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Note su restauri, distruzioni e interventi di "ricomposizione decorativa" sui dipinti murali del Casino Innocenziano nella seconda metà del Settecento  
Mauro Papa
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 2 dicembre 2000, n. 239
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Il Casino di Belvedere 1, fondato da Papa Innocenzo VIII, vide completata la sua originaria decorazione pittorica entro l'anno 1487, come documentato da un'iscrizione nella volta dell'attuale Galleria delle Statue del Museo Pio Clementino 2. La villa suburbana, negli ambienti costituiti dalle "logge coperte", presentava un programma decorativo in linea con la sua funzione ricreatrice di svago e diporto: paesaggi, scene con paesi, putti musici. Le stanze più intime dell'appartamento erano invece decorate, se escludiamo le pareti dipinte con fondali illusionistici, da figure allegoriche riproducenti le Scienze e le Arti Liberali nelle lunette dell'ambiente di rappresentanza, e dalla rappresentazione degli apostoli nelle lunette della camera privata del pontefice 3.

Basandoci su testimonianze grafiche conservate nella British Library e risalenti al 1727 circa 4, costituite da una planimetria e da una riproduzione del prospetto settentrionale e occidentale dell'edificio, e integrando questi dati con le descrizioni del Taja, redatta nel 1712 5 ma pubblicata nel 1750 6, e del Chattard, pubblicata nel 1767 7, possiamo ricostruire nel dettaglio la conformazione architettonica del Casino Innocenziano e la sua decorazione prima degli interventi di ristrutturazione operati negli anni Settanta del Settecento per la creazione del museo Clementino. In origine la palazzina era composta da un pianterreno con una semplice loggia, aperta a nord sulla campagna, affiancata da due ali sporgenti e sovrastata da un piano con finestre architravate e coronamento a merli ghibellini. L'ala ovest era costituita da tre ambienti: a sud la cappella di San Giovanni Battista affrescata dal Mantegna con la relativa sacrestia, e a nord un corpo di fabbrica costituito da una loggia aperta sul lato settentrionale e orientale, che chiudeva ad ovest il terrazzo antistante la loggia maggiore. Nell'ala orientale, destinata presumibilmente a rendere possibile la sosta e il trattenimento del pontefice, si susseguivano longitudinalmente due ambienti provvisti di camino e un'altra loggetta, speculare a quella occidentale, che chiudeva il terrazzo dal lato est.

Con il pontificato di Giulio II (1503-1513) si effettuò una prima ristrutturazione dell'edificio, documentata dall'affresco con stemma Della Rovere esistente fino al Settecento sul camino della stanza privata, che dovette coinvolgere il prospetto meridionale e orientale. Il Bramante fu difatti incaricato di collegare il Casino al resto del complesso Vaticano, costruendo il braccio orientale e la celebre scala elicoidale, e definendo lo spazio per il cosiddetto "Cortile delle Statue", che ospitò l'originaria collezione antiquaria del pontefice 8.
Dopo il Cinquecento, il palazzo rimase sostanzialmente inutilizzato fino al pontificato di Clemente XI (1700-1721), che decise di allestirvi una sorta di museo di bozzetti e modelli di legno 9.

In quell'occasione vennero presumibilmente chiuse le arcate della loggia maggiore, come testimonia il Chattard: "(nella loggia maggiore) gli altri lunettoni dalla parte verso la campagna sono rifatti in tempi a noi più vicini, quando quella facciata, che era loggiato aperto, fu serrata" 10.

Con questa testimonianza abbiamo il primo riferimento ad un restauro pittorico, o meglio, ad un rifacimento pittorico nella loggia maggiore, oggi Galleria delle Statue. Le lunette della parete nord, decorate come le altre con coppie di putti musici, non sono difatti stilisticamente riferibili al Quattrocento 11, né alla successiva opera dell'Unterberger. Tranne questo intervento di chiusura della loggia, ed eccettuati alcuni restauri pittorici operati all'interno della cappella affrescata dal Mantegna 12, la situazione del palazzo, negli anni immediatamente precedenti la ristrutturazione di Clemente XIV, doveva rispecchiare ancora la conformazione architettonica e l'impianto decorativo voluti da Innocenzo VIII.

