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Il CIAC: Centro di Arte Contemporanea di Foligno

 

Alessandra Bertuzzi
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 29 Marzo 2014, n. 710
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Area Musei

PREMESSE PER LA COSTRUZIONE DEL MUSEO 

«Il CIAC nasce da un’esigenza di documentare l’arte contemporanea in questa città che ha una sua piccola, ma molto significativa e penetrante, tradizione del NUOVO».

Con queste parole Italo Tomassoni [1] , curatore dello spazio espositivo del Centro di Arte Contemporanea (CIAC) di Foligno, ha aperto il nostro colloquio sul nuovo e importante complesso museale di Arte Contemporanea del centro Italia.

Come spiega Tomassoni, infatti, la gestazione per avere un vero e proprio centro dedicato all’arte nella città di Foligno è stata lunga e comincia nel 1967 quando, con il titolo Lo spazio dell’immagine si aprì la mostra che ispirò apertamente  la Biennale di Venezia del 1968, in quanto rivoluzionò, da quel momento, tutto ciò che era la concezione dell’arte staccando i quadri dalle pareti per metterli in un contesto spaziale.

Purtroppo la mostra passò quasi inosservata dalla città di Foligno, ancora priva di una coscienza culturale in grado di apprezzare quelle cose così innovative.

La seconda occasione per instaurare una “tradizione del Nuovo” e anche un certo modesto protagonismo per la città arrivò con la mostra inaugurata nel 1982 a cura di Tomassoni e di Maurizio Calvesi: Il Tempo dell’Immagine. Venne, così, rovesciato il paradigma dello spazio in quello del tempo, in un momento nel quale si stavano rivalutando e riproponendo delle istanze figurative e narrative che andavano, in qualche modo, di contrario avviso rispetto all’andamento generale dell’avanguardia spinta, creando così, secondo Tomassoni: «una ripresa della figurazione, una ripresa del racconto, una citazione della storia dell’arte, un ripensamento della funzione del museo e della funzione della figurazione nella storia dell’arte». Tutti questi fermenti culturali si riassunsero nella mostra Il Tempo dell’Immagine, che vide molti illustri visitatori, a partire da Giulio Carlo Argan, che ne scrisse al riguardo.

Se possiamo affermare che questa fosse la situazione di partenza per la creazione di un centro catalizzatore di arte contemporanea, non bisogna tralasciare il ruolo di quel sistema di persone interessate all’arte, di collezionisti, di frequentazioni che in questa città erano latenti e che forse aspettavano il momento per trovare una loro manifestazione materiale.

«Quando la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno ritenne di affidare la propria storia ad un’iniziativa che non fosse transeunte, ma segnasse qualcosa che rimanesse nella storia della città, e forse anche nella Storia dell’Arte, si pensò di creare un Centro di Arte Contemporanea».

Questo Centro ha avuto una lunga gestazione anche sul piano concettuale per riuscire a capire che cosa si sarebbe voluto fare. Finalmente si è capito che ci si doveva muovere nella direzione per fare entrare questa città in quello che veniva definito, e che tutt’ora può definirsi, Sistema dell’Arte.

«Questo abbiamo fatto attraverso una prima mostra inaugurale che sostanzialmente ricordò  doverosamente le due mostre di cui abbiamo parlato prima, arricchendole con la situazione che si era nel frattempo creata in Italia e in Europa e, successivamente, anche attraverso una serie di mostre di importanti artisti e di importanti eventi che portavano a inserire, gradualmente e inesorabilmente, questa città in un contesto di Sistema dell’Arte Contemporanea».

Questo sistema è stato, oltretutto, molto reputato, perché ha promosso mostre di grande importanza: quella di Vincenzo Agnetti (Milano 1926- Milano 1981), di Giuseppe Uncini (Fabriano 1929 – Trevi 2008) e poi su tutto, naturalmente, l’ombra immanente di Gino De Dominicis (Ancona 1947- Roma 1998), che è non soltanto un artista che aveva un rapporto molto forte con questa città (come spiega Tommassoni, dati anche gli stretti rapporti personali con lui), ma che sostanzialmente ha visto in questo luogo il crearsi dell’Associazione Gino de Dominicis, nata proprio per divulgare la sua opera e tutelarla dalle molte falsificazioni che tutt’ora imperversano in Italia.

Per quanto riguarda De Dominicis, e nel quadro dei programmi del CIAC, fu immediatamente immaginato di poter trovare una collocazione al suo capolavoro Calamita cosmica che, nel frattempo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno era riuscita ad acquisire, rivendicandolo da un malinteso diritto del Museo Capodimonte di Napoli.

