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Mauro Rea: quando la passione di esistere diventa comunicazione  
Maria Filippone Colonna
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 25 Agosto 2012, n. 660
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Area Artisti

Di questi tempi non è facile incontrare personaggi come Mauro Rea. Uno che prende talmente sul serio l’Arte da confonderla e fonderla con la sua stessa vita e quella degli altri, che dice e sente quello che pensa, che pensa con il cervello e sente con il cuore, che crede nell’amicizia e ci crede davvero. Uno che crea opere di grande modernità in intimo e circolare rapporto con la preistoria. Uomo degli opposti, in continuo superamento di se stesso e del conflitto, felicemente risolto nell’armonia sofferta dell’Arte e nella marea dinamica dell’Amore, Mauro ha vicino a sé una compagna Manuela Mazzini, che sembra opera delle sue stesse mani di artista. Un capolavoro in cui natura e cultura, come in lui, hanno raggiunto un equilibrio che sfiora la perfezione.

Natura e cultura, materia ed energia, silenzio e gioco delle parolibere marinettiane e patafisiche. Amico da anni di Tania Lorandi, artista e promotrice di libertà espressive visceralmente e intellettualmente legate alla vita, trascinatrice di artisti, cocreativa e trasgressiva, Mauro ha attraversato fino in fondo ogni esperienza umana sociale culturale e politica ma non lasciandosi mai coinvolgere una volta per tutte e senza mai cedere a tentazioni di potere.

Il suo rifiuto di cedere a quel tipo di tentazione e a vendersi al consumismo dilagante anche nel mondo di certa cosiddetta “arte” che segue la moda ed è così (poco) chic ne ha fatto e ne fa un uomo vero e libero, che accoglie senza riserve il proprio legame originario con la terra e la natura.

Quel legame con la terra mater dolorosa riemerge prepotente in alcune opere sia per i materiali che l’artista usa, sia per i contenuti che si liberano dalla profondità del suo essere: il dolore della terra, a cui non sfugge nessuno dei suoi figli.

C’è un’opera, intitolata Oltre lo sguardo, che sembra abbracciare tutto il dolore e tutto l’amore di cui l’artista è talvolta affranto, talvolta gioioso interprete, esprimendo in variazioni monocromatiche e silenziose pennellate valori sentimenti e umori che più gli stanno a cuore. Il pianeta, immerso in un sonno millenario, incapace di sognare e indifferente al dolore di cui si alimenta la propria vita e quella delle creature che vi abitano, nel sogno visionario di Mauro Rea ritrova una sofferta misteriosa identità con l’intera creazione. I mitico-preistorici personaggi che compiono gesti ieratici e l’uomo dal capo reclinato convivono in uno stato di coscienza illusoria, come addormentati nel grembo della madre. E perfino i colori bruniti sono raccolti e morbidamente fusi in quel grembo. E’ la coscienza illusoria che accompagna l’uomo del nostro tempo e, sottraendosi al suo sguardo, si estende alla stessa creazione: qui il senso della  malinconia  del  paradiso  perduto,  di una  gioia  presente  nella   memoria storica ma inattingibile senza uno slancio verso il futuro così potente da raggiungere anche il passato. Forse è per questa capacità di “sognare” l’universo nella totalità dei suoi tempi e delle sue forme che Mauro Rea ritrova la gioia nelle icone di un’epoca immersa nel mito ma non per questo meno attuale. Così il respiro ani-male della preistoria prende forma nell’immaginazione dell’artista e la sua infanzia sognante si diletta a creare esseri e presenze dimensioni al cui fascino lo spettatore non riesce a sottrarsi, viene coinvolto e finisce per credere alle favole anche perché l’unico reale protagonista (al servizio dell’Arte) è sempre Ma-Rea, mago-sciamano di un villaggio globale rigorosamente laico.

Nella ricca e multiforme opera di Rea, che comprende anche la fotografia, la terra e la presenza “ani-male”(come lui dice) e u-mana spesso indifferenziata ed espressa con variazioni pittoriche e materiche sospese nel senza-tempo, si alternano a momenti di sincronia cromatica, di presenza totalizzante, qui ed oggi,  del  colore   a  piene   mani.   

Così nel volto che appare sul frontespizio  del  catalogo Le matrici creative e le forme dell’incompiuto , che raffigura lacrime di sangue sul volto della Madonna (ci si può credere o meno, comunque l’evento rivela una situazione di estremo disagio sociale), oppure una bimba di Sarajevo ferita durante un bombardamento, o l’icona della bellezza femminile troppo spesso profanata, l’opera sembra non voglia esplodere dal cuore dell’artista: è come un grido a lungo trattenuto. L’Urlo di Munch vuole manifestarsi e si dichiara anche nel titolo, invece qui un dolore intenso segreto impregna di sé a tal punto ogni linea forma o macchia di colore (e ogni linea o macchia cromatica impregna a sua volta di sé quel dolore !) da  non poter essere detto con altri mezzi espressivi. E resta un “non detto” che incide in profondità lo sguardo e gli affetti di chi guarda.

Sembra impossibile che colori gioiosi come il rosso, il giallo e il blu possano esprimere con tanta forza il dolore, ma è così: nell’anima dell’artista la gioia creativa, qualunque sia la sua “matrice”, riesce a trascinare a sé ogni altro sentimento o stato emotivo.