Con la promulgazione del chirografo di Clemente XIV del 12 settembre 1770, con il quale lo stato acquistava le antichità della collezione Mattei «per collocarle a pubblico decoro», si rese improrogabile la necessità di trovare gli spazi per allestire un museo archeologico in senso moderno 13, e si scelsero infine i locali del Casino Innocenziano. Secondo il Visconti, animatore di quest'impresa fu il Braschi: «Piacque al prelato Tesoriero proporre al Papa la scelta del picciolo appartamento di Innocenzo VIII, ed avendovi il pontefice aderito, lo fece quello per mezzo d'archi ridurre ad una propria galleria; e fu motivo di tale scelta la vicinanza di quel soggiorno al cortile detto delle statue, dove s'ammiravano già da qualche secolo il Laocoonte, l'Apollo, e il preteso Antinoo; questa vicinanza appunto fece nascere nella mente del suddetto tesoriero il progetto di circondare d'un maestoso portico lo stesso cortile, onde avessero le belle statue, che n'empievan le nicchie, maggior conservazione e decoro, e più ampiezza ed estensione il contiguo museo» 14.

Se diamo credito a questa autorevole testimonianza, notiamo subito come il Museo Clementino fosse nato con l'intento di rispettare e valorizzare un luogo storico per la conservazione delle antichità, il cortile delle statue, e di adeguare le strutture vicine, che già svolgevano una funzione museale, al nuovo progetto senza snaturarne le caratteristiche architettoniche e decorative. In altri termini, il progetto iniziale voleva inserire una galleria delle statue in un appartamento pontificio, senza l'ambizione di creare un museo strutturalmente moderno dell'antico. La prima fase dei lavori di trasformazione e adattamento riguardò il solo palazzo del Belvedere e venne iniziata nel 1771, con l'obiettivo di non distruggere, se possibile, la decorazione pittorica esistente 15. Le ristrutturazioni architettoniche comportarono, nella "loggia maggiore", il rialzamento delle cinque finestre della parete nord, per dare più spazio all'esposizione delle sculture, e la chiusura delle due finestre della parete sud 16, divenute inutili perché prospettanti sull'erigendo nuovo portico del cortile 17. La loggia maggiore venne trasformata così in Galleria delle Statue, che venne messa in comunicazione con le adiacenti stanze orientali mediante serliane, attraverso le quali si accedeva alla Sala dei Busti (ex stanza di rappresentanza) e alla Sala del Meleagro (ex stanza privata). Durante questa operazione andarono perduti i camini, gli affreschi alle pareti delle due stanze, due lunette della volta della Sala dei Busti, due lunette della volta della sala del Meleagro, la volta della loggetta est. Sul lato opposto, risparmiando la cappella del Mantegna, si chiuse la loggetta ovest e si mise in comunicazione con la sacrestia della cappella, creando un ulteriore vano espositivo, denominato "Stanza degli Animali" 18. Questa prima generale ristrutturazione architettonica dovette concludersi entro il giugno del 1772 19.

