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25 dicembre 1999, Natale in casa ... nello studio di Gianni Asdrubali  
Roberta Balmas
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 ottobre 2000, n. 224
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Area Interviste

Tutto è iniziato due giorni prima di Natale: dovevo fargli leggere la breve intervista fatta a Parigi e scegliere delle foto da inserire ... Perciò quando mi è stato proposto di andare al suo studio a Tuscania non ci ho pensato due volte tanta era la curiosità e gli echi delle risposte: tensione, spazio, vuoto-pieno, immagine, energia, movimento e ... Sono partita lasciando la fine-pranzo natalizio parentale a metà e di corsa, accompagnata in macchina (dato che a Roma il Natale è sacro e gli autobus sono a singhiozzo), ho attraversato una stazione Termini mai vista: atmosfera calma, tranquilla, oserei dire ... piacevole, con le poche persone presenti ...scambi di sguardi un po' smarriti e brevi accenni di un sorriso dettato dall'eccezionalità della situazione ...

Il libro, sempre caro compagno di viaggio, è rimasto in borsa perché le campagne romane rubano lo sguardo e soprattutto quando arriva la distesa del mare d'inverno non si può far altro che stare, come presi da un miraggio incantatore, a rimirare le sue onde tumultuose ... un orizzonte netto, lucente a contrasto con il grigio azzurrato del mare. Le piccole stazioni semi-deserte amplificano le sensazioni e ricordano che oggi è il giorno di Natale e il pensiero va a tutte quelle persone che ora stanno apprestandosi a una fine pranzo luculliano, alla trasformazione della tavola in ... tavolo verde e all'inizio di una serie di giochi ... no, non sono pentita di aver abbandonato la mensa, tanto poi perdo sempre al gioco, quindi tanto valeva ...

Scendo alla stazione di Tarquinia e mi tornano alla mente scene di film anni '50: due binari dritti dritti, una piccola costruzione, silenzio e vuoto mi circondano. Esco e sul piazzale non c'è nessuno, guardo il paesaggio, non ero mai stata prima in questi luoghi; in lontananza dolci, piccole alture, sento il rumore di una macchina e mi incammino, già l'appuntamento con Asdrubali, certo è difficile riconoscersi ... io sono tutta imbacuccata con in testa uno scuffiotto anti-nevralgie cervicali ... una frenata ... Lo studio si trova a Tuscania e il tragitto è breve, per arrivarci si prende una strada che si inoltra in un paesaggio ricco di colori smorzati ... grigio-perla, grigio-verde, azzurro, alberi spogli e sempreverdi, cespugli, macchie ...

Entriamo dalla porta principale del paese, l'attraversiamo tutto e arriviamo in un giardino-belvedere da dove si gode uno stupendo panorama ... tracce di mura che scendono, più lontano mura merlate: resti di un poderoso castello, una chiesa con annesso convento, sulla sinistra un'altra chiesa con la piazzetta davanti, in lontananza punti bianchi: pecore al pascolo, e lo sguardo ondeggia nella valle e ritorna indietro ripercorrendo l'intero paesaggio, uno scenario davvero splendido carico di tranquillità accompagnato dall'odore della terra e dalla legna bruciata nei camini.

Si attraversa un cancello di ferro e ci viene incontro Emilio il gatto, si salgono alcuni scalini e si entra; altri due scalini ed eccoci in uno stanzone enorme: nella parete di fronte sono appoggiate grandi tele di cui non si conosce il soggetto perché sono rovesciate, sul muro di destra, appesi lungo un binario, ci sono quattro quadri: sfondo grigio, bianco e nero, alla fine della parete una semplice scaffalatura, a terra, vicino a un lungo tavolo, barattoli di colore, una sedia metallica rivestita di similpelle nera con annesse macchie di colore schizzate o perse lungo un tragitto, un telefono con segreteria, altre tele poggiate sul muro di sinistra, il tutto molto spartano ed essenziale, compreso il gran freddo.

Poi Asdrubali si avvicina alla corsia-binario e si mette a "giocare" con le quattro tele: le sposta, le alterna, le rovescia e, come per magia, la composizione rimane sempre in un perfetto equilibrio, come se tutto fosse intercambiabile e al tempo stesso perfettamente inalterato e intatto. Rovescia e mi mostra le due grandi opere-composizioni da lui chiamate Zetrico: una a fondo rosso e l'altra grigio. Le grandi dimensioni mi prendono e in questo immenso percorso il segno è il vero protagonista. Una prerogativa e riconoscibilità di Asdrubali; il suo segno è inconfondibile e con il suo vagare e percorrere lungo grandi superfici riesce a tenerci sospesi e in continua attesa. Quel segno vigoroso, deciso e frenetico è come impazzito alla continua ricerca di un qualcosa che sta oltre, che va oltre lo spazio-chiuso spazio-limite di una tela. Quel suo incedere guizzante dato da un nero linerare e pieno porta il nostro occhio a viaggiare libero. Libero di decidere il senso, il luogo da esplorare senza una direzione fissa e quindi scruta, cerca tutto, passa attraverso, torna indietro, ripercorre una nuova strada perché nulla è a senso unico, nulla è finito e tantomeno definito ...

