bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english not available
American Sensation(s): “some comfort gained from the acceptance of the inherent lies in everything” 1  
Cecilia Canziani
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 15 agosto 2000, n. 216
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00216.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Mostre

Nei mesi di settembre ed ottobre la scena artistica di New York è stata più calda del solito grazie alla presentazione e all'attenzione dedicata da media e pubblico ai due major events Sensation e American Century. Entrambe le mostre hanno avuto luogo in importanti istituzioni, entrambe hanno scatenato polemiche e contestazioni, entrambe si proponevano di fornire uno sguardo ampio su diverse esperienze artistiche.

The American Century, part II, 1950-2000. Whitney Museum

Aperta con squilli di trombe, preceduta da mormorii e funesti presagi dal mondo dell'arte, accompagnata da un altisonante sottotitolo che recitava « la più grande mostra sull'arte americana », l'esibizione ha dimostrato di avere punti di forza e debolezza, dando ragione a detrattori e fan.

Nei cinque piani del suo percorso si passa dall'espressionismo astratto alle esperienze artistiche più recenti (più recenti significa in questo caso “l'altro ieri”. Un punto a favore degli organizzatori della mostra: usciti dal museo si può entrare in una qualsiasi galleria senza avvertire alcuno stacco.)

Ogni piano ospita un decennio d'arte, secondo punto a favore della mostra: attraverso la relazione spazio- tempo, attraverso una sezione multimediale presente nel cuore di ogni sezione cronologica, in cui si narra la storia del decennio in questione, è sottolineata la contiguità di produzione artistica e realtà storico- sociale. Più semplicemente: lo spettatore è invitato a vedere l'arte come evento né distante né slegato dalla vita.

Il percorso della mostra è ovviamente cronologico, ma allo spettatore vengono offerte due possibilità: iniziare dall'ultimo piano con gli anni '50 e discendere fino alle esperienze del contemporaneo, o procedere dall'oggi (piano terra), a rebour. Non è poco. La lettura che si darà della mostra deriva in parte dal percorso scelto. E questa possibilità offerta dall'allestimento è un altro punto a favore di American Century. Non elencherò qui gli artisti presenti nella mostra, consiglio invece di visitare il sito www.whitney.org attraverso il quale si può dare uno sguardo veloce alle opere presenti o scegliere di fare un tour virtuale dell'esibizione. Voglio piuttosto sottolineare che lo spettatore “sprovveduto” - impegnato nel tour virtuale o reale - non è abbandonato a se stesso, viene guidato e aiutato a capire, o quantomeno a cercare di capire, i fenomeni artistici presenti e passati con tutti gli strumenti possibili, non ultima la scelta di opere accattivanti o scioccanti, che quindi implicano il coinvolgimento fisico-emotivo (Bill Viola: The tree of Knowledge, opera interattiva del 1997) o emotivo- morale (Kiki Smith: Tale, opera “escrementizia” del 1992, per gli addetti ai lavori ormai un'opera classica nel panorama dell'arte femminista).

Un'impostazione didascalica, dunque. Ed ecco il punto: troppo didascalica. Didascalica a volte nel modo sbagliato, perché il nostro spettatore sprovveduto potrebbe pensare che Mtv sia più arte del mondo dell'arte (e a volte non gli si deve dare torto) e che l'arte riflette i fermenti della società di massa, senza capire che è la società di massa a volte ad assorbire i riflessi dell'arte, e che inoltre la relazione società-arte non è né la sola possibile, né così scontata.

Si può inoltre obiettare agli organizzatori che se avessero presentato questa mostra come una modesta antologia della seconda metà del secolo (invece che come la più importante mostra sull'arte americana mai avvenuta, tante critiche non sarebbero piovute su “ American Century”. Tuttavia ...

Tuttavia le critiche non hanno fatto alcun male alla mostra, le sale sono piene di persone, non vengono snobbate dagli addetti ai lavori, che comunque trovano qui opere interessanti e davvero rappresentative del cinquantennio preso in esame, non vengono disertate dagli spettatori sprovveduti, che sono i veri destinatari dell'esibizione. Se gli addetti ai lavori sono delusi e i comuni mortali un po' meno ignari- seppure poco, seppure superficialmente- del panorama artistico americano credo che un obiettivo sia stato raggiunto. Evviva "American Century, part II ...".


Sensation. Brooklyn Museum of Art

Se fino all'apertura di Sensation le pagine delle riviste specializzate e dei quotidiani erano occupate dai commenti su American Century, l'apertura della mostra al Brooklyn Museum le ha rubato il ruolo di star nel panorama degli events autunnali di New York. Prima osservazione: chi credeva che il British-style fosse innocuo si è certo ricreduto. Seconda osservazione: con un titolo così il minimo che si potesse immaginare era il polverone scatenato dai media sulla mostra che presentava al pubblico la collezione Saatchi di arte inglese. Fine delle mondanità, andiamo al cuore della questione. Mentre American Century era al centro di un dibattito metodologico, Sensation ha scatenato ire ideologico- religiose, grazie alla presenza di un'opera dell'artista afro-americano Chris Ofili, The Holy Virgin Mary. Come tutte (sottolineo tutte) le opere di Ofili presenti nell'esibizione, le tele di ispirazione pop erano cosparse di escrementi di elefante, che nell'intento dell'artista stavano a sottolineare l'africanità di Ofili, la relazione con la terra e quant'altro. Il sindaco Giuliani e la comunità cattolico- conservatrice della influente cattedrale di St. John the Divine, non l'hanno pensata allo stesso modo.