Negli stessi anni erano attivi all'interno del palazzo pittori e stuccatori per lavorare alle decorazioni del museo. Impegnato nel cantiere pittorico di Villa Giulia, il pittore camerale Nicola La Piccola venne escluso dal cantiere del Museo Clementino. Il lavoro di restauro delle pitture murali e "ricomposizione decorativa" venne allora affidato ai fratelli Cristoforo e Ignazio Unterberger 20 per le "pitture di figura", coadiuvati da Giovanni Angeloni e Giovanni Mezzetti per le parti decorative. Il lavoro, nel dettaglio, è documentato da due giustificazioni di pagamento redatte dai pittori nel 1772 21. Integrando i dati desunti dalla lettura delle due relazioni, si ha l'impressione di un generale intervento di ridipintura "in stile" della decorazione, reso necessario dai danni e dalle modificazioni della ristrutturazione architettonica. La loggetta ovest aveva nuove pareti e la volta "dipinta di nuovo"; la sacrestia perse i "credenzini" dipinti a trompe l'oeil sulle pareti guadagnando una nuova volta a crociera; la loggetta est perse gli affreschi delle pareti e la volta originale; anche le due stanze persero gli affreschi alle pareti: quella di rappresentanza perse due lunette e la maggior parte delle figure di volte e lunette furono "dipinte di nuovo", quella privata ebbe la "volta a vela dipinta di nuovo", con molte delle figure delle lunette ridipinte "dal figurista". Eccettuata la cappella del Mantegna, l'unica stanza che mantenne la decorazione parietale originale fu la Sala o Atrio, ex loggia maggiore, con i celebri dipinti di "paesi" citati dal Vasari 22. Prima del 1770, come desumiamo anche dalle citate relazioni Unterberger e Angeloni, questi dipinti erano pressochè integri e non frammentari, e anche nella citata descrizione del Taja, contrariamente alle dettagliate osservazioni fatte sul "lagrimoso stato" di conservazione dei dipinti di paesi esistenti nella loggetta ovest, non si accenna minimamente ad un danneggiamento delle pitture della loggia maggiore. I dipinti di "paesi" non vennero quindi toccati dai figuristi del cantiere di Clemente XIV, che ridipinsero solo alcune figure nella volta e sui pilastri, ma soltanto ritoccati e integrati dagli ornamentisti nelle lacune derivate dalla chiusura delle due finestre. In questo senso interpretiamo, difatti, la nota: "con aver ritoccato li Paesi in veduta nelli fondi, due de quali dipinti di nuovo, il tutto per patto come sopra" 23; i festoni di frutta, presenti nelle tre campate prive di finestre, non vennero replicati nelle campate ridipinte. In compenso, tutto il fondo turchino della volta venne rifatto, ritoccando le figure, e tutti i pilastri vennero completamente ridipinti. Anche le lunette quattrocentesche vennero pesantemente ridipinte dagli Unterberger 24.

Per quanto riguarda gli affreschi che decoravano la cappella di San Giovanni, non sembra che sia citato alcun intervento conservativo. Alterati da "macchie di nitro e inopportuni ristauramenti" 25, i dipinti del Mantegna, secondo le relazioni citate, non vennero toccati se non per fare calchi ed un'unica limitata operazione di trasporto. Venne difatti eseguito un calco della città di Pavia 26, "per conservarne la memoria", prima che Tommaso Albertini, autore di altri trasporti, staccasse il dipinto per traslarlo nel Cortile delle Statue 27 . Questo intervento sembra essere stato un semplice saggio di trasporto. Gli ornamentisti eseguirono un altro calco nella cappella 28, ma all'esecuzione del calco non corrispose alcun trasporto. Albertini, nel frattempo, metteva "in opera una chappa di camino dove ci erra dipinto un arma del Papa con certi putti sopra la porta del detto Museo", proveniente dalla stanza privata e attualmente ancora visibile in quella posizione nella Galleria delle Statue, e staccava il dipinto dall'altro camino 29 in demolizione.

Tutto ciò ha, a mio avviso, una unica spiegazione plausibile. Già nella prima fase dei lavori si meditava la soluzione architettonica, poi attuata da Pio VI, di demolire gli ambienti ovest, compresa la cappella di San Giovanni, per creare una Galleria delle Statue più ampia. Si fecero a questo scopo calchi e saggi di trasporto, utilizzando l'Albertini all'opera nel cantiere, per valutare la possibilità di conservare i preziosi dipinti del Mantegna staccandoli a porzioni con l'intonaco di supporto, come esigeva la limitata tecnica del tempo 30. Il trasporto della porzione di affresco raffigurante Pavia ebbe successo, ma probabilmente gli altri non dettero un esito felice, e per non perdere i dipinti si preferì abbandonare l'impresa lasciando integra la cappella anche nella successiva fase di lavori, in attesa di operatori più aggiornati. La decisione di non restaurare gli affreschi, ritoccandoli o reintegrandoli nei "muri demoliti" 31, sembra così evidenziare il carattere provvisorio della scelta operativa di lasciare tutto com'era. Nel 1772, a conclusione della prima fase dei lavori, fu inaugurata la Galleria delle Statue clementina. Progettata da Alessandro Doni, "presentava lo stesso tipo di organizzazione dello spazio dei suoi diretti precedenti, le grandi gallerie barocche; si trattava di uno spazio unificato da un ricco apparato decorativo" 32 che riusciva a conciliare gli stucchi moderni del Ferrari con le pitture ritoccate, ma rispettose "in tutto e per tutto dell'antico".

