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Conventi femminili: fucina dell’arte  

Donata Mesce
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Maggio 2016, n. 808
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Area Artisti

Alla mia adorata mamma

 

Quando si pensa a uomini di religione che sono stati anche degli artisti vengono subito in mente i nomi di Beato Angelico e Bartolomeo della Porta. In realtà fra le mura dei conventi di clausura sono state attive anche moltissime suore pittrici che con le loro opere d’arte non solo hanno contribuito ad arricchire il patrimonio artistico italiano ma hanno anche contribuito al mantenimento economico dei loro conventi divenendo in alcuni casi vere e proprie imprenditrici. Ma essendo donne e allo stesso tempo suore non ebbero la possibilità di ricevere un’adeguata formazione artistica. Un aspirante pittore o scultore cominciava generalmente il suo apprendistato in giovane età e questo comportava dover vivere per diverso tempo nella bottega del maestro. Chiaramente da questa opzione erano escluse le donne di qualsiasi estrazione sociale, a meno che non si trattasse di figlie di artisti che attraverso questa loro condizione avevano la possibilità di superare le inevitabili difficoltà sociali che comportava l’inserimento di una donna nella vita prettamente maschile della bottega. Comunque anche in quel caso la loro formazione era sempre più limitata rispetto a quella maschile. [1] Dunque non avendo la possibilità di studiare in bottega le suore si ispiravano a fonti alternative circolanti entro le comunità religiose come stampe e disegni.

Le suore artiste protagoniste di questo lavoro sono la clarissa bolognese -ferrarese Caterina Vigri, la domenicana fiorentina suor Plautilla Nelli, la domenicana lucchese suor Aurelia Fiorentini, l’orsolina romana-mantovana suor Lucrina Fetti, l’orsolina moncalvese suor Orsola Maddalena Caccia e infine la francescana veneziana suor Isabella Piccini.

 

Caterina Vigri: una suora, un’artista, una santa

Caterina Vigri nacque a Bologna nel 1413 da una famiglia nobile, trascorse una parte della sua infanzia in questa città poi si trasferì a Ferrara dove grazie a suo padre, che lavorava al servizio del marchese Niccolò III d’Este, venne introdotta in una delle corti più vivaci del XV secolo ricevendo un ottima formazione. Ma l’amore per Dio che l’aveva accompagnata sin dalla tenera età la spinse a lasciare la corte estense per entrare nel 1425 a soli 12 anni nel monastero del Corpus Domini di Ferrara, fondato nel 1413 dalla ricca e pia vedova Bernardina Sedazzari. Nel giro di pochi anni questa fanciulla dall’aspetto minutino e trasandato, ma dalla grande autorevolezza spirituale assunse un ruolo fondamentale in questo convento divenendo ben presto un punto di riferimento per la comunità ferrarese. La fama di cui godeva a Ferrara fece si che suor Caterina venisse scelta per guidare un nuovo Monastero del Corpus Domini a Bologna di cui fu subito nominata badessa, era il 1456. Caterina ritornò così nella terra in cui era nata e dove morirà nel 1463 [2] . Pur essendo considerata la prima suora pittrice della storia italiana di lei rimangono solo due opere assolutamente certe: un’immaginetta di Gesù Bambino in fasce, dipinta su carta e incollata su tavola di legno e le miniature del suo Breviario. Entrambe le opere sono conservate ˗ insieme con altre opere che le sono state attribuite ˗ nella cappella a lei dedicata nel Monastero del Corpus Domini di Bologna dove è anche esposto il suo corpo ancora oggi miracolosamente incorrotto. L’attività di Caterina come pittrice e miniatrice nei conventi di Ferrara e di Bologna è stata confermata nella biografia della santa lo Specchio d’Illuminazione scritta dalla consorella e nobile veneziana Illuminata Bembo. È proprio lei ad esempio a raccontare di come nacque la piccola immaginetta di Gesù. La notte di natale del 1445 Caterina chiese alla badessa di poter andare in chiesa per pregare tutta la notte e fu proprio lì che le apparve la Madonna che le diede in braccio il piccolo Gesù [3] . Subito dopo quella visione Caterina dipinse questa immaginetta arricchita poi dalle consorelle con stoffe e gioielli.

Il forte legame della Vigri con Gesù Bambino e con Gesù Cristo adulto è visibile anche nelle miniature del Breviario a cui la Vigri lavorò dal 1451 al 1463. Esso è composto da 518 fogli ed è articolato in diverse parti, la decorazione - in linea con i valori delle clarisse cioè semplicità e umiltà - è molto sobria, l’impaginazione è a due colonne con rubriche in latino e in italiano. Vi sono trentacinque iniziali figurate all’interno delle quali troviamo oltre ai volti di Gesù Bambino e di Gesù Cristo adulto anche i busti di alcuni santi come santa Chiara e san Francesco fondatori dell’ordine e una serie di fregi floreali molto semplici eseguiti ai margini dei fogli. Un interessante studio sul Breviario della Vigri è stato condotto dalla studiosa Kathleen Arthur, autrice di un saggio intitolato “Il Breviario di Santa Caterina da Bologna e l’arte povera” clarissa”. Il processo di canonizzazione della santa avviato a partire dal 1645 e conclusosi positivamente nel 1712, il miracoloso caso del corpo incorrotto (raccontato sempre dalla Bembo nella sua opera) e i numerosi miracoli di guarigione resero Caterina piuttosto nota e questo di conseguenza portò ad attribuirle varie opere [4] . Ma queste attribuzioni ora sono state messe in discussione.

 

