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La Fondation Louis Vuitton di Frank Gehry  

Julie Pezzali
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell’Arte, 23 Aprile 2020, n. 894
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00894.html
Articolo presentato il 23 Ottobre 2017, approvato il 21 Dicembre 2018 e pubblicato il 23 Aprile 2020
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Area Architettura

Le architetture in ferro e vetro occupano nel cuore dei parigini e nel loro immaginario un ruolo di primaria importanza da quasi due secoli[1]. Negli anni Trenta dell’Ottocento, Charles Rohault de Fleury, nominato architetto capo del Jardin des Plantes, vi realizza due magnifiche serre in ghisa ricoperte da lamine di vetro, di dimensioni di gran lunga superiori a tutte quelle già esistenti e destinate ad ospitare monumentali piante tropicali. Vent’anni dopo, ispirandosi proprio allo stile di Fleury, Joseph Paxton costruì il celeberrimo Crystal Palace per l’Esposizione universale di Londra del 1851. Ma sarà comunque Parigi a custodire la stragrande maggioranza di architetture di questo genere, che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si diffusero grazie all’utilizzo massiccio di elementi metallici prefabbricati.

Così vennero costruite Les Halles de Paris, snodo commerciale centrale della città e sede nell’Ottocento del mercato coperto con dieci grandi padiglioni di ferro e vetro. Les Halles si guadagnarono un posto di rilievo nella letteratura per essere state l’ambientazione del romanzo Il ventre di Parigi[2] di Émile Zola, in cui furono descritte come un micromondo rutilante e prosperoso dove bellezza faceva rima con cibo. Secondo capolavoro in ferro e vetro che si impone nel paesaggio cittadino è il Grand Palais, edificio lungo 240 metri e alto 46, costruito per l’Esposizione universale del 1900 e dedicato «dalla Repubblica francese alla gloria dell’arte francese», frase inscritta sul frontone.



Fig. 1 - Grand Palais, Parigi (2013)
Fig. 1 - Grand Palais, Parigi (2013)
Foto di Thesupermat
[CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0] non modificata


Da secoli quindi, questi edifici in ferro e vetro caratterizzano il tessuto urbano parigino e dialogano con la città e i suoi abitanti. In ragione di questo excursus storico, la Fondation Vuitton, progettata da Frank Gehry, può a buon diritto essere inserita all’interno di questa lunga e fiorente tradizione architettonica.

Un ulteriore richiamo alla storia risulta necessario come premessa per inquadrare il contesto in cui la Fondazione nasce e si sviluppa nel progetto dell’archistar: la storia del Jardin d’Acclimatation[3].


Fig. 2 - Fondation Louis Vuitton, veduta dal Jardin d'Acclimatation, Parigi
Fig. 2 - Fondation Louis Vuitton, veduta dal Jardin d’Acclimatation, Parigi
Foto di Moktarama
[CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.en] non modificata


Laghi, cascate, stagni, giardini, boschi e serre animano ancora oggi il grande polmone verde di Parigi, il Bois de Boulogne, situato ad ovest della città, nel XVI° arrondissement. Quest’ultimo è da sempre uno dei quartieri più belli e costosi della capitale, già zona residenziale per i borghesi che amavano passeggiare nei lunghi viali alberati, ma anche luogo di incontri mondani dove il giovane Marcel Proust incrocia la principessa Matilda. Così la descrive ne Alla ricerca del tempo perduto:

 

«Swann mi prese in disparte mentre Mme Swann chiacchierava del tempo e degli animali appena arrivati al Jardin d’Acclimatation con sua Altezza. “E’ la principessa Mathilde – mi disse – sai l’amica di Flaubert, di Sainte–Beuve, di Dumas. Pensa, è la nipote di Napoleone! La sua mano è stata chiesta da Napoleone III e dall’Imperatore di Russia. Non è fantastico?»[4]

 

