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James Hoff: l’arte concettuale come contagio estetico  

Francesca Gamba
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 18 Febbraio 2019, n. 863
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta00863.html
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Area Estetica

Tra i virus biologici, umani, e i virus informatici (software appartenenti alla categoria dei malware, termine letteralmente traducibile come “programma malvagio”), esistono dei parallelismi, delle assonanze straordinarie e inaspettate che vanno al di là della comune denominazione. Ambedue le tipologie virali utilizzano tecniche molto simili per diffondersi nei corpi delle proprie vittime; siano essi composti da vasi sanguigni, muscoli, ossa e pelle oppure da processori, motherboard, monitor e tastiere, vengono entrambi utilizzati come host, ospiti imprescindibili, all’interno dei quali i virus parassiti possono vivere e riprodursi efficacemente. Così come i virus biologici si nascondono all’interno delle cellule del nostro organismo, i virus informatici si celano come abili camuffatori all’interno di file, programmi e vettori che consentono loro di accedere ad un nuovo ospite digitale, continuando in questo modo il processo di contagio e danneggiamento dei sistemi di riferimento.

Negli ultimi decenni il rischio di contrarre epidemie, mediche o informatiche, è aumentato significativamente: la crescita della popolazione a livello mondiale, e la parallela esponenziale digitalizzazione della società, sono le cause principali di una rapida e globalizzata minaccia. Il compito di studiare a fondo la problematica, analizzandone cause, effetti, similarità e dissonanze, spetta tradizionalmente a virologi ed informatici, ma non è insolito trovare qualche outsider pronto a compiere incursioni inattese.

James Hoff, artista e music designer statunitense[1], utilizza i virus informatici (nient’altro che semplici piccoli programmi, frammenti di codice progettati e scritti per riprodursi e diffondersi da un sistema informatico a un altro all’insaputa dell’utente) prelevandoli dal loro contesto originale per introdurli volontariamente all’interno di immagini o di brani musicali digitali[2].

Non è la prima volta in cui l’arte contemporanea incontra i codici sorgenti di virus per dare vita a delle pratiche artistiche; ne sono un esempio tutto il filone dei net.artists[3] di cui fanno parte, tra gli altri, due gruppi artistici italiani: il collettivo milanese degli epidermiC e il duo 0100101110101101.ORG composto da Eva e Franco Mattes, i quali nel 2001 presentarono congiuntamente al Padiglione della Repubblica di Slovenia della Biennale di Venezia Biennale.py[4], un’installazione in cui furono esposti due computer infettati il cui obiettivo primario, contrastando l’antivirus, fu quello di tentare di sopravvivere all’interno di un ambiente ostile alla loro prolificazione. James Hoff, invece, considera i virus in modo differente: non come forme di vita elettroniche specificatamente progettate per realizzare performance distruttive all’interno dei software informatici, o come arassiti digitali maligni volti a mettere in crisi i sistemi di riferimento, bensì come “agenti né buoni né cattivi”[5] il cui codice sorgente può essere considerato, inaspettatamente, come un linguaggio estetico capace di creare autonomamente nuove forme artistiche, siano esse riconducibili a pezzi musicali totalmente trasfigurati o a dipinti astratti come, ad esempio, quelli della serie Skywiper[6].

Laddove il virus corrompe e deturpa l’immagine, o il suono di partenza, e il codice inizia a farsi vedere, esso stesso svela le proprie capacità diventando uno strumento funzionale totalmente fuori dal controllo dell’artista, il quale delega l’aspetto generativo all’intervento ambivalente del malware. Utilizzando il codice per infettare musica e forme visive, James Hoff pone al centro della propria poetica la tematica della distribuzione e della circolazione dell’opera d’arte, la quale, così come avviene per i virus, si diffonde all’interno dei circuiti adibiti all’arte - gallerie, spazi espositivi e musei - e non solo, attraversando diverse aree culturali e venendo a contatto con un pubblico più vasto il quale, a propria volta, viene infettato dalle forme, dalle cromie o dai suoni prodotti dall’artista, divulgandoli in modo da propagarne il raggio d’azione. Questo vale in particolar modo per la musica, soprattutto se digitale, la quale ha la capacità di diffondersi e viaggiare in modi e attraverso luoghi inaspettati, proliferando da un sistema ad un altro, da uno spazio (fisico o digitale) a un altro, uscendo così dal mondo dell’arte per entrare in quello dei club o dello spazio privato dell’ascoltatore. Così come le malattie biologiche, che intaccano gli esseri viventi viaggiano da una cellula all’altra per infettare nuovi corpi, così i virus informatici viaggiano attraverso le reti di comunicazione propagandosi e modificandone il linguaggio. Per James Hoff l’arte non è che un’interfaccia, una lente d’ingrandimento capace di decodificare sulla superficie gli effetti di ciò che tradizionalmente accade all’oscuro dei nostri occhi. Mappando questi attori immateriali l’artista fissa sul supporto d’alluminio, utilizzato come fosse una carta geografica, i movimenti e gli effetti tradotti da questa nuova forma di interconnettività degenerata. La contrapposizione tra l’utilizzo pratico e simbolico dei virus e le forme liriche dei lavori finali, esteticamente attraenti ed emotivamente carichi, fa completamente parte della sensazione di straniamento che pervade l’osservatore una volta svelato il morbo tecnico che porta a compimento il processo artistico dando, in questo modo, vita a una nuova definizione concettuale capace di legare l’astrazione pittorica alla minaccia intangibile dell’interconnettività contemporanea.





NOTE

[2] Per poter ascoltare alcuni brani dell’artista è possibile collegarsi all’indirizzo: https://soundcloud.com/thee_james_hoff

[3] Per ulteriori informazioni: https://www.net-art.org/

[4] Per un approfondimento sull’opera: https://0100101110101101.org/biennale-py/

[5] Cit. James Hoff in: Andy Greenberg, This artist’s images integrate code from malware like stuxnet and flame. WIRED (online), 27.11.2014. Articolo disponibile all’indirizzo: https://www.wired.com/2014/11/malware-art/

[6] Per approfondimenti sulla serie di opere “Skywiper”: http://www.callicoonfinearts.com/artists/james-hoff /





SITOGRAFIA

 

BIENNALE.PY 2001

Biennale.py 2001, (accesso effettuato il 10/01/2018), https://0100101110101101.org/biennale-py/

 

GREENBERG 2014

A. Greenberg, This artist’s images integrate code from malware like stuxnet and flame, “WIRED, com”, 27/11/2014, (accesso effettuato il 10/01/2018)  https://www.wired.com/2014/11/malware-art/

 

HOFF a

James Hoff, Collicoon Fine Arts, (accesso effettuato il 10/01/2018)

 http://www.callicoonfinearts.com/artists/james-hoff/bio 

 

HOFF b

James Hoff, Soundcloud, (accesso effettuato il 10/01/2018)

 https://soundcloud.com/thee_james_hoff

 

NET ARTIST

Net.artists, Net.org, (accesso effettuato il 10/01/2018)  https://www.net-art.org/



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