Così, continua a spiegare Tomassoni, sempre nel quadro dei programmi del Contemporaneo, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno ha, insieme con il Comune di Foligno, realizzato una Joint venture, in base alla quale la Chiesa dell’Annunziata, gioiello architettonico in via di demolizione, è stato rimesso completamente a nuovo. Riproposta  la struttura con una soluzione architettonica impeccabile dal punto di vista della conservazione e del restauro, è stato posizionato in questa chiesa il capolavoro di De Dominicis, che sta li come in una sorta di funzione destinale. L’opera è infatti lunga 24 metri rispetto ai 26 totali della chiesa, e il coccige dello scheletro tocca il pieno centro del pavimento dal quale si diramano le decorazioni. «È entrata con quella grande testa dentro la porta del principale ingresso della chiesa, con 2 cm di gioco a sinistra e a destra e, fatto non secondario, il notaio che fece l’atto pubblico alle monache clarisse quando acquistarono questa chiesa, si chiamava De Dominicis!” Questo, afferma il Professore, «l’abbiamo saputo dopo, ma ovviamente è stato un segno del destino, soprattutto per un artista così singolare com’è stato Gino De Dominicis !».

Questo capolavoro è stato poi esposto a Milano, sul sagrato di Piazza del Duomo, a Parigi nella reggia di Versailles, ad Ancona (per dovere nei confronti della città natale di questo grande artista), nella Mole Vanvitelliana, al Grand Hornu di Bruxelles, tutti luoghi compatibili con la grandezza dell’opera e che hanno riportato importanti successi di carattere internazionale, facendo della città di Foligno un crocevia di eventi abbastanza curiosi e sostanzialmente molto interessanti.

Una volta creata la personalità del museo, bisognava certamente affacciarsi in una dimensione più internazionale. Questo è stato possibile grazie alle varie mostre che si sono susseguite nel CIAC, a partire da quella su Carlo Maria Mariani che ha esposto opere solamente prodotte a New York negli ultimi dieci anni, quella di Chiara Dynys, di Giuseppe Gallo, di Julian Schnabel e del fotografo statunitense Edward Weston, che hanno avuto un grandissimo successo.

La mostra, attualmente in corso al CIAC, su Luciano Fabro conclude in qualche modo questa volontà di inserimento in una situazione di “cultura di sistema” e si prepara ad affrontare la seconda fase dell’Arte: il progetto culturale che sta dietro al museo, che è quello di aprirsi ad una dimensione internazionale e di illustrare le grandi situazioni della contemporaneità, cioè i grandi temi contemporanei che possono essere l’ambiente, la fame, la politica, le banche, l’economia, ovvero qualcosa che contribuisca a dare un’identità al museo che già se la sta guadagnando sul campo.

Afferma Tomassoni «per questo abbiamo stretto un rapporto molto forte, di carattere internazionale, con il Palais de Tokio di Parigi. Il presidente del Palais de Tokyo di Parigi, il grande Loisy, è venuto qui a Foligno, proprio in questo studio e ci siamo riuniti insieme alla commissione scientifica per programmare e riesaminare una serie di progetti che saranno attuati a partire dal 2015.

Noi già avevamo un rapporto molto stretto con i principali direttori dei musei di tutta Europa, perché della nostra commissione scientifica fa parte anche Laurent Le Bon, che è attualmente il conservatore del Beaubourg di Metz, ma che precedentemente era stato uno dei curatori del Beaubourg di Parigi. Nel nostro comitato c’è anche Bruno Corà, che è stato direttore dei Musei di Lugano e del Pecci di Prato; fa parte del comitato scientifico Anna Mattirolo, direttrice del MAXXI di Roma e adesso è entrato nel comitato anche Jean de Loisy, presidente del Palais De Tokyo.

La situazione è in evoluzione: i progetti del CIAC nell’immediatezza sono, dopo quella di Fabro, una mostra omaggio al territorio che lo ospita, del quale il centro è espressione, per una sorta di ricognizione Umbria, o ricognizione Umbra, che vorrà documentare le ricerche di artisti viventi, operanti nel territorio, anche se non necessariamente umbri» .

È stato già varato il programma per il 2015 che vedrà realizzata anche la prima mostra in collaborazione con il Palais De Tokyo.

 

FUNZIONALITA’ DEL MUSEO

Alcune note sulla costruzione del CIAC

L’idea di progettare finalmente il museo nasce addirittura alla fine degli anni Novanta, ma solamente nel Novembre del 2009 sarà inaugurato il Centro di Arte Contemporanea di Foligno.

Il museo viene in questi anni costruito con l’idea architettonica di un grande artista italiano, Getulio Alviani (Udine 1939-), che ha una lunga storia alle sue spalle, anche in riferimento a questa città per le sue frequentazioni costanti e per il contributo dato a questo museo.

