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Eros nell'arte di Gustav Vigeland Roma,
Museo H. Christian Andersen
fino al 19 mar. 2000
Maria Cristina Bastante
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 ottobre 2000, n. 225
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« Quante divinità abbiamo creato. (...) Le abbiamo dipinte con il nostro sangue, abbiamo offerto loro la nostra carne, le abbiamo adorate, le abbiamo abbracciate, le abbiamo incoronate. E dopo, quando esse erano splendidamente adornate, noi le abbiamo schiacciate. Ma il fatto più strano è che per tutto il tempo in cui le stavamo adornando, noi sapevamo che avremmo voluto frantumarle; è come se un piccolo essere dentro di noi ce lo suggerisse ».
(Gustav Vigeland, 1897)

Eros e Thanatos, pulsione di vita e di morte, perfettamente in sintonia con la crisi di un'epoca, Gustav Vigeland costruisce un'immagine efficace in cui al rapporto uomo - donna si sovrappone il tormento dell'atto creativo, materia, forma, opera compiuta: la favola crudele della divinità foggiata dal suo stesso adoratore, per poi essere distrutta, ridotta polvere paradossalmente dal medesimo gesto amoroso.

Trovare altre esemplificazioni della guerra dei sessi (o del sesso?) nella cultura fin de siecle è, forse, troppo facile, dal cuore della Mitteleuropa, all'Inghilterra, ai paesi scandinavi è un susseguirsi di visioni che associano, senza soluzione, atto erotico e tormento esistenziale, come elementi inscindibili: la Salomè di Beardsley, le sirene dorate di Klimt, l'adolescente già dolorosamente consapevole di Munch, sono sintomi e simboli dell'identico nodo psicologico. L'unione tra uomo e donna, la base rassicurante ed istituzionalizzata della famiglia borghese, si rivela scontro di forze opposte, nucleo distruttivo, presagio di un'incomunicabilità che inevitabilmente è solitudine.

Dunque anche Vigeland si inserisce perfettamente nel panorama misogino e sessuofobico? Sembrerebbe di sì, ma una nota del 1898 risulta rivelatrice: « La libido è magnifica, sublime! Essa è stata celata nell'oscurità dal cattivo uso. Ciò che l'ha resa così oscena agli occhi degli antichi è che nulla è stato così insudiciato, così calunniato ... Io penso che essa sia una grande legge della natura ».

La libido è assimilata alla forza creatrice, è motore di quel disordine a cui tutto tende, che genera squilibrio, dissesto e che contemporaneamente diversifica: due aspetti complementari dello stesso principio agente, unità e molteplicità, morte e vita, conoscenza ed ignoto. Parlare di Eros nell'arte di Gustav Vigeland non significa indagare sull'aspetto più intimo della produzione dell'artista, ma far luce su una dinamica, su una tensione che è riscontrabile in tutte le opere, dai disegni, ai bronzi di piccole dimensioni, fino alle celeberrime, colossali allegorie del Parco di Oslo: una tematica costante, un'ossessione che si placa solo nell'affrontare sistematicamente ogni tappa della parabola umana, nascita, vita, rivelazione, morte, inserendo la storia del singolo e della specie all'interno di un sistema più ampio, che coinvolge la natura, come "volontà di vivere" cieca, ineluttabile.

Le sculture di Gustav Vigeland vengono spesso avvicinate alle opere di Auguste Rodin: l'artista norvegese ebbe occasione di conoscere direttamente il maestro francese (viaggio a Parigi, 1892) e l'incontro fu determinante per la sua formazione. La scelta di una resa formale estremamente realistica e contemporaneamente l'adozione di un lessico simbolico per raccontare l'esistenza epica dell'uomo, sono connotazioni comuni, riscontrabili confrontando la possente statuaria di Vigeland Park e l'altrettanto monumentale Porta dell'Inferno, sogno e dannazione di Rodin.

Le profonde differenze caratteriali emergono da un'analisi ravvicinata: dove Vigeland contrae, irrigidisce i corpi in uno spasimo, Rodin suscita una sensualità tattile; dove Vigeland lavora sulla tensione interna, sull'angoscia Kirkegaardiana, Rodin esprime un dolore disperato, simile ad un urlo.

