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Le Meraviglie di Roma Antica e Moderna: recensione di una mostra della BiASA  
Francesco Franco
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Luglio 2010, n. 569
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Area Mostre

È la mostra più pregevole organizzata dalla BiASA dal lontano 1956, quando a Palazzo Braschi di Roma furono esposti centinaia di disegni dell’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte (uno degli enti da sopprimere secondo le prime liste della manovra economica di Giulio Tremonti).

Nella manifestazione, visitabile gratuitamente fino al 31 luglio 2010, ospitata nelle sale del pian terreno del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, concesse dalla Soprintendente Rossella Vodret, sono esposti 60 disegni scelti fra l’enorme patrimonio del Fondo Lanciani della BiASA (poco più di 17.000 esemplari fra incisioni, disegni e fotografie).

L’attuale direzione di Maria Cristina Misiti, ex ricercatrice universitaria, succeduta a Stefania Murianni (dirigente dall’incredibile zelo burocratico-amministrativo), ha dato un fortissimo incremento alla visibilità culturale cui una biblioteca deve mirare, nonostante il periodo di grave crisi economica. La mancanza di fondi per gli acquisti dei libri e la perdita del diritto, già da alcuni anni, di ricevere una copia di ogni pubblicazione del settore per deposito legale, sta impoverendo il patrimonio librario posseduto.

Il Fondo Lanciani costituisce solo una grande sezione del materiale ancora più cospicuo custodito complessivamente dalla BiASA, una Biblioteca piena di opere d’arte degne di un grande museo, come sanno i suoi studiosi più affezionati e chi vi lavora.

Musealizzare una biblioteca è impossibile o comunque è fortemente sconsigliabile (soprattutto nel caso di un’istituzione specialistica per studiosi e studenti). Speriamo comunque che questa possa essere la prima di numerose mostre, volte a promuovere la conoscenza delle collezioni, non solo librarie, in una stretta collaborazione fra mondo accademico e professionalità in organico. 

La pergamena della Colonna Traiana e alcuni fogli cartacei con il medesimo tema (schede di Arnold Nesselrath), sono forse i primi capolavori su cui il visitatore si sofferma, avanzando fra le sale (figg. 1 e 2). Gli autori del Cinquecento (la cui identificazione allo stato attuale degli studi è problematica) hanno trasformato radicalmente il racconto marmoreo della colonna: non più un evento pubblicamente esposto, ma un episodio storico da leggere comodamente in un interno domestico. È una lampante testimonianza di come il disegno sia uno dei principali “atti interpretativi” e contemporaneamente un’azione conservativa, rapida ed economica, che senza intervenire sull’oggetto ne tramanda contenuti e forme, ad uso futuro di spettatori, studiosi e anche restauratori.

Proseguendo nel percorso, il visitatore si rende conto sempre meglio di essere circondato da riproduzioni antiche di originali architettonici che si trovano, nella realtà di Roma, a pochi passi. È il caso di Veduta di Piazza del Popolo di Lievin Cruyl del 1664 (scheda di Barbara Jatta), del disegno riproducente l’Arco di Costantino di un Anonimo olandese del Seicento (scheda di Jörg Garms), dei notevoli progetti di Ferdinando Fuga (schede di Elisabeth Kieven) per Palazzo Corsini  e per la facciata della Chiesa di S. Maria Maggiore.

Naturalmente non poteva mancare in mostra uno degli elementi più caratteristici di Roma.

Roma è detta anche la “città degli obelischi”, ma potrebbe essere definita etimologicamente “città degli spiedini”. ‘Obelisco’, letteralmente dal greco significa “spiedino”, per la somiglianza formale del corpo e della punta del monumento con l’utensile usato in ambito culinario; quello stesso “spiedino egizio” usato per cuocere la carne dai vari Kebabari mediorientali oggi onnipresenti nella Capitale.

Anche il Fondo Lanciani è pieno di “spiedini” (alcuni disegni e varie stampe relative a trasporti e innalzamenti), resoconti o progetti. Il tema dell’obelisco o della colonna trionfale potrebbe costituire, data la ricchezza di materiale, l’occasione di una prossima mostra della BiASA, usando magari sponsorizzazioni attinenti al tema, su cui è meglio lasciare libera immaginazione. 

Comunque, tornando alla mostra, si è scelto di esporre e pubblicare in catalogo, fra i molti obelischi del Fondo, due acquerelli di Giovanni Stern (schede di Elisabeth Kieven), intitolati Progetto per l’innalzamento dell’obelisco Barberini (1788 ca.) fig. 3 e Progetto per l’obelisco di Montecitorio. Nell’ambito della politica del Papa Pio VI Braschi (1775-1779), questi progetti sono probabilmente legati alla collocazione davanti alla chiesa di Trinità dei Monti e in Piazza Montecitorio. Spesso visibili al pellegrino fin da lontano, esprimono chiaramente la necessità di “non smarrire il centro”, il centro della piazza, il punto di raccordo delle strade e di raccolta dei fedeli, indicando chiaramente il cielo. 

Proprio l’atmosfera celeste emerge delicatamente sulla carta dei due acquerelli come una leggera quinta teatrale, alla quale è stata dedicata la stessa attenzione pittorica degli obelischi, sfruttando le leggere variazioni celeste-grigio-bianco. Stern vuole mostrare il soggetto senza alcuno sfondo architettonico retrostante che ne contamini le forme, perché sia colta la purezza della sua verticalità, collocabile, a richiesta papale, in qualsiasi scenario urbano.