Come spiega Tomassoni, sembrava in un primo momento, che si dovesse creare questo museo per ospitare stabilmente la sua grandissima collezione, cosa che poi non è stata possibile per difficoltà di natura logistica, perché Alviani abita a Milano e, naturalmente, «un museo non si costruisce con i fax o con le email».

Ci sono poi state delle divergenze di natura non architettonica strutturale, ma estetica, perché Alviani avrebbe voluto che il museo fosse tutto bianco, cioè costruito con marmo di Carrara, cosa non accettabile per la difficoltà di amalgamarsi con il contesto, cosa invece molto più possibile grazie all’acciaio Corten. Questo ha fatto si che la collaborazione con Getulio Alviani si riducesse e si rendesse necessario incaricare un architetto del posto che, da questa idea iniziale di cubo senza finestre con la luce che proviene dall’alto, seguisse materialmente il progetto.

L’architetto Giancarlo Partenzi (operante a Foligno) ha, così, materialmente realizzato in tutti i dettagli questo museo, che ha una serie di accorgimenti di natura tecnologica assolutamente d’avanguardia e attuali: sia per quanto riguarda l’illuminazione, sia per quanto riguarda la praticabilità (come l’ascensore per i disabili).

Il complesso architettonico è costituito da un parallelepipedo rivestito in Corten, privo di finestre, che si sviluppa su tre piani prendendo luce da un lucernario centrale posto su pilastri che scandiscono la volumetria degli interni.

Ma la cosa più importante per il museo, secondo quanto ci riporta Tomassoni, è l’idea di avere uno spazio che ha un rispetto formidabile per le opere che contiene e «posso dire e garantire, con la massima onestà intellettuale, non c’è stata una mostra che abbia accusato la difficoltà di essere collegata con il museo !».

Continua Tomassoni «Le dico questo perché, quando abbiamo organizzato la grande mostra retrospettiva di Gino De Dominicis, con la quale si è inaugurato il MAXXI, io e Achille Bonito Oliva abbiamo sofferto veramente delle pene notevoli per poter rapportare le opere con la struttura del museo, che è un problema attuale e purtroppo ancora vivente. Il MAXXI è un museo che io trovo straordinario ma che purtroppo presenta dei problemi di natura tecnica con riferimento alle opere».

Non si può non notare come, in effetti, tutte le mostre che si sono susseguite al CIAC presentino caratteristiche di capacità di ambientazione veramente eccezionali, senza alcun difetto o riduzione, ma con un’esaltazione formidabile delle opere che vi si espongono. Questo è un dato che è stato riconosciuto al museo da tutti, a partire dagli artisti che sono i  più sofisticati nel rapportarsi con lo spazio, che potrebbe diventare poi lo spazio di ospitalità per le loro opere.

È nota a tutti la controversia che, soprattutto negli ultimi anni, ha riguardato il Museo: Spazio espositivo o opera d’arte ?

Sul finire degli anni Sessanta infatti, come ci hanno insegnato i Concettuali, «i testi invasero le gallerie d’arte e la distinzione tra spazi espositivi e luoghi di pubblicazione cessò di esistere» [2] . Se nell’Arte Concettuale si tratta di testi sulle pareti, su specchi, tavoli e sedie, che rompono la barriera tra opera d’arte e museo, oggi lo stesso imponente ruolo è giocato dall’architettura.

Ci si trova di fronte ad architetti - artisti, come nel caso di Zaha Hadid [3] , che vogliono far fluire liberi i propri pensieri scegliendo come foglio le pareti del museo. Ed è così che la struttura prende il posto dell’opera, divenendo spesso ingombrante e poco funzionale come spazio espositivo.

È di questa funzionalità che parla Tomassoni descrivendo il Ciac, sottolineando come in questo caso, invece, il museo si inserisca armoniosamente anche nel progetto urbanistico della città di Foligno.

Un adattamento straordinario dal punto di vista logistico perché ci troviamo di fronte ad un museo che sta in pieno centro storico, a due passi dal corso principale, che si ambienta molto bene e armonicamente con l’abside della chiesa di San Francesco, le palazzine Art Deco che si trovano alla sua sinistra, diventando un organismo che non offende il tessuto urbano della zona, anzi lo esalta.

Questo blocco compatto senza finestre, completamente muto ed ermetico, dall’esterno crea una grande suggestione per tutti quelli che l’hanno visitato, dando dimostrazione di condivisione.

