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Intervista a Maurizio Calvesi intorno alla Mostra Burri. Gli artisti e la materia Roma,
Scuderie del Quirinale
17 nov. 2005 - 16 feb. 2006
Stefano Colonna
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 25 Novembre 2005, n. 415
http://www.bta.it/txt/a0/04/bta00415.html
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Area Interviste

Questa mostra si presenta con un taglio storico. Ci può dire poi qual è l'idea fondante ?

L'idea fondante è di far vedere attraverso la storia della seconda metà del XX secolo come si sia sviluppata l'influenza di Burri in tutta l'arte del mondo. Cioè l'influenza di Burri in che cosa consiste ? Consiste  nell'uso di materie extrapittoriche: mentre gli altri artisti pur interessati alla materia di quel momento, del momento Informale, della fine anni Quaranta, inizio anni Cinquanta, usavano la materia tradizionale, sia pure ingrossandola, contaminandola, trasformandola (ma rimaneva sempre una materia spalmata col pennello o lavorata con la spatola, etc.), invece Burri sostituisce alla materia pittorica materie di uso comune, materie umili come i sacchi, come i legni, come i ferri, plastiche, cellotex, materie anche industriali, oppure di uso familiare, prese direttamente dalla realtà: questo è l'inserimento della realtà nel quadro. Però come avviene l'inserimento ? Avviene sfruttando le tonalità di queste materie, le forme che egli dava a queste materie e il modo che aveva di accordarle con i colori dati invece con il pennello: quindi questo principio di intrusione della realtà nell'arte, nella pittura, è di Burri e poi trova seguaci in tutto il mondo, a cominciare dai famosi artisti della Pop Art: da Rauschenberg, da Dine, etc., che hanno fatto la loro gloria basandosi su questo principio, a tutta l'Arte Povera, a tutto il Nouveau Réalisme francese. E la mostra fa vedere appunto, prima delle sale di Burri e dopo, alcune sale in cui sono presenti questi artisti.


Ho letto nel catalogo la presenza di un riferimento importante a Fautrier, che però io conoscevo come "fauvista" e quindi volevo capire meglio che tipo di rapporto c'è tra i due.

Fautrier è l'artista che per primo, nel 1943 (qui c'è un Otage, un ostaggio, del 1943), cerca di trasformare la materia pittorica, ingrossandola, cioè plasmandola in modo che dia quasi l'idea di un corpo, di una materia che diventa carne, però è sempre materia della pittura, mentre invece Burri introduce materie che non sono la materia della pittura, quindi il confronto con Fautrier è per far vedere la differenza tra colui che è stato indubbiamente l'antesignano della ricerca materica, cioè Fautrier, e l'uso che della materia ha fatto Burri, che è completamente diverso: mentre poi la via iniziata da Fautrier si esaurisce nella pittura informale, la via iniziata da Burri è una via tuttora attuale, aperta a svolgimenti anche attuali, come si vede nell'ultima sala della mostra con Kiefer, Damien Hirst.


Il rapporto con Schwitters come si articola ? Cioè Schwitters è stato un po' un antesignano, ma poi alla fine si può definire Burri il primo nel suo campo ?

Beh, il primo nel senso tecnico no, perché allora c'è il collage dei cubisti, c'è appunto Schwitters che è però un episodio isolato: la pittura della prima metà del Ventesimo secolo non muta il suo corso in seguito alla novità di Schwitters. Rimane lì, un episodio nell'ambito del Dadaismo ... Invece Burri determina un cambiamento radicale e se qualcosa è alle spalle di Burri è soprattutto il polimaterismo futurista, cioè il polimaterismo di Enrico Prampolini, che infatti è stato quasi il suo maestro. Enrico Prampolini che nel '45 scrisse questo piccolo libro sulla materia suggerendo che la materia, anche la più umile, la materia industriale e i materiali più strani e più insoliti potevano essere mezzi di realizzazione della pittura e della scultura.


Una domanda personale: il suo rapporto con Burri ?

Il mio rapporto con Burri, da quando l'ho conosciuto, dal 1956 in poi, è stato di grande ammirazione da parte mia. Nel 1956 Burri non era compreso, era anzi insultato, io scrissi un saggio che poi è stato pubblicato qualche anno dopo, ma c'è una mia lettera, appunto del 1956, che è conservata a Città di Castello in cui descrivo la mia ammirazione e gli mando in lettura il mio dattiloscritto. Da allora in poi ho sempre continuato a scrivere su Burri, il quale poi mostrava anche di apprezzare, perché si rivolgeva a me per alcune presentazioni, anche se la critica che egli amava di più era la critica assolutamente purovisibilista perché diceva che i Sacchi non erano altro che un'intonazione di colore e così le altre materie, etc. In realtà c'è una partecipazione drammatica, esistenziale in queste materie, che costituisce la forza e la grandezza di Burri.


Burri tra Città di Castello e una dimensione internazionale: come si gioca questo contrasto ?

Burri era molto legato a Città di Castello, tanto è vero che ha voluto la sua Fondazione a Città di Castello e a chi obbiettava che in questo modo si sarebbe confinato in un luogo poco visitato, rispondeva: « chi vuole vedere la mia opera dovrà venire a Città di Castello ». Era molto orgoglioso, consapevole del proprio valore e voleva dire: se la gente non va a Città di Castello, ce la farò andare io. Però aveva passato la prigionia in America, aveva sposato una moglie americana, aveva una casa a Los Angeles, un'altra casa a Beaulieu, poi ha vissuto quasi sempre a Roma, etc., quindi era aperto a tutti i contatti; conosceva, era molto amico di De Kooning, di Nicholson, ha conosciuto bene Rauschenberg, quindi era introdotto nel giro internazionale.




Audio dell'intervista in formato MP3


	

Legno SP

Fig. 1
ALBERTO BURRI,
Legno SP, 1958
Legno, acrilico, vinavil, combustione su tela
cm, 128 X 200
Città di Castello, Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri

Foto cortesia di: © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri

Burri

Fig. 2
MARIO CEROLI,
Burri, 1966
legno (installazione)
cm. 350 X 400 (ingombro totale)

Foto cortesia di: Tornabuoni Arte, Firenze
Foto Aurelio Amendola

 

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