Gli porgo quello per cui sono venuta e mentre Asdrubali legge, in piedi, i due fogli che gli ho portato, gironzolo curiosando, spostando tele. Ritrovo alcuni "pezzi" del Tromboloide che così sparsi e solitari sembrano attendere una nuova configurazione per poter rigenerare quella forza data da quel segno deciso, scattante, sempre pronto a correre verso ...

Mi sento chiamare e ritorno alla realtà ...precisazioni, alcune correzioni sono d'obbligo in un articolo, ma poi non so stare zitta e mi prende una gran voglia di far ancora domande su domande. Adesso provo, tanto sono disposta a tutto; anche a sentirmi dire che sono stupide e banali. E così ...




Che cos'è, secondo Lei, l'opera d'arte ?

    L'opera d'arte esiste soltanto quando emana quella forza interna che scaturisce dalla sintesi e dallo scontro tra le forze primarie opposte. È da questa sintesi, che si risolve in un nuovo equilibrio dell'opera, che dipende la resistenza dell'opera, che si rigenera volta per volta nel tempo. Al contrario della critica che necessita di una continua riscrittura dell'opera stessa. Questa resistenza interna all'opera fa sì che l'opera d'arte sia contemporaneamente dentro la storia ma fuori dalla storia, atemporale.

Lei come si pone di fronte all'arte contemporanea e in particolare nei confronti dell'astrazione ?

    Il mio lavoro è autonomo rispetto alle situazioni artistiche contemporanee proprio perché non segue un'idea di stile, non è subordinato al susseguirsi inutile dell'alternanza degli stili, che vanno dalla istallazione all'arte concettuale, alla pittura, all'arte mediale e così via. Dal 1978 ho riformulato un nuovo linguaggio, ho dato una nuova necessità e un nuovo respiro all'opera d'arte. Per quanto riguarda l'astrazione, io non astraggo, bensì concretizzo, ne consegue che con questo termine non ho nulla a che fare.

Per alcuni l'arte è morta ormai da molto tempo, per altri è una forma di devianza ... Lei come risponde o come si pone ... ?

    Questa è la ciclica, banale domanda che non ha bisogno di risposta. Io faccio l'opera d'arte e non mi posso occupare di fare il sociologo e di dare inutili spiegazioni a queste cretinerie umane.

Le sue opere hanno la particolarità di non avere una rigidità di collocazione nel senso che il quadro può essere posto in differenti posizioni, non ha un "verso" ...come lo spiega ... Le chiedo questo perché la aspecificità può risultare o essere intesa come una mancanza di volontà di esecuzione ...

    Il mio lavoro nasce da una necessità naturale che si genera nell'interscambio tra pensiero-natura (particelle di sodio e di potassio) e spazio-natura, fatto anch'esso di atomi. Ne consegue, in questa interazione, una nuova sintesi tra spazio (spazio/tempo) e gesto umano. Il primo non è più il depositario del secondo, ma tutti e due si fondano in un unicum dove non è più possibile la distinzione. Il segno è lo spazio stesso e viceversa, io sono lo spazio. In questa nuova coscienza, tutti gli elementi primari che costituiscono l'immagine (spazio-segno-colore) non sono più protagonisti in se stessi ma si fondono nel corpo stesso dell'opera, un corpo che è originato dal vuoto stesso. Il vuoto è il pieno, è il potenziale da cui deriva la mia azione e non il contrario. In questa ottica l'artista non è più il protagonista, ma è il tramite, è il medium da cui passa l'energia e che si traduce poi nel gesto che diventa immagine. Immagine del vuoto in quanto pieno, in quanto realtà. In questa visione l'opera è un qualcosa di estremamente concreto e per niente astratto, in questa concretezza tutti i valori compositivi saltano. Si passa dalla composizione, legata all'arte astratta, alla fusione di un nuovo corpo reale dell'opera. È per questo che nel mio lavoro non esiste l'alto o il basso, la destra o la sinistra, ma un corpo che è centro e margine nello stesso tempo. L'energia del corpo dell'opera è "in attivo" tramite un equilibrio interno dove tutto si muove eppure rimane fermo. Alto-basso-destra-sinistra-concavo-convesso-avanti-indietro: tutte le direzioni si annullano.

Come riesce ad arrivare a dare alle Sue tele il senso della tridimensionalità? Sul piano dell'esecuzione come procede ?

