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L'architettura costruisce e distrugge:
alcuni esempi
Atti Convegno Lo sguardo oltre il confine. Un viaggio tra le immagini
Francesco Giovanetti
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 Maggio 2017, n. 840
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Premessa
La sessione conclusiva del ciclo di incontri dedicati all’invito a guardare oltre confine ha gettato sul tappeto coppie di opposizioni utili a vedere l’architettura sotto prospettive diverse.
Per primo il punto di vista verso il carattere terrigno, ciclico e direi ‘peristaltico’ dell’architettura.
L’arte di costruire occupa, rimuove e copre il terreno su cui posa e dunque si nutre del territorio. Si nutre anche di se stessa per contrastare la propria decadenza fisiologica oppure per aggiornarsi in funzione e in forma. Nel nostro tempo l’architettura in prevalenza si rinnova mediante distruzione-sostituzione delle preesistenze.
Un secondo punto di vista è la ciclica opposizione classico-anticlassico, generata da un virus mutàgeno della forma, che spinge ad inseguire novità assolute oppure a ripescare fasti dimenticati: un fenomeno volatile che oggi chiamiamo ‘la moda’, capace di produrre ciclicamente rivoluzioni ed effimeri rinnovamenti dell’apparenza e del significato delle costruzioni.
Ultimo, il tema della ‘liquidità’ dell’architettura, un concetto che rappresenta un modo attuale di comporre gli edifici il quale, per occupare la scena mediatica, deve macinare una continua innovazione che ci riporta ad un antico imperativo coniato da Baudelaire e Rimbaud e caro anche ai dadaisti di cui quest’anno si celebra il centenario: épater le bourgeois.

Per procedere, architetto restauratore quale sono, devo premettere alcune ‘avvertenze di un conservatore’, che intitolerei liquidità, spirito del tempo e patrimonio.
Il concetto (scivoloso) di ‘liquidità’ rappresenta da qualche tempo un passe-partout buono per rappresentare la contemporaneità nelle sue molteplici manifestazioni. Il concetto si attaglia alla dimensione dei rapporti sociali e della comunicazione ma, per contagio, ha invaso anche il terreno dell’espressione artistica di cui l’architettura fa parte secondo il comune modo di sentire, se pure in una scomoda posizione. Nel tempo presente lo spirito mondano e le menti umane appaiono come abbacinate da una dimensione immateriale, effimera e, soprattutto, veloce, che tende a tutto ibridare, mescolare, assorbire e consumare [1].
La presente stagione è viva e stimolante, ma va osservato che la sua retroazione è la tendenza a neutralizzare (forse mortificare?) la cultura del passato e, particolarmente, le sue manifestazioni locali.
Per letteratura, musica, arte figurativa e folklore, la dimensione storica, di scarsa attualità, vive nelle nicchie frequentate dai rispettivi cultori. Il patrimonio architettonico invece, per sua natura, occupa lo spazio in modo fisico con l’istanza della propria materia, pietra, legno, intonaco o altro ancora. Le costruzioni si impongono, che piaccia o no, come uno dei pochi, concreti ed efficaci contrappesi alla smaterializzazione della cultura.
Infatti: nell’architettura ci sbatti contro camminando. Se non la vedi, ti puoi ferire, anche psichicamente: davanti a un Colosseo o una Fontana di Trevi, come a un Raffaello, emblemi di un patrimonio accudito, la sindrome di Stendhal può assalirti.
Se poi ti imbatti in ruderi lasciati a dissolversi nel tempo, puoi sperimentare una sensazione oggi poco praticata: l’affaccio sul ‘pozzo del tempo’ provando la vertigine dello specchiarsi nelle proprie origini [2]. La fortezza araba del XII secolo di Qala’at ar-Rabba, abbandonata nel XIV secolo, versa in uno stato di degrado non più reversibile. Il paesaggio creato dai detriti distaccati dalla costruzione e accumulati ai piedi delle murature e nel fossato offre lo spettacolo sublime del manufatto antropico nell’atto della sua regressione allo stato naturale. Merita di essere ‘conservato’ ruskinianamente (cioè lasciato a se stesso) così com’è. Qualsiasi restauro o innovazione al suo sito ne perderebbe il valore (fig. 1).
In definitiva: oggi più che mai, tra le diverse manifestazioni della cultura tradizionale, sono il patrimonio architettonico e il paesaggio antropico a costituire il legame profondo con la storia del mondo e con l’identità locale delle regioni, dei paesi e delle etnie.
Cautela dunque con la liquidità, la cui onda si smorza sulla battigia del patrimonio: Caution, slippery when wet, càpita di leggere sulle autostrade e nei bagni degli autogrill nei paesi anglofoni.

