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Museoterapia, arte e mente. Come i musei migliorano la vita  
Mercedes Auteri
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, (7 Novembre 2010),
versione bis del 9 Gennaio 2011, n. 580-bis
http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00580-bis.html
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Area Musei

Persone di ogni ceto, cultura, lingua, religione, età, professione, sani o malati, ricchi o poveri, belli o brutti, il museo fa bene a tutti. Le prove degli scienziati lo confermano.

Sottoponendo il cervello umano a risonanza magnetica è possibile rilevare il ferro (trasportato dal sangue nei muscoli quando sono a lavoro) che evidenzia i luoghi dell'azione cerebrale. Durante l'osservazione delle opere d'arte si attivano processi Bottom-up (che ci portano alla lettura di ciò che vediamo e che gli storici dell'arte chiamerebbero di descrizione iconografica: al centro dell'immagine vedo un uomo vestito di rosso con in testa una corona) e processi Top-down (quelli che fanno emergere le conoscenze culturali, descrizione iconologica: al centro dell'immagine vedo un re) che fanno emergere le complesse dinamiche dello sguardo davanti a uno stimolo. Sembrano ormai essere tutti d'accordo, l'osservazione non è ricezione passiva di dati, uguale per tutti, ma partecipe creazione di questi, conseguente ad un'attività mnemonica e attenzionale, fondamentale e diversa per ciascuno. Scopriamo che gli occhi davanti a un soggetto si muovono moltissimo, in un secondo più dei battiti del cuore. Questo, movimento biologico, è nell'istinto dell'uomo: per la sua sopravvivenza, non sapere distinguere un gatto da una tigre può risultare fatale; per la sua socializzazione, riconoscere parenti, amici, colleghi diventa necessario; per la sua serenità, attuare delle scelte, ciò che è buono, commestibile, bello rende più vivibile la quotidianità.

L'interesse sull'argomento ha portato a più pareri che negli ultimi anni si sono incontrati e scontrati: sulla possibilità di abbozzare una teoria estetica su base biologica, sul ruolo del cervello nella genesi artistica, sul rapporto tra arte e sistema nervoso. Molti studi scientifici hanno avvalorato i benefici dell'arte sull'individuo anche se solo pochi hanno attribuito un preciso ruolo al museo, ancora marginale. Si è parlato spesso di arteterapia ma raramente di museoterapia.

La visita al museo e l'osservazione delle opere d'arte all'interno delle sale, invece, permetterebbe condizioni privilegiate di elaborazione delle informazioni che portano alla percezione attraverso particolari: stimoli ambientali, registro sensoriale, selezione, riconoscimento.

La domanda più frequente per confutare tale tesi è: perché studiare le reazioni del soggetto proprio davanti ad opere d'arte e non ad altre immagini qualsiasi ?

Perché le opere d'arte, che si sono conquistate tale definizione, assumono agli occhi di chiunque uno statuto speciale e possono attivare una ulteriore esperienza di selezione (così come i nostri occhi, gli artisti scelgono cosa inserire nelle loro opere e cosa lasciare fuori), che sollecita la concentrazione, la decodifica, la memoria (visiva, verbale, emozionale), il senso critico, la valutazione dello spettatore che si interroga su: Com'è fatto ? Cosa rappresenta ? Cosa mi vuole dire ? A cosa mi fa pensare ? Questo artista è un genio ? un folle ? un talento ? un imbroglione ? Perché è arte ?

La seconda domanda più frequente che suscita il neologismo museoterapia è: perché studiare le reazioni del soggetto proprio all'interno di un museo ?

Perché i musei, d'arte nello specifico, sono luoghi con un'aura particolare; custodi di oggetti raccolti, conservati, studiati, ritenuti tanto rilevanti da sfidare il tempo; che preservano memoria, bellezza, curiosità, tracce dell'uomo sulla terra. Capaci di sollecitare connessioni con il vissuto collettivo e individuale di chi li visita. Non solo con le opere a carattere figurativo ma anche con quelle astratte nel loro intreccio di segno e forma, o concettuali nel loro potere evocativo e simbolico, che le fa diventare concrete davanti ai nostri occhi, come può diventarlo il tempo cercato dentro a un orologio.

