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Alessandro Turchi detto l'Orbetto. 1578-1649 Verona,
Museo di Castelvecchio
19 sett. - 19 dic. 1999
Guido Faggion
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 2 agosto 2000, n. 213
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Area Mostre

Nato nel 1578 a Verona, Alessandro Turchi detto l'Orbetto fu un grande maestro che ottenne, al suo tempo, significativi riconoscimenti e apprezzamenti da committenti internazionali ecclesiastici e privati. Fu il solo artista del Seicento veronese rimasto famoso dentro e fuori Verona anche nel secolo successivo, riuscendo a rendere al massimo la tecnica "veronese" perfezionandosi anche in quella "bolognese", tant'è che gran parte delle sue opere sono giunte ai giorni nostri come attribuzioni del grande Annibale Carracci.

Turchi cresce artisticamente all'interno della bottega di Felice Brusasorzi che, abbandonati i manierismi soprattutto toscani, si rivolge soprattutto al naturalismo che il Turchi renderà al massimo nelle sue opere. La bottega del Brusasorzi era allora impegnata in cicli di ritratti, contemporanei e storici, che le grandi famiglie nobili commissionavano ed esibivano per ostentare la loro importanza sociale e dominante. Il rapporto "cortigiano" del Turchi con la nobiltà committente è un elemento che lo seguirà per tutta la vita: accanto alla committenza pubblica ed ecclesiastica, notevole risulta l'attività su un formato di piccole dimensioni, anche su pietra di paragone e su rame, per i committenti privati.

Partito dalla vistosa tavolozza manierista del Brusasorzi, Turchi subisce l'influenza di Reni, Rubens, Palma il Giovane, Carracci, Guercino, creandosi un bagaglio diversificato e notevole volto al perseguimento del "bello reale", filtrato dal suo atteggiamento giovanile altamente sperimentale. Il paesaggio rimarrà forse l'unico elemento importante della scuola del Brusasorzi che manterrà nell'evoluzione della sua tecnica. Essa ha forti poetiche classicistiche senza tempo che riesce ad esprimere in figure reali e credibili, ricche e vitali di naturalismo nella forma, giovani e vive. Turchi si accosta, ma senza confondersi, ai grandi maestri che s'alternano con più successo sulla scena, giocando in più la carta della sua cultura veneta. Trasferitosi a Roma intorno il 1613/1614, si propone con un suo stile personale nobile anche in quanto immutabile, cui corrisponde un disegno che non ha più il senso della ricerca, ma solo della semplice proposta professionale della pittura.

A Roma la sua fama cresce continuando, tra l'altro, a realizzare opere per il mondo ecclesiastico di Verona e per i suoi antichi padroni come il Conte Gian Giacomo Giusti del Giardino, che in passato gli aveva già commissionato innumerevoli capolavori ricordati anche da Francesco Pona nel suo Sileno del 1620. A Roma il Turchi, in collaborazione Ottino e Bassetti, anch'essi cresciuti nella scuola del Brusasorzi, completa i decori della sala Regia nel Palazzo del Quirinale a Montecavallo. In seguito gli viene commissionato dal Cardinale Scipione Borghese, uno dei collezionisti più attenti alle novità che fosse a Roma in quel momento, la realizzazione degli affreschi, oggi persi, nel casino del Barco di Villa Pinciana. In seguito il cardinale acquista una serie di lavori tra cui anche il Cristo morto con Maddalena e angeli, elegante composizione a semicerchio incentrata sul corpo di Cristo realizzata su lavagna, di tipico uso veronese, con forti risultati nel gioco di luci e ombre di matrice "caravaggesca". Lo storico Roberto Longhi evidenzia che anche se il Turchi assorbì indirettamente dal Saraceni il nuovo verbo caravaggesco, egli avrebbe continuato per la sua strada "più sensibile [il Turchi] a un'esigenza di normalizzazione dello stile e di classicizzazione del naturalismo, in una direzione che era implicita nella sua formazione giovanile e nella inclinazione precocemente classicista, che si sarebbe precisata meglio dal 1620 in poi, e che avrebbe avuto grande importanza nell'affermarsi del classicismo europeo facente capo a Roma".

L'inserimento del Turchi come membro attivo prima e principe poi dell'Accademia di San Luca in Roma, gli darà modo di farsi conoscere tra i pittori contemporanei e gli aprirà sbocchi professionali di alto livello, come era avvenuto con la frequentazione dell'Accademia Filarmonica di Verona per la quale aveva realizzato, tra l'altro, le portelle dell'organo della Sala di Musica che oggi fanno parte della collezione della Regina d'Inghilterra nel Castello di Windsor.

L'incarico che proiettò definitivamente il Turchi sulla ribalta della committenza pubblica romana fu la Resurrezione di Cristo del 1621 commissionato dal cardinale francese François de Sourdis per la galleria del suo Palazzo Arcivescovile di Bordeaux: una raffinata composizione per direttrici diagonali che si avvitano su se stesse lasciando lo spazio ad alcune pause di ampio respiro classico nell'angelo vestito di bianco e nel Cristo, mentre un complicato e non risolto incastro di corpi organizza il gruppo degli armigeri.

