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Quando l’arte interpreta i luoghi. Alfred Crimi e la rinascenza di Harlem  

Giulia Papale
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Gennaio 2017, n. 828
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Il binomio tra l’arte ed il luogo a cui quest’ultima viene destinata costituisce un punto fondamentale con delle variazioni sul riconoscimento del primato nella relazione tra pittura e edificio1. Ma quando l’arte è il prodotto di una committenza governativa, ed il luogo conserva tracce di una stratificazione storico-culturale, è interessante comprendere come si identifichi lo spirito di un’intera comunità, in un contesto specifico come quello degli Stati Uniti negli anni ’30 e ‘40 del 900.

Sarà dunque centrale l’esperienza di un artista (nato in Italia ma naturalizzato negli Stati Uniti), Alfred D. Crimi2, partecipe del progetto di sostegno delle arti, il Work Progress Administration (WPA) del presidente Franklin Delano Roosevelt.

L’identità dell’artista è ancora oggi poco nota in Italia, e legata per lo più ad un articolo pubblicato su “Life” nel 1945, e considerato l’atto di nascita dell’Information Science, As We May Think di Vannevar Bush, di cui fu l’illustratore3. Questa condizione di anonimato ha ostacolato la possibilità di riconoscere la personalità di un artista che, benché non sia considerato figura di rilievo delle principali esperienze artistiche statunitensi del XX secolo, costituisce un’importante testimonianza dello spirito del tempo, poiché partecipe di alcuni dei fenomeni e degli episodi più significativi della storia culturale americana. Un’espressività artistica – frutto di una formazione svolta per lo più in Italia, presso l’American Academy di Roma – così poliedrica e, al contempo, “retorica”, legata soprattutto al potere evocativo ed autoreferenziale delle sue opere, ha fatto sì che fosse coinvolto nelle principali committenze governative del WPA4, inserendosi cioè in un sistema di impiego politico delle arti teso all’utile sociale. Non fu certo escluso da controversie di natura politica, poiché tacciato di favorire, proprio attraverso il medium dell’arte, l’esaltazione di uno spirito comunista che perfettamente si allineava in quel periodo alla personalità di Diego Rivera5, con cui ebbe diretti legami negli anni ’30. Gli Stati Uniti hanno rappresentato dunque, un momento di libertà espressiva, che si è vivacemente tradotta in opere tutt’oggi conservate nei più importanti musei d’America, come eredità di un passato teso alla rinascita e all’ispirazione democratica6.

Si deve proprio al WPA la partecipazione di Crimi al progetto decorativo della Medical Board Room dell’ospedale di Harlem, New York. Nel 1936 gli fu commissionata la realizzazione di uno dei cinque pannelli illustrativi, attraverso i quali si tentava di ripercorrere la storia della medicina americana. L’artista scelse come soggetto Modern Surgery and Anaesthesia (Fig. 1).

Il progetto nasce dall’esigenza di porre in enfasi lo spirito democratico di tutto il paese8, di cui gli artisti dovevano farsi portavoce. Stabilito dunque l’obiettivo ultimo di sviluppare un’arte democraticamente accessibile ed in grado di stimolare – sia politicamente che esteticamente – l’evocazione di significati in uno stile comprensibile, diventa fondamentale focalizzare il significato specifico del luogo scelto, disegnare una topografia della committenza, nelle cui strutture si scelse di far circolare l’identità della cultura americana.

In questo senso, Harlem viene elevata a “capitale simbolo”; qui infatti, già dal XIX secolo, sorgevano residenze dei “bianchi”, secondo la definizione identitaria dei più accaniti nazionalisti9. Tra queste proprietà, anche quella di James Roosevelt, padre del presidente Franklin Delano. Le proprietà furono abbandonate agli inizi degli anni ’20, e Harlem si trasformò in un distretto destinato a luogo di insediamento prima degli immigrati ebrei, e poi delle comunità afroamericane. Era anche sorta, nella zona di East Harlem, Little Italy, centro di raccolta di italiani immigrati negli Stati Uniti (dove lo stesso Crimi abitò e frequentò le scuole).