Polissena Margherita Nelli: la prima suora pittrice fiorentina

Polissena Margherita Nelli nacque a Firenze nel 1524 da una famiglia di commercianti. Nel 1538 a soli 14 anni entrò nel convento domenicano di santa Caterina da Siena fondato nel 1496 dalla nobil donna Camilla Bartolini Davanzati. In questo convento, in cui assunse il nome di suor Plautilla, si trovava già sua sorella maggiore Costanza Pulissena Romola che vi era entrata l’anno prima assumendo il nome di suor Petronilla. [5] Pur non avendo ricevuto una formazione artistica in bottega nel giro di pochi anni suor Plautilla divenne una pittrice molto talentuosa tanto da essere citata e lodata dal suo contemporaneo Giorgio Vasari nella seconda edizione delle sua opera Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori insieme con altre artiste donne del passato e sue contemporanee nella biografia dedicata alla prima scultrice bolognese Properzia de Rossi. [6] È proprio tramite Vasari che veniamo a sapere che suor Plautilla si formò da autodidatta guardando alle opere di importanti artisti dell’epoca come fra Bartolomeo e Andrea del Sarto e che realizzò molte opere per committenze non solo religiose ma anche laiche, contribuendo al mantenimento economico del convento. Vasari inoltre aggiunge che se avesse potuto studiare in bottega, avrebbe fatto certamente cose meravigliose come avevano fatto i pittori uomini, i quali avevano la possibilità di disegnare e ritrarre cose vive e naturali. La clausura monastica non le consentì neanche di fare tesoro dei tanti insegnamenti artistici che solo la lettura dei libri o i viaggi consentivano di acquisire e per rappresentare i suoi personaggi maschili, dice sempre Vasari, era solita usare come modello le sue consorelle a cui poi aggiungeva barba e baffi. Chiusa in un luogo inaccessibile a tutti e in cui vi erano solo donne dal viso calmo e sereno con gli stessi abiti e con le stesse abitudini di vita la fantasia era molto limitata. Tutto questo ˗ dice Vincenzo Marchese nelle sue “Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani [7] - avrebbe dovuto indurre suor Plautilla a realizzare solo quelle composizioni semplici che non richiedevano una particolare perizia artistica come: sacre famiglie, mezze figure di santi e ritratti. Invece coraggiosamente suor Plautilla si cimentò nella realizzazione di opere piuttosto grandi e anche ricche di personaggi. Purtroppo molte delle sue opere elencate da Vasari oggi non esistono più o non sono più rintracciabili, in quanto la demolizione del convento all’inizio del 1800 ne causò la dispersione. Ad oggi di suor Plautilla rimangono solo tre opere che riportano la sua firma si tratta del Compianto con i Santi, la Pentecoste, l’Ultima Cena.

Il Compianto con i Santi oggi decora l’ampio refettorio del Museo di San Marco a Firenze ma in origine si trovava nella chiesa di S. Caterina da Siena. Per la realizzazione di questa opera suor Plautilla si rifece a diversi modelli come la Pietà di Luco di Andrea del Sarto e il Compianto sul Cristo morto di Pietro Perugino, entrambi conservati alla Galleria Palatina di Firenze. Dal primo riprese il paesaggio collinoso, dal secondo la città turrita e il volto di profilo di Maria con il capo coperto da un velo bianco. Comunque il suo principale punto di riferimento è stato senza dubbio il Compianto sul Cristo morto di fra Bartolomeo. Nel dipinto della Nelli la salma del Redentore giace distesa in primo piano a terra su un panno bianco. Intorno a lui vi sono San Giovanni inginocchiato che lo regge per le spalle, Maria Maddalena sempre in ginocchio abbracciata ai suoi piedi e la Madonna. Accanto a lei suor Plautilla ha posto due pie donne. In piedi dietro questo gruppo vi sono tre figure maschili, le due figure laterali indossano una veste gialla la figura centrale indossa un abito elegante e un dettagliato copricapo orientale. Secondo Magnolia Scudieri con tutta probabilità il personaggio centrale dovrebbe essere Nicodemo o di Giovanni di Arimatea e sempre secondo lei nel suo volto si potrebbero identificare le fattezze del patrono o benefattore della chiesa. In questo dipinto Plautilla si mosse in un terreno di esemplarità devota che approfondisce il dolore per la morte di Cristo attraverso una attenta rappresentazione degli occhi rossi e delle lacrime delle sue figure femminili, creando così un capolavoro in grado di far percepire all’osservatore l’angoscia vissuta dai presenti.

La Pentecoste è conservata nella Chiesa di San Domenico a Perugia. Stando alla Cronaca di Modesto Billiotti scritta nel 1558 il dipinto le fu commissionato dal giurista perugino Guglielmo Pontano per il suo altare. Nella Pentecoste suor Plautilla si è concentrata sui volti e sulla gestualità dei personaggi mentre la disposizione spaziale e l’anatomia delle figure è più debole. Generalmente sono gli Apostoli che insieme alla Madonna ricevevano i doni dallo Spirito Santo, invece in questo dipinto vi è un interessante elemento iconografico ovvero la presenza intorno alla Madonna di un gruppo di quattro donne fra cui Maria Maddalena. In realtà la partecipazione degli altri personaggi a questo evento sacro potrebbe derivare da un passo degli Atti degli Apostoli in cui si afferma che altre persone erano presenti alla Pentecoste e in particolare alcune donne. Nel dipinto della Nelli Maria Maddalena tiene fra le mani un vaso contenente gli oli dell’unzione, questo era un motivo favorito nei dipinti ispirati dagli insegnamenti di Savonarola. Secondo il frate domenicano infatti il vaso di Maria Maddalena manteneva caldo l’amore per Dio e lo proteggeva dai desideri terreni.

L’Ultima Cena è esposta a Firenze nel refettorio della Chiesa di Santa Maria Novella ed è una delle opere più imponenti di suor Plautilla, la quale come molti dei suoi contemporanei realizzò una visione sbalorditiva dell’ultimo pasto di Cristo catturando uno dei temi pittorici più amati nella sua città nativa. L’opera si rifà chiaramente alle precedenti composizioni della tradizione fiorentina come il Cenacolo di Leonardo da Vinci nel Refettorio di santa Maria delle Grazie a Milano, a lei noto per via delle numerose riproduzioni e incisioni che ne circolavano all’epoca o il progetto per l’Ultima Cena di Raffaello che circolava sotto forma di un incisione di Marcantonio Raimondi. Prima che il Concilio di Trento imponesse la clausura ai monasteri però suor Plautilla poté probabilmente studiare i numerosi dipinti con questo tema sparsi nella sua città. Si pensi ad esempio all’Ultima Cena di Domenico Ghirlandaio per il refettorio di San Marco, all’Ultima Cena di Andrea del Castagno per il refettorio della chiesa di Santa Apollonia o ancora all’Ultima Cena di Pietro Perugino a Foligno. Come loro anche lei ha rappresentato Giuda isolato sul lato opposto del tavolo, però a differenza di Perugino e Ghirlandaio che lo hanno rappresentato alla sinistra di Cristo, suor Plautilla lo ha rappresentato alla sua destra accanto a Pietro che pone le mani vicino al petto in segno di umiltà. La scelta di suor Plautilla di rappresentare Giuda di fronte a Pietro consentiva alle suore riunite nel refettorio di ammirare la figura di Giovanni appoggiato sul petto di Cristo. Tale episodio lo troviamo descritto nel racconto evangelico di Giovanni sulla Passione ed è rappresentato in altre, se non in tutte, le Ultima Cena eseguite a Firenze. Splendida è la tovaglia bianca di lino su cui spiccano l’agnello, il pane, le ciotole con l’insalata, il vino, l’acqua e il sale.