Le presenze dei visitatori dimostrano, infatti, come questo complesso sia stato metabolizzato pienamente nonostante la forte impronta medievale della città. Circa 50 persone al giorno visitano, nei giorni di apertura, il CIAC e la ex Chiesa dell’Annunziata dove si trova la calamita cosmica. E questo è quasi un miracolo in una città come Foligno, un po’ distratta, che doveva costruirsi una coscienza culturale più estesa.

Per promuovere questa “chiamata alla cultura” sono state promosse delle iniziative che potessero essere di supporto all’attività espositiva che brutalmente viene imposta dal momento in cui si aprono le porte del museo. Questo è stato realizzato attraverso due iniziative collaterali che si chiamano Più arte per tutti, e Incontri con l’artista.

Grazie a quest’ultima si sono aperti importanti scambi con personalità internazionali come Liliane Lijn (New York 1939-) e Rä di Martino (Roma 1975-), giovane artista torinese che vive più che altro a New York.

Con Più arte per tutti, invece, sono stati mobilitati direttori di museo, direttori di giornali, grandi critici, grandi storici dell’arte, che sono venuti con una serie di contributi veramente incredibili.

È anche grazie a queste due iniziative che si è creato uno scambio e un’influenza con gli altri musei: il CIAC merita attenzione a prescindere dai rapporti che intercorrono tra i singoli, perché si è creato una reputazione per la quale anche gli altri poli museali vogliono collaborare nei suoi progetti.

Una forte interazione con il territorio che ha coinvolto le classi intellettuali, come gli insegnanti di Storia dell’Arte nei Licei e nelle Scuole.

«Foligno ha reagito molto positivamente a questi incontri. Non solo le autorità, quindi il Sindaco, gli Assessori, gli esponenti della scuola ecc., ma anche la città stessa. Abbiamo 40/ 50 persone al giorno che visitano il museo e, adesso, la Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno ha acquistato un complesso monumentale dove sarà possibile organizzare anche amministrativamente il polmone vitale del museo».

 


NOTE


[1] Italo Tomassoni (Ancona, 18 settembre 1938) è un critico d'arte italiano di fama internazionale nonché illustre avvocato. Nel 1963 pubblica il primo saggio, Per una ipotesi Barocca (Edizioni dell’Ateneo, Roma).
Negli anni '70 ha lavorato con Alberto Burri alla costituzione della Fondazione Burri, di cui è consigliere di amministrazione e membro del comitato scientifico.
Nel 1985 pubblica il saggio Ipermanierismo (con prefazione di Giulio Carlo Argan) coniando l'omonima definizione critica.
Nel 1999 ha curato alla 48ª Biennale di Venezia con il direttore Harald Szeeman la retrospettiva dedicata a Gino De Dominicis e nello stesso anno ha fondato l'Archivio Gino De Dominicis. Tra il 2000 al 2009 ha insegnato "Diritto d'autore nell'arte contemporanea" all’Università di Roma Sapienza e dal 1999 al 2009 è stato tra i promotori e fondatori del Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno, di cui è direttore artistico.
 

[2] P. Osborne (a cura di), Arte Concettuale, Phaidon Press, London- New York, 2006, p. 112.
[3] Architetto iracheno di fama mondiale. Nata a Baghdad il 31 ottobre del 1950, è il primo architetto donna a vincere nel 2004 il Premio Pritzker (il più importante premio internazionale per l'Architettura, paragonato per importanza al Premio Nobel). Tra le sue opere più importanti si ricordano il Museo della Scienza Phaeno a Wolfsburg, Germania (2005); il Riverside Museum di Glasgow (2007–2010); l’ Eli and Edythe Broad Art Museum dell’ East Lansing, Michigan, USA (2010–2012) e il Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo (MAXXI) di Roma (del 2010).
Lo studio Zaha Hadid Architects con 246 architetti dipendenti, si colloca  dal 2013 al 45º posto nell'elenco dei più importanti studi di architettura del mondo secondo BD Insurance Bureau.




CIAC

Fig. 1
CIAC - Centro Arte Contemporanea di Foligno, Visione del museo dall'alto

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Fig. 2
CIAC, Foligno, La struttura in corten senza finestre

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Fig. 3
CIAC, Foligno, Il lucernaio

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Fig. 4
CIAC, Foligno, interno

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Fig. 5
CIAC, Foligno, interno

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Fig. 4
CIAC, Foligno, interno

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Fig. 7
GINO DE DOMINICIS, Calamita cosmica, 1989,
ex chiesa della santissima Trinità in Annunziata, Foligno

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Fig. 8
GINO DE DOMINICIS, Calamita cosmica, 1989, particolare
ex chiesa della santissima Trinità in Annunziata, Foligno



	
Foto cortesia del CIAC




	

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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