L’architettura distrugge e crea
Ma rientriamo ora nel solco che questa giornata ha tracciato per me: quando l’architettura costruisce, quando l’architettura distrugge; qui non ‘dolci romori’ della spiaggia, ma il fracasso del cantiere: rudi comandi, fragore di mura abbattute e stridore di macchine operatrici. Infatti, le città giunte a noi, nessuna esclusa, sono state generate da cicli di distruzione e ricostruzione. Architetture vecchie e nuove vi coesistono con gradi diversi di integrazione.
Il prospetto del palazzo Lanfranchi di Pisa in lungarno Galilei, restaurato e stonacato nel 1979 da Massimo Carmassi, espone, con didascalica evidenza, come la costruzione cinquecentesca abbia conglobato e sopraelevato in un nuovo edificio unitario un gruppo di costruzioni di epoca medievale, tra cui spiccano tre edifici mercantili la cui struttura a pilastri in pietra e laterizio è coronata da arcature ogivali. La nuova costruzione rinascimentale, caratterizzata da belle finestre disposte a pari distanza (facciata ritmica), è stata composta avendo cura di spezzare gli archi ogivali: una misura necessaria a neutralizzare le ‘tensioni parassite’ derivanti dalla spinta degli archi, dannosa per il nuovo assetto strutturale del muro continuo.
L’intera struttura preesistente, inclusa quella della casa d’abitazione a tre livelli che si osserva sulla destra, è stata incorporata nel muro di prospetto e sussunta dal nuovo edificio.

