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Una mummia per amica  
Tiziana Lanza
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 5 Febbraio 2012, n. 640
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Area Didattica

Può una mummia essere considerata alla stregua di un dipinto, di un affresco, di una scultura, insomma di una qualsiasi opera d’arte? La mia risposta è sì se abbandoniamo la paura di trovarci di fronte alla morte. Quando Alfredo Salafia - imbalsamatore dilettante ma anche molto richiesto da nobili, politici e cardinali dell’epoca - si trovò a tu per tu con il cadavere della piccola Rosalia Lombardo strappato alla vita all’età di due anni il 6 dicembre del 1920 da una delle malattie più virulente dell’epoca, la difterite, si immedesimò nel dolore che quella prematura scomparsa aveva inflitto nel cuore dei suoi genitori e mai, come in quel caso, ne volle fare un vero e proprio capolavoro. Voleva ingannare la morte e renderla più simile a un sonno dolce e profondo. Un sonno dolce e candido che si è conservato fino in tempi recenti, quando il volto della piccola Rosalia era ancora roseo e paffuto. I suoi occhi ancora completamente chiusi e ornati da lunghe ciglia come quelli dei bambini quando si abbandonano al loro sonno ristoratore.

E’ bella tuttora, nonostante le vicissitudini subite dal suo piccolo corpo, figuriamoci quando Salafia terminò di imbalsamarla. Sua madre, come testimoniano anche i parenti, l’aveva vestita per quell’ultima occasione con un vestitino blu sopra le ginocchia, i codini con i fiocchetti dello stesso colore, i calzettoni bianchi e le scarpette blu. Sembrava una scolaretta pronta per andare a scuola. Ma non è rimasta sempre così, probabilmente perché il suo piccolo corpo ha richiesto negli anni degli interventi di restauro. Ma rimane il mistero su chi possa averli compiuti. Probabilmente si dovette a un certo punto procedere a coprirne il corpo con una copertina e questo perché la malattia che le aveva devastato alcuni organi interni di importanza vitale, quali il cuore, ne aveva anche in parte compromesso l’apparato circolatorio.

E allora, Alfredo Salafia, un genio autodidatta dell’imbalsamazione tramite iniezioni intravascolari, si era trovato davanti a una sfida. Aveva già imbalsamato un centinaio di corpi, ma mai gli era probabilmente capitato di trovarsi di fronte a un corpo devastato da una malattia così cruenta. Il batterio che causa la difterite, Corynebacterium diphteriae, una volta in corpo produce delle tossine che diffondendosi nel corpo a partire dalla gola scelgono alcuni organi bersaglio. Uno di questi sono le mucose della laringe, dove addirittura formano delle membrane grigiastre rendendo la respirazione assai difficoltosa. In seguito la tossina difterica rapidamente si diffonde a tutto l’organismo e danneggia in modo particolare il tessuto nervoso, il miocardio, il surrene e il rene.

Non va poi dimenticato che anche l’imbalsamatore sarebbe stato esposto a dei rischi sanitari, dato che, onde evitare un ulteriore e veloce deterioramento dei tessuti di quel piccolo cadavere, dovette procedere immediatamente ad imbalsamarlo, eludendo naturalmente le leggi dell’epoca. Il regolamento di polizia mortuaria imponeva che una richiesta scritta al sindaco della propria città venisse inoltrata prima di procedere all’imbalsamazione del corpo di un defunto. Nella richiesta doveva essere indicato il metodo con cui si intendeva procedere nell’operazione ma non le sostanze utilizzate. In seguito il corpo del defunto veniva portato all’obitorio dove veniva tenuto in osservazione per 24 ore, accertandone le cause del decesso ed escludendone quindi azioni di tipo criminoso.

Naturalmente è impensabile che qualcuno avesse mai potuto dare il permesso di imbalsamare un corpo stroncato da una malattia infettiva così virulenta. Basti pensare che l’agente patogeno che la provoca non ha bisogno di essere ospitato in nessun organismo per sopravvivere. E’ infatti in grado di resistere discretamente nell’ambiente esterno all’asciutto e al freddo. Due studiosi hanno calcolato che la sua sopravvivenza in condizioni particolarmente favorevoli, può arrivare addirittura a 244 giorni. Come testimonia il palermitano Michele Gerbasi, un famoso pediatra dell’epoca, in una sua memoria sulla difterite a Palermo negli anni 1919-25, questa malattia era ampiamente diffusa in città a causa delle precarie condizioni igieniche. All’epoca di Salafia, ancora non esisteva il vaccino e uno dei modi per curarla era la somministrazione tempestiva di un anti-tossina (siero anti-difterico), difficilmente reperibile o comunque a volte non proprio efficace in base alla sua stessa composizione. Bastava che la quantità di anti-tossina contenuta nel siero non fosse abbastanza per non assicurare la guarigione del malato.

Salafia però accettò la sfida, proprio come un artista si fa completamente assorbire dalla sua arte. E così Mario Lombardo, il padre di Rosalia, pur di dare un ultimo saluto alla sua piccina, dato che al momento del decesso si trovava fuori per lavoro, acconsentì all’imbalsamazione del suo piccolo corpo, pur sapendo che la sua bambina non sarebbe potuta più uscire dal luogo dove Salafia l’aveva imbalsamata: le Catacombe dei Cappuccini di Palermo.

Il più grande imbalsamatore del secolo scorso, caduto ingiustamente nel dimenticatoio, aveva regalato alla morte uno dei monumenti più belli con cui potesse essere raffigurata. Non i teschi dei quadri seicenteschi, non l’urlo sofferente dei Santi martoriati di tante opere d’arte. Ma il volto dormiente di una piccina abbandonata ai sogni innocenti dell’infanzia.

Per me, divenne una piccola amica dato che la prima volta che la vidi avevo pochi anni più di lei. Ingannata dall’arte di Salafia, da allora accettai di avere una mummia per amica !

 

 

Riferimenti bibliografici

Lanza T., Rosalia per sempre, ed. Lulu, 2008

Lanza T., On Rosalia Lombardo’s causes of death and the method used by Alfredo Salafia to Embalm her, Journal of Paleopathology, Sett. 2011

Gerbasi M., Osservazioni statistico-cliniche sulla differite infantile a Palermo nel periodo 1919-1925. Annali di clinica medica e di medicina sperimentale, N.S., 16, fasc 2, Istituto di clinica pediatrica della R. Università di Palermo, 1925 (?)







La Mummia di Rosalia Lombardo che riposa nelle Catacombe dei Cappuccini di Palermo dal 6 Dicembre 1920

Fig. 1
La Mummia di Rosalia Lombardo che riposa nelle Catacombe dei Cappuccini di Palermo dal 6 Dicembre 1920

I genitori della piccola Rosalia Lombardo: Maria di Cara e il Generale Mario Lombardo

Fig. 2
I genitori della piccola Rosalia Lombardo: Maria di Cara e il Generale Mario Lombardo




Foto cortesia di Tiziana Lanza, per gentile concessione della Famiglia Lombardo.

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