Come si è già detto queste sono le tre uniche opere certe di suor Plautilla anche se di recente le sono state attribuite altre opere, la Madonna e il bambino con Santa Caterina e due angeli, conservata nella Galleria Collegiata ad Empoli, la Madonna Addolorata conservata nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti, la Madonna e il Bambino della collezione Sotheby, un pannello con la Crocifissione conservato alla Certosa del Galluzzo e due lunette con San Domenico riceve il rosario e Santa Caterina in preghiera esposte nel museo di San Salvi dopo il restauro del 2008-2009 condotto da Rossella Lari. [8] Secondo una ricerca condotta da Catherine Turrill la Crocifissione e le due lunette facevano parte di un unico ciclo che fu commissionato a suor Plautilla per il convento di santa Caterina da Siena da suor Arcangela Viola intorno al 1570.

Suor Plautilla oggi è nota non solo per essere stata la prima suora pittrice di Firenze ma anche per aver dato origine, all’interno del convento di santa Caterina, ad un vero e proprio laboratorio artistico in cui - fra il XVI e il XVII - secolo furono attive molte suore e novizie che si cimentarono nella realizzazione di immagini dipinte e scolpite. Purtroppo ad oggi nessuna delle loro opere è stata rintracciata e si conoscono solo i nomi di alcune di loro le quali sono state citate o negli archivi del convento o negli scritti degli storici loro contemporanei. Si tratta di suor Prudenza Cambi, suor Agata Traballesi, suor Maria Ruggeri, suor Veronica e suor Dionisia, suor Maria Angelica Razzi e suor Alessandra del Milanese [9] . Tutte le altre sono cadute nell’oblio.

 

Isabella Fiorentini: suora e pittrice per vocazione

Le poche informazioni sulla vita e sull’attività artistica di suor Aurelia – al secolo Isabella Fiorentini – sono state fornite da Tommaso Trenta, come riporta lo storico Vincenzo Marchese nelle sue Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani del 1854.

Isabella Fiorentini nacque a Lucca nel 1595 ed era una fanciulla bella ed intelligente dunque suo padre, il dottor Andrea Fiorentini, desiderava per lei un matrimonio con un uomo di buon partito. In realtà Isabella non aveva nessuna intenzione di sposarsi, il suo desiderio era di monacarsi e dedicare tutta la sua vita al signore. Chiaramente suo padre non era d’accordo e per distoglierla da quella decisione le propose di imparare a disegnare e a dipingere, convincendola che in questo modo avrebbe potuto rendersi utile al monastero in cui sarebbe entrata. In realtà la sua speranza era che l’amore per l’arte avrebbe potuto scacciare il suo desiderio di monacarsi.  Isabella da figlia devota e ubbidiente accettò di buon grado il consiglio di suo padre e cominciò a ricopiare stampe e disegni. Sin dall’inizio si dimostrò così talentuosa che suo padre decise di porla sotto l’insegnamento di un maestro, il quale rimase stupito dallo straordinario talento della fanciulla e dalla rapidità con cui imparava. A quel punto Andrea Fiorentini pensando che questa innata abilità di sua figlia all’arte fosse dovuta alla Divina Provvidenza decise di non opporsi più al suo desiderio di monacarsi e le consentì di entrare nel monastero di San Domenico. Infatti in questo monastero la madre superiora Costanza Micheli aveva da tempo introdotto l’arte del dipingere e del modellare all’epoca comunemente chiamata “pittorìa”.

Stando a Tommaso Trenta suor Aurelia realizzò almeno diciotto dipinti in parte su tavola e in parte su tela e tre lunette con la Coronazione di spine, Gesù Cristo che cade sotto la Croce, e Gesù morto in grembo alla madre per la chiesa di san Domenico. Marchese nelle sue Memorie invece riporta un elenco, fatto dal professore Pietro Nocchi lucchese, delle opere eseguite da suor Aurelia per san Domenico, si tratta di un quadro raffigurante la Circoncisione, un quadretto con la Madonna e il bambino, una Deposizione dalla Croce, un quadro con il Beato Enrico Susone domenicano e un grande quadro d’altare raffigurante la beata Vergine Maria in trono circondata dalle sante Maria Maddalena, Lucia, Caterina e dai santi Domenico e Vincenzo. Marchese dice che ebbe modo di vedere personalmente quest’ultima opera e la apprezzò molto in quanto trovò la maniera di suor Aurelia molto simile a quella di fra Bartolomeo. Marchese la descrive così: “la Vergine Maria siede su un piedistallo posto su una gradinata, indossa un abito ricco di pieghe e un velo che le copre il capo. Sul suo grembo siede il piccolo Gesù Bambino rappresentato nudo nell’atto di benedire San Domenico che gli bacia il piedino. Il santo è posto a destra del piedistallo e la parte inferiore del suo corpo è nascosta dalla figura intera di Santa Caterina che tiene in mano la palma del martirio mentre ai suoi piedi vi è un pezzo di ruota con le punte di ferro. Sul lato sinistro simmetricamente a San Domenico c’è San Vincenzo. Anche lui è visibile solo nella parte superiore in quanto la parte inferiore del suo corpo è nascosta dalla figura intera di Santa Maria Maddalena che tiene nella mano destra il vaso con il prezioso balsamo e nella mano sinistra un libro. Ai piedi del trono nel mezzo del primo gradino vi è un angioletto che suona il liuto” [10] .

A suor Aurelia si deve anche una tavola dipinta per la cappella di famiglia in San Lazzaro di Camaiore raffigurante ancora una volta la Vergine Maria circondata dai santi. La Vergine Maria tiene seduto sul grembo il piccolo Gesù Bambino il quale porge a Santa Caterina da Siena il suo anello di sposa alla presenza dei Santi Maurizio, Vincenzo, Lucia, Lazzaro e Carlo ed è datata al 1622. Su questa tavola in realtà suor Aurelia non aveva posto il suo nome. Fu una nipote della pittrice, che ritenendo che quell’opera meritasse di essere ricordata dai posteri, nel 1729 vi fece affiggere un’iscrizione in latino per ricordare il nome e la virtuosità di questa suora pittrice.