Harlem era anche il cuore di una comunità culturalmente attiva, un vivace centro di aggregazione per afroamericani in cerca di riscatto e di libertà espressiva; per questo la scelta di sviluppare un progetto promosso dal WPA in questa zona ebbe una rilevanza particolare. Quasi contemporaneamente all’istituzione del WPA, venne anche fondata The Harlem Community Art Center, con un ruolo fondamentale: non solo promotore della spinta culturale di uno specifico luogo, ma simbolo della rinascita di una “cultura della razza”10. Harlem diventa lo spazio dell’utopia, lo spazio di realizzazione di una comunità che, negli anni ’20, raggiunge una maturazione, nella sua accezione più moderna ed integrata11. La zona, infatti, proprio per la presenza di comunità afroamericane, fu scenario di quello che viene definito Black Renaissance12, un tentativo da parte delle minoranze etniche di conquistare un proprio spazio e di ottenere maggiori diritti. Il fatto poi che il WPA avesse scelto di affidare quasi in maniera esclusiva – faceva eccezione infatti solo la presenza di Alfred Crimi – il progetto ad artisti afroamericani, rispecchiava quella volontà di fare della diversità etnica un punto di forza dell’America, un passo in più nella definizione di una politica culturale che estendeva i confini della libertà americana13.

Dopo l’istituzione del WPA, Harlem Hospital fu forse una delle prime – e sicuramente tra le più importanti – committenze governative, proprio perché creò un’apertura culturale: l’estensione del programma a comunità per le quali il processo di “americanizzazione” non si era ancora completamente concluso. In questo senso, probabilmente la pressione più grande venne dal Partito Comunista che proprio in quella zona, a partire dagli anni ’30, aveva fatto della lotta al razzismo e all’integrazione forzata di queste comunità, una priorità assoluta. Da parte degli artisti coinvolti c’era la voglia di farsi veicolo di un messaggio sociale importante, risonante, e che fosse proprio l’arte ad incrementare il sentimento di integrazione in un modo di “vivere americano”.14 Il risultato sarebbe stato una nuova forma di interazione sociale, la creazione di un nuovo concetto di razza, oltre che un ripensamento – anche visivo – dell’identità stessa degli afroamericani, elemento cardine di un fenomeno prima di tutto politico15.

Nonostante le premesse nell’assegnazione del progetto – che si ispirava alla volontà di riconoscere nel popolo americano anche i nuovi immigrati ed i cosiddetti “non bianchi” – gli stessi artisti ebbero difficoltà nel fare accettare i propri lavori dalla commissione del Harlem Hospital. I disegni erano troppo incentrati su negro subject, “ed i neri non costituiscono il nucleo più grande della comunità”. Le obiezioni erano mosse dal fatto che soggetti afro fossero una realtà caratteristica della zona, ma che nulla avessero a che vedere con le strutture dell’ospedale; il progetto poi doveva essere un’esaltazione delle strutture della società americana, ed il contributo degli artisti quello di riproporle nella sua forma reale. è chiara la natura discriminatoria dell’episodio, in cui rimase coinvolto lo stesso Crimi perché tacciato di godere di favoritismi per il fatto stesso di essere “bianco”16. Stando però alle parole di Holger Cahill, promotore del progetto, le competenze tecniche di Crimi (aveva infatti studiato le tecniche dell’affresco rinascimentale a Roma nel 1929, presso l’American Academy) furono l’unico motivo per cui l’artista entrò a far parte del progetto; in questo momento era infatti considerato uno dei pochi artisti esperti nel campo dei dipinti murali, il che lo elevava anche al ruolo di guida per gli artisti afroamericani, tutti di giovane età.

