Il materiale  che qui  verrà presentato  e discusso,  è
costituito 
dalla   suppellettile    ceramica,   cosiddetta   non   germanica, 
proveniente dai  corredi funerari  delle necropoli  longobarde  di 
Nocera Umbra e Castel Trosino , e ora conservata  a Roma nel Museo 
dell'Alto Medioevo,  e da  un'altra classe  ceramica, quella delle 
invetriate altomedioevali in Italia, ancora assai poco nota, al di 
fuori  almeno  di  certe  aree  topograficamente  e  culturalmente 
delimitate,  e   ciò  per   la  scarsezza   di  dati  archeologici 
provenienti da contesti sicuri. 
 

CERAMICA COSIDDETTA "BARBARICA" 
 
   Prima di  iniziare il  discorso con la rassegna delle ceramiche 
rinvenute nelle  necropoli longobarde  di Nocera Umbra e di Castel 
Trosino, entrambe  per  la  maggior  parte  conservate  nel  Museo 
dell'Alto Medioevo  a Roma, sarà opportuno, come nota preliminare, 
accennare alla   produzione  di ceramica  nell'Europa  centrale  e 
meridionale. 
 
   Per quanto  riguarda il periodo delle migrazioni, disponiamo di 
tre  gruppi   di  ritrovamenti   di  ceramiche:
1)  ritrovamenti 
provenienti  da   fabbriche  di   ceramica;  
 2) ritrovamenti  da 
insediamenti;
 3) ritrovamenti tombali. 
Per il  periodo che  a noi  interessa, il  primo gruppo risulta 
essere  rarissimo:   in  Italia  manca  completamente,  mentre  in 
Germania se  ne conoscono  solo alcuni.  Per  quanto  riguarda  il 
secondo gruppo,  quello relativo  alle  ceramiche  provenienti  da 
antichi  insediamenti,   i  ritrovamenti  e  la  loro  valutazione 
risultano estremamente  difficili,  per  il  fatto  che  i  centri 
abitati di  quell'epoca si  trovano normalmente  sotto villaggi  o 
città moderne.  Il terzo  gruppo,  quello  cioè  relativo  a
vasi 
provenienti da  tombe,  rappresenta  indubbiamente  la  fonte  più 
adatta per lo studio delle ceramiche. 
 
   Si comincerà  dal territorio delle Province Romane, nella parte 
sud-occidentale del  regno merovingio,  per  poi  occuparci  della 
situazione in Italia. 
 
   Il cimitero  franco-renano di  Krepfeld-Gallep  ci  offre,  per 
l'altomedioevo,  un   panorama  abbastanza   soddisfaciente  della 
produzione di  ceramica  nella  Renania.  Il  cimitero  risale  al 
periodo romano  e continua  ad essere ininterrottamente usato fino 
alla fine  del VII  secolo. Le  tombe romane contenevano il tipico 
corredo di  vasi. Questa  ceramica della  fine del  III e  del  IV 
secolo  proviene,  quando  si  parla  di  terra  sigillata,  dalle 
Argonne; il  vasellame di  uso casalingo  proviene invece da Majen 
nell'Eifel. Le  fabbriche di  Majen, o  per meglio  dire i  forni, 
furono  trovati  nei  dintorni  della  città,  come  anche  furono 
ritrovati cumuli  di cocci (nulla è stato pubblicato su gran parte 
di questo materiale). 
 
   Invece  dalle  Argonne  proviene  il  gruppo  della  cosiddetta 
"sigillata a  rotelle",  zona  dove  si  erano  istallate  diverse 
fabbriche  di  tradizione  romana.  Era  lì  che  veniva  prodotto 
l'ultimo tipo  di terra  sigillata. La ceramica prodotta da queste 
fabbriche è  in massima  parte decorata. Queste decorazioni furono 
incise con  rotelline nella  creta ancora fresca, e furono proprio 
queste rotelline a dare il nome a questa classe di ceramica. 
 
   La "sigillata a rotelle" ha avuto un ampia diffusione e ne sono 
stati trovati  esemplari anche  in luoghi  abbastanza lontani  dai 
centri di  produzione.  All'inizio  del  V  secolo  questa  usanza 
subisce un cambiamento: nel periodo che segue vediamo che le tombe 
racchiudono suppellettili  di  ceramica  locale,  ma  soltanto  un 
esemplare o  al massimo  due per  ogni tomba.  I vasi non sono più 
esclusivamente prodotti  di massa provenienti da fabbriche. Sembra 
che l'origine  di queste  nuove forme  sia da ricercarsi in quella 
parte della Germania che si trova a destra del Reno. 
 