Roma
Tutte le città fondate nell’epoca premoderna sono il risultato di una stratificazione di fasi ma alcune lo sono più di altre. Se potessimo scansionare il sottosuolo di Roma a qualche metro di profondità, avremmo la planimetria della città antica, le cui fondazioni e, spesso anche i muri in elevato, hanno costituito la base per l’edificazione della città medioevale, di quella rinascimentale e di quella barocca.
Oltre agli arcinoti esempi di edifici dell’antichità classica che ci sono pervenuti attraverso varie trasformazioni, Roma, città ‘stratificata’ per eccellenza, è il paradiso di chi vuole osservare il fenomeno dell’architettura che si nutre delle costruzioni che l’hanno preceduta.
Di un esempio tanto eccellente quanto meno noto è testimonianza un disegno di grande formato conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli [3] che coglie in flagranza il prospetto di palazzo Farnese in corso di costruzione all’inizio degli anni 1540 (fig. 2). Il cantiere sta completando il secondo livello, il piano nobile. Vi si vedono macchine edili e maestranze all’opera ma, per quello che qui ci interessa, vi si osserva come la fabbrica di Antonio da Sangallo il Giovane proceda incorporando via via la cupa mole di un precedente palazzo che occupa la parte destra del lotto edificatorio per ben otto dei tredici assi di finestre della nuova fabbrica. Si tratta del palazzo Ferriz, un edificio nobiliare tipico del tardo Medioevo costituito da tre vasti ambienti in sequenza, uno dei quali prominente in altezza, a esibire la vera o presunta nobiltà di una torre.
Le finestre della parte realizzata mostrano che alcuni ambienti sono già abitati, come testimoniano le ‘impannate’, gli infissi sulla parte destra in opera e già in uso.
La struttura muraria del vecchio palazzo viene divorata e rielaborata quanto necessario, ma sopravvive metabolizzata nella nuova costruzione rinascimentale, tanto permeabile e articolata di ornamenti quanto l’altra appariva sorda e compatta.
Il prezioso disegno offre un’illustre esemplificazione del modo di costruire premoderno che può riassumersi nella formula del riutilizzare e aggiungere materia, un’attitudine energy saving che si contrappone radicalmente alla cifra del modo di costruire contemporaneo, che rimuove la preesistenza, ricostruisce con nuova materia mentre recapita la vecchia alla discarica.
Parallelamente, nella costruzione dei nuovi spazi urbani ‘scavati’ nel costruito medievale, tipica della stagione rinascimentale, si osserva un fenomeno di senso inverso ma complementare.
Un disegno commissionato a Felice della Greca da Alessandro VII Chigi ci mostra lo stato incompiuto di piazza Colonna nel 1656. Sono al loro posto, in angolo con il Corso, i palazzi Del Bufalo, a sinistra, e il palazzo degli Aldobrandini che il papa ha in animo di acquistare, a destra. È anche presente la terrina cinquecentesca di Giacomo della Porta, ma la forma quadrangolare della piazza non è ancora delineata a causa dell’ingombro degli edifici di abitazione che ancora vi sorgono. L’assetto della piazza si realizzerà per sottrazione: l’architettura distrugge.
In generale, allo scorcio del Settecento, la città di Roma raggiunge l’apice della sua perfezione ben rappresentata dalla pianta della città di Giovanni Battista Nolli (1748) e dalla tassonomia delle vedute della città prodotte da Giuseppe Vasi tra il 1743 e il 1761.
Ma l’Ottocento è in agguato con una nuova stagione di trasformazioni che culminerà, un secolo più tardi, nello stravolgimento determinato dall’insediamento della Capitale del Regno d’Italia.
L’assegnazione del nuovo prospetto della basilica di San Giovanni in Laterano ad Alessandro Galilei, nel 1732, mostra come sia iniziato il lungo declino della stagione del Barocco che, oltre la metà del secolo, diviene bersaglio di una dannazione, resa esplicita dai ‘trattati’ che ne condannano gli errori architettonici, quali quello del senese Teofilo Gallaccini, del 1767, e quello del veneziano Antonio Visentini, del 1771 (fig. 3).
Accanto al rigorismo concettuale dell’abate Lodoli e dei suoi epigoni Andrea Memmo e Francesco Milizia («niuna cosa […] metter si dee in rappresentazione, che non sia anche veramente in funzione» [4]), si forma un’ondata riformista che predica l’abbandono dei ‘ghirigori’ del Barocco in favore delle forme del Rinascimento di Bramante e Antonio da Sangallo.
Un rigore del ritorno al ‘classico’ che non risparmia i monumenti antichi e che nel 1756 ha portato, sotto Benedetto XIV, alla sciagurata rimozione da parte dell’architetto senese Paolo Posi delle membrature antiche dall’attico interno del Pantheon, ritenute difformi dai precetti vitruviani [5].