Il Brooklyn Museum of Art, responsabile di aver esposto a spese pubbliche opere di un collezionista privato che travalicano « gli standard generali di decenza e rispetto per le diverse credenze e valori del pubblico americano » si è visto togliere i fondi, i giornali hanno tacciato l'odiato sindaco di abuso di potere, il pubblico si è riversato numeroso nelle sale del museo che ospitavano Sensation. Queste le premesse della mostra, che nel primo giorno della sua apertura già faceva gridare allo scandalo. Decisamente in America l'arte ha vita più difficile che in Europa (naturalmente questa è un'affermazione parziale e fondamentalmente falsa…o vera solo in questo caso particolare).

Tuttavia ... Tuttavia il singolare background dell'esibizione sull'arte britannica ha favorito più che indebolire la mostra, ha favorito il mondo dell'arte, che ha potuto gridare alla censura e occupare le prime pagine dei giornali, si è potuto inoltre interrogare sulle proprie strategie, tematiche, mezzi, fraintendimenti.

American Century e Sensation hanno in sostanza ugualmente sfruttato e beneficiato dello scalpore nato a livello mediatico intorno ad esse e hanno sollevato riflessioni interessanti nei campi che hanno sollecitato.

Sensation però soffre l'effetto boomerang del tam-tam giornalistico. Lo spettatore che si rechi all'esibizione sperando di farsi travolgere dagli effetti dirompenti della trasgressiva arte inglese resta deluso: Ofili non è affatto trasgressivo, agli animali squartati immersi in formaldeide di Damien Hirst ci siamo (purtroppo, è il caso di dirlo) assuefatti. Jake e Dinos Chapman a volte fanno riflettere, più spesso sorridere. Così, intrappolati nel gioco: “perché-questa-mostra-è-così-scandalosa ?”, si rischia di perdere di vista il suo indubbio valore nel presentare una intelligente collezione privata all'attenzione del largo pubblico, si rischia di non vedere il fil rouge che percorre tutte le esperienze artistiche contemporanee, qui evidente, e altrettanto evidente e importante nel panorama artistico inglese: il tema della morte evocato dal corpo.

A questo tema sono infatti collegate tutte le opere esposte, come Ghost e One Hundred Spaces di Rachel Whiteread, i cui calchi di spazi vuoti restituiscono un senso di sparizione, desolazione, morte, mentre ricordano il minimal e De Chirico; o Myra di Marcus Harvey, ritratto di un'assassina di bambini composto da impronte di mani infantili (quest'opera ha invece sconvolto il pubblico inglese…a ciascuno il suo) che ricorda i giganteschi ritratti di Chuck Close.

È indubbio che, nella penuria di informazioni/indicazioni fornite allo spettatore, un simile percorso può essere seguito solo da chi è familiare con il panorama artistico, mentre il nostro “spettatore sprovveduto” perderà la strada e tornerà a casa deluso (giustamente, questa volta) nelle sue attese scandalistiche e più ignorante di prima (e questo è un peccato).

Conclusione

Che le mostre d'arte abbiano modalità e fini diversi è indubbio. Le due sopracitate hanno, è evidente, punti di partenza opposti. L'una prevedeva la partecipazione di un largo pubblico, l'altra di esperti o comunque di persone non troppo digiune di arte contemporanea. Tuttavia la variabile mass- media è determinante per il risultato, e va considerata. È questione di onestà intellettuale, le polemiche sollevate da Sensation erano prevedibili. Due le strade: offrire allo spettatore una possibilità di dialogare con l'arte, oppure approfittare della pubblicità gratuita e intascati i soldi del biglietto abbandonare lo spettatore al proprio destino, che è quel che è successo.

Benchè nessuna delle due mostre sia pienamente soddisfacente, American Century vince il premio per la coerenza rispondendo alle attese di un pubblico inesperto che costituisce il destinatario designato dell'evento. Le polemiche accademiche sorte intorno a questa mostra sono comunque utili per un ripensamento generale sull'attività museale. Sensation invece promette senza mantenere: seduce ma non scandalizza l'esperto, che veramente non trova qui nulla di nuovo, se non un'antologia interessante e necessaria dell'arte inglese degli ultimi dieci anni; abbandona, senza neanche aver sedotto, lo spettatore inesperto che si vede derubato e deriso.

Tuttavia…Tuttavia si è parlato di arte per un mese, tuttavia si è registrata una affluenza insolita nei musei: ed è questa la morale della favola: « some comfort gained from the acceptance of the inherent lies in in everything ». Evviva le polemiche e gli scandali. Evviva la censura. A patto che seguano riflessioni e correzioni di tiro nel futuro delle esposizioni d'arte e che non si debba più parlare di disonestà intellettuale. A patto che tutti impariamo qualcosa dall'esperienza appena fatta.





NOTE

01 Titolo della celeberrima opera di D.Hirst presentata al BMA (mucca sezionata in 12 parti e conservata in 12 vasche di formaldeide)




 
 

Risali





BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it