L'artista francese utilizza nel disegnare una linea fluida, continua, che rivela grande padronanza del mezzo grafico: i corpi sono evocati dalla sola linea di contorno, ma essa è sufficiente per rappresentare le superfici modellate; gli schizzi di Vigeland dimostrano un'urgenza espressiva non filtrata dalla consapevolezza, un'istintualità, un disagio non mediati.

I disegni erotici sono un elemento fondamentale per comprendere la complessa dinamica creativa dell'artista oltre che essere testimonianza della sofferenza e dell'emozione non celata dell'uomo. Vigeland utilizza fogli di piccolo formato (probabilmente lo seguivano durante i suoi spostamenti), sceglie l'inchiostro nero, per rendere più evidente il contrasto tra luce ed ombra, in pochi passaggi acquerella, preferisce il tratteggio vigoroso, essenziale.

Il segno è rozzo, irruente, l'artista non è interessato allo studio anatomico, alla descrizione dei corpi, è attratto dal movimento, dalla torsione deformante: l'atto sessuale è raccontato senza indulgenza, estrapolato dal "suo" luogo ed inserito in uno spazio scarnificato, costruito dall'addensarsi di linee, come emozioni.

La passione tra l'uomo e la donna è un sentimento trasformato in istinto, "una grande legge della natura", una necessità che non si può dominare, contemporaneamente un meraviglioso gioco, una danza rituale: forse l'unico estremo momento di comunicazione tra due creature sole, nemiche, estranee.

Vigeland disegna scene di un erotismo esplicito, ma non scandaloso, il sesso diventa metafora di salvezza, nuova forza, energia primitiva che rianima due esseri alla deriva; nell'allegoria della vita il sesso ha un ruolo "connettivo", di giustificazione e di assicurazione dell'esistenza contro la minaccia della fine. La linea di contorno frammentata, scomposta in piccoli tratti, "scarabocchiata" rende evidente il conflitto interno, i moti opposti di rabbia e amore: le figure deformate dal flettersi eccessivo, hanno una disperata fisicità ed un bisogno d'amore improrogabile. Gustav Vigeland è un artista poco noto fuori dai confini scandinavi, esporre parte della sua opera grafica accanto alle sculture di piccolo formato significa creare due interessanti percorsi complementari: lo stesso nucleo tematico, l'eros, affrontato in due livelli di percezione differenti, tuttavia profondamente legati.

Egli è prima di tutto scultore, lo è in modo istintivo: « Io ero scultore prima di nascere » ha affermato, ma senza presunzione, come constatando un evento verificato, di cui non c'è molto da poter spiegare. Il disegno è quindi rappresentazione bidimensionale di quanto è già stato pensato come tridimensionale: è forma collocata in uno spazio non ancora contingente, è un punto di vista privilegiato, non indagato, non studiato nel dettaglio, ma che ha un suo intrinseco grado di finitezza.

Chi si avvicina ai fogli ed alle statue avverte la stessa materia ruvida, sia che osservi le superfici del bronzo che il tratteggio denso, confuso: lo schizzo sembra non essere una semplice fase del processo creativo, uno svilupparsi dell'idea, ma un passaggio percettivo, una prima trattazione materica e spaziale.

Nelle sculture, proprio come nei disegni erotici, coesistono un estremo realismo, che non diventa mai oscenità, e la deformazione drammatica: gli arti troppo lunghi, i corpi scavati, i tendini tesi, sono la traduzione delle pause buie dell'inchiostro, dell'incrocio forsennato di linee.

Amore e Psiche (1898) è una rilettura amara e consapevole del testo di Ovidio: il mito, già fonte d'ispirazione per gli artisti del passato, è l'occasione per rappresentare l'armonia persa, o forse, mai posseduta. Le due figure sono poste l'una di fronte all'altra in un confronto doloroso, vicine, ma chiuse ad ogni possibile contatto: Psiche è distesa, la terra forma una nicchia in cui il suo corpo sprofonda; Amore è immobile, ha le ali enormi, pesanti, che lo bloccano e contemporaneamente lo proteggono.