Allo scorcio del secolo, i palazzi del Rinascimento romano vengono rilevati, corretti quando necessario, disegnati e pubblicati per rispondere alla domanda europea di modelli architettonici da replicare nelle città che si rinnovano. Iniziano, nel 1794, Giandomenico Navone e Giovanni Battista Cipriani, con il loro Nuovo metodo per apprendere insieme le teorie, e le pratiche della scelta architettura civile, seguiti da Charles Percier e Pierre-François-Léonard Fontaine, nel 1798, con il loro Palais et Maisons de Rome.
È una nuova industria culturale romana che avrà il suo apice nel 1840 con gli splendidi rilievi raccolti nei 20 anni precedenti da Paul-Marie Letaurouilly, pubblicati in edizione francese e inglese. Non sempre si tratta di rilievi fedeli agli edifici reali, ma di modelli corretti per ottenere una maggiore regolarità, talvolta anche con l’interpolazione tra edifici diversi, allo scopo di fornire modelli ideali da imitare [6].
Si mette in scena in quegli anni una tipica opposizione tra anticlassico e classico che porterà alla duratura stagione neocinquecentesca degli architetti romani (tra i tanti: Pasquale Belli, Giuseppe Valadier, Luigi Poletti, Pietro Camporese, Virginio e Francesco Vespignani, Gaetano Koch) che si addentrerà nel primo Novecento.
L’architettura ‘neocinquecentesca’, impropriamente assimilata a un generico ‘eclettismo’ dalla critica del Novecento militante per conto del Modernismo, ha accompagnato Roma alle soglie della trasformazione in capitale del Regno al ritmo di uno sviluppo lento della città rispetto ai secoli precedenti.
Una stagione che, cosa non da poco, ha potuto evitare i disastri urbanistici della rivoluzione industriale. Dell’ultimo periodo dello Stato Pontificio si contano, infatti, poche notevoli innovazioni (due vuoti e due pieni) riconoscibili nel raffronto tra la carta dl Giambattista Nolli (1748) e la Carta generale del Censo (1866): la nuova piazza del Popolo e il giardino del Pincio di Giuseppe Valadier (1812-48), che danno vita alla prima piazza moderna collegata ad un parco cittadino; lo scavo ‘di liberazione’ della Colonna Traiana (1814), che inaugura la stagione degli scavi dell’area archeologica centrale; la linea ferroviaria ‘Sud Pio Centrale’ (1862) attestata prima a Porta Maggiore e poi nella zona di Termini, evento che rovescia le modalità di accesso alla città specie da parte dei visitatori dagli altri stati; la realizzazione della manifattura dei tabacchi di Antonio Sarti (1862) in piazza Mastai a Trastevere.
Meno percepibile su scala urbana è la diffusa opera di rinnovo degli edifici privati che pervade tutti i rioni della città: le case d’abitazione, spesso di due o tre livelli, vengono accorpate (rifuse) e sopraelevate con alacrità. Dal 1826 la Camera Apostolica concede l’esenzione dalla ‘dativa reale’, la tassa sui fabbricati, a quanti rinnoveranno i propri edifici sottoponendone il progetto della facciata all’approvazione concorde di tre architetti membri dell’Accademia di San Luca. Lo stile è quello del Neocinquecento.
Un esempio per tutti è la casa in via di Sediari, poi demolita negli anni 1930 per il tracciamento di corso Rinascimento, un caso che illumina questa trasformazione strisciante: nel 1867 l’architetto Raffaele Francisi concepisce l’unione di due distinti edifici che mostrano ancora il primitivo verzino, uno dei ‘colori dell’aria’, tipici della stagione barocca (fig. 4).
L’architettura che risulta dal progetto è chiaramente ispirata al celebre palazzo rinascimentale Gaddi-Niccolini in Banchi attribuito a Jacopo Sansovino (tuttora esistente, se pure alterato, in via del Banco di Santo Spirito). Il nuovo edificio, rialzato di un piano, ingigantito nelle proporzioni e nobilitato dalle membrature rinascimentali, adotta anche la nuova coloritura in voga: la dicromìa color travertino per le membrature e color mattone per i fondi.
L’applicazione in tutta la città di queste trasformazioni individuali sortisce effetti di rilievo anche su scala urbana. La via del Corso, eletta al ruolo di main street della parte antica della città, subisce importanti manipolazioni. Tralasceremo la vicenda quarantennale della ristrutturazione di piazza Colonna [7] per concentrarci su di un aspetto meno noto: l’effetto della trasformazioni molecolari sull’insieme del paesaggio urbano.
La via del Corso dell’epoca pontificia esibiva lo stridente contrasto tra le ‘fabbriche maggiori’, come chiese, palazzi nobiliari, e l’edilizia minore, modesta in altezza e spoglia di ornamenti. Questo tipico contrasto viene rapidamente annullato dalle sopraelevazioni delle case d’affitto spinte dalla nuova dinamica dei valori immobiliari. Nel nuovo assetto le sopraelevazioni speculative, affollate da ornamenti in stucco, distruggono la precedente gerarchia dei valori sociali: nella nuova via del Corso democratica le nuove case borghesi, con le nuove squillanti coloriture, mettono la sordina ai vecchi edifici monumentali, che si rinchiudono nell’ombra determinata anche dall’autosegregazione del mondo della chiesa e della nobiltà papalina.