Era stato Napoleone III, affascinato dai racconti degli esploratori e dalla scoperta di moltissime specie vegetali, a commissionare la realizzazione di un parco per “acclimatare” (da qui il nome Acclimatation) animali e piante al clima francese e di strutture in grado di accogliere un pubblico sempre più curioso. Fra le strutture più belle, si ricordano il gigantesco palmarium in ferro e vetro, l’acquario, la voliera, la piccionaia, una parete rocciosa che ospitava i daini e il roseto di Bagatelle. Il Jardin nasce con una forte vocazione scientifica grazie al lavoro di alcuni fra i più importanti naturalisti dell’epoca, uno su tutti Isidore Geoffroy Sainte–Hilaire, unita ad un desiderio di regalare alla città un luogo di svago e divertimento. Infatti, si tratta di un giardino paesaggistico, della tipologia “all’inglese”, che predilige l’aspetto pittoresco e selvatico della natura e, in contrapposizione al giardino rigoroso all’italiana, si caratterizza per i percorsi sinuosi, la presenza di grotte, anfratti e belvederi. La storia del Jardin si lega indissolubilmente alle vicende del paese e segue le evoluzioni della moda e del costume. Così, durante la Terza Repubblica, il Jardin ospitò compagnie che mettevano in scena spettacoli etnografici e, col passare degli anni, fu sempre più amato e frequentato dai bambini della Parigi borghese. Rimase più o meno inalterato fino al 1952, anno in cui venne comprato dal magnate del tessile Marcel Boussac che, nel 1995, lo rivendette al Gruppo LMHV[5], multinazionale francese proprietaria di numerose aziende di alta moda, di alcolici e di cosmesi.

Fin da subito, Bernard Arnault, proprietario del Gruppo e grande mecenate della cultura, immaginava di trasformare un angolo emblematico del Jardin in uno spazio votato all’arte e alla creazione, progettato da Frank Gehry. Nel 2002, si aprì la collaborazione tra LVMH, lo Stato francese (fondamentale fu l’appoggio di Jack Lang, allora consigliere del Ministro della Cultura e ideatore di iniziative come la “Cité de la Musique”) e l’architetto canadese. Dopo aver istituito formalmente la Fondazione e stipulato un accordo con lo Stato per occupare il suolo pubblico per 55 anni, Frank Gerhy realizzò dapprima alcuni schizzi e poi decine di bozzetti in legno, cartone e plastica, tappe fondamentale per il suo processo di creazione. Lo stesso architetto racconta così la sua pratica, che sembrerebbe avvicinarsi a quella di un artigiano: «Mi siedo, guardo e manipolo gli oggetti. Muovo un muro, un pezzo di carta, muovo qualcosa e poi guardo e così le cose evolvono»[6].

Osservando i primi bozzetti, emerge subito la complessità del progetto: una grossa struttura, chiamata iceberg, composta da volumi bianchi dalle forme irregolari, è ricoperta da una moltitudine di  vele di vetro (dodici in totale). Nel disegnare, Frank Gehry doveva rispettare alcune limitazioni, in particolare per l’altezza dell’edificio (era stato autorizzato un solo piano), e aveva l’obbligo di tenere in considerazione l’estetica e il decoro del parco. Lo stesso Gehry confermò che «La Fondazione non sarebbe mai stata costruita se non circondata da un grande lucernario»[7]. Un’opera architettonica molto innovativa che ha quindi saputo rispettare e, al contempo, trasfigurare i dati di partenza e il contesto nel quale s’inseriva. La complessità del progetto, tante volte ribadita, creò numerose difficoltà tecniche durante il Digital Project e lunghi studi preliminari rallentarono l’inizio dei lavori.

Un’architettura che frammenta le masse e le riassembla in una composizione arbitraria e all’apparenza caotica, un gusto per il collage e il colore, e la predilezione per i volumi irregolari sono le cifre stilistiche più caratteristiche del lavoro di Gerhy[8]. Per La Fondation, sceglie le potenzialità poetiche della metafora marittima e si lascia suggestionare da esse. Egli immagina l’edificio come una gigantesca caravella trasparente dalle vele rigonfie per il forte vento che gli conferisce un grande dinamismo. L’intera struttura, da prua a poppa, per proseguire la metafora marina, poggia poi su un bacino d’acqua artificiale e, grazie all’uso massiccio del vetro, un gioco di riflessi tra acqua e cielo si materializza[9]. Frank Gehry voleva che la logica costruttiva dell’edificio fosse illeggibile all’occhio esterno e, così, decise di confondere i riferimenti degli spettatori. La Fondation stimola lo sguardo, moltiplicando i punti di vista. Essa sembra ricalcare le categorie che Salvatore Rugino[10] attribuisce a questo genere di architetture composte da sequenze dinamiche di volumi (ad esempio le categorie di “dinamico”, “distributivo”, “digitale”).