La seconda fase di ristrutturazione del Museo Clementino 33 non modificò sostanzialmente l'unitario progetto originale che vedeva nel cortile delle statue il nucleo del nuovo museo. Nel 1773 venne costruito il porticato ionico del cortile delle statue, e nel 1774 venne iniziata la ristrutturazione delle cosiddette "fabbriche annesse", costituite dalla cinquecentesca ala orientale del cortile. Durante la ristrutturazione tutte le decorazioni pittoriche andarono perdute, ad eccezione di quelle pertinenti alla stanza della Cleopatra, che venne trasformata in Vestibolo Quadrato, nuovo ingresso monumentale del museo. In questo ambiente, tra il novembre del 1775 e l'aprile del 1776 34, si svolse l'ultimo lavoro di ripristino di pitture murali antiche all'interno del Museo Pio Clementino. Ad effettuarlo fu il pittore ornamentista Antonio Marini, che dal 1774 aveva sostituito la coppia Angeloni - Mezzetti nel cantiere del museo 35. Il Marini restaurò i riquadri della volta con scene acquatiche e miracoli delle vite di Mosè e di Cristo, attribuiti a Daniele da Volterra, le decorazioni a grottesche sui pilastri, e dipinse i pannelli decorativi negli sguanci della finestra utilizzando cartoni dell'Unterberger 36. Interessante evidenziare, a questo proposito, la volontà dei committenti di ripristinare nella Galleria delle Statue e nel Vestibolo Quadrato le antiche decorazioni a grottesche, o rifarle ex novo, assecondando una sorta di revival esploso a Roma nell'ottavo decennio del secolo sulla scorta dei prototipi raffaelleschi 37. Lo stesso Pio VI era affascinato da questo tipo di decorazioni; ad esempio, nel progetto di rinnovamento architettonico della rocca di Subiaco, il Braschi incluse anche il restauro degli affreschi cinquecenteschi dell'appartamento Colonna, realizzati perlopiù a grottesche, che venne effettuato facendo ricorso a vaste ridipinture a tempera 38. Nel nostro caso, questo recupero di soluzioni decorative rinascimentali integrava un progetto architettonico, per il Museo Clementino, volto a creare una struttura "neocinquecentesca, lontana dall'imitazione di modelli antichi, più vicina invece a una reinterpretazione moderna del palazzo rinascimentale" 39.

La svolta in direzione neoclassica avvenne con il pontificato dello stesso Papa Braschi.
Dopo una pausa nel 1775, dovuta al conclave e alle incertezze dei primi mesi di pontificato di Pio VI, i lavori architettonici ripresero in grande stile. All'inizio i lavori si limitarono a proseguire i cantieri interrotti di Clemente XIV, soprattutto il lato occidentale del cortile, poi si divisero in tre fasi: dal 1776 al 1778 venne realizzato il prolungamento della Galleria delle Statue, dal 1778 al 1784 si creò la successione degli "ambienti neoclassici" (Sala degli Animali, Sala delle Muse, Sala Rotonda, Sala a croce greca), dal 1787 al 1792 venne completata la costruzione del nuovo ingresso al museo, l'Atrio dei Quattro Cancelli, e della Sala della Biga. Il museo cambiò il luogo d'accesso monumentale e la tazza di porfido venne spostata dal centro ideale del "vecchio" museo, il Cortile delle Statue, al centro ideale del "nuovo", la Sala Rotonda. Il neoclassico Museo Pio si contrapponeva volutamente al neorinascimentale Museo Clementino.