Tutto si accelera dopo il 1870: Roma si mette in moto per la grande trasformazione che la porterà a quintuplicare il numero degli abitanti nei 50 anni successivi.
Con l’insediamento della Capitale Roma, non sarà più la splendida città barocca che molti rimpiangono ancora, ma la sua edificazione, nel complesso, è stata realizzata con sapienza, anche se con qualche smagliatura.
Un grande esempio di sapienza urbanistica, tanto apprezzabile se messo a confronto con la brutale trasformazione di altre capitali europee, a cominciare da Parigi, è il tracciamento del Corso Vittorio Emanuele II da piazza Venezia al Tevere, la nuova via papalis, che prende inizio negli anni 1880 e terminerà negli anni 1920 [8].
La nuova arteria, tracciata nel denso fabbricato dei rioni dell’ansa del Tevere, incontra nel suo percorso palazzi e chiese di grande valore monumentale. Perciò la nuova strada non adotta una linea rettifila, ma segue un andamento sinuoso, studiato in modo da porre in evidenza le costruzioni di maggiore pregio. E se accade che alcuni di questi monumenti mostrino le terga al nuovo percorso, i pianificatori non esitano ad applicare le correzioni ritenute necessarie.
In questo modo, il prospetto del raffaellesco palazzo Vidoni-Caffarelli, stretto nell’angusto vicolo del Sudario, viene replicato sulla nuova via, più maestoso, dall’architetto Francesco Settimi. La cosiddetta Farnesina ai Baullari, il palazzetto Leroy addossato a case private da demolirsi, viene completata sul lato cieco dall’architetto Enrico Guy. Similmente, al palazzo della Cancelleria, il cui lato settentrionale confina con case private da demolirsi per la nuova via, viene applicato un nuovo prospetto in stile.
Una consapevole e accorta manipolazione dell’edilizia, dunque, per utilizzare la nuova arteria come occasione per porre in valore singoli edifici monumentali nel nuovo assetto urbano. Un intento certamente riuscito, che dimostra la precoce sensibilità per il paesaggio urbano che negli anni successivi caratterizzerà l’urbanistica romana e avrà il suo apice nell’opera di Gustavo Giovannoni e di Vincenzo Fasolo.
Rimanendo nella dialettica costruzione-distruzione in ambito romano, è impossibile tacere della realizzazione dei Muraglioni del Tevere che hanno comportato la cancellazione delle ripe digradanti verso l’alveo del fiume e della folla composita di costruzioni che vi sorgevano.
Tenuta spesso in sordina come opera di ingegneria utilitaria, va invece riconosciuta come la più importante trasformazione cittadina: per l'eccezionale dimensione; per la durata (dal 1876 al 1925); per la mutazione che ne è derivata al significato della città nel suo insieme.
Intendiamoci, il Tevere non era il Canal Grande che esibiva sulla main street veneziana i suoi edifici più significativi. Roma, al contrario, esibiva al proprio fiume il proprio backyard, se pure non privo di notevoli complessi architettonici e paesistici in tutto o parzialmente perduti e che rimpiangiamo al pari di Villa Ludovisi e di tante altre demolizioni (Porto di Ripetta, Castel Sant'Angelo, Palazzo Altoviti, Porto Leonino, convento e abside di San Giovanni dei Fiorentini, prospetto postico di Palazzo Sacchetti, Palazzo Falconieri, Ospizio dei Cento Preti, giardini di San Giacomo alla Lungara e della Farnesina Chigi, Cloaca Maxima, Porto di Ripa Grande).
L’effetto principale sull’immagine della città è stato la soppressione del ‘pittoresco’, che il fiume esibiva alla massima potenza lungo il suo corso, con il disordine dei molini galleggianti, delle casette digradanti verso le ripe, in un paesaggio composito disseminato di ruderi dell’antichità.
La nuova imponente opera di contenimento idraulico rende il fiume visibile, se pure sterilizzato del suo carattere storico, attraverso le due parallele arterie lungofiume.
Alcune immagini del 1900 mostrano con evidenza la violenza della trasformazione, in seguito mitigata dallo sviluppo delle alberate di platani in doppia fila, oggi fortemente compromessa dalla prepotente viabilità veicolare.