È chiaro che l’episodio abbia una sua rilevanza sul piano politico e culturale, oltre che strettamente artistico. Il tentativo iniziale da parte del governo di estendere una committenza governativa a comunità difficilmente integrate sembrava, in un momento di lotte in nome della democrazia, una giusta battaglia da portare avanti. Si andava concretizzando un importante momento di raccordo tra Harlem Renaissance degli anni ’20 e Black Art degli anni ’60. Ma l’idea di progresso culturale che accompagna il progetto di Harlem – una delle importanti conquiste sociali del XX secolo – sottintende in realtà, un radicato pregiudizio sul concetto di “razza”, tale da circoscrivere le libertà degli artisti afroamericani che ne furono coinvolti. Il WPA incentiva il progetto di Harlem in nome di un tentativo di assimilazione culturale che favorisse il pluralismo etnico. L’episodio si conferma in bilico tra le richieste di “americanizzazione” e l’esigenza di rispettare l’identità culturale di queste comunità a fronte del “valore americano”. Negare questa possibilità di sopravvivere in una società che poneva nette linee di demarcazione sociale, di natura razziale ed etnica, equivaleva a ritrattare il vero spirito americano, lo spirito della libertà.

La conquista più grande, nel progetto di Harlem, è stato riconoscere l’immigrazione non come una minaccia ma come essenziale per la vitalità culturale, riconoscendo che l’America può rimanere americana modificando le proprie convenzioni, e servendosi dell’arte per sviluppare nuovi linguaggi. La capacità poi, di riuscire a mediare tra la natura dell’edificio – e dunque la necessità di una adeguata scelta dei soggetti – e le personalità degli artisti coinvolti, seppur nella diversità razziale, ha fatto sì che fosse conferito un nuovo impulso alla politica del paese. La risonanza pubblica dell’episodio favorì gli artisti, che furono pionieri di una rinascita dell’eredità della comunità artistica afro e di una conquista di territorio nello spazio della cultura americana17.

La diversità razziale, così manifesta nel progetto del WPA, dava la misura di quanto la gloria della società americana degli anni ’30 si affermasse nella democrazia e nella riscoperta di un nuovo popolo americano, includendo appunto i nuovi immigrati e “non bianchi”.

I pannelli del Harlem Hospital di recente sono stati oggetto di un restauro, durante il quale lo stato superficiale di intonaco deteriorato è stato rimosso, portando via con sé l’iniziale diffidenza che ha accompagnato la committenza. Nel 2012 infatti, con il tema di “rispetta il passato ed abbraccia il futuro”, è stato inaugurato il padiglione dedicato ai dipinti murali all’interno dell’ospedale; un espediente finalizzato a valorizzare il momento storico legato all’esperienza del WPA, rendendo accessibile al pubblico uno spazio in cui Harlem Hospital diventa un luogo espositivo. La riscoperta visibilità degli affreschi, stimola così un grande coinvolgimento da parte del pubblico, che riconosce il pregio di poter conservare una così profonda eredità storica e culturale18.






NOTE

1

Edward Bruce, introduzione Art in Federal Building, Washington D.C, Art in Federal Buildings Incorporated, 1936, p. IX

2

Alfred D. Crimi (1900-1994), nato in Italia, Sanfratello, Messina, si trasferisce a New York già nel 1910, intraprendendo un percorso di “americanizzazione”, un’integrazione all’interno di una società che agli inizi del XX secolo ancora escludeva le comunità immigrate, ghettizzate nelle zone periferiche della città. La prospettiva da cui Crimi osserva – e che viene restituita dalla autobiografia, A look back, a step forward. My life story, 1988 – è quella di una completa adesione al modo di vivere americano, un paese in cui le libertà fondamentali garantirono a Crimi di esprimersi artisticamente, in un centro culturale come New York, considerato nel XX secolo la “Nuova Parigi”.Si veda anche Carla Subrizi, Europa e America 1945-1985. Una nuova mappa dell’arte, Roma, Aracne editrice, 2008

3

Paola Castellucci, Dall’ipertesto al Web. Storia culturale dell’informatica, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 100