Non è possibile ipotizzare avvicinamento, un moto d'affetto, il tempo è fermo in questo confronto irrisolto: la terra può solo chiudere definitivamente il corpo di Psiche, ugualmente le ali possono avvolgere il corpo di Amore fino a nasconderlo completamente.
La composizione spaziale del gruppo Orfeo ed Euridice sfrutta la sensazione di instabilità per innescare un meccanismo di forze opposte, una tensione dinamica, che implica coinvolgimento emotivo: Euridice è protesa in avanti, si sporge, violando l'asse centrale verticale, Orfeo l'afferra, cerca di trarla verso di sé; è evidente il movimento divergente, l'allungarsi ed il trattenere, quasi un ritmo spezzato, un equilibrio precario che potrebbe cambiare istantaneamente.
Il corpo della donna è simile al pendolo di un orologio, destinato ad un'inclinazione sempre maggiore; l'uomo ha le membra scavate, i tendini tesi nello sforzo di contrastare il moto di allontanamento, le sue braccia serrano il corpo dell'amata e sono l'unico punto di contatto: l'artista realizza una costruzione che trova nella massima tensione il punto di stasi, limite ultimo prima di rompersi; ribadisce quel concetto etico ed estetico di incertezza, di perenne rischio.

Il Bacio (1898) sembra rappresentare un momento di tregua: l'uomo abbraccia la donna, la superficie del bronzo ha perso la tormentata scabrosità, è più liscio, le forme sono modellate mediante piani digradanti, senza residui di angolosità. Una resa, dunque, l'elemento femminile domato e ricondotto nel rassicurante confine del conosciuto. La fusione amorosa è solo apparente, l'uomo stringe la donna, ma più che proteggerla pare volerla trattenere, imprigionare; la donna non ricambia il gesto del suo compagno, serra le braccia incrociandole sul petto: nella forma chiusa individuiamo due forme distinte, due nuclei di forze opposte.

L'equilibrio compositivo trova fondamento nell'uguale entità della pressione esercitata dalle due figure: la donna tenta di rompere l'anello dell'abbraccio a cui non vuole sottomettersi, tenta di "aprire" la forma chiusa, l'uomo agisce chiudendo le braccia, saldandole al corpo femminile; potenzialmente la situazione potrebbe cambiare da un momento all'altro, è necessario solo che avvenga un cedimento da una delle due parti, ma intuiamo che tutto rimarrà com'è: irrisolto.

Eppure l'uomo e la donna si baciano, forse è questo l'aspetto più affascinante e controverso della scelta poetica di Vigeland: egli svela l'incoerenza che si cela nell'attrazione e contemporaneamente afferma che l'uomo non può sottrarsi alla passione. L'elemento maschile e l'elemento femminile sono distinti, ma obbligati dal moto naturale degli eventi ad incontrarsi, a non conoscersi, a fare dell'avversione l'unica forma di amore.

L'artista lavora continuamente al tema dell'Eros, sembra elaborare l'ossessione attraverso un'insistente rappresentazione dove la realtà dell'atto sessuale è descritta esplicitamente, senza tacere la componente del piacere, inevitabilmente associata all'idea dell'unione come dolorosa perdita del sé. Nel gruppo in bronzo Coito (1897 - 1898) i due corpi sono distesi l'uno sull'altro, schiacciati dall'estasi dell'orgasmo su quel terreno arido che è la natura, nel senso di vita e di deperibilità. L'uomo e la donna sopravvivono grazie a quel necessario appartenersi, a quel bruciante "cedersi", ma non si guardano: il piacere non è condiviso, l'istinto non si risolve nel pensiero amoroso; l'incontro tra le due creature c'è, deve esserci per assicurare l'esistenza di entrambe, ma il dono del proprio essere non avviene. C'è il gioco, c'è l'unione nel senso strettamente fisico, c'è, innegabilmente, un reciproco cercarsi, ci sono due identità che continuamente affermano il loro essere distinte.

La perversione di Vigeland è espressione di un'angoscia che non si consola nelle rassicuranti rappresentazioni allegoriche, che plasma immagini e contemporaneamente ne avverte il fallimento: la volontà distruttiva è autoconservazione, il voler uccidere la creatura amata è il paradosso della comprensione. L'artista sente il congiungersi e ne comprende anche la valenza negativa, ebbro vede nel buco nero e lucidamente racconta la visione che lo tormenta.

Uomo in atto di scagliare una donna (1903 - 1904) ha una potenza espressiva data dal trattamento della materia: la "parete" in bronzo ha la consistenza della cera che cola, le figure, fermate in una posizione di estremo dinamismo, s'inseriscono come un groviglio non definito dove la luce incide vibrando. L'uomo afferra la donna con una rabbia parossistica, concitata, orgiastica, domina il corpicino tenendolo rovesciato: potrebbe lasciarla cadere, o scagliarla lontano da sé, liberandosene e liberandola, invece l'azione rimane sospesa, il senso di moto descrive in realtà la tensione interna più che suggerire un successivo svolgersi.