A seguito di queste trasformazioni, la città perde la compiutezza grandiosa e insieme pittoresca, interrotta dal traumatico insediamento della capitale. Ci sentiamo di affermare che lo smontaggio della città papale ha comunque dato vita a una città viva, operante e, in definitiva, bella, anche se al prezzo della distruzione di paesaggi urbani irrimediabilmente perduti.

Berlino
Per non deludere gli inventori di questa giornata fondata sui contrasti, vogliamo ora mettere a confronto l’evoluzione di Roma con quella di un’altra capitale europea che ben più fortemente è stata traumatizzata nei pochi anni della seconda guerra mondiale e che, dopo il lungo letargo tra il 1945 e il 1989, ha avviato una rinascita che, superato il quarto di secolo, risulta ancora in pieno rigoglio.
Concepita in pieno ‘evo moderno’, Berlino, città non grande di origine medievale, è stata una grande metropoli europea dalla seconda metà dell’Ottocento fino al 1943. L’evoluzione della città è stata spinta da un potente sviluppo industriale e dalla volontà governativa di trasformare la piccola capitale prussiana nella capitale imperiale della Germania unita nel 1870 e poi nella Großstadt del Novecento.
Il denso e omogeneo fabbricato dentro e fuori le mura, i quartieri istituzionali, la quantità di fabbriche di magnifica architettura e gli sterminati quartieri operai ne hanno fatto una città magnifica urbanisticamente e culturalmente viva. Nella prima metà del Novecento, divenuta nel 1920 Groß-Berlin con l’annessione degli eleganti comuni della cintura, sarà la scena del più esteso laboratorio europeo per lo sviluppo delle nuove architetture: Jugendstil, Espressionismo e Razionalismo.
Il dramma dei bombardamenti alleati e le conseguenti lacune nella sua trama urbanistica, sterminate o puntuali, che restano sostanzialmente congelate nei 45 anni della cortina di ferro, hanno offerto alla nuova capitale riunificata l’occasione per una poderosa ondata di edificazione.
Oggi, e da 25 anni, Berlino è l’unica metropoli del mondo occidentale che si trasforma con la velocità di una Riyadh.
La città nuova in corso di sviluppo è radicalmente diversa dalla Berlino di pietra [9], la sterminata, densissima e alquanto monotona città delle Mietskasernen esistita fino al 1943.
Oggi Berlino offre un paesaggio urbano dove le nuove architetture disseminate disordinatamente (ce ne sono di riuscite e di infelici dentro e fuori la zona centrale), si sono intercalate ai frammenti di tessuto sopravvissuti, dando vita ad un insieme caratterizzato da un effetto di continua sorpresa, appena temperato dai nuclei storici sopravvissuti nella cintura metropolitana.
Oggi a Berlino è dominante il senso del non finito, particolarmente percepibile nelle zone già DDR, dove la viabilità è squassata dall’aggiornamento delle reti infrastrutturali sotterranee la cui funzionalità, in attesa del rifacimento, è stata surrogata da tubazioni colorate poste in superficie (fig. 5), che si impennano vertiginosamente a scavalcare gli incroci stradali, suggerendo frammenti di raffinerie petrolifere, un po’ Léger un po’ Koons.
Anche in una città relativamente giovane come Berlino si possono vedere edifici stratificati.
Uno dei più interessanti e pregevoli è l’ampliamento della sede dell’editore Mosse realizzata dall’architetto Erich Mendelsohn nel 1924, che trasfigura l’angolo di un isolato di Kreuzberg esaltandolo in una magnifica superfetazione sporgente ‘a campana’ che prende possesso con un linguaggio espressionista della vecchia sede sottostante (fig. 6).
Merita menzione anche il caso del complesso denominato Pallasseum, unità di abitazione sociale per 2000 abitanti sulla Pallasstrasse, quartiere Schöneberg, realizzata nel 1977 da Jürgen Sawade che ha inglobato, solo sfiorandola, la sorda mole cementizia di un Hochbunker, uno dei rifugi realizzati durante la guerra a difesa degli attacchi aerei alleati, oggi residuato bellico in attesa di una nuova utilizzazione (fig. 7).
Più recentemente, nell’ambito dell’interessante recupero del complesso industriale occupato dalla fabbrica OSRAM (NARVA nel periodo sovietico) dismesso nel 1992 e oggi denominato Oberbaumcity, la compagnia chimica BASF ha realizzato nel 2006 la propria sede europea nel Narva Würfel, un capannone novecentesco della OSRAM cui è sovrapposto, senza mediazioni, un cubo vetrato luminoso (fig. 8).
Durante la divisione delle due Germanie, si possono esaminare progetti di ricostruzione notevoli per le opposte concezioni.
Negli anni 1980, zona DDR, si interviene in pieno centro nel Nikolaiviertel, quartiere simbolo della Berlino premoderna, con una coraggiosa interpretazione contemporanea del tipo della casa gotica, tinteggiata con le coloriture settecentesche.
Di contro la cultura dei magnifici quartieri popolari realizzati da Bruno Taut negli anni 1930 viene tradita negli anni 1960, in zona Est, dall’esteso complesso della Gropiusstadt, dove risiedeva la Christiane F. nella pellicola Noi ragazzi dello Zoo di Berlino, triste esempio della fornicazione tra il razionalismo cerebrale e l’idolatria della funzionalità e della razionalità economica: una bestia che ha squassato gran parte delle città europee nel periodo 1960-90 devastandone le periferie con paesaggi da incubo.
Al tempo della guerra fredda era d’obbligo sostare sulle torri di legno che permettevano di osservare con i cannocchiale ‘l’altra parte’, talvolta incrociando lo sguardo con i VoPos che da analoghi punti di controllo ricambiavano la curiosità puntando i loro fucili.
Oggi, dai punti panoramici delle stazioni della S-Bahn, lo sport è quello di contare il numero delle gru di cantiere che si scorgono fin dove lo sguardo arriva all’orizzonte.
La ricostruzione, liberata dalle ideologie, è irrefrenabile.
All’indomani della riunificazione è stato restaurato, a seguito di un concorso del 1992, il fosco rudere del Reichstag, oggi Bundestag, dove l’immagine monitoria delle centine metalliche della cupola due volte data alle fiamme nel tragico Novecento berlinese viene perpetuata dalla nuova cupola trasparente di Norman Foster.
L’opera più importante è forse la ricostruzione della Potsdamer Platz, l’antica piazza esterna alle mura della città demolite nel 1867 dove il muro della Guerra Fredda, sdoppiato, conteneva una vasta terra di nessuno disseminata di cavalli di Frisia e popolata da conigli. A seguito del concorso bandito nel 1991 e con la partecipazione di numerosi architetti internazionali, è stato edificato il vasto complesso commerciale-direzionale. Notevoli i grattacieli che fiancheggiano la Potsdamer Strasse: la torre Kollhoff che mima i grattacieli ‘a gradoni’ della Manhattan tra le due guerre e quello delle Deutsche Bahn che allude al progetto del 1922 di Mies van der Rohe per un grattacielo in vetro.
Oltre la piazza, appena entro Mitte, è stato anche ricostruito l’invaso ottagonale della Leipziger Platz (2014) con edifici contemporanei.
Si è rinnovata e modernizzata la Friedrichstrasse con restauri e numerose importanti ricostruzioni, per farne il più importante asse commerciale del vecchio Est.
È realizzata al rustico (2015) sull’Isola dei Musei la replica dello storico Berliner Stadtschloss (fig. 9), demolito nel 1950 e poi occupato dal Palast des Republik, simbolo del regime comunista, costruito nel 1976 e demolito nel 2007.
Per quest’opera grandiosa di ricostruzione, costosa e altamente simbolica è stato necessario superare molte opposizioni. L’ultimazione è prevista per il 2019 e il castello imperiale ospiterà un grande museo dedicato alla cultura delle civiltà non europee.
Lungo la Spree, il restauro del neogotico Oberbaumbrücke ha riunificato i quartieri di Kreuzberg (Ovest) e Friedrichshain (Est).
Nella zona DDR, è in pieno corso la nuova urbanizzazione di Osthafen, il porto fluviale lungo la Spree, da parte del consorzio Mediaspree. Alcuni dei magazzini portuali novecenteschi sono stati pionieristicamente trasformati per farne la propria sede dalle compagnie Universal (2002) e MTV (2004) e oggi una nuovissima architettura sta rapidamente saturando i lotti vuotati dai bombardamenti con edifici direzionali, alberghi e residenze di lusso.
Sulle due rive il paesaggio fluviale e, particolarmente dove è stato conservato, si è arricchito di ristoranti alla moda, case e piscine galleggianti di grande attrazione.