 

Lucrina Fetti: la suora ritrattista

Giustina Fetti nacque a Roma nel 1590 da una famiglia di artisti, infatti suo padre Pietro Fetti possedeva una rinomata bottega di produzione artistica mentre suo fratello era il pittore Domenico Fetti. Dunque anche Giustina come molte altre figlie di artisti ricevette la sua prima formazione artistica in ambito familiare. Nel 1614 Giustina si trasferì a Mantova con tutta la sua famiglia in quanto il fratello Domenico era stato nominato dal duca Ferdinando Gonzaga come pittore ufficiale della sua corte. Ferdinando aveva incontrato Domenico a Roma prima di diventare duca di Mantova e ne aveva ammirato molto l’opera, così quando rinunciò al rango di cardinale per diventare signore di Mantova e Monferrato come prima cosa decise di nominarlo pittore ufficiale della corte dei Gonzaga. Ferdinando però grande appassionato di arte non notò solo il talento di Domenico, ma notò anche quello della sorella Giustina al punto tale che fu proprio lui a pagarle la dote spirituale di 150 scudi per consentirle l’ingresso nel prestigioso convento mantovano di Sant’Orsola fondato nel 1599 per volere della duchessa Margherita Gonzaga d’Este.

All’interno di questo convento Giustina ˗ che aveva assunto il nome di suor Lucrina ˗ trovò protezione ed incoraggiamento e uno sbocco per le sue capacità artistiche. Infatti si dedicò alla pittura per tutta la sua vita dipingendo non solo per il monastero di Sant’Orsola ma anche per altri monasteri della città di Mantova come ci viene riportato dal cronista suo contemporaneo Giovanni Baglione nella sua opera Le Vite de’ pittori, scultori, architetti del 1642 [11] . Come le altre suore artiste anche suor Lucrina con la sua arte contribuì in maniera determinante alle finanze del monastero che dopo la morte della duchessa stava attraversando un brutta crisi finanziaria. A lei si devono sia dipinti a soggetto religioso sia ritratti. Tra i dipinti a soggetto religioso possiamo ricordare la Deposizione di Cristo, l’Adorazione dei pastori e l’Orazione nell’orto che prima della soppressione del convento erano conservati nella chiesa interna del convento. Queste tre opere sono citate da Giovanni Cadioli nella sua opera Descrizione delle pitture, sculture e architetture, il quale apprezzava in modo particolare la Deposizione e l’Adorazione poste rispettivamente a sinistra e a destra dell’altare centrale. [12] Della prima lodò gli angioletti ritratti sulle nuvole, della seconda la singolare tenerezza con cui la Fetti rappresentò la Vergine, la nobile vivacità del bambino e la rustica semplicità dei pastori. Questi tre dipinti insieme con l’Annunciazione, la Coronazione di spine, l’Adorazione dei Magi e la Visitazione facevano parte di una serie di raffigurazioni della vita e della passione di Cristo dipinti da suor Lucrina. Tutti questi – esclusa la Deposizione – sono firmati e datati “Suor Lucrina Fetti Romana Fecit Sant’Orsola 1629” e alcuni di loro sono ancora conservati a Mantova, ad esempio l’Annunciazione e la Coronazione di spine sono conservate nell’Oratorio di san Camillo dell’ospedale civile di Mantova, l’Adorazione dei Magi e la Deposizione sono conservati all’Ospedale civile di Mantova, l’Orazione nell’orto e la Visitazione invece sono conservate in collezioni private sempre a Mantova. Sempre il Cadioli nella sua opera ci dice che nella chiesa di sant’Orsola erano custoditi altri due dipinti di Lucrina ovvero la Santa Maria Maddalena (oggi conservata nella chiesa di San Martino) e la Santa Margherita, i quali a sua detta furono però ritoccati dal fratello. Nella collezione Strinati di Roma è custodita un’altra opera di Lucrina la Santa Barbara anch’essa secondo gli studiosi ritoccata dal fratello.

Come si è già detto suor Lucrina fu anche abile ritrattista infatti a lei si devono diversi ritratti che hanno come protagoniste alcune donne della famiglia Gonzaga che per diverse ragioni trascorsero un certo periodo di tempo nel convento di Sant’Orsola. Alla sua mano vanno ricondotti due ritratti della duchessa Margherita Gonzaga, un ritratto dell’imperatrice Eleonora I Gonzaga, un ritratto di Caterina de Medici moglie di Ferdinando Gonzaga ˗ e lontana parente della più nota Caterina Medici di Francia ˗ due ritratti di Eleonora II Gonzaga e uno di Maria Gonzaga. I due ritratti della duchessa Margherita sono firmati ma non datati ma molto probabilmente furono eseguiti fra il 1614 e il 1618 e cioè nel periodo in cui le due avevano vissuto insieme in convento. In uno la duchessa è ritratta a mezza figura, nell’altro invece è ritratta a figura intera con indosso un abito a metà fra il claustrale e il principesco. Il Ritratto di Eleonora I Gonzaga invece è l’unico ad essere sia firmato che datato. Sul retro infatti vi è un’iscrizione che dice: “Suor Lucrina Fetti romana fecit in Sant’Orsola 1622”. Si tratta certamente di un ritratto nuziale visto che fu eseguito nello stesso anno in cui Eleonora andò in sposa all’imperatore Ferdinando II. Eleonora era la nipote di Margherita e aveva vissuto nel convento di Sant’Orsola dall’età di dieci anni. Di Eleonora II pronipote di Margherita suor Lucrina realizzò ˗ come si è appena detto ˗ due ritratti: uno nuziale e l’altro in veste di imperatrice che purtroppo è andato perduto. Come Eleonora I, anche Eleonora II era stata allevata ed educata all’interno del convento di Sant’Orsola fino al matrimonio con l’imperatore Ferdinando III nel 1651. Stando ad Intra furono entrambi eseguiti nel 1651. 

Il ritratto di Caterina de’ Medici fu menzionato per la prima volta nell’inventario 1786 ma era privo di attribuzione ed era erroneamente intitolato Sant’Elena Imperatrice. Il ritratto fu attribuito a suor Lucrina per la prima volta a metà del Novecento dallo storico dell’arte Ozzòla ed è ora riconosciuto come sua opera. Per spiegare questo titolo erroneo Pamela Askew ha proposto un interessante ipotesi: ha sostenuto che il quadro si intitolava in quel modo perché forse rappresentava Caterina de’ Medici Gonzaga nelle vesti di Sant’ Elena alla quale lei era molto devota. Caterina si era sposata con il duca Ferdinando nel 1617, dopo la morte del marito nel 1626 aveva vissuto nel convento di Sant’Orsola per qualche mese. è dunque probabile che fu proprio in quel periodo ˗ prima Caterina facesse ritorno a Firenze ˗ che suor Lucrina ne eseguì il ritratto.