Luoghi d'apprendimento informale (cogliendo questa definizione non nell'accezione che la differenzia dai luoghi di apprendimento formale, come scuola o università, ma nel senso più diffuso che rende all'informalità una dimensione in cui si può sentirsi più liberi, fuori dal canonico, dall'ordinario, dal prestabilito), i musei parlano a una società bisognosa di stimoli che, soprattutto nelle opere contemporanee, riconosce sue ambiguità, debolezze, forze, trova sollecitazioni trasversali che riguardano tutti, nessuno escluso.

Luoghi d'ammaliamento. A volte austeri, consacrati al silenzio della contemplazione, paragonabile a quello delle chiese; altre volte più popolari, più vicini alla piazza. Difficilmente anonimi, sono portatori di un'identità, un sapere, una storia.

Luoghi di sensibilizzazione ed educazione estetica, civica, democratica, permanente. Incontrano anche i consensi della neuroscienza cognitiva, dopo avere avuto l'importante sostegno della pedagogia, psicologia, psichiatria (i capisaldi di questa convinzione nascono negli Stati Uniti, nelle declinazioni del verbo del learning by doing di John Dewey, nelle responsive activities di Jerome S. Burner, nell'emotional intelligence di Daniel Goleman, nella visual literacy di Robert Coles).

I Servizi Educativi dei musei diventano un banco di prova per la sperimentazione e diffusione delle buone pratiche con cui coinvolgere il pubblico dei musei: visite animate, laboratori concettuali e pratici, azioni perfomative, seminari, eventi. Alcuni progetti pilota monitorizzano i benefici sul cervello dati dall'esperienza al museo di differenti pubblici [1] , bambini, adolescenti, adulti, studenti, professionisti, visitatori diversamente abili, malati con particolari patologie, anziani affetti da demenza. Due progetti, in particolare, nati in Italia dopo avere preso a modello l'esperienza statunitense, sottolineano l'importanza della realtà museale come luogo della terapia: il progetto Ad Arte per i malati di Alzheimer sperimentato a Napoli e il progetto di Terapie complementari per i malati di Parkinson sperimentato a Milano. Dalle equipe molto spesso costituite da storici dell'arte e medici (ancora troppo poco da museologi o personale interno ai musei), dopo i primi consensi ricevuti dall'incremento delle richieste e dall'apprezzamento dei pazienti, si aspettano ora i dati scientifici con cui perfezionare le ricerche.

La museoterapia però non sarebbe da somministrare solo a pubblici speciali, affetti da particolari malattie, aiutati da cure complementari rispetto a quelle tradizionali, ma sarebbe rivoluzionaria per tutti. Il museo aiuterebbe l'intera società a diventare più serena, coperativa, responsabile, intelligente. Il termine dunque sarebbe da applicarsi, scientificamente, ad una tecnica riabilitativa e di sostegno per chi soffre di particolari patologie o diverse abilità, progettata da esperti, svolta all'interno del museo; genericamente, ad una terapia per tutti, volta a stimolare le capacità cognitive, comunicative, creative dell'individuo durante l'intera sua vita, attraverso la frequentazione del museo e la partecipazione alle attività in esso svolte.

Se, come afferma la neuroscienza, un'immagine non è la replica di un oggetto ma il risultato di un rilevamento sensoriale del cervello che tiene conto di esperienze ed emozioni e costruisce la configurazione neuronale più adatta a rappresentare mentalmente ciò che vediamo: più sviluppiamo potenzialità configurative, meglio possiamo comprendere e padroneggiare la realtà. Il museo, soprattutto quello d'arte contemporanea, contrasterebbe l'isolamento, l'ottundimento, il ritiro a cui generalmente la contemporaneità, prolifica di immagini, a volte ripetitive (molto spesso specchio di drammi o crisi veicolate da televisioni e computer) ci ha abituato, sollecitando stimoli creativi, critici, attivi, di connessione con la quotidianità. Chi non riesce a rappresentarsi un fatto, uno stile di vita, un comportamento altrui, è portato all'intolleranza, al pregiudizio, alla fuga dalla realtà. Dall'esercizio dello sguardo e dell'attenzione, dall'addestramento dell'esperienza e delle connessioni, dalla palestra del cervello che diventa il museo, ci dotiamo di strumenti di lettura della vita e di configurazioni del reale che contrastano l'ansia dell'incomprensione.

