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Henry Moore Venezia, Fondazione Cini
Isola di S. Giorgio Maggiore
26 agosto
26 novembre 1995
Daniele Cassandro
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 122 (26 agosto 1995)
http://www.bta.it/txt/a0/01/bta00122.html
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Quando nel 1924 Henry Moore vinse un viaggio di studio in Italia era un giovane scultore innamorato dell'arte moderna e della statuaria primitiva. Classicismo era per lui una parola odiata che gli ricordava gli insegnamenti polverosi dell' Accademia e che rappresentava tutto quello che di falso e viziato andava espunto dall'arte.

È del 1922 Testa della Vergine, un marmo esposto in questa mostra, copia da un originale di Domenico Rosselli esposta al Victoria and Albert Museum di Londra. Un esercizio accademico, da cui tuttavia trasuda l'intransigenza e l'intelligenza del talento.
Lo studente Henry Moore avrebbe dovuto copiare l'originale rinascimentale seguendo la serie di passaggi prevista dai suoi insegnanti. La tentazione di attaccare la pietra direttamente, quell' attrazione fisica per la materia che lo accompagnerà per tutta la sua carriera, lo spinse a lavorare in tutt'altro modo. La testa della Vergine del 1922 è una copia dal classico estremamente critica e personale: un punto di partenza molto stimolante per questa mostra che snodandosi lungo tutto il percorso creativo di Moore ne evidenzia continuamente i rapporti, ora rilassati ora più tesi, con la tradizione.

Il viaggio del 1924 vedrà un avvicinamento sempre più entusiasta del giovane artista a figure come Giotto, Masaccio e poi, incontro folgorante verso la fine del trimestre, con Michelangelo. Inizia a formarsi la visione della scultura di Moore, una visione straordinariamente limpida che fonde le istanze del modernismo e del primitivismo modernista con lo studio attento ma sempre libero dei classici. Argan, nella sua monografia sullo scultore inglese, nota come il lavoro di Moore sia poco assimilabile all'avanguardia, pur essendo stato più volte accostato al surrealismo. E' proprio il deliberato arcaismo del suo modo di lavorare che lo ha tenuto lontano dai proclama e dai manifesti dell'avanguardia. Per Moore scolpire é un mestiere, un mestiere pubblico di cui si deve rendere conto alla comunità. L'artista Moore non si isola dalla società, non la vuole sovvertire, ne è parte e la vuole servire.

La mostra della fondazione Cini presenta, accanto alle sculture finite, numerosi bozzetti e fogli di appunti. Pagine di taccuino, fogli di quaderno, fogli da disegno pieni di intuizioni buttate giù con straordinaria velocità; il lavoro quotidiano e continuato di una mente che non poteva non pensare alla scultura. L'attività grafica di Moore sembra fare da intercapedine tra la realtà e il mondo superiore, monumentale, della scultura. Ci sono pagine di taccuino dei primi anni Quaranta, in cui l'artista ha schizzato varie scene di guerra: bombardamenti, rastrellamenti, riconoscimenti di cadaveri... il disegno è quì un mezzo per catturare la realtà cruda di quei momenti, una realtà che una volta decantata, diventerà linfa vitale per il lavoro a venire. A questi anni appertengono i famosi fogli dello Shelter sketchbook (1940-1941), un vero e proprio reportage grafico che descrive le lunghe gallerie della metropolitana londinese usate come rifugio durante i bombardmenti.

L'esposizione veneziana di Moore è un occasione per conoscere non solo il lavoro, ma anche l'evoluzione del pensiero, della sensibilità e della tecnica di uno tra i più grandi artisti del nostro secolo.



	
 

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