Tutti questi ritratti oggi sono conservati nel Palazzo Ducale di Mantova ad eccezione di quello di Maria ˗ di cui non si hanno informazioni ˗ e di quello di Eleonora II in veste di imperatrice che sono andati entrambi perduti.

Nel realizzare i suoi ritratti la pittrice si rifece alle regole che vigevano all’epoca: sfondo formale ed elegante, postura dei soggetti a tre quarti, abiti sfarzosi e dettagliati, gioielli preziosi e soprattutto espressioni realistiche che però non dovevano implicare un approfondimento psicologico. 

 

Orsola Maddalena Caccia: la suora pittrice di Moncalvo

Teodora Caccia nacque a Moncalvo nel 1596 ed era la figlia del celebre pittore Guglielmo Caccia meglio noto come il Moncalvo e nipote del pittore Ambrogio Oliva. Cominciò l’apprendistato nella bottega paterna nel 1611 collaborando solo in maniera marginale alle sue opere, eseguiva infatti solo piccoli dettagli secondari. La collaborazione vera e propria ebbe inizio nel 1615 e proseguì fino al 1620 cioè fino alla sua entrata nel convento delle monache orsoline di Bianzè dove assunse il nome di suor Orsola. Suor Orsola rimase in questo convento fino al 1625. Infatti in quello stesso anno fece ritorno a Moncalvo dove suo padre Guglielmo aveva finanziato la costruzione di un convento per ospitare lei e le altre sue figlie anche loro monache orsoline sempre nel convento di Bianzè. [13] Guglielmo era molto malato e ormai prossimo alla morte e voleva che tutte loro stessero vicino a lui in quel momento e soprattutto voleva che Orsola Maddalena e sua sorella Francesca, anch’essa pittrice, assumessero la guida della sua bottega dopo la sua morte. Infatti nel suo ultimo testamento redatto l’8 novembre del 1625, cinque giorni prima di morire, Orsola e Francesca vennero nominate usufruttuarie di tutto il suo materiale da lavoro: tele, bozzetti, disegni, colori e tutti gli strumenti per dipingere e che loro avrebbero potuto usare fino alla loro morte. Dopo di che tutto sarebbe tornato nelle mani dell’unico erede universale suo figlio Gerolamo e la sua famiglia. Fu solo dopo la morte di Guglielmo che Orsola, pur mantenendosi fedele allo stile paterno, cominciò ad acquisire una propria autonomia stilistica realizzando tantissime opere per committenze reali come i Savoia, per famiglie nobili come i Natta e per diversi ordini religiosi come i francescani.

Una delle prime opere che Orsola eseguì dopo la morte del padre è stato il San Luca nello studio, proveniente dalla sacrestia della chiesa di san Francesco a Moncalvo, il santo infatti sembra essere un ritratto-omaggio a lui. L’opera inoltre mostra vari oggetti legati alla famiglia Caccia quali: i libri dotti della collezione di famiglia utili per trarre ispirazione e il dipinto della Madonna col Bambino che tante volte Orsola Maddalena e sua sorella Francesca avrebbero riprodotto. San Luca è rappresentato mentre ˗ osservato da un cardellino con il petto rosso ˗ sta scolpendo una scultura. Tutto intorno sparse nello studio vi sono rose bianche e rosa pallido. Questi elementi di natura morta da ora in avanti si ritroveranno spesso nei margini delle sue composizione come segno distintivo e quasi a mò di firma, oltre che diventare soggetti autonomi di splendide nature morte. Un altro elemento caratteristico di Orsola presente in alcuni dei suoi dipinti era la cura per il dettaglio e la raffinata esecuzione degli abiti dei suoi soggetti femminili, tra i vari esempi si possono citare la Nascita del Battista oppure Santa Margherita. 

La Nascita del Battista è collocata sull’omonimo altare nella chiesa del monastero di Sant’Orsola di Moncalvo. La scena ˗ ambientata nella camera da letto di Elisabetta ˗ è affollata da un tripudio di donne che indossano vesti ricchissime i cui ori e pizzi sono stati resi con abilità di pennello. Nella parte alta della composizione da un lato vi è un ampio letto a baldacchino su cui Elisabetta adagiata riceve le prime cure dopo il parto, dall’altro lato un po’ più indietro si vedono invece due uomini e Zaccaria che stanno discutendo sul nome da dare al bambino. Su di loro fra uno squarcio di nuvola si intravede un angioletto con un cartiglio su cui è riportata una scritta relativa a San Giovannino, il quale è rappresentato in primo piano in braccio ad una donna che lo porge alla Vergine Maria che sta preparando le fasce in cui avvolgerlo. La composizione è raffinata e ricca di minuziosi dettagli come gli oramai immancabili esempi di natura morta.

Il dipinto di Santa Margherita è conservato nel Santuario di Crea e mostra la santa in primo piano la quale appare onirica e virtuosistica e sembra fare quasi un passo di danza. La sua straordinaria grazia è arricchita ulteriormente da alcuni dettagli del vestiario infatti indossa una ricca zimarra ornata di cuciture di gigli d’oro. Dietro di lei avvolta da uno squarcio di luce dorata si vede una grossa croce su cui si poggia la colomba dello Spirito Santo invece dall’altro lato vi è un grosso drago che simboleggia il demonio. Il drago è rappresentato in una forma un po’ bizzarra: le narici sono fumanti tutto intorno è avvolto di serpi e la lingua fuoriesce dalle rosse fauci spalancate che fanno spiccare le zanne nere. Con i suoi poderosi artigli afferra la fanciulla di spalle che però lo allontana con la mano volgendo lo sguardo verso la grande croce.