Tra Mauro Rea Futurismo e Patafisica c’è un legame semantico che prende corpo anche nell’amore per la parola. Sembra che il Futurismo si sia ispirato al fondatore della Patafisica e Rea molti anni fa è entrato nel gruppo dei patafisici grazie all’amicizia con Tania Lorandi, l’artista che  ne guida e coordina felicemente le molteplici attività. Da questo singolare contesto e mix di elementi culturali emergono dati di notevole interesse.

La parola è la forma di comunicazione umana per eccellenza, ma in Rea, paradossalmente, si connota prima sul versante dell’ essere che su quello del comunicare e  proprio da questo trae potenza espressiva.

In Rea la parola e il segno pittorico-polimaterico, appartengono alla dimensione ontologica che è vita, dinamismo, cambiamento: non tendono a racchiudere e raggelare i significati, ma lasciano sempre uno spiraglio aperto verso l’ignoto. Quel tanto di incompiuto che caratterizza le opere  di Rea che tendono spesso ad uscire dai limiti delle tele o dei pannelli (facendo sentire il delirio di sofferenza vissuto dall’artista nel doversi fermare) testimonia la volontà di andare caparbiamente e sempre “oltre”: mai soddisfatto delle proprie conquiste Mauro Rea, pur essendo cosciente di non poterlo raggiungere, tende all’impossibile. Analogamente ai Prigioni di Michelangelo, anche se il paragone è un po’ardito, l’incompiuto di Rea ha uno straordinario potere di evocazione. Credo che neppure lui comprenda fino in fondo il mistero del suo "non detto", ma proprio in questa dimensione inattingibile, che il segno dell’artista evoca consciamente/inconsciamente, il messaggio è più sofferto e ci raggiunge con folgorante immediatezza. Come il vento, il sole, la terra e il fuoco  Mauro Rea “è”: e forse non sa o non vuole sapere quale sia e quanto sia profonda la forza del proprio linguaggio. Come faccio a saperlo io ? Forse perché, essendo un’instancabile operaia della parola  (e non un “critico”), conosco per esperienza diretta la potenza di ciò che la mia e l’altrui parola non riesce a dire, ma misteriosamente evoca. E-vocare una cosa significa chiamarla dal nulla (alla nostra vita) ed è molto più che non descriverla con parole, forme o colori: l’artista che riesce ad evocare con parole, forme o colori e si mette in sintonia con l’oggetto, emozione o evento da rappresentare, ne afferra l’essenza e la fa vivere in una modalità diversa a cui è legata l’essenza del proprio stesso essere.

Le opere di Mauro Rea non hanno nulla di sovrapposto a ciò che sono: niente orpelli o retorica sia nella sostanza (pietra, albero, uomo, animale, terra, fuoco, acqua,  sole, luna) sia nella forma che è scarna, mai compiaciuta. Anzi, per non innamorarsi di ciò che fa, Mauro si prende continuamente in giro. Si disegna sul volto una faccia da pagliaccio in una foto con gli amici, si fa fotografare con un mini cocco-drillo (brillo:-) sulla testa, si mimetizza dietro un totem e così via: piccole grandi follie che esprimono la sua natura di patafisico, ma soprattutto quel suo gioco del nascondersi e farsi ritrovare, a volte con segnali non facilmente decifrabili, che accresce il fascino del personaggio e dell’artista.

Mauro ama creare, per lui creare è come respirare ma, una volta compiuta (o incompiuta) l’opera se ne distacca, non si sofferma a contemplarla, va avanti, vuole varcare il limite, “guardare oltre”. Perché dentro di lui c’è sempre un universo incandescente che sta nascendo ed è nascita che richiede un travaglio, una gestazione senza fine alla quale partecipa tutto ciò che si muove intorno. Forse nell’universo incandescente di Mauro Rea rimane un’impronta della nascita dell’Universo nel momento misterioso della Creazione, o del Big bang, se preferiamo il linguaggio delle scienze che poi, a dire il vero, non è così scientifico. E prima ? Io sono convinta che, nell’anima e nell’opera di un vero artista ci  sia  il seme  o  l’essenza  di   tutto:  forse  è  proprio  quel “prima”, o  il “dopo” che attirano l’artista sempre oltre se stesso, “Oltre la linea dell’orizzonte nel respiro sospeso del tempo”. La parola e il tempo sono misura e limite che Mauro Rea cerca di dare alla propria ansia d’infinito, ma non possono fermare, nel suo essere, il ritmo incalzante nascita-morte-nascita, vita in continua trasformazione che anima l’itinerario esaltante di ogni grande creazione umana, avvicinandola a quella descritta nel primo libro della Genesi. Perché, anche se per la maggior parte degli uomini è difficile crederlo, Dio ha creato l’uomo “a sua immagine e somiglianza”. E sfido chiunque a dimostrare il contrario.









Fig. 1
MAURO REA, Oltre lo sguardo

Fig. 2
MAURO REA, Le matrici creative e le forme dell'incompiuto

Fig. 3
MAURO REA, Nascondimento


	
	
	

Foto cortesia Mauro Rea

Contributo valutato da due referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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