Molti altri incarichi si susseguirono come, per esempio, quello del poeta barocco Giambattista Marino che gli ordinò un Aci e Galatea, oggi perso. Negli anni trenta, il panorama artistico romano si fa estremamente complesso e caratterizzato da una molteplicità di espressioni e da pubblici diversi cui si rivolgono artisti fortemente differenziati. Si vede il passaggio tra il dominio assoluto del verbo bolognese "carraccesco" in tramonto, verso un linguaggio più libero, aperto e armonioso. In questo contesto il Turchi "mette a calibrato registro il proprio brevetto di bellezza e forma" creandosi uno stile particolarissimo come nella Fuga in Egitto per la Chiesa di San Romualdo in Roma sul versante della committenza ecclesiastica, mentre per quella a lui più congeniale dei dipinti da stanza, realizza il Ratto di Europa per la collezione Molinari Pradelli e l'Adone morente tra le braccia di Venere, ora a Londra: massimi esemplari delle qualità superbe che talvolta Alessandro il veronese (così veniva chiamato a Roma) raggiunge nell'efficace maestria armonica del risultato, tra classicità e natura.

Tra il 1637 e il 1640 gli venne commissionato un dipinto rappresentante la Morte di Marcantonio e Cleopatra, oggi al Louvre, da parte di Louis Phélipaux de la Vrilière, rivale del cardinale Mazzarino nel collezionare quadri. Insieme a opere del Guercino, Pietro da Cortona, Carlo Maratta, Poussin e Guido Reni, l'opera di Turchi doveva decorare la galleria del suo palazzo parigino affrescato da François Perrier.

L'interesse francese per le opere del Turchi è ben documentato da innumerevoli commissioni come il Matrimonio mistico di Santa Caterina della collezione del maresciallo Barone de Créquy nel 1638, il Diluvio del cardinale Mazzarino oggi entrambi al Louvre, o come il Ratto di Europa Molinari Pradelli che diventò parte della collezione di Lucien Bonaparte.

Nell'arco della sua lunga carriera, Turchi non conobbe flessioni, sia in quantità che in qualità di committenza come ricordato, nel secolo successivo, da Leone Pascoli. Le sue opere, presenti oggi nelle maggiori gallerie e musei italiani e esteri, documentano il suo "credito" presso il collezionismo internazionale che lo ha sempre apprezzato e sostenuto.

Turchi fu uno dei più proliferi e apprezzati pittori di soggetti mitologici del suo tempo, capace di inscenare e presentare i suoi tempi con una precisa attenzione al gusto contemporaneo. Infatti, egli si orienta verso il classicismo nel momento in cui a Roma inizia a emergere e poi a imporsi una tendenza anticaravaggismo, trovando molti consensi nel collezionismo tradizionale che prediligeva la sua tecnica. In Turchi predomina, fin da subito, il segno tondeggiante e largo che circoscrive l'immagine esaltandone la nobile purezza, mentre è evidente in lui la tendenza a concepire la composizione come un insieme disgregato e non organico di figure che stanno ciascuna nel proprio spazio radunate in una sorta di sogno metafisico; ordine supremo e disordine latente, armonia e disintegrazione delle logiche connessioni della percezione secondo un eletto percorso di sbalordimento visivo sono gli elementi che lo caratterizzano! Egli si trovò a vivere e operare in un'epoca che vede la nascita della tendenza barocca, assimilando però, il principio fondamentale dell'impeccabilità e dell'integrità di un approccio all'opera d'arte il cui messaggio estetico prende il posto dell'intangibile forma del sacro.

Fu uno dei grandi maestri, tra la fine del secondo decennio e il terzo del Seicento, che rispose alla complessa situazione artistica dell'epoca con un più equilibrato pensiero figurativo diretto ad un insuperabile modello di bellezza che per il Turchi possiamo definire come la ricerca del "bello reale". Si sa, comunque, che la bellezza è il tema unico e definitivo di ogni prodotto artistico, ma è diverso il problema se la bellezza viene vista come il fine del lavoro artistico e non piuttosto come il contenuto dell'opera d'arte.





Alessandro Turchi detto l'Orbetto (1578-1649)
Verona, Museo di Castelvecchio
19 settembre - 19 dicembre 1999

Direzione della mostra:
Paola Marini - Daniela Scaglietti Kelescian

Comitato Scientifico:
Filippa Aliberti Gaudioso - Soprintendente BB.AA.SS. del Veneto, Sergio Marinelli - Università di Padova, Giorgio Marini - Museo di Castelvecchio, Loredana Olivato - Università di Verona, Pierre Rosenberg - Presidente/Direttore del Museo del Louvre, Daniela Scaglietti Kelescian, Erich Schleier - Musei di Berlino, Claudio Strinati - Soprintendente BB.AA.SS. di Roma

Note bibliografiche:
Alessandro Turchi detto l'Orbetto 1578-1649, a cura di Daniela Scaglietti Kelescian, Electa, 1999 testi di Daniela Scaglietti Kelescian, Sergio Marinelli, Marina Repetto Contaldo, Claudio Strinati, Pierre Rosenberg, Erich Schleier.




 
 

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