4

Secondo un documento, contenuto in Francesca Pola, Francesco Tedeschi, Giuliana Scimè, Artisti americani tra le due guerre: una raccolta di documenti, Milano, V&P Strumenti, 2004, è possibile considerare il muralista americano George Biddle il padre fondatore del Work Progress Administration/ Federal Art Project (WPA/FAP). Sarebbe stato infatti l’artista, amico d’infanzia dell’allora presidente Franklin Delano Roosevelt, il promotore di un’estensione della riforma sociale del New Deal applicata alle arti, affinché anche giovani artisti americani, attraverso il medium del dipinto murale, potessero sentirsi parte integrante di una lotta nel nome di ideali sociali.Si veda anche la trascrizione per The Archives of American Art, Smithsonian Istitute: Harlan Philips,An interview of George Biddle in 1963

 

5

A testimonianza di quanto affermato, è importante sottolineare che nell’elenco di papers di Alfred D. Crimi, stilato nel gennaio del 1993 dal Center for Migration Studies, New York, sia presente una miscellanea, che copre un arco temporale dal 1929 al 1980, in cui sono conservate 6 fotografie raffiguranti il restauro operato da Crimi al controverso dipinto murale realizzato da Diego Rivera nel 1932 per il Rockefeller Center, Man at the Crossroads, poi censurato dallo stesso committente perché contenente una riproduzione fisionomica di Lenin.

6

Alcune delle opere di Crimi sono oggi conservate presso il National Museum of American Art – Smithsonian Institution, Washington D.C., dove è stato anche istituito un fondo personale dell’artista; il Portland Museum of Art – Portland, Oregon; il Museum of the City of New York; il Center for migration studies – Staten Island, New York, istituto che ha curato nel 1988 la pubblicazione della sua biografia.

7

Il dipinto è stato frutto di una attenta ricerca da parte di Crimi sul mondo della medicina, un’osservazione costante dei soggetti, puntuale e dettagliata, che esercitò sull’artista un forte sentimento di fascinazione. Ogni compito è definito con un’indagine centrata sugli aspetti psicologici ed emotivi, e sviluppato su una attenta resa di una interazione tra sguardo e mano, che caratterizza l’intera scena.Si veda Terry Harpold,Ex-foliations:Reading machines and upgrade the path, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2008, p. 31

8

La citazione è tratta da un discorso di Franklin Delano Roosevelt dedicato al MoMa e trasmesso via radio il 10 maggio 1939

9

Eric Foner, Storia della libertà americana, Roma, Donzelli, 2009 (1998)

10

Gwendolyn Bennet, The Harlem Community Art Center, in Francis V. O’Connor (a cura di), Art For Millions, Greenwich, Connecticut, New York Graphic Society LTD, 1973, p. 213

11

Martha J. Nadell, Enter the New Negros. Images of Race in American Culture, Cambridge, MA, Cambridge University Press, 2004, cit. p. 1

12

Eric Foner mette in luce la rilevanza culturale di un fenomeno come Black Renaissance,evidenziando soprattutto quanto, da parte di comunità afroamericane ci sia stato, con un forte spirito anticipatorio, un movimento di “rivoluzione sociale”

13

George Hutchinson, Harlem Renaissance. American literature and art, “Britannica”, 2016

14

Robin Pogrebin> , At Harlem Hospital, murals get a new life, “The New York Times”, 2012

15

Tatiana Petrovich Njegosh,L’iconografia del New Negro, in Camilla Cattarulla (a cura di), Identità americane: corpo e nazione, Roma, Cooper, 2006, p. 67-68

16

Alfred D. Crimi,A look back, a step forward. My life story, New York, Center for Migration Studies, 1988, p. 130

17

George Hutchinson, Harlem Renaissance. American literature and art, “Britannica”, 2016

18

Robin Pogrebin, At Harlem Hospital, murals get a new life, “The New York Times”, 2012







BIBLIOGRAFIA

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Harlan Philips, An interview of George Biddle in 1963, trascrizione per lo Smithsonian, The Archives of American Art


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Robin Pogrebin, At Harlem Hospital, murals get a new life, “The New York Times”, 2012


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Carla Subrizi, Europa e America 1945-1985. Una nuova mappa dell’arte, Roma, Aracne, 2008







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Fig. 1

Alfred D. Crimi, Modern Surgery and Anaesthesia, 1936, Medical Board Room of Harlem Hospital, Work Projects Administration, Harlem, New York, USA.



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