Fig. 3 - Fondation Louis Vuitton, veduta dal Jardin d'Acclimatation, Parigi
Fig. 3 - Fondation Louis Vuitton, veduta dal Jardin d'Acclimatation, Parigi
Foto di Moktarama [CC BY 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.it] non modificata


Il nucleo centrale della Fondation Vuitton è costituito dal cosiddetto iceberg composto a sua volta da tre blocchi architettonici che rispondono a logiche costruttive differenti: al centro, il primo blocco che sovrasta la hall è retto da monumentali bielle in acciaio, ad ovest da un sistema di travi e colonne e ad est in calcestruzzo armato. Questo perché Gerhy voleva che sia la struttura esterna che quella interna fossero diverse in ogni punto. Su questo nucleo centrale si incastra un’ossatura di acciaio inossidabile che sposa le sinuosità delle facciate e, all’interno delle quali, si inseriscono delle lastre di vetro aggettanti. Queste ultime non poggiano a terra e sembrano galleggiare o fluttuare tra cielo e mare[11]. La somma della superficie di tutte le vele raggiunge 13.500 metri quadri; addirittura la più grande, ad est, ricopre da sola circa 3.000 metri quadri. I pannelli di vetro, 3.600 pezzi,  sono stati costruiti separatamente e poi montati in un anno e mezzo, dopo essere stati sottoposti ad un trattamento serigrafico. Difatti, sono ricoperti da una trama di puntini bianchi regolari, non più grandi di due millimetri, che conferisce loro un delicato color latte e aumenta la rifrazione solare. Grazie a questi espedienti, il lucernario assume l’aspetto di un’autentica vela a tre alberi che brilla in mezzo al mare. 

Per creare un raccordo tra l’iceberg e le vele è stata posizionata una struttura in acciaio e legno, composta da 179 colonne con orientamenti diversi, la cui lunghezza varia dai 3 ai 25 metri. 

Numerosi calcoli di resistenza meccanica al calore e al vento sono stati effettuati per garantire la sicurezza dell’impianto, così come delle analisi differenziate per ciascun materiale impiegato sono state necessarie. Con il materiale raccolto dai test, è stato quindi possibile calibrare con precisione ogni singolo elemento. I lavori hanno richiesto tempistiche molto lunghe e durante il cantiere si sono alternate figure professionali fra le più disparate e competenti in diversi settori. Alcune di loro sono state formate proprio per questo progetto, come degli speciali “montatori specializzati in lavori in quota su funi”. Come spesso accade nei lavori di Frank Gerhy, differenti settori si sono confrontati con le esigenze della realizzazione di una struttura così eterogenea: l’architettura è opera collettiva.

Un approfondimento sul materiale con cui è stato costruito il nucleo centrale della Fondation Vuitton è importante perché davvero innovativo. L’iceberg, vero cuore del museo, presenta una superficie irregolare di cemento bianco ed è costituito da quasi ventimila pannelli uguali nelle dimensioni ma con curvature diverse a seconda del luogo dove sono posizionati. Tutti i pannelli, incastonati in una struttura di alluminio, sono stati montati seguendo il motivo dell’earthquake[12]. Data l’impossibilità di creare uno stampo per ciascun pannello, per ovvi motivi economici, Frank Gerhy ha scelto di usare il Ductal®[13], cemento contenente un mix di granulato finissimo, acqua e poliestere. Questo materiale garantisce un’eccezionale resistenza meccanica, anche in assenza di una struttura portante, ed è estremamente duttile, potendosi adattare a tutti gli stampi. Il colore bianco e la texture liscia dell’iceberg sono stati ottenuti aggiungendo al composto dell’ossido di titanio.

La Fondation Vuitton necessitava di spazi molto ampi per accogliere un vasto pubblico all’interno dei diversi luoghi espositivi ma non poteva svilupparsi in altezza per via dei vincoli paesaggistici. L’architetto ha allora progettato un seminterrato che si affaccia su uno specchio d’acqua, visibile dalle sale del seminterrato, tutte aggettanti rispetto al perimetro centrale. Esse hanno lo scopo di moltiplicare gli spazi espositivi disponibili, contribuendo anche a rendere più dinamico l’insieme della struttura. Inoltre, da queste sale “sospese”, vere e proprie terrazze, il pubblico può godere del panorama sul bosco e sulla città e osservare da vicino i dettagli della struttura della Fondation.

L’importanza del tema del mare e della vela è, come sopra accennato, ulteriormente rafforzata dalla presenza fisica dell’acqua, un bacino lungo 200 metri, 7 metri sotto il livello del terreno. La vasca è alimentata da una cascata con scalini che scorre dal livello della strada e attutisce i rumori circostanti. Delimitato da un parapetto di pietre, il bacino è attraversato da vialetti che collegano le varie terrazze. Isolato rispetto al Jardin d’Acclimatation, l’edificio sembra galleggiare su uno specchio d’acqua.