È una scelta formale e poetica, l'ulteriore ribadire dell'ambivalenza che regola il rapporto uomo - donna: l'unione riconosciuta dalla società e l'universo sommerso, regolato da leggi elementari, animato da incontrollate pulsioni.
La vicenda dell'artista presenta eventi indicativi e, in un certo senso, determinanti nel tentare di decodificare la complessa espressione del tema erotico. La relazione tra suo padre e una donna molto più giovane, il disgregarsi della famiglia, ma soprattutto la perdita di quel nucleo primario costituito dall'unione dei genitori è sicuramente un evento traumatico: Vigeland, appena tredicenne, scopre l'essenza "distruttiva", incontrollabile dell'attrazione sessuale. La coppia, intesa come prima entità sociale, perde il suo valore sacrale, la figura paterna mostra la debolezza della natura umana, troppo incline al soddisfare la passione: il trauma rimane irrisolto, così l'associazione sesso - colpa ed il riconoscere la libido come unica grande forza a cui è soggetto l'uomo. Vigeland "assorbe" il senso di impotenza della ragione contro un istinto troppo forte e contemporaneamente vede la bellezza dell'atto sessuale, che non è amore, ma rappresentazione dello scontro tra due energie opposte, affermazione della vita. Egli interpreta la libido come motore che distrugge le sovrastrutture malate, ma rassicuranti, come uno specchio temuto che riflette la vera immagine dell'uomo, del padre debole, soggiogato da quella donna, che trasfigura nella natura madre - matrigna.

Uomo e donna dentro una ruota (1926) rappresenta un cambiamento nella concezione spaziale dell'opera d'arte, la scultura è di piccole dimensioni, ma l'anello in cui sono inserite le figure crea un centro catalizzante per lo sguardo dell'osservatore. Si determina un punto di vista privilegiato, frontale, che fissa il percorso dell'occhio ad un continuo rimando tra la struttura esterna (la ruota) ed i personaggi chiusi all'interno. La contrapposizione tra la superficie liscia dell'anello e il trattamento "ruvido" dei corpi genera una differente incidenza luminosa, quindi un diverso dinamismo: le membra disarticolate, l'intrecciarsi degli arti nell'abbraccio primitivo evoca un senso vorticoso, un continuo girare, un possibile cadere. Si può dare una lettura simbolica del cerchio, sia come archetipo che come allusione sessuale, ma è interessante notare la più complessa organizzazione formale del gruppo scultoreo, che determina un differente inserimento nello spazio.

Le prime opere sono caratterizzate da un'urgenza espressiva non controllata: i corpi sono scabri, scarnificati fino ad essere ridotti a fasci di tendini; le opere realizzate durante gli anni '20 presentano un maggior controllo sia formale che compositivo: l'istantaneità creativa e percettiva è stata sostituita dallo studio delle potenzialità nell'accostamento dei volumi, nell'inserimento di solidi elementari e riconoscibili. Vigeland ha mitigato l'irruenza istintiva attraverso il codice simbolico della geometria: così anche l'Eros viene interpretato in questo nuovo linguaggio, inserito in un sistema di richiami, di rispondenze; la sofferenza è diventata dolorosa consapevolezza, la passione è inscritta nel cerchio, che è origine ed eterno ritorno.

Il gruppo Uomo che culla una donna tra le sue braccia (1925) è immediatamente riconducibile ad una forma sferica: l'uovo, simbolo primordiale della vita, è solcato dai corpi degli amanti, la sua superficie è scavata dalle ombre, modellata dall'abbraccio. L'uomo si offre come rifugio sicuro, la donna si abbandona, vinta dalla fatica del sopravvivere: all'atto sessuale si sostituisce il sonno, al dinamismo si sostituisce la staticità.

La sfera è lo spazio della pace, dell'equilibrio ritrovato, contemporaneamente è anche il solido chiuso, impenetrabile, l'enigma irrisolto: le due figure non comunicano, i loro occhi non s'incontrano: rimangono così, rimarranno così, consapevoli che appartenersi è necessario, inevitabile, "è una grande legge della natura", di quella stessa natura che genera la diversità, il contrasto.




La mostra Eros nell'arte di Gustav Vigeland, Roma, Museo Hendrik Christian Andersen è visitabile fino al 19 Marzo.



 
 

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