Sono numerosissime le opere eseguite da Orsola nel corso della sua carriera ma sono molto poche quelle datate e firmate una di esse è Matrimonio mistico della Beata Osanna Andreasi datato al 1648. Il Matrimonio mistico della Beata Osanna Andreasi fu commissionato dal vescovo di Casale Monferrato, Scipione Agnelli. L’opera è oggi conservata nel Museo Diocesano Francesco Gonzaga di Mantova anche se un tempo si trovava nella chiesa dell’Immacolata Concezione di Carbonarola. In questa elegante pala ˗ danneggiata nella parte inferiore durante un’alluvione e poi restaurata sotto la direzione di Augusto Morari presso la Scuola Laboratorio di Restauro degli Istituti Santa Paola di Mantova ˗ ritroviamo altri elementi di natura morta come la splendida cascata di fiori variopinti che va ad impreziosire la scena coronata da putti musicanti. Questo dipinto sembra essere una sorta di “testamento pittorico” dove l’artista ha voluto dar sfoggio delle sue abilità comprese quelle paesaggistiche con la veduta del borgo ˗ probabilmente riferibile a quello di Carbonarola ˗ che era il luogo in cui l’opera si trovava in origine. Suor Orsola Maddalena Caccia è anche molto nota per le sue nature morte. Oltre a ritrovarle come elementi decorativi nei suoi quadri a soggetto religioso le ritroviamo anche come soggetti autonomi in circa una decina di suoi quadri. Si tratta prevalentemente di nature morte floreali belle e toccanti e dagli accostamenti cromatici sorprendenti a cui spesso aggiunge degli animali come gli uccellini. Le sue nature morte non rivestivano solo un carattere decorativo, infatti come ci dice lo storico Alberto Cottino, oggi non ci sono più dubbi sul fatto che esse fossero create appositamente come metafore sacre portatrici di precisi significati simbolici. Nelle sue nature morte floreali, dunque Orsola Maddalena raccontava tutta la sua devozione religiosa attraverso il simbolismo dei fiori. In Italia questa sua produzione rappresentava un unicum nel suo genere in quanto qui la natura morta era considerata semplicemente un decoro naturalistico o un simbolo della caducità terrena. Con questo genere Orsola Maddalena trovò una sua autonomia artistica in quanto tale iconografia era assolutamente estranea a suo padre Guglielmo. Tra di esse ricordiamo i tre vasi di fiori del Municipio di Moncalvo ˗ scoperti nel 1964 ed eredità del vecchio convento delle Orsoline ˗ una Natura morta con melone conservata a Firenze e quattro tele di collezione privata. Le tre nature morte del Municipio di Moncalvo, di dimensioni contenute e formato verticale, raffigurano eleganti vasi cesellati di foggia manierista dove si notano bizzarri profili antropomorfi e animaleschi. Di sorprendente bellezza sono poi altre due tavole la cui attribuzione ad Orsola Maddalena Caccia è una questione ancora piuttosto problematica per gli studiosi. [14] Si tratta della piccola tavola con il Cardellino con ciliegie e pere, conservata nel museo civico di Ala Punzona a Cremona, in cui ancora una volta troviamo elementi legati Gesù Cristo, e dell’Alzatina in ceramica con frutta e pernice rossa conservata in una collezione privata e che è stata attribuita alla pittrice da Franco Moro. In quest’ultima opera la pittrice denota una straordinaria attenzione naturalistica senza però dimenticare l’elemento simbolico e naturalistico del genere cioè il rimando alla Vanitas. Il piano di appoggio e l’alzata mostrano una marcata verticalità che è una caratteristica peculiare dell’artista a cui poi si vanno a combinare elementi che poi rimandano direttamente alla modalità caravaggesca. Anche in questa natura morta ritroviamo riferimenti marcatamente cristologici, infatti la pernice rossa rappresenta Gesù che beccando un frutto sconfigge il peccato originale. I restanti frutti: le prugne e i fichi alludono invece al Sacrificio e alla Passione di Cristo. Non ci sono dubbi sul fatto che nelle sue nature morte Orsola Maddalena infuse una sua particolare visione, trasformandole “in vere e proprie pagine di Sacre Scritture”.

 

Isabella Piccini: la suora che incideva

Elisabetta Piccini nacque a Venezia nel 1644, suo padre Giacomo Piccini – detto Zoan – era un noto incisore e insieme con il fratello Guglielmo possedeva una rinomata bottega di incisione a Venezia in cui riproducevano i quadri di artisti come Rubens e Tiziano oltre che realizzare illustrazioni per tipografi ed editori. Dunque sin da bambina Elisabetta fu circondata da lastre, bulini, inchiostri e libri illustrati e sotto la guida di suo padre imparò ad incidere in maniera profonda le lastre di rame. L’incisione profonda delle lastre di rame consentiva di poter trarre un maggior numero di copie e questa era una cosa molto apprezzata dagli editori. Purtroppo nel 1660 quando Elisabetta aveva solo sedici anni perse suo padre ma grazie a lui aveva imparato un mestiere che a soli 19 anni le consentì di diventare imprenditrice di se stessa. Il 20 novembre 1663, infatti presentò al Doge una domanda in cui gli chiedeva di poter far stampare pubblicamente dei disegni che lei aveva realizzato nei tre anni successivi alla morte del padre e che aveva inciso mettendo in pratiche le regole che lui le aveva insegnato.  Elisabetta sperava che dalla pubblicazione di queste stampe non solo avrebbe potuto guadagnare qualcosa ma avrebbe potuto onorare la memoria di suo padre che era stato incisore molto apprezzato. Il 1 dicembre 1663 il senato le accordò il privilegio che aveva richiesto.   

Elisabetta era brava e le sue incisioni erano molto richieste ma purtroppo erano pagate poco, dunque per esercitare questa sua passione ad Elisabetta ˗ che era una fanciulla non abbiente ˗ non restò altro che entrare in convento.

Nel 1666 a ventidue anni entrò nel convento francescano di Santa Croce a Venezia assumendo il nome di suor Isabella. Fu proprio fra quelle mura che costruì la sua fortuna artistica portando avanti una lunga, intensa e feconda attività. Suor Isabella infatti morì novantenne e continuò ad incidere quasi fino alla fine della sua vita, dunque nel corso della sua lunga attività incise soggetti di vario genere. Essendo una suora chiaramente la maggior parte di essi erano religiosi ed erano impiegati per Breviari, Messali, Vite dei Santi e Libri di disciplina ascetica. A lei comunque si devono anche ritratti incisi di duchi e granduchi, procuratori e condottieri oltre che stampe divulgative di genere profano, soggetti allegorici ed illustrazioni di manuali. Tra le sue tante incisioni, ricordiamo i ritratti incisi di tre donne importanti: il ritratto della contessa Eleonora Luigia, il ritratto della duchessa Aurelia Spinola e il ritratto di Elena Piscopia Cornaro.

Il ritratto inciso di Eleonora Luigia ˗ contessa di Sinzerdorf ˗ lo ritroviamo nell’antiporta delle sue Memorie illustri e divote che fu pubblicato da Bernardo Lodoli con il titolo di Raggi della divina grazia nel 1703 ˗ 04. La contessa è raffigurata con tono magniloquente è infatti ornata con tutti gli attributi della condizione aristocratica a cui apparteneva, come a voler dare l’addio definitivo a quel mondo aristocratico pieno di agi e di onori a cui era stata disposta a rinunciare per la sua fede. La contessa infatti decise di monacarsi entrando nel convento delle cappuccine di Santa Maria del Pianto a Venezia dove assunse il nome di suor Maria Eletta Antonia. Per questo modello così altolocato, la Piccini si rifece al raffinato stile della sua conterranea Rosalba Carriera. 