Per lo spostamento da un piano all’altro dell’edificio, Frank Gehry progetta una serie di scale concepite come dei nastri metallici sospesi, vera dimostrazione di virtuosismo per l’inesauribile capacità di sorprendere il pubblico. Le scale sono percorsi diagonali, pensati come scenografie geometriche inondate dalla luce.

La meraviglia e lo stupore sono fra le prime sensazioni che prova chi si accinge a visitare la Fondation. Immediatamente, si è investiti da una serie di stimoli che coinvolgono tutti i sensi. Questa è la poetica architettonica di Frank Gehry. Fra le critiche più ricorrenti vi è quella che sostiene la sostanziale inadeguatezza di strutture così “invadenti” (per la loro bellezza e complessità) ad ospitare opere d’arte, essendo esse stesse opere d’arte. Tuttavia, la Fondation Louis Vuitton nasce con la precisa volontà di essere un museo d’arte contemporanea a tutti gli effetti. Difatti, Bernard Arnault, committente e proprietario dell’opera, di comune accordo con lo Stato francese, voleva creare uno spazio che potesse essere un punto di riferimento culturale. «La mission del museo»[14], racconta la sua direttrice Sophie Durreleman, «è di accogliere e accompagnare il pubblico, desideroso di scoprire l’arte esposta nell’edificio di Frank Gerhy, suscitare domande e risposte, emozioni»[15]. Inutile negare l’attrattiva internazionale che inevitabilmente il lavoro di Gerhy riesce a catalizzare, si pensi a questo proposito a “l’effetto Bilbao”. La Fondation punta a proporre un calendario ricco di mostre ed eventi di qualità. Essa, infatti, cerca di favorire la mediazione tra pubblico e arte attraverso gli strumenti dell’emozione, la scoperta e la meraviglia e offrendo anche contenuti culturali e didattici. L’architettura degli interni risponde quindi a questa molteplicità di esigenze.

La hall d’ingresso della Fondation Vuitton si caratterizza per la presenza di ampie vetrate che rendono lo spazio molto luminoso e permettono di vedere il parco alberato del Jardin d’Acclimatation, abbattendo il tradizionale confine interno/esterno. Gehry privilegia grandi pareti a vetrata e conferma la sua predilezione per una “poetica della trasparenza”. Il museo conta undici gallerie dedicate all’esposizione di opere della collezione permanente, di mostre temporanee e al lavoro degli artisti. L’illuminazione naturale delle sale ortogonali, più classiche, è garantita dalla presenza di aperture monumentali dette skylights nel soffitto; mentre, in altre sale, le finestre hanno forme più complesse e creano dei giochi di luce e ombra suggestivi.

Fiore all’occhiello della Fondation è l’auditorium, che accoglie fino a mille persone. Situato al piano terra, questo spazio è luminosissimo perché interamente vetrato (si affaccia sulla cascata a gradini e sul bacino d’acqua) ma, all’occorrenza, può essere buio grazie a dei pesanti tendaggi. Esso, infatti, si caratterizza per la sua versatilità: auditorium corretto acusticamente per gli eventi del museo convertibile in galleria espositiva per implementare gli spazi delle mostre. Una volta entrati, lo sguardo si rivolge immediatamente al sipario–arcobalen[16] realizzato dall’artista Ellsworth Kelly.

Tappa obbligata della visita al museo sono le tre terrazze poste sopra l’iceberg. Due di queste sono al chiuso, al riparo sotto le vele, e l’altra è invece all’aperto. La vista sul Bois de Boulogne e sui tetti di Parigi è spettacolare e la passeggiata su queste terrazze si arricchisce  della presenza di un giardino pensile. Felci arborescenti australiane, querce asiatiche con foglie di bambù (quercus myrisinfolia) e gunnere cilene abbelliscono le terrazze e rievocano l’antico palmarium esotico del Jardin d’Acclimatation.

«La trasparenza e la qualità di un colore proiettato grazie ad un filtro colorato è, ai miei occhi, molto più vivo di un colore dipinto che ricopre una superficie»[17]. Queste le parole di Daniel Buren per descrivere il lavoro L’Observatoire de la lumière realizzato nel 2016 per la Fondation Vuitton. L’intervento temporaneo ha interessato lo straordinario lucernario. Le dodici iconiche vele sono  state ricoperte da numerosi filtri colorati, disposti a quinconce[18]. Buren ha scelto tredici colori (che spaziano tra le nuances del rosso, del verde e del blu) per dare vita ad un mosaico variopinto e caleidoscopico, variabile a seconda delle condizioni meteorologiche e capace di modificare l’illuminazione interna del museo. Un’opera di forte impatto visivo ed emotivo che si à integrata perfettamente con la visionaria architettura di Frank Gehry.