Sarebbe quasi possibile lasciare temporaneamente la mostra, andare a visitare le architetture urbane e poi ritornare a Palazzo Venezia per un confronto, che grazie ai moderni telefoni con fotocamere hd potrebbe essere non solo mnemonico, ma reale. Forse a questa rilevante mostra, per essere più espliciti, poteva giovare un confronto fra i progetti antichi e lo stato attuale delle architetture, attraverso l’uso di vedute fotografiche.

È interessante confrontare, infatti, il progetto (non ancora attribuito) intitolato Fantasia Architettonica da Fontana di Trevi (scheda di Jörg Garms), con l’attuale stato della fontana, cercando di capire il ruolo di quello spazio bianco, che costituisce l’area maggiore del foglio, destinato a contenere magari un capriccio poi non realizzato o forse un’alzata centrale più imponente di quell’avancorpo sottilmente balaustrato presente nella realtà.

A pochi passi dalla fontana progettata da Nicola Salvi, il turista trova la celebre fontana di Pietro Bernini, ai piedi della Scalinata di Piazza di Spagna; scalinata raffigurata in mostra (senza fontana) insieme alla sovrastante chiesa di Trinità dei Monti in un famoso progetto attribuito ad Alessandro Specchi fig. 4 (più volte pubblicato e databile ante 1721; scheda di Jörg Garms), non esteticamente inferiore, ma più estremo e barocco della stupenda realizzazione di Francesco De Sanctis (1723-26), nascosta dalla quotidiana seduta dei turisti.

Giuseppe Valadier (schede di Elisa Debenedetti), presente nel Fondo Lanciani con centinaia di disegni, quasi tutti in ottimo stato di conservazione, è uno dei protagonisti della mostra attraverso i suoi progetti, che a volte nelle intenzioni di sistemazione socio-urbanistica sembrano risentire degli utopisti francesi settecenteschi (si veda in catalogo Pianta topografica del Nuovo Campo Marzio). In altri casi, come nei progetti di sistemazione del Pincio, è evidente che il Valadier propone soluzioni che anche se non vengono accolte nell’immediato costituiscono un riferimento, nei movimenti lineari delle masse, per le sistemazioni posteriori. In mostra è esposto anche lo schizzo per l’Arco in Onore di Pio VII, sicuramente preparatorio a un dettagliato progetto conservato nel vicino Museo Napoleonico di Roma, come indicato dalla Debenedetti, che rivela la velocità con cui Valadier creava le sue masse architettoniche in modo dettagliato (questo degli archi trionfali è un altro possibile tema di una futura grande mostra della BiASA).

È impossibile dar conto in breve di tutte le opere presenti, ma in conclusione non si può evitare almeno di citare: la celebre Pianta settecentesca di Giovanni Battista Nolli (sulla quale ho visto alcuni turisti cercare invano Via dei Fori Imperiali); due Piante di Pirro Logorio; un disegno inedito di Giovanni Battista Piranesi e i disegni per le decorazioni della Galleria in Villa Borghese di Tommaso Maria Conca. 

Il catalogo, edito da Daniela Piazza, con il contributo della Fondazione Roma, ospita un saggio iniziale di Maria Cristina Misiti, teso a delineare essenzialmente le vicende del Fondo Lanciani, ulteriormente puntualizzate nel saggio di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, grazie anche alle ricostruzioni documentarie di Luciano Arcadipane, Ida Barberio e Francesca Zannoni (in organico alla BiASA), autori di interessanti contributi in catalogo. Le schede, con differenti gradi di approfondimento e di analisi, sono opera di vari esperti del settore (Mario Bevilacqua, Maria Teresa Caracciolo, Elisa Debenedetti, Ursula Fischer Pace, Cristina Herrmann Fiore, Giulia Fusconi, Jörg Garms, Erminia Gentile Ortona, Barbara Jatta, Elisabeth Kieven, Arnold Nesselrath, Susanna Pasquali). Soprattutto nel caso di documenti inediti o poco noti, come dichiaratamente espresso dalla curatrice, tali schede costituiscono un punto di partenza e di stimolo per ulteriori analisi, rettifiche e nuove attribuzioni, auspicabili per l’intero Fondo Lanciani e per altri fondi della BiASA.

Agevolare lo studio dei materiali, favorirne la pubblicazione a chiunque ne faccia motivata richiesta, vuol dire esercitare, seppure indirettamente, una tutela a costo zero.





Fig. 1
Anonimo, Rilievo della Colonna Traiana (particolare), prima metà del XVI sec.
Foto cortesia della Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, Fondo Lanciani, Roma

Fig. 2
Una sala della mostra
Foto cortesia di Francesco Franco

Fig. 3
Giovanni Stern, Progetto per l'innalzamento dell'Obelisco Barberini, 1788 ca.
Tecnica mista su carta, mm. 667 x 352
Foto cortesia della Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, Fondo Lanciani, Roma

Fig. 4
Alessandro Specchi (attr.), primo quarto XVIII sec.
Tecnica mista su carta, mm. 664 x 438
Foto cortesia della Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte, Fondo Lanciani, Roma

Foto 1, 3 e 4 cortesia Ufficio Stampa della Mostra. Foto 2 cortesia Francesco Franco

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