Il ritratto inciso di Aurelia Spinola ˗ duchessa di Valentinois ˗ decora l’antiporta dell’Heroina Intrepida, biografia romanzata che Francesco Fulvio Frugoni dedicò a questa nobil donna che aveva condizionato la sua vita. Fu lo stesso Frugoni a commissionare a suor Isabella l’incisione ma mentre la sua descrizione è più ridondante, il ritratto inciso di suor Isabella è più incisivo e chiaro. Nonostante tutto il Frugoni si complimentò con lei per la sua bravura.

Il ritratto inciso di Elena Piscopia Cornaro ˗ prima donna italiana laureata ˗ è andato ad illustrare una delle tante biografie dedicate a questa donna. Anche in questo caso il ritratto inciso fatto dalla Piccini appare realistico ed incisivo.

A suor Isabella si deve anche il Ritratto inciso di Robert Boyle che compare sull’antiporta dell’opera, Nova experimenta physicomechanica de vi aeris elastica et ejusdem effectibus, facta maxima partem in nova machina pneumatica, inclusa nella versione latina delle opere di Boyle pubblicata in Italia nel 1697. Il soggetto è inserito in un ovale contornato da rami d’alloro con bacche trattenuti da nastri annodati. L’ovale poggia su un piedistallo con la scritta “Robertvs Boyle Nobilis Anglvs” e la firma “Suor Isabella Piccini Sculp.” Il confronto con altre incisioni rivela che Suor Isabella aveva riprodotto quella di François Diodati che appare sul frontespizio dell’Opera Varia di Boyle pubblicata a Ginevra nel 1680. A sua volta lo stesso Diodati˗ celebre incisore svizzero ˗ si era ispirato a quella di William Faithorne autore anche di un disegno su pergamena che ritrae Boyle all’età di 35 anni.

Tra le tante incisioni a soggetto religioso che la Piccini eseguì si possono ricordare un ritratto inciso di Santa Teresa d’Avila e un’incisione raffigurante Santa Barbara. Il ritratto inciso di Teresa d’Avila, suor Isabella lo realizzò per il frontespizio dell’edizione seicentesca dell’opera  della santa. Avvisi Spirituali della Gloriosa madre Santa Teresa di Gesù. L’incisione è piuttosto semplice, la santa è infatti seduta alla scrivania intenta a scrivere uno dei suoi libri.

Ben più articolata è l’incisione con Santa Barbara. La Santa ˗ che dal XV secolo divenne protettrice degli artiglieri ˗ è rappresentata con un libro e spada in mano mentre dall'alto un angelo scende a incoronarla. Sullo sfondo si vede la torre nella quale ˗ secondo la tradizione ˗ la Santa sarebbe stata rinchiusa per punizione dal padre poiché convertitasi alla religione cristiana. Ai suoi piedi è posto un cannone che forse allude al fragore che accompagnò il fulmine dal quale il padre della Santa venne bruciato colpevole di aver fatto decapitare la figlia. Le spoglie di Barbara, vissuta nel III o nel IV secolo d.C. vennero portate dall'Egitto a Costantinopoli e infine a Venezia nel XI secolo. Se la figura della Santa è abbastanza convenzionale e non è priva di qualche incertezza di maggiore interesse è il ricco fregio che incornicia la scena e che deriva quanto a tipologia dai manoscritti miniati rinascimentali italiani: in esso figurano entro medaglioni, il leone di Venezia, alcune città e una scena di assalto a una fortezza non identificabile.

Anche suor Isabella con le sue numerose incisioni contribuì al mantenimento del convento a cui stando al Moschini elargiva ben 200 ducati annui. 

 

Conclusione

Ci sono voluti secoli prima che alcune di queste straordinarie suore pittrice uscissero dall’oblio in cui erano state relegate ad esempio suor Plautilla deve la sua rivalutazione alla scrittrice e filantropa americana Jane Fortune la quale ha dedicato a lei e alle tante figure dimenticate, ma indimenticabili, il famoso libro Invisible Women in cui ha trattato anche di altre pittrici. Alla Fortune si deve anche il merito di aver fondato l’AWA una fondazione senza scopo di lucro il cui obbiettivo è quello di finanziare progetti che includono: restauro, conservazione e mantenimento delle opere create da artiste donne fra cui naturalmente quelle di suor Plautilla. 

Orsola Maddalena Caccia invece di recente è stata protagonista di tre interessanti mostre. La più importante è stata quella tenutasi nel Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo intitolata “Orsola Maddalena Caccia. Storia singolare di una monaca pittrice” che l’ha vista protagonista con ben oltre settanta delle sue opere allo scopo di ricostruire attraverso di loro il suo percorso cronologico: dalle prime prove di natura prevalentemente religiosa eseguite al fianco del padre fino ad arrivare alle riuscite rivisitazioni della sua produzione più tarda, comprese imponenti pale d’altare di straordinaria bellezza. Al Museo Accorsi di Torino invece si è tenuta la mostra intitolata Il Genio e la Grazia. La donna nella pittura italiana del Sei e Settecento in cui accanto alle opere di artisti come Reni e Guercino sono state esposte anche le opere di ventitré pittrici fra cui per l’appunto due nature morte di Orsola. Ma la sua fama si è spinta anche oltre i confini europei con la mostra Picturing Mary: Woman, Mother, Idea tenutasi nelle sale del National museum of Women in Arts di Washington in cui è stato esposto il suo splendido San Luca nello studio. Portando avanti lo studio, il restauro e l’esposizione delle opere di queste suore pittrici e delle artiste donne in generale si potrà continuare ad arricchire il già ricco patrimonio artistico e culturale italiano.







NOTE

[1] C. Lollobrigida, Di mano donnesca. Donne artiste dal XVI al XX secolo, Roma, Andreina e Valneo Budai Editori s.r.l., 2012, p. 5.

[2] Per la storia completa della vita di Caterina Vigri e la nascita dei conventi di Ferrara e Bologna, si veda Giovambattista  Melloni, “Atti o Memorie di Santa Caterina da Bologna”, in Atti e Memorie degli Uomini Illustri in Santità nati o morti in Bologna, Bologna, Tipografia di Giuseppe Lucchesini, 1818, pp. 180 – 380.