La Fondation Vuitton, realizzata da uno dei più grandi architetti della nostra epoca, si configura quindi come una nuova emblematica icona della città di Parigi e del suo patrimonio monumentale, un’icona votata alla rappresentazione dei nostri tempi liquidi.





NOTE

[1] A questo proposito si veda: VITTA 2011.

[2] ZOLA 2007.

[3] Per una storia completa del Jardin d’Acclimatazione si consiglia di consultare il sito ufficiale: LVMH.

[4] PROUST 2017.

[5] Il Gruppo LVMH, guidato dal francese Bernard Arnaud, raggruppa settantacinque maison di lusso che spaziano dalla moda, alla cosmetica fino ai vini e agli alcolici. Cfr. LVMH.

[6] Frank Gehry in LASNIER 2014. (traduzione dell’autore.

[7] Ibidem.

[8] Per un approfondimento del lavoro di Frank Gerhy: SCURA 2000.

[9] Per un approfondimento del tema dello specchio nell’architettura liquida: COLONNA 2014.

[10] RUGINO 2012.

[11] Bruno Zevi associa l’uso architettonico dell’aggetto ad un registro anticlassico. Cfr. ZEVI 1973.

[12] L’earthquake è un motivo che si caratterizza per una linea spezzata, ottenuta con uno sfasamento regolare dei pannelli.

[13] Per approfondimenti si veda il sito ufficiale: DUCTAL.

[14] DURRELEMAN 2014.

[15] Ibidem.

[16] Spectrum VIII, 2014, parte della serie Spectrum, il primo venne concepito nel 1953 a Parigi.

[17] D. Buren, in Fondation Louis Vuitton 2016.

[18] Disposizione di cinque unità nel modo in cui è tipicamente raffigurato il numero cinque sulla faccia di un dado o su una carta da gioco. Il nome deriva dal Quincunx della monetazione romana.





BIBLIOGRAFIA



CELANT 2009

Germano CELANT, Frank O.Gehry dal 1997, Milano, Skira, 2009.

 

COLONNA 2014

Stefano COLONNA, La dialettica di classico/anticlassico tra Argan, Zevi e Novak per una definizione critico-estetica di “Architettura Liquida”, in “BTA – Bollettino Telematico dell’Arte”, n. 715, 16 giugno 2014. <http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00715.html>

 

DURRELEMAN 2014

Sophie DURRELEMAN, Espaces et Usages, Fondation Louis Vuitton, in “Connaissances des Arts”, H.S. N. 646, 2014, pp. 10–15.

 

Fondation Louis Vuitton 2016

Fondation Louis Vuitton, Opuscolo di presentazione, 2016.

 

LASNIER 2014

Jean–François LASNIER, Une caravelle futuriste, Fondation Louis Vuitton, in “Connaissances des Arts”, H.S. N. 646, 2014, pp. 22–23.

 

LEMONIER, MIGAYROU 2014

Aurélien LEMONIER, Frederic MIGAYROU (a cura di), Frank Gehry, catalogo della mostra (Parigi, Pompidou,  ottobre 2014 – gennaio 2015) Parigi, Edition du Centre Pompidou, 2014.

 

PROUST 2017

Marcel PROUST, Alla ricerca del tempo perduto, Torino, Einaudi, 2017 (1. ediz. originale 1913–1927).

 

RUGINO 2012

Salvatore RUGINO, Liquid box, Roma, Aracne, 2012 (1.a ediz. 2008).

 

SCURA 2000

Francesco SCURA, Frank O. Gerhy Un architetto artista, in “BTA – Bollettino Telematico dell’Arte”, n. 42, 11 luglio 2000. <http://www.bta.it/txt/a0/00/bta00042.html>

 

VITTA 2011

Maurizio VITTA, Il progetto della bellezza, Torino, Einaudi, 2011.

 

ZEVI 1973

Bruno ZEVI, Guida al codice anticlassico, Torino, Einaudi, 1973.

 

ZOLA 2007

Émile ZOLA, Il ventre di Parigi, Milano, Garzanti, 2007 (1. ediz. 1873).


SITOGRAFIA

 

DUCTAL

Ductal, <https://www.ductal.com/en> visitata il 26/03/2020.

 

JARDIN D’ACCLIMATATION

Le Jardin d’Acclimatation, <http://jardindacclimatation.fr/> visitata il 25/02/2020.

 

LVMH

LVMH, <https://www.lvmh.it/le-maison/altre-attivita/jardin-dacclimatation/> visitata il 25/03/2020.


Vedi anche nel BTA: USCITE DI ARCHITETTURA LIQUIDA



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