Per gli scienziati, tutto si concentrerebbe dentro ad una piccola mandorla situata in fondo al cervello, l'amigdala, archivio della nostra memoria emozionale, capace di classificare le percezioni, analizzare le esperienze, confrontarle per associazione. Anche per gli storici dell'arte, a cominciare dai motivi decorativi gotici, l'amigdala, è sempre stata una forma assai cara, culla del sacro, in cui simbolicamente veniva rappresentato l'eterno. Da questo incontro di scienza e arte, dentro al museo, la lista dei miracoli che potrebbe verificarsi su persone di ogni latitudine e credo, sarebbe lunga perché l'individuo imparerebbe a: identificare, denominare, valutare, interpretare, esprimere opinioni, leggere dentro e fuori di sé, risolvere problemi, controllare lo stress; essere empatico, perspicace, aperto, consapevole, responsabile, sicuro, comprensivo, sensibile, democratico, altruista. E, aggiungerei, felice.

Come aveva scritto Italo Calvino, illuminato e illuminista, “Vorrei servirmi del dato scientifico come d'una carica propulsiva per uscire da abitudini dell'immaginazione e vivere il quotidiano nei termini più lontani dalla nostra esperienza”, “le grandi spiegazioni del mondo sono sempre apparse come favole o come utopie” ma per realizzarle serve “guardare il mondo con un'altra ottica, un'altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica”.



[1] Il progetto LTA (Learning Trough Art) del Guggenheim Museum di New York in collaborazione con lo United States Department of Education; il progetto Meet me del MOMA, Museum of Modern Art di New York, recentemente presentato alla GNAM, Galleria Nazionale d'Arte Moderna, di Roma; il progetto Ad Arte, con i malati di Alzheimer, realizzato al MADRE, Museo d'Arte Contemporanea Donna Regina, di Napoli, dalla Soprintendenza e dall'equipe dell'Ospedale Cardarelli del capoluogo campano; i progetti della Fondazione Grigioni per il Morbo di Parkinson di Milano condotti insieme all'Associazione Italiana Parkinsoniani di Milano; il progetto "Cùrati ad arte. Quando l'arte accompagna la cura" sostenuto dall'Associazione Italiana Parkinson di Cassano Magnago (Varese); i progetti ArteMente per pubblici adulti e per l'area scuola, in corso al MART, Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, organizzato in collaborazione con il CIMeC , Center for Mind/Brain Sciences, di Trento. Ringrazio per le preziose informazioni in merito a questi progetti e per la possibilità di parteciparvi e di comprenderli meglio: Sharon Vatsky (Guggenheim, New York); Cecilia De Carli e Grazia Massone (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano), Amir Parsa e Laurel Humble (MOMA, New York), Maria Vittoria Marini Clarelli e Martina De Luca (GNAM, Roma), Angiola Maria Fasanaro (Cardarelli, Napoli), Patrizia Di Maggio (Soprintendenza, Napoli), Denise Bernabé, Annalisa Casagranda e Carlo Tamanini (MART, Rovereto), Francesca Bacci (CIMeC, Trento).








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Fig. 1
Mezzanines, 2010
Modern and Contemporary Art, Metropolitan Museum of Art, New York, foto di Mercedes Auteri

Fig. 2
First floor, 2010
Arts of Africa, Oceania and Americas, Metropolitan Museum of Art, New York, foto di Mercedes Auteri

Fig. 3
First floor, 2010
Greek and Roman Art, Metropolitan Museum of Art, New York, foto di Mercedes Auteri

Fig. 4
Ground floor, 2010
Ruth and Harold D. Uris Center for Education, Metropolitan Museum of Art, New York, foto di Mercedes Auteri

Fig. 5
The MoMA Alzheimer's Project, Giornata di studio, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma, foto di Silvio Scafoletti

Fig. 6
The MoMA Alzheimer's Project, Giornata di studio, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma, foto di Silvio Scafoletti

Fig. 7
The MoMA Alzheimer's Project, Giornata di studio, Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma, foto di Silvio Scafoletti




Foto 1-4 cortesia di Mercedes Auteri

Foto 5-7 cortesia della Galleria Nazionale di Arte Moderna

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