Accanto a questa attività edilizia accompagnata da grandi investimenti, di cui abbiamo dato una parzialissima panoramica, esistono complessi industriali che, pur dismessi e abbandonati, non sono sottratti alla città, segregati e lasciati in letargo in attesa di futuri investimenti, ma vengono introdotti all’uso cittadino con interventi a basso costo.
Il dismesso aeroporto urbano di Tempelhof, capolavoro di Ernst Sagebiel realizzato tra il 1936 e il 1941) è stato dismesso nel 2008 e riaperto nel 2010 come parco pubblico. I lavori sono stati minimi. Le piste sono state conservate, come anche alcune attrezzature aeroportuali e carcasse di velivoli. Il parco è attualmente utilizzato e vi si tengono periodiche manifestazioni.
La grande area con accesso da Revalerstrasse (Friedrichshain) e delimitata a Sud dal ring ferroviario è un complesso di Deutsche Bahn composto da vari edifici e capannoni. È stato colonizzato da un insieme composito di attività che comprendono locali alla moda, bar, cineclub, circoli culturali alternativi, musica, biblioteca, scuola di skateboard, palestra di roccia incentrata su di una torre dell’acqua e altre varie attrazioni. Un luogo tempestato di murales e dal carattere alternativo ma disciplinato, anche se attrae un certo commercio di stupefacenti sulla prospiciente Revalerstrasse.
Anche BVG, la società che gestisce la U-Bahn e i trasporti urbani di superficie, utilizza una comunicazione ‘architettonica’ dei propri lavori in corso, come dimostra l’installazione in Friedrichstrasse (fig. 10), che si scusa con il pubblico per la temporanea soppressione di una stazione a causa dei lavori per la nuova linea 5.

Tale of two cities
La conclusione dell’esame di Roma e Berlino, se pure impressionistico, non può sfuggire a un confronto. Sapendo di avventurarmi in uno spazio che ho già definito scivoloso, non posso fare a meno di interrogarmi: Roma è liquida? e Berlino lo è? E quale di più, e perché?
Penso che Berlino possa definirsi liquida, mentre Roma no.

Berlino è stata a suo tempo una città di pietra, veloce a trasformarsi ma statica. Il trauma delle distruzioni belliche e i seguenti 45 anni di cortina di ferro l'avevano congelata, l’Est in modo particolare.
La riunificazione ne ha letteralmente scongelato le potenzialità in primo luogo umane, favorite dall’ondata di immigrazione europea (già presente nel vecchio Ovest quale ‘vetrina ‘del mondo occidentale) e dalla politica dei prezzi bassi.
Berlino è liquida nella sua sostanza sociale ed economica. La sua architettura rispecchia questa realtà con la varietà estrema delle realizzazioni che hanno disarticolato la struttura monocentrica della vecchia città di pietra. Ne emerge, così, un aggregato urbano policentrico e caleidoscopico che tocca sia le ‘grandi opere’ sia gli interventi di dimensione minuta e che ha permeato persino il decoro cittadino, dalle installazioni artistiche ai parchi giochi per l’infanzia.
Un safari architettonico a Berlino può fare a meno di guide, che invecchiano in breve tempo. L’innovazione architettonica offre continue scoperte. La visione architettonica pervade il decoro cittadino e conquista anche le aree dismesse e degradate, integrandole nella città viva ed operante.

Roma è stata nel suo passato una grande città ‘liquida’. Durante il Rinascimento e la stagione barocca, ha riformato radicalmente la propria struttura spinta dalla corte papale e, non poco, anche dalla riattivazione degli acquedotti che con la capillare distribuzione delle acque ha stimolato il decoro cittadino delle vie lastricate, delle magnifiche fontane pubbliche, degli abbeveratoi e dei lavatoi pubblici [10].
Il trauma dell’insediamento della Capitale ha mutato la direzione di questo sviluppo per incanalarlo nella via più tradizionale delle capitali europee, pur senza lo stravolgimento dei valori presenti.
Roma ha infossato il suo fiume e chiuso i porti che vi si affacciavano, ha separato i monumenti dalla città viva ed operante segregandoli nelle aree archeologiche, dilapidando il desueto ‘pittoresco’.
Trasformazioni ineludibili per la modernizzazione della bella città che oggi tutti possono godere.
Ma non può definirsi liquida.
Roma è, in definitiva, prigioniera del suo mito e del capitale fisso costituito dall’immenso patrimonio pietrificato nei monumenti. La sua fissità si manifesta anche nell’incapacità di riformare con l’architettura i numerosi non-luoghi lasciati incompiuti dalle demolizioni del ventennio fascista interrotte dalla Guerra Mondiale.