   A partire  dalla fine  del IV secolo si ferma la vera e propria 
produzione di  ceramica romana  eccetto quella  delle fabbriche di 
Majen. Quindi  si attesta  una nuova  produzione  locale  fino  al 
predominio -  alla fine  del VI  sec. -  della cosiddetta ceramica 
franca, proveniente  in parte  da botteghe  di vasai  locali e  in 
parte da  imprese più  ampie. Questa  produzione elabora una nuova 
forma caratteristica di recipiente, conosciuto con il nome di vaso 
biconico franco. 
 
   La decorazione di questi vasi, chiamati per la loro lavorazione 
"ceramica lucida  a cottura  riducente", consiste  in una serie di 
incisioni a  rotelline o  a stampo  o a  linee ondulate incise con 
pettine. La  zona di maggiore diffusione si trova intorno al Reno, 
ma particolarmente  nella Renania centrale. Tutti questi vasi sono 
esemplari del VI e del VII secolo. 
 
  Un altro gruppo di vasellame, prodotto anch'esso sempre nel VI e 
nel VII  secolo è quello comprendente i cosiddetti vasi alemannici 
con costolature  a sbalzo  (Rippen oder  Buckelgefaesse). Ci  si è 
resi conto che questi vasi costituivano un fenomeno della moda del 
IV e V secolo estesasi a tutta l'Europa nord occidentale. 
 
   La quantità  dei ritrovamenti  diminuisce più tardi, mentre
per quanta riguarda  le zone  alemanniche, la  maggior parte di questi 
vasi è da far risalire al VII secolo. 
 
   Il terzo  prototipo di  ceramica di epoca merovingica, proviene 
dalla  Germania  meridionale  (questa  particolarmente  importante 
perchè direttamente  connessa con  la ceramica longorbarda trovata 
in Italia, di cui si dirà di seguito).
 
 
   Si tratta  di bicchieri  e vasi a forma di otre. Questo tipo di 
vasi non è di provenienza occidentale, bensì di origine
orientale. 
Tali recipienti  a forma  do otre,  sono quasi  sempre decorati da 
stampigliature e  vengono modellati  a  mano.  La  loro  tipologia 
richiama il gruppo principale della ceramica longobarda in Italia, 
con la differenza che quest'ultima è modellata al tornio. 
 
   Questi i tipi principali e più diffusi di ceramica prodotta nel 
VI e  nel VII  secolo in Renania e nella Germania sud occidentale. 
Naturalmente accanto  ai prototipi  descritti sopra, sono esistite 
ceramiche diversissime nella stessa epoca e nella  stessa zona, in 
genere prodotti di piccole botteghe probabilmente molto numerose. 
 
   Dopo aver  parlato della  ceramica transalpina dell'epoca delle 
migrazioni  passiamo   ad  occuparci  della  ceramica  in  Italia. 
L'analisi verterà  principalmente sulla  produzione della ceramica 
dell'Italia  settentrionale  e  centrale,  in  quanto per l'Italia 
meridionale   ancora   non si  è presa  una posizione  critica nei 
confronti del materiale rinvenuto. 
 
   Presenza di  forni di vasai oppure di fabbriche di ceramica del 
periodo in esame sembra non essere attestata. 
 
  D'altronde è presente la  ceramica di insediamento, ma molti dei 
ritrovamenti rimangono  ancora da  datare  e  classificare  (nella 
maggior parte  dei casi  si tratta di ceramica senza alcun intento 
artistico, decorata nel modo più semplice, a graffio). 
 
   Rimane così,  per i nostri scopi, l'ultimo gruppo di ceramiche, 
quelle provenienti da tombe e legate al rito funebre. Sappiamo che 
il  popolo   latino  non  usava  suppellettile  tombale.  Pertanto 
dobbiamo la  nostra conoscenza  di  ceramica  tombale  alle  tribù 
barbariche e  soprattutto a quelle longobarde, le quali per alcuni 
decenni dopo  la loro discesa in Italia, continuarono a conservare 
le usanze connesse al rito funebre, come l'uso delle suppellettili 
tombali. In  In genere  questi vasi  provenienti da  sepolcreti si 
possono  dividere   in  due  gruppi:    1)  ceramica  propriamente 
longobarda;    2)  ceramica  di  tradizione  tardo-antica  che  fu 
prodotta nelle botteghe romane in Italia. 
 