    Il mio lavoro, proprio per quello che dicevo prima, assume le sembianze della scultura pur rimanendo pittura. La pluridimensionalità che ho raggiunto non è data dal semplice "occupare lo spazio", ma sottende una nuova mentalità di tipo sintetico-dinamico, e quindi tutto il mio lavoro va visto attraverso un'attitudine scientifica e dinamica del pensiero. Un pensiero cosciente di essere esso stesso materia, spazio-materia. La pluridimensionalità è quindi data già in me, in quanto tramite di spazio. Io non dipingo, io sono la pittura, io non occupo lo spazio, io sono lo spazio. Non c'è più, come prima, la distanza che separa la superficie dal gesto, il pensiero dalla natura, tutto questo si è unificato nella concretezza del nuovo corpo reale dell'opera.

Perché, secondo Lei, è così difficile, per un comune mortale anche per persone colte ancorate all'arte classica, capire un'opera d'arte contemporanea? Il più delle volte si è prevenuti o/e si sente dire "sarei capace anch'io ...

    L'arte non è difficile è semplice, ed è per questa estrema semplicità che è complessa. Complessa e non complicata. Complicata è tutta la falsa e abbondante informazione che confonde tutti coloro (90%) che non riescono ad avere la forza di pensare con la propria testa, ma pensano ed agiscono seguendo un immaginario sociale che non è né reale, né necessario. Conosco artisti (95%) che non sono artisti ma fanno l'artista. Non lavorano attraverso una necessità naturale e quindi di senso. Il loro fine non è fare l'opera, ma è quello di diventare famosi. Tutta questa marea di gente complica la vita sia a se stessi che agli altri. Vivendo questo immaginario collettivo e scambiandolo per reale si confonde sempre di più ciò che è sano da ciò che è malato alla nascita.

Si dice che ogni forma di comunicazione può essere considerata arte ... dalla pubblicità, allo spot, al graffito ... basta che trasmetta, che interagisca ... Lei è d'accordo ?

    Se io uso un violino, non è detto che faccio la musica, così se io uso la vernice non è detto che faccio la pittura ... e così via. Non basta avere coscienza dello strumento per fare l'opera d'arte, anzi l'opera si raggiunge proprio quando lo strumento usato scompare del tutto nell'economia dell'energia dell'opera. Faccio un esempio: se guardo un quadro di Matisse, non vedo più lo strumento (la vernice) ma sento l'opera, mi dimentico che è stata fatta con la pittura. Questo vale per tutti i mezzi, sia tradizionali che tecnologici. Mi piace il lavoro dell'artista Bill Viola, ma non perché usa il video, ma proprio perché riesce a raggiungere quell'equilibrio di cui l'opera d'arte è fatta, scordandomi del video. Quando in una qualsiasi "opera d'arte" si sente troppo la presenza dello strumento usato, vuol dire che non abbiamo a che fare con l'arte, ma con l'ultimo ciclico fenomeno di moda, che perentoriamente va dalla pittura all'installazione, al concettuale, all'arte mediale e viceversa.




Improvvisamente guardo l'orologio: è già ora di andare; è strano ma certe volte il tempo passa troppo velocemente, chissà perché. Devo assolutamente riprendere il treno per non arrivare troppo tardi a Roma. È scesa la notte, una notte stellata, dall'aria fresca e profumata, il paesaggio verso Tarquinia ora è fatto di tante luci sparse per la campagna e d'improvviso, lungo la strada, in lontananza, vedo un dislivello (forse un breve sperone con strapiombi) contornato da torri, campanili, resti di palazzi turriti il tutto illuminato da una calda luce gialla: mi ricorda tanto quando da bambini si stava lì quasi incantati a sistemare tutte le lucette del presepio ...e io stasera ci sono dentro, faccio parte di questo paesaggio.

Ringrazio Asdrubali per il bel pomeriggio passato assieme, lo prego di andare tanto il treno non tarderà ad arrivare: lo prendo e durante tutto il percorso chiudo gli occhi per trattenere e conservare la moltitudine di immagini che mi sono state donate in questo ultimo Natale di fine Novecento.




Asdrubali, Tromboloide 1
fig. 1
Gianni Asdrubali
Tromboloide 1

Asdrubali, Tromboloide 2
fig. 2
Gianni Asdrubali
Tromboloide 2
1992

Asdrubali, Zetrico 1
fig. 3
Gianni Asdrubali
Zetrico 1, 1999
acrilico su tela

Asdrubali, Zetrico 2
fig. 4
Gianni Asdrubali
Zetrico 2, 1999
acrilico su tela

Asdrubali, Zetrico 3
fig. 5
Gianni Asdrubali
Zetrico 3, 1999
acrilico su tela

 

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