NOTE

[1] Non è una novità. In un dattiloscritto del 1930 conservato a Kaiserslautern, Peter Behrens commenta il proprio tempo con un icastico: «Una fretta si è impossessata di noi e ci impedisce di approfondire le particolarità».

[2] Cfr. Prologo in MANN 1933.

[3] DI MAURO 1987.

[4] Così scriveva Francesco Algarotti ricordando gli insegnamenti lodoliani (ALGAROTTI 1764).

[5] PASQUALI 1996.

[6] EADEM 1985.

[7] GIOVANETTI 1984.

[8] RACHELI 1985.

[9] WEGEMANN 1930.

[10] WENTWORTH RINNE 2011.



BIBLIOGRAFIA


ALGAROTTI 1764

Francesco Algarotti, Saggio sopra l'architettura, Venezia, 1764.

DI MAURO 1987

Leonardo Di Mauro, Il cantiere di Palazzo Farnese a Roma in un disegno inedito, in “Architettura Storia e documenti”, 1987, 1-2, pp. 113-122.

GIOVANETTI 1984

Francesco Giovanetti, La sistemazione di piazza Colonna, in Roma capitale 1870-1911. Architettura e urbanistica. Uso e trasformazione della città storica, AA.VV., Venezia, Marsilio, 1984, pp. 379-405.

MANN 1933

Thomas Mann, Die Geschichten Jaakobs, Berlin, 1933.


PASQUALI 1985

Susanna Pasquali, Tradizione romana e modello europeo, in Roma capitale 1870-1911. I ministeri di Roma capitale, AA.VV., Venezia, Marsilio, 1985, pp. 93-101.

PASQUALI 1996

Eadem, Il Pantheon. Architettura e antiquaria nel Settecento a Roma, Modena, Panini, 1996.

RACHELI 1985

Alberto M. Racheli, Corso Vittorio Emanuele II. Urbanistica e architettura a Roma dopo il 1870, Quaderni n.7 - Ministero per i Beni Culturali e Ambientali - Ufficio Studi, Roma, 1985.

WEGEMANN 1930

Werner Hegemann, Das Steinerne Berlin, Geschichte der größten Mietkasernenstadt der Welt, Vieweg, Braunschweig, 1930.

WENTWORTH RINNE 2011

Katherine Wentworth Rinne, The waters of Rome: Aqueducts, Fountains, and the Birth of the Baroque City, Yale University Press, 2011.






Vedi anche nel BTA:

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Fig. 1

Deir ez Zur (Siria), Fortezza di Qala’at ar-Rabba. XII sec., abbandonata nel XV sec.

Foto dell’autore, 2009.

Fig. 2
Anonimo, disegno del cantiere di palazzo Farnese a Roma, Biblioteca Nazionale di Napoli, sezione manoscritti, 1541(?).

Fig. 3
Tavola tratta da Osservazioni di Antonio Visentini, architetto veneto, che servono di continuazione al Trattato di Teofilo Gallaccini sopra gli errori degli architetti, Venezia, per Giambattista Pasquali, 1771.

Fig. 4
Archivio Capitolino Roma, Titolo 54, 8232/1867.

Fig. 5
Berlino-Mitte, Museuminsel. Le reti infrastrutturali della zona Est sono temporaneamente surrogate da tubazioni colorate in superficie.
Foto dell’autore, 2013.

Fig. 6

Berlino-Kreuzberg. L’addizione alla Mossehaus di Erich Mendelsohn, 1924.
Foto dell’autore, 2013.

Fig. 7

Berlino-Schöneberg, Pallasstrasse. Un complesso residenziale (arch. Jürgen Sawade, 1977) ingloba un bunker antiaereo della Seconda Guerra mondiale.
Foto dell’autore, 2010.

Fig. 8

Berlino-Friedrichshain. La nuova sede europea della BASF realizzata inglobando i capannoni del complesso industriale della compagnia OSRAM-NARVA dismessa nel 1992.
Foto dell’autore, 2011.

Fig. 9

Berlin-Mitte. La ricostruzione, in corso, dello storico Stadtdschloss.
Foto dell’autore, 2015.

Fig. 10

Berlino-Mitte, Friedrichstrasse. Segnalazione dei lavori in corso per la realizzazione della futura linea 5 della U-Bahn.
Foto dell’autore, 2015.



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