[3] L’episodio della visione della notte di natale è divenuto in seguito un tema consolidato nel repertorio iconografico di Caterina. Furono infatti diversi gli artisti che ritrassero quel momento. Irene Graziani, “L’iconografia di Caterina Vigri: dalla clausura alla città”, in Vita artistica nel monastero femminile. Exempla, a cura di V. Fortunati, Bologna, Editrice Compositori, 2002, pp. 234- 236.

[4] Per una lettura completa dei miracoli e delle grazie di Santa Caterina si veda G.POMATA “Medicina delle monache. Pratiche terapeutiche nei monasteri femminili di Bologna”, in I Monasteri femminili come centri di cultura fra Rinascimento e Barocco, Roma, Edizione di storia e Letteratura, 2005, pp. 344–349. Si veda anche: G. MELLONI, “Atti o Memorie di Santa Caterina da Bologna”, in Atti e Memorie degli Uomini Illustri in Santità nati o morti in Bologna, Bologna, Tipografia di Giuseppe Lucchesini, 1818, pp. 343 – 363.

[5] Suor Petronilla è nota per aver scritto una biografia su Girolamo Savonarola, rimasta però manoscritta e conservata presso a Firenze presso il signor Pietro Bigazzi. Tale biografia è stata in parte usata da padre Serafino Razzi per realizzarne una simile. V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, Firenze, Felice le Monnier, 1854, capitolo decimo quinto, pp. 343-344.

[6] G.Vasari.Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Edizione Giuntina, 1568, p. 404.

[7] V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, Firenze, Felice le Monnier, 1854, capitolo decimo quinto, pp. 347-348.

[8] Per la storia del restauro delle lunette si veda Rossella Lari, La fortuna del San Salvi. Recupero ed Esposizione”, in Invisible women. Forgotten Artists of Florence, a cura di J. Fortune, Prato, The Florentine Press, 2010, pp. 180-182. Per la storia completa del restauro della Deposizione si veda Rossella Lari and Magnolia Scudieri, “The Restoration report of Plautilla Nelli’s Lamentation”, in Plautilla Nelli (1524 – 1588) the painter – prioress of Rinaissance Florence, Edited by Jonathan K. Nelson, Firenze, La Marina Editori, 2008, pp. 66-71.  

[9] Per la storia completa delle sue discepole si veda Catherine Turrill, “Nuns’ stories: Plautilla Nelli, madre pittora, and her compagne, in the convent of Santa Caterina da Siena”, in Plautilla Nelli (1524–1588) the painter - prioress of  Rinaissance Florence”, Edited by Jonathan K. Nelson, Firenze, La Marina Editori, 2008, pp. 14-19.

[10] Vincenzo Marchese, “Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani”, Firenze, Felice le Monnier, 1854, capitolo decimo quinto, pp. 272-273.

[11] G. Baglione, Vita di Ludovico Civoli, pittore in Le Vite de pittori scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma Stamperia di Andrea Fei, 1642, p. 155.

[12] G. Cadioli. Vita di Ludovico Civoli, pittore in Sant’Orsola, Chiesa, e convento delle monache francescane, dette le Orsoline, in Descrizione delle pitture, sculture e architetture, Mantova 1763, pp. 71-76.

[13] Il monastero sopravvisse fino al 1802 cioè fino a quando non fu soppresso per decreto napoleonico. A. GHIRARDI. “Dipingere in lode del Cielo: suor Orsola Maddalena Caccia e la vocazione artistica delle orsoline di Moncalvo”, in Vita artistica nel monastero femminile. Exempla, a cura di V. Fortunati, Bologna, Editrice Compositori, 2002, pp. 116.

[14] Ibidem, p.119.





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Catherine Turrill, “Nuns’ stories: Plautilla Nelli, madre pittora, and her compagne, in the convent of Santa Caterina da Siena”, in Plautilla Nelli (1524–1588) the painter - prioress of Rinaissance Florence”, Edited by Jonathan K. Nelson, Firenze, La Marina Editori, 2008, pp. 9-19. 

 

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Vasari 1568

Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Edizione Giuntina, 1568.








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Fig. 1
Santa Caterina Vigri, Gesù Bambino
carta dipinta applicata su tavola, 1440-1450,
Bologna, Monastero del Corpus Domini, Cappella della Santa.

Fig. 2
Santa Caterina Vigri, iniziale F volto di Cristo, iniziale V volto di Gesù Bambino
breviario 1452 f. 10r, mm 147 x 107,
Bologna, Monastero del Corpus Domini, Cappella della Santa.

Fig. 3
Suor Plautilla Nelli, Compianto con i Santi
Firenze, Refettorio del Museo di San Marco.

Fig. 4
Suor Plautilla Nelli, Pentecoste
Perugia, Chiesa di San Domenico.

Fig. 5
Suor Plautilla Nelli, Ultima Cena
Firenze, Refettorio della chiesa di Santa Maria Novella.

Fig. 6
Suor Plautilla Nelli, San Domenico riceve il rosario
1570 circa,
Firenze, Museo di San Salvi.

Fig. 7
Suor Plautilla Nelli, Santa Caterina in preghiera
1570 circa,
Firenze, Museo di San Salvi.

Fig. 8
Suor Lucrina Fetti, Ritratto di Eleonora I Gonzaga
1622, olio su tela,
Mantova, Museo di Palazzo Ducale.

Fig. 9
Suor Lucrina Fetti, Ritratto di Margherita Gonzaga
1614 - 1618,
Mantova, Museo di Palazzo Ducale.

Fig. 10
Suor Orsola Maddalena Caccia, San Luca nello studio
1625 circa, olio su tela, cm 276 x 190,
Moncalvo, Asti, Parrocchia Sant'Antonio di Padova.

Fig. 11
Suor Orsola Maddalena Caccia, La nascita di San Giovanni Battista
1635 - 1640 circa,
Moncalvo, Chiesa del monastero di Sant'Orsola.

Fig. 12
Suor Orsola Maddalena Caccia, Santa Margherita
Santuario di Crea.

Fig. 13
Suor Orsola Maddalena Caccia, Il matrimonio mistico della beata Osanna Andreasi
1648,
Mantova, Museo Diocesano Francesco Gonzaga.

Fig. 14
Suor Orsola Maddalena Caccia, Alzatina in ceramica con frutta e pernice rossa
olio su tela, cm 41,5 x 51,5,
Moncalvo, collezione privata.

Fig. 15
Suor Isabella Piccini, Santa Barbara vergine e martire
rame inciso a bulino e ad acquaforte, mm 317 x 480,
Milano, Civica Raccolta delle Stampe " Achille Bertarelli".


Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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