  Per quanto riguarda la ceramica longobarda, parliamo soprattutto 
di  recipienti   per  bere   (servizi  di   bottiglie,  caraffe  e 
bicchieri).  I  tipi  principali  di  questo  gruppo  di  ceramica 
modellata col  tornio sono  le brocche con becco, le bottoglie e i 
bicchieri a  forma  d'otre  e  le  bottiglie  a  collo  lungo.  La 
decorazione è  con stampigliature  e motivi  licidi. E'  chiara la 
derivazione di  tale ceramica  da quella sviluppata dai Longobardi 
in Pannonia.  Se non  si conoscono  le reali  influenze, è  sicuro 
invece che  la cosiddetta  ceramica longobarda  in Italia  fu  una 
concreta produzione dei Longobardi. La distribuzione dei luoghi di 
ritrovamento in  territorio longobardo  nell'Italia settentrionale 
ne  è   una  conferma  (Friuli,  necropoli  di  Cividale,  Veneto, 
Lombardia, Piemonte, necropoli di Testona-Moncalieri). 
 
   Nell'Italia centrale  invece la situazione è diversa: da questo 
luogo infatti  proviene un tipo di ceramica molto diverso. Le zone 
interessate sono  soprattutto Umbria  e Toscana.  I  cimiteri  che 
attestano questo  materiale fittile  sono quelli di Nocera Umbra e 
Castel Trosino  (questo  nella  regione  Marche),  Arcisa  (vicino 
Chiusi) e Fiesole. 
 
   La parte  maggiormente testimoniata  di questi  ritrovamenti  è 
formata da  brocche, boccali  con orlo a trifoglio. Di particolare 
importanza la presenza di piatti e di scodelle con orlo a listello 
in sigillata  chiara D,  di fabbricazione  africana, che compaiono 
come manufatto  di lusso  nelle tombe  più ricche  del VII secolo. 
Tutti i  recipienti di  questo gruppo  sono del  tipo molto  duro, 
ottenuto con una cottura speciale e superficiale ruvida, e con una 
gamma  di   colori  che  va  dal  grigio  all'ocra,  passando  per 
l'arancione. La  decorazione manca  in quasi  tutti i  vasi e dove 
compare è  rappresentata da  alcune linee  ondulate incise  con il 
pettine. 
 

 
 NECROPOLI  DI NOCERA UMBRA E CASTEL TROSINO 
 
   Non ci resta ora che analizzare il materiale ceramico rinvenuto 
nelle due  maggiori necropoli  longobarde di Nocera Umbra e Castel 
Trosino, avvalendoci  del lavoro, completo nel suo insieme,  di I. 
Baldassarre 
 
(1) 
, la  quale ha cercato,  per quanto  possibile,  di 
inquadrare tale materiale ceramico nell' economia della produzione 
di età  longobarda in Italia. Possediamo una sommaria sistemazione 
cronologica  del  materiale  ceramico  grazie  alla  presentazione 
fornitaci dai primi editori delle necropoli stesse 
 
(2)  .
 
  È ovvio  però che un inquadramento valido e completo di questa 
classe di  ceramica potrà  scaturire solo  dalla   catalogazione e 
dalla pubblicazione  sistematica di  tutto  il  materiale  di  età 
barbarica presente nei musei italiani. 
 
  Brevi notizie sulle singole necropoli non potranno che risultare 
di necessaria premessa. 
 
   La necropoli  di Nocera  Umbra fu  scoperta nel  1897. Le tombe 
esplorate, di  numero 165, erano disposte senza ordine topografico 
tra sepolcri  ricchi e  poveri. Le  ceramiche furono trovate in 44 
tombe, mai  più di un pezzo per tomba, e appartengono generalmente 
a sepolture  di donne  e bambini.  Delle 44 ceramiche citate nella 
relazione di  scavo, 26  sono ora  conservate  a  Roma  nel  Museo 
dell'Alto Medioevo, e di queste solo 5 sono fruibili al pubblico e 
saranno qui  elencate e  descritte; le  rimanenti si trovano o nei 
magazzini del  museo in  attesa di  una nuova  sistemazione,  o  a 
Milano, insieme  a tutto  il corredo tombale; in parte sono andate 
invece distrutte nella fase di recupero. 
 
   Grazie alla  datazione di  monete rinvenute sul luogo (aurei di 
Giustiniano), si  può  con  sicurezza  attribuire  l'inizio  della 
necropoli  all'anno   5713  (cronologia   determinata  anche   dal 
ritrovamento di  fibule longobarde di I e II stile): il sepolcreto 
fu attivo  quindi dall'ultimo  trentennio del  VI  secolo  con  un 
prolungamento  nel   VII  secolo,  e  con  un  addensamento  delle 
sepolture intorno al 600. 
 
a) Ciotoletta di terracotta rosso vivo su basso piede ad anello; 
bordo sagomato,  incavo centrale all'interno; rotta in due parti e 
restaurata. 
  Noc.U., tomba 23; inv. n.299 (2184) Misure: alt.0,05; diam. max. 
  0,185 
 
 b) Brocchetta  di terracotta,  molto compatta,  color nocciola; 
corpo globulare  schiacciato su  base piatta;  corpo sottile  e in 
rapporto al  ventre piuttosto lungo; labbro verticale sagomato con 
bordo ingrossato leggermente trilobato. Intera. 
  Noc. U., tomba 39; inv. n.447 
  Misure: alt.0,135; diam. max.0,14 
 
  c) Grande piatto di terracotta rossa, su basso piede ad anello e 
con bordo  sagomato; scarse  tracce  di  ingubbiatura  biancastra; 
ricomposto da vari frammenti. 
  Noc. U., tomba 60(donna); inv. n.630(2413) 
  Misure: alt.0,06; diam. max.0,24 
 
   d) Vasetti  gemelli, di colore grigiastro, decorati con file di 
rosette impresse;  corpo piriforme,  senza piede  e bocca svasata. 
Esempio unico  in Italia  centrale di  ceramica nera stampigliata, 
tipica dei popoli germanici, che i longobardi hanno lasciato nelle 
tombe pannoniche, trovata anche in sepolture dell'Italia sett. 
  Noc. U., tomba 148; inv. n.1102 
  Misure: alt.0,20; diam. max.0,10 
 
 La necropoli di Castel Trosino fu scavata nel 1893-96. Si tratta 
in questo  caso di  tre necropoli  adiacenti: S.Stefano,  Contrada 
Fonte, Contrada Campo. 
 
   Le tombe venute alla luce furono 237, di numero maggiore quindi 
rispetto al  precedente sepolcreto,  ma in generale più povere. Le 
ceramiche erano  45, anche  qui sempre  una per tomba: 27 sono ora 
conservate nel  Museo dell'Alto  Medioevo e  di queste solo 5 sono 
esposte al pubblico e saranno qui descritte. 
 
   Le rimanenti  si trovano anch'esse in casse poste nei magazzini 
del museo  o sono  in frammenti  o addirittura  non raccolte dagli 
scavatori perchè  trovate in  frantumi. Anche  qui l'ausilio delle 
monete (aurei  di Anastasio  I, 491-518,  a Maurizio TIberio, 582- 
602) permette  di  collocare  nell'anno  578  l'inizio  di  questa 
necropoli 
 
(4). Iniziata quindi negli ultimi decenni del VI secolo, 
ebbe però  un tempo  di durata più lungo che a Nocera,
continuando per tutto  il VII  secolo. Numerose  tombe sono prive di qualsiasi 
suppellettile, e non è stato rinvenuto alcun esemplare di ceramica 
nera stampigliata cosiddetta "longobarda". 
 
a) Grande piatto circolare in terracotta rossa friabilissima, su 
basso piede  ad  anello,  con  orlo  sagomato;  all'interno  lieve 
depressione nella  parte centrale; ricomposto da diversi frammenti 
integrato parzialmente nell'orlo. 
  C. Tr., tomba F; inv. n.1202(1944) 
  Misure: alt.0,055; diam. max.0,32 
 
  b) Boccaletto di terracotta rosso vivo con molte impurità; corpo 
ovoidale col  maggiore diametro  piuttosto in basso; breve collo e 
labbro sagomato verticale; ansa a cordone impostata sotto il labro 
e sul  ventre; tracce di vernice di un rosso scuro; danneggiato da 
un foro  oblungo poco al di sotto dell'ansa; rotta leggermente nel 
labbro; restaurata parzialmente nel ventre. 
  C. Tr., tomba 31(donna); inv. n.1360 
  Misure: alt.0.18; diam. max.0,13 
 
  c) Brocchetta  di terracotta  giallo  paglierino;  corpo  quasi 
cilindrico su  base piatta;  collo breve  e  stretto,  leggermente 
svasato, labbro non sagomato; l'ansa è impostata sotto il labbro e 
nella spalla;  presenta solchi paralleli orizzontali sotto l'ansa, 
con tracce  di vernice  rossa nella zona dei solchi; mancano parte 
del collo e del labbro. 
  C. Tr., tomba 32(donna); inv. n.1366 
  Misure: alt.0,195; diam. max.0,10 
 
   d) Grande  piatto di terracotta rossa; molto friabile, su basso 
piede ad  anello con  orlo sagomato;  rotto in  quattro frammenti, 
ricostruibile; reca tracce di ingubbiatura più scura. 
  C. Tr., tomba 90; inv. n.1458(1945) 
  Misure: alt.0,60; diam. max.0,38 
 
   e) Anforetta  di  terracotta  rossa  depurata;  corpo  ovoidale 
slanciato su  piede ad  anello sagomato;  collo  lungo  e  stretto 
leggermente  svasato   verso  l'alto,   con   labbro   leggermente 
ingrossato; due grandi anse a cordone, simmetriche, sono impostate 
a metà collo e sulla spalla; ricomposta da frammenti. 
  C. Tr., tomba 121(giovinetta); inv. n.1623(1419) 
  Misure: alt.0,18; diam. max.0,08 
  Come abbiamo visto, la forma che ricorre più frequentemente è
il boccale, ma compaiono anche altre forme, come le olle panciute, le 
ciotole, le  anforette. In  una povera  tomba nella  necropoli  di 
Castel Trosino,  si è rinvenuto un askòs di terracotta in forma
di animale a  quattro zampe  (tomba  114);  in  un  altra  una  rozza 
lucernetta (tomba 37). 
 
   Vorrei ora brevemente accennare, per completare il quadro sulle 
necropoli  longobarde  del  centro  Italia,  al  rinvenimento  del 
materiale caramico  nel cimitero di Pettinara-Casale Lozzi (Nocera 
Umbra), scavato nel Maggio 1976, in occasione della costruzione di 
una  abitazione presso l'attuale piazza delle Medaglie D'oro. 
 
  I pochi reperti di queste tombe mostrano, senza dubbi, che anche 
questo cimitero era probabilmente longobardo e senz'altro di epoca 
longobarda. Complessivamente  sono state  scavate 41  tombe, ma si 
pensa che almeno 80 siano andate perdute. 
 
   Tutti i  recipienti trovati  a Pettinara,  ad esclusione di una 
piccola brocca,  appartengono ad un tipo finora poco noto, che può 
al massimo essere paragonato alla "pignatella" 
 
(5) . 
 
   Si tratta  di bricchi  sferici con  un manico.  Sul  corpo  del 
recipiente posa verticalmente il bordo basso e tondo, senza che vi 
sia frammezzo il collo. I vasi sono cotti bene e di vari colori, e 
risultano inoltre piuttosto pesanti. 
 
   In  base  alla  tradizione  del  corredo  funebre  di  ceramica 
dell'alto medioevo,  deve trattarsi  di recipienti  usati per bere 
ma, per  la forma  e la  fattura, potrebbero essere anche pentole. 
Non si hanno punti di riferimento validi per la datazione. 
   Il recipiente della tomba 65 di Nocera Umbra somiglia più degli 
altri a questa tipologia di vasi. La piccola brocca della tomba 7, 
che fa  parte di  questo gruppo,  ha forma  sferica e collo corto, 
sottile e rientrante; il bordo non esiste più. Per questo pezzo di 
tradizione  antica   si  ha   come  esempio  un  reperto  analogo, 
proveniente dalla tomba 93 di Nocera. 
 
   Dalla tomba  35, sempre  di Pettinara, proviene il coccio di un 
vaso relativamente  grande e  di forma  imprecisata,  di  ceramica 
rossa ben  cotta. Presenta  scannellature  uguali  e  parallele  e 
appartiene   ad    una   tipologia    di   ceramica   tardo-antica 
altomedioevale: la  si trova  spesso negli  strati più  recenti di 
caverne e  grotte, che  fornivano rifugio alla popolazione in quei 
tempi agitati. Purtroppo non è possibile datarla con precisione. 
 
   Altri frammenti  di anfore  furono trovati durante lo scavo, ma 
certamente non hanno rapporto con la necropoli stessa. 
 

 
 
CONSIDERAZIONI  GENERALI 
 
 
   Ad un  esame complessivo  il materiale può essere diviso in due 
grandi classi:  in gran  parte si  presenta grossolano,  povero di 
forme, di impasto non depurato e di cottura imperfetta. 
 
   Domina su  tutto la  mancanza di  ripetizione  delle  forme,  a 
sottolineare quasi  l'assenza  di  una  fabbrica  artigianale  che 
producesse prodotti  in serie. Da ciò si distaccano, come classe a 
sè, i  pochi pezzi  di  argilla  compatta,  buona  cottura  e  con 
ripetizione esatta  delle forme,  che riecheggiano  modi di antica 
tradizione. 
 
   In definitiva, e si pecca di genericità, tale prodotto ceramico 
viene complessivamente considerato, esclusi i pezzi germanici, una 
continuazione  dell'industria   locale  italica,   della  quale  i 
Longobardi si sarebbero serviti e non si discosterebbe per tecnica 
e forma, da prodotti usuali del periodo tardo-antico. 
 
   Comunque, per  centrare  veramente  il  problema,  bisognerebbe 
analizzare quale fosse la tradizione tecnica e la realtà economica 
prima del  contatto con  i Longobardi, e quale fu il reale apporto 
artigianale longobardo con cui i romani vennero in contatto.
 
 
   Conosciamo tutti  la crisi  economica ,  sociale e politica che 
l'Italia attraversò  nei secoli  VI e  VII. Consideriamola  ora in 
rapporto alla produzione ceramica. 
 
   Dal punto  di vista archeologico constatiamo la scomparsa della 
produzione artigianale  organizzata in  fabbriche: per  mancanza o 
limitatezza di  mezzi si  ha la tendenza a chiudersi in produzioni 
locali, con una circolazione interna, e con una diminuita esigenza 
di commercio  a grande  raggio.  Non  esistenndo  più  domanda  di 
mercato, vengono  meno  anche  quelle  innovazioni  tipologiche  e 
ornamentali che  ci  permettevano,  con  le  loro  variazioni,  di 
seguire un iter cronologico e stilistico.
 
 
     A  sottolineare  ancora  maggiormente  il  perduto  interesse 
artistico, la  suppellettile ceramica  diviene di  tipo domestico, 
ridotta  al  necessario  e  soprattutto  di  uso  quotidiano.  Una 
precisazione però  va fatta:  non siamo in presenza di un fenomeno 
esploso improvvisamente  nel VI  secolo;  anzi,  già  nel  periodo 
tardo-antico  assistiamo   ad  un  progressivo  decadimento  della 
prodizione ceramica. 
 
  I primi segni sono riconducibili a cominciare dal III-IV secolo, 
dove  assistiamo   ad  una   progressiva  eliminazione  di  motivi 
decorativi, ad  uno scadimento  della vernice e ad una diminuzione 
di forme,  per arrivare ai secoli IV-V, la cui caratteristica è un 
irrigidimento di  forme, che  avranno  però  la  particolarità
di conservarsi a  lungo. Alla terra sigillata, come ceramica fine, si 
sostituirà probabilmente  nel V-VI  secolo la ceramica invetriata: 
è da  notare, comunque,  che  questa  classe  di  ceramica  non
è presente nelle necropoli prese in considerazione. 
 
   La ceramica  acroma di uso domestico(dove anche le ceramiche di 
Nocera Umbra  e  Castel  Trosino  sembrano  appartenere  a  questa 
categoria,  nonostante  il  loro  uso  funerario)  costituisce  la 
maggioranza della  ceramica dei  secoli VI-VII.  Essa si  presenta 
sempre acroma,  in terracotta  chiara e  rossastra con scanalature 
più o  meno minute  su tutta  la superficie  esterna o su parte di 
essa 
 
(6) .
 
  Le forme non offrono molte varianti: boccaletti su basso piede a 
larga  imboccatura;   con  alto   labbro  svasato.   Comunque   la 
granulosità di  impasto e  la  mancanza  di  sequenze  tipologiche 
sembrano essere una caratteristica quasi esclusiva delle ceramiche 
rappresentate nelle  due necropoli longobarde, per le quali sembra 
impossibile l'esistenza di un artigianato specializzato. 
 
  Due grandi produzioni quindi in ambiente italiano: il nuovo tipo 
rappresentato dall'invetriata  e il  vecchio, che  non ha niente a 
che fare  con questa  nuova classe,  ma  anzi segue la scia, senza 
soluzioni di continuità, iniziata nel IV secolo, perpetuando forme 
e tecniche di una ormai svuotata tradizione. 
 
  Ma quale era veramente la situazione della ceramica longobarda ? 
 
   Dopo il  loro ingresso  in Italia,  e già  prima in Pannonia, i 
Longobardi  abbandonano   l'agricoltura  nelle   mani  dei  popoli 
sottomessi, subendo, come conseguenza, la scomparsa della ceramica 
nord-danubiana rurale,  lavorata a  mano, che  viene sostituita da 
ceramica lavorata  al tornio. Il periodo pannonico è, al riguardo, 
molto  illuminante:   costituisce,  infatti,  il  momento  di  una 
coscienza tecnica  che si  concretizzerà nel  potenziamento di una 
propria  economia   artigianale,  prima   inesistente.  Nel   loro 
movimento verso  l'Italia, quindi,  i longobardi  portarono con sè 
quegli  artigiani   ceramisti,  i  soli  che  producevano  oggetti 
necessari alla loro vita. 
 
   La ceramica  pannonica (quella  immediatamente precedente  alla 
fase italiana)  risulta infatti  presente in  Italia almeno  in un 
primo momento.  Questo tipo  di ceramica  era nero  o  grigio  con 
stampigliature, su  forme essenzialmente  biconiche,  lavorata  al 
tornio e acquisita certamente da altri popoli germanici. 
 
   Se  seguiamo  gli  stanziamenti  longobardi,  la  troviamo,  in 
quantità  massiccia,   a  Cividale,   la  più   antica
necropoli 
longobarda 
 
(7)  ,e a Testona.Si riduce a due soli esemplari a Nocera 
Umbra (vasetti  delle tomba  148) e  scompare del  tutto a  Castel 
Trosino.  Probabilmente,   non  trovando   riscontro   in   alcuna 
tradizione nè  longobarda nè  italica, fu  destinata ad
esaurirsi 
presto. 
 
    Nocera  Umbra  e  Castel  Trosino,  invece,  testimoniano  una 
persistenza del tipo non decorato, in forma ollare monoansata (con 
le dovute  eccezioni) e  di  fattura  rozza,  rivelando  da  parte 
dell'artefice la  conoscenza tipologica ma non quella tecnica. Non 
avendo confronti  con forme  romane  contemporanee,  si  tenta  di 
considerarla  come   una  produzione   ceramica   autonoma   degli 
stanziamenti longobardi in Italia. 
 
   Il quadro sopra presentato sembra indicare, in conclusione, una 
generale  tendenza,   in  ambiente   longobardo,   ad   accogliere 
passivamente forme  esterne  o  a  rifornirsi  sulla    produzione 
locale.  Non   manca  tuttavia  la  volontà  di  continuare  forme 
tradizionali, già  in uso  nella patri pannonica, accentuata ancor 
più dalle  pratiche funerarie di per sè conservatrici, e del
tutto diverse dalle pratiche della popolazione romana. 
 
   L'adozione, tra  la ceramica  italica, del  tipo acromo  o  con 
semplice ingubbiatura  rispetto alla ceramica invetriata, potrebbe 
spiegarsi con  il tentativo  di avvicinarsi il più possibile ad un 
tipo tradizionale. 
 
 

 
CERAMICA INVETRIATA ALTOMEDIOEVALE 
 
 
     Tempo  fa,  prima  della  chiusura  di  alcune  sale  che  le 
contenevano, erano  esposte, sempre nel Museo dell'Alto Medioevo8, 
alcune ceramiche rinvenute nel corso di vecchi scavi nell'area del 
Foro Romano  (Pozzo H,  Colonne Onorarie), le quali documentano le 
principali produzioni  fittili di Roma nel Medioevo. La classe più 
nota  e   più  tipica   è  quella   rappresentata  dalla
ceramica 
invetriata, detta "a vetrina pesante" o "FORUM WARE", molto comune 
a Roma  (che ne  fu uno  dei principali  centri produttori)  e nel 
circondario, ma  attestata abbastanza  ampiamente anche  nel resto 
della penisola