Dal 1776 l'apparato decorativo pittorico per le nuove fabbriche venne eseguito da Cristoforo Unterberger e Antonio Marini elaborando schemi figurativi nuovi. Unica eccezione, la decorazione della Galleria delle Statue. Demolita nel 1776 la cappella del Mantegna per prolungare verso ovest la Galleria e raccordarla all'ala occidentale del cortile (Sala degli Animali), la volta della "nuova aggiunta" venne decorata "in guisa e forma della volta antica" 40.

Gli affreschi del Mantegna andarono perduti. Non esistono reperti pittorici provenienti da quel ciclo decorativo, nonostante fossero attivi nel museo estrattisti di affreschi, e nei documenti consultati, relativi al pontificato di Pio VI, non esistono riferimenti a lavori eseguiti per creare delle copie o dei calchi 41. Inoltre, non ho rintracciato alcuna testimonianza coeva, ad esempio nei periodici romani, che testimoniasse la distruzione di quelle pitture che il Taja definiva "egregie", "esempio di straordinaria leggiadria, di esattezza e di somma grazia" 42 e che il Chattard descriveva in dettaglio esaltandone la qualità 43. Tutto ciò induce a pensare che Pio VI avesse voluto operare, in tutta fretta, una drastica cancellazione della cappella nella sua evidenza materiale e persino nella sua memoria storica, se l'intervento "fu così radicale che per molto tempo se ne ignorò anche il sito preciso" 44. Quello che non si aveva avuto il coraggio di fare sotto il pontificato di Clemente XIV si effettuò, con energico atto risolutivo, all'inizio del pontificato di Pio VI.

La cancellazione dell'originaria decorazione pittorica non si limitò, inoltre, alla necessaria demolizione della cappella per esigenze di ristrutturazione architettonica, ma proseguì nella Galleria delle Statue con l'occultamento delle pitture "di paesi" e delle candeliere sui pilastri, che erano state restaurate solo qualche anno prima, sotto una tinta omogenea di finto rosso pompeiano. Questo intervento venne eseguito prima del 1782, anno in cui i dipinti citati sono solo ricordati dal Visconti 45 con l'espressione "fregiavano il resto della galleria". Inoltre vennero applicati sulle pareti di ogni campata, tinta di rosso fino alle lunette e bipartita da una cornice orizzontale, dei bassorilievi antichizzanti che sono ancora oggi visibili 46.

Oltre al completamento architettonico, questi interventi sulla antica decorazione pittorica sancirono la integrale trasformazione del Museo Clementino in nuovo "spazio espositivo tipicamente neoclassico", incurante delle preesistenze. Del resto, nelle descrizioni letterarie del tempo, il Museo Clementino non era neanche considerato un vero e proprio museo: fino al 1775, difatti, nelle versioni aggiornate delle guide di maggior successo, "continua a comparire soltanto una descrizione piuttosto rapida del Cortile delle Statue e della palazzina di Innocenzo VIII; e soltanto nelle descrizioni di Roma pubblicate nel 1775 compare, finalmente, il nuovo museo" 47.




NOTE

01 Per ulteriori informazioni di carattere generale relative al Casino Innocenziano si rimanda a J. S. Ackermann, Il cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954; D. De Campos, Il Belvedere di Innocenzo VIII, in Triplice omaggio a S.S. Pio XII, Città del Vaticano, 1958, pp.289-304; C. Pietrangeli, Il Palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1992, pp. 241-297; altri testi saranno citati in relazione ad ambiti più specifici.

02 Cfr. U. Gnoli, Piermatteo d'Amelia, in "Bollettino d’arte", 1923-1924, 2, p. 99.

03 Per una descrizione più dettagliata del ciclo decorativo v. S. Sandstrom, The program of the decoration of the Belvedere of Innocent VIII, in "Kunsthistorik Tidskrift", XXIX (1960), pp. 35-75.

04 British Library, King’s Maps, 75k, 1-3 (LXXXI, 61c). Si tratta di tre volumi contenenti centoventi piante e settantacinque alzati di ogni parte del Vaticano.

05 V. S. Sandstrom, The program ..., op. cit., p. 35.

06 A. Taja, Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano, Roma 1750.

07 G. P. Chattard, Nuova descrizione del Vaticano, Roma 1767.

08 V. C. Pietrangeli, Il Palazzo ..., op. cit., p. 23.

09 V. C. Pietrangeli, Il museo Clementino in Vaticano, in "Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia", XXVII (1951), p.96; v. anche H. Hager, Il museo di Clemente XI della Reverenda fabbrica di San Pietro e le origini del museo architettonico, in Roma e la nascita del museo moderno nel XVIII secolo (Atti del Convegno, Roma 1989). I bozzetti delle statue e i modelli architettonici delle chiese erano disposti ancora all’interno del Casino Innocenziano nel 1767, epoca in cui li descrive dettagliatamente il Chattard.

10 A. Taja, Descrizione ..., op. cit., p. 407.

11 Il Sandstrom, ad esempio, le data alla seconda metà del Seicento, v. S. Sandstrom, The program ..., op. cit., p. 37.

12 A. Taja, Descrizione ..., op. cit., p. 401: «Il tutto però resta alquanto oltraggiato da macchie di nitro, e da inopportuni ristauramenti, come anco tutto il restante della cappella».

13 Per le vicende legate alla creazione del Museo Clementino v. L. Hautecoeur, La vente de la collection Mattei et les origines du Musee Pio Clementino, in "Melanges d’archeologie et d’histoire", XXX (1910), pp. 55-76; e G. P. Consoli, Il Museo Pio Clementino, Modena 1996, con relativa ampia bibliografia; l’idea di creare un nuovo museo, secondo Visconti, fu del Braschi, che «suggerì (al papa) d’aprire un nuovo museo, dove collocare le sculture, che si andrebbero acquistando, invece di situarle nel Capitolino abbastanza pieno e completo», G. B. e E. Q. Visconti, Il Museo Pio Clementino, Roma 1782, p. V.

14 Ivi.

15 L'incarico venne affidato all'architetto camerale Alessandro Doni, morto nel 1772 e sostituito per la seconda fase dal nuovo architetto camerale Michelangelo Simonetti.

16 I cui stipiti sono ancora rilevabili nella muratura odierna; una nella prima campata, l’altra nella quinta partendo da est; la presenza delle finestre è documentata anche dal Chattard, Nuova descrizione ..., op. cit., p.129.

17 Tutte le notizie relative ai lavori per il museo, desunte da ASR, Cam. II, A. e B.A., b. 16 e b. 17, sono riportate in parte anche da C. Pietrangeli, Il Museo Clementino ..., op. cit., e da G. P. Consoli, Il museo ..., op. cit.

18 Questo ambiente, che ora corrisponde grossomodo al gabinetto delle Maschere, venne ulteriormente ristrutturato nel 1780 e non ha niente a che vedere con la attuale "Sala degli Animali" del museo.

19 V. G. P. Consoli, Il museo ..., op. cit., p. 41.

20 A Partire dal 1771 Cristoforo Unterberger era già attivo nei Palazzi per la decorazione, col Mengs, della volta della Sala dei Papiri; per approfondimenti v. O. Michel, Peintres autrichiens a Rome dans la seconde moitiè du XVIIIeme siècle: Cristoph Unterberger, in "Romische historische mitteilungen", XIV (1972), pp. 175-200.

21 ASR, Camerale II, Antichità e Belle Arti, b.16, n.115 (Unterberger) e n.135 (Angeloni e Mezzetti).

22 «E non molto dopo, cioè l’anno 1484, Innocenzo VIII genovese gli fece dipingere (al Pinturicchio, n.d.a.) alcune sale e loggie nel palazzo di Belvedere, dove tra l’altre cose, si come volle esso Papa, dipinse una loggia tutta di paesi, e vi ritrasse Roma, Milano, Genova, Firenze, Venezia e Napoli alla maniera dè fiamminghi, che come cosa insino allora non più usata, piacquero assai», G. Vasari, Le vite (1568), III, Milano 1965, p. 227. Occultati, insieme alle decorazioni dei pilastri, da un intervento operato sotto il pontificato di Pio VI, con il quale le pareti della galleria, fino al livello del cornicione sotto le lunette, erano state ricoperte da una tinta uniforme di finto rosso pompeiano, questi dipinti sono stati "riscoperti" negli anni Quaranta di questo secolo; v. B. Biagetti, Relazione, in "Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia", XV (1939), pp. 248-252; e B. Nogara, Relazione: restauri alle pitture della Galleria delle Statue, in "Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia", XXIII-XXIV (1947-1949), pp. 363-368. I frammenti pittorici che sono attualmente visibili non consentono una lettura organica del testo figurativo. Però, analizzando unitariamente i frammenti superstiti, raffiguranti paesaggi naturalistici e porzioni di cielo, con le immagini delle lunette in cui, sulla cornice architettonica, sono rappresentati sul fondo azzurro del cielo coppie di putti sotto un illusorio intradosso d’arco visto di scorcio, dal sotto in su, possiamo constatare la volontà originaria di creare un ambiente che, integrando architettura reale e decorazione pittorica, suggerisse l’impressione di trovarsi in un padiglione aperto su tutti i lati verso la campagna. A rafforzare questa impressione illusionistica il pittore quattrocentesco aveva eseguito, alla base della parete dipinta e sotto le vedute paesaggistiche, un parapetto fittizio che probabilmente riprendeva le forme del parapetto reale delimitante il terrazzo a nord della loggia; è Chattard a documentarlo: «(pilastri che racchiudono) amenissimi paesi, in vaga foggia dipinti, fra quali nel mezzo sotto l’accennata cornice vi è un mazzo di fiori, al naturale espressi; a piedi di detti paesi vedesi formato un parapetto d’architettura, dipinto a chiaroscuro» (Chattard, Nuova ..., op. cit., p. 129). Il Chattard, contrariamente al Taja, non identificava, sulla scorta del Vasari, le vedute comprendenti caseggiati degli affreschi con la rappresentazione di città particolari. La stessa impressione di genericità delle rappresentazioni è riscontrabile dalla visione diretta dei frammenti superstiti, come venne testimoniato anche dal Nogara quando tali dipinti vennero riportati alla luce: «contrariamente a quanto è asserito dal Vasari, nessuno dei paesaggi delle cinque campate può identificarsi con una determinata località, tanto meno poi con le città di Roma, Milano, Genova, Firenze, Venezia e Napoli: si tratta non di città, ma di paesaggi veri e propri eseguiti per lo più a fantasia" (B. Nogara, Relazione ..., op. cit., p. 367). La testimonianza del Vasari sembra quindi fuorviante, a meno che non si prenda in considerazione l’ipotesi improbabile di un suo errore o lo snaturamento iconografico dei dipinti stessi operato mediante restauri radicali o ridipinture tra il Cinquecento e il Settecento. In realtà, come ha sottolineato il Sandstrom (S. Sandstrom, The program ..., op. cit., p. 39), una interpretazione in chiave politico propagandistica di questi dipinti di paesi diffusa a partire dal 1487, anno in cui si chiuse il cantiere decorativo e in cui fu stipulata una pace tra Innocenzo VIII e le città citate dal Vasari, ha finito per condizionare la lettura di paesaggi che in origine non avevano alcun valore specificatamente simbolico.

23 ASR, Cam. II, A. e B.A., b. 16, n. 135.

24 Questa è una considerazione che nasce dall'osservazione diretta delle lunette citate; Gnoli ne descrive lo stato di conservazione: le due della parete est sono in buono stato, mentre, partendo da est, il pavone della prima è totalmente ripassato, e sono alterati da ridipinture anche lo stemma della terza, il pavone della quarta, i putti della quinta (U. Gnoli, Piermatteo da Amelia, in "Bollettino d'Arte", 1923-1924, 2, p. 392); Sandstrom le definisce «completely repainted» (S. Sandstrom, The program ..., op. cit., p. 37); questi interventi, a meno che non siano stati eseguiti nell'Ottocento o dopo, risalgono al cantiere in esame, visto che precedentemente Taja aveva descritto esplicitamente le pitture di queste lunette prive di ritocchi, v. A. Taja, Descrizione ..., op.cit., p.407.

25 V. supra nota 12.

26 «Per il cartone, e calco fatto in opera, e disegnato in veduta la città di Pavia, per conservarne la memoria, alto palmi 18, largh. Palmi 6 » (ASR, Cam. II, A. e B.A., b. 16, n. 135).

27 Nella b. 16 del fondo citato c'è anche un conto delle spese di Albertini in cui si registra: «levare e chalare giù un pezzo di muro dove ci erra dipinta la città di Pavia», e una "misura dei lavori" firmata dal Braschi in cui si riporta: «trasportato dalla cappella un pezzo di muro antico nel quale è dipinta la certosa di Pavia (…) e messo in opera murato sotto una delle finestre corrispondenti nel cortile delle statue».

28 «Per aver fatto il cartone, e calco disegnato in opera, e sopra il cartone nella cappella del Mantegna tutto l´ornato, e figure, che restano nel muro demolito per conservarne la memoria, alt. Palmi 6, largh. Palmi 7,5» (ivi, n. 135).

29 Ivi, n.163: «A Tommaso Albertini per diverse spese fatte nel levar d’opera dal muro delle stanze (...) le trombe de' cammini, e trasportate altrove, s. 30».

30 Il primo estrattista di affreschi a Roma che utilizzava lo "strappo" della pellicola pittorica, l'imolese Giacomo Succi, giunse difatti nella citt` non prima del 1776.

31 V. supra nota 28.

32 G. P. Consoli, Il museo ..., op. cit., p. 77.

33 Il Braschi, eletto cardinale, lasciò dal 1773 al nuovo tesoriere Guglielmo Pallotta l'incombenza di amministrare i fondi e redigere le giustificazioni di pagamento per il nuovo cantiere (ASR, Cam. II, A. e B.A., b. 17), che venne affidato, dopo la morte del Doni, alla direzione del Simonetti.

34 ASV, SPA, Comp., b. 348, n. 124.

35 Una relazione dei lavori svolti dal Marini, tra cui la decorazione ex novo del Vestibolo Rotondo nel 1776, è custodita in ASR, Cam. II, A.B.A., b. 17, n. 130.

36 V. A. M. Clark, Four decorative panels by Unterberger, in "Studies in roman eighteenth-century painting", Washington 1981, p. 145.

37 A questo proposito v. V. Casale, Liborio Coccetti e la grottesca ai tempi di Papa Braschi, in "Labyrinthos", VII-VIII (1985), pp. 73-118.

38 Id., p. 92.

39 G. P. Consoli, Il museo ..., op. cit., p. 75.

40 ASV, SPA, Comp., b. 373, n. 98; il mandato di pagamento per questi lavori "a guazzo" è del maggio 1781.

41 Cfr. C. Pietrangeli, Mantegna in Vaticano, in "L’Urbe", XXVI (1961), p. 101.

42 A. Taja, Descrizione ..., op. cit., p. 401.

43 G. P. Chattard, Nuova descrizione ..., op. cit., pp. 141-142.

44 C. Pietrangeli, Mantegna ..., op. cit., p. 100.

45 E. Q. e G. B. Visconti, Il museo ..., op. cit., p. VIII: «Galleria d’Innocenzo VIII, che formava già il Museo Clementino, è stata prolungata fino a questo punto su d’altissime sostruzioni per ordine del regnante pontefice; i pilastri, e la volta ne sono stati abbelliti di pitture e grotteschi di mano di monsieur Cristoforo Unterberger, accompagnando quelli di Benedetto Bonfilio, e di Bernardino Pinturicchio, che fregiavano il resto della galleria»; da notare che, in questo testo del Visconti, si citano Bonfilio e Pinturicchio ma non si citano i dipinti perduti del Mantegna.

46 La tinta rossa è stata rimossa negli anni Quaranta; v. supra nota 22. Tinta rossa e bassorilievi sono documentati da alcune stampe del Feoli raffiguranti le pareti della Galleria delle Statue (1782-1794).

47 G. P. Consoli, Il museo ..., op. cit., p. 11; le guide citate dal Consoli sono quelle del Rossini (1771) e del Vasi (1777).

Piantina del Casino Innocenziano
fig. 1
Piantina del Casino Innocenziano
Ricostruzione di Mauro Papa

Si ringrazia Mauro Papa per la gentile concessione dell'immagine.

 

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