizio Agostino Zoagli ordinava, nel 1491, una Maestà con l'Annunciazione e i Santi per la chiesa delle Monache di S. Silvestro. Il dipinto sinora ignorato dalla letteratura artistica, per evidenti ragioni stilistiche è assegnabile alla maturità del pittore nizzardo 7.

Forti sono le assonanze fra l'Annunciazione del Brea e gli scomparti mediani superiori del Retablo minore di Saccargia (Tav. 2), raffiguranti lo stesso tema.
In entrambe le opere sono presenti numerosi accorgimenti di derivazione fiamminga, non solo nel motivo delle finestre che tradizionalmente mette in comunicazione l'esterno con l'interno, evidenziando la nitida strutturazione spaziale di un interno austero, ma anche nei particolari, quali il cassettonato prospettico del soffitto, o nella fastosa decorazione dei mantelli arricchiti da una bordura dorata e ornati con figurazioni fitomorfe, che indicano la predilezione naturalistica tipica dell'arte fiamminga.
Al primo aprile 1494 appartiene lo scomparto centrale di un Polittico disperso raffigurante una Madonna con Bambino in trono conservata al Gotebörg Kunstmuseum (Tav. 6).
Nella tavola si fa ancora più esplicita l'adesione al linguaggio rinascimentale nel repertorio decorativo di matrice classica del trono.
Ciò che accomuna la tavola alla Madonna del Latte eseguita dal Maestro di Castelsardo è, ancora una volta, la volumetria del volto della Madonna, dalla delicata fisionomia che richiama precise esperienze rinascimentali italiane.

Tra il 1512 e il 1513 L. Brea si impegna a eseguire la Madonna del Rosario per l'omonima Cappella della Chiesa dei Domenicani di Taggia.
La pala, giunta smembrata, presenta le qualità peculiari dello stile maturo del Brea. Nella parte superiore, al centro, si trova la Madonna col Bambino sul trono perfettamente rinascimentale, privo di cuspidi, col timpano circolare che definisce lo spazio scenico analogamente allo scomparto mediano della Madonna di Castelsardo (Tav. 1).
La Vergine del Brea è fiancheggiata da S. Domenico e da S. Caterina, alle sue spalle si rivela un ampio paesaggio che rievoca le distese verdeggianti che fanno da sfondo nel Retablo di Tuili.
L'impianto prospettico del trono, evidenziato dalle figure che si espandono tangibilmente nello spazio, presenta notevoli rispondenze con la Madonna di Castelsardo e con quella di Birmingham. In tali opere, il Maestro di Castelsardo si avvale degli stessi netti passaggi chiaroscurali, atti a costruire le forme in modo quasi geometrico, più che a esaltarne il realistico modellato delle carni.
Completano la splendida pala centrale sedici tavolette, con il busto di San Domenico e i quindici Misteri del Rosario.
La perfezione dei dettagli e l'equilibrio della composizione fa dell'opera una fra le più curate della produzione quando il Brea, ormai, doveva essere affermato da tempo come il miglior pittore della regione.

Il Maestro di Castelsardo e Ludovico Brea costituiscono due emblematici casi di cultura mediterranea.
Operosi in zone d'incontro di due linguaggi figurativi principali fiammingo e rinascimentale, seppero realizzare, tramite un'evoluzione continua, una sintesi equilibrata senza venir meno alle peculiarità originarie del proprio stile. La ricerca di forme semplificate e, nel contempo, grandiose, la lieve e sicura modulazione chiaroscurale con cui sono resi i modellati dei volti, l'ampiezza con cui le figure sono accampate nello spazio, la rotazione dei corpi e dei visi tale da accentuarne la volumetria e la forma ovoidale rappresentano una fitta rete di corrispondenze, frutto dell'analoga rielaborazione delle medesime fonti figurative.
Entrambi dimostrano piena conoscenza dei problemi di volume e prospettiva che si sviluppavano in quegli anni in direzione rinascimentale, ma si rivelano anche padroni dei fondamentali principi del linguaggio figurativo fiammingo, quale il senso della luce come strumento di indagine della realtà fenomenica.
Nel Maestro di Castelsardo è presente un segno grafico più teso ed una tensione espressiva di matrice gotico - fiamminga.
In Ludovico Brea la definizione armonica delle figure e degli spazi rimanda ad una purezza quasi pierfrancescana che lo lega più alla cultura rinascimentale italiana.
Al Maestro di Castelsardo, inoltre, va riconosciuto il merito di adattare all'impalcatura gotica che il retablo offre le nuove esigenze di definizione spaziale e volumetrica ormai pressanti nell'arco italiano. Entrambi i maestri, infine, seppero realizzare una sintesi equilibrata fra i diversi linguaggi, dimostrando di combinare i vari prestiti ed influssi in modo originale e maturo.




NOTE

1 Tale denominazione gli venne attribuita nel 1926 dallo studioso C. Aru, che ne delineò per primo il profilo, sulla base di una delle sue opere più rappresentative, conservata nell'omonima località a Nord - Ovest della Sardegna.

2 R. SERRA, Presenze italo - continentali nel secolo XIV, in "Pittura e scultura dall'età Romanica alla fine del '500"["Storia dell'arte in Sardegna"], Nuoro 1992, p. 38.

3 G. MORACCHINI, Trésors oubliés des églises de Corse, Paris, 1959.

4 F. BOLOGNA, Les primitifs Méditerranées, recensione, "Paragone", n. 37, 1953, pp. 49-56.

5 A. NALDINI, Contributo allo studio di Ludovico Brea, "Arte antica e moderna", n. 29, 1965, pp. 302-10.

6 N. DI CARPEGNA, Ludovico Brea e la pittura ligure - nizzarda del Quattrocento, in "Nizza nella storia", Bordighera 1943, pp. 421-22.

7 A. Morassi, Capolavori della pittura a Genova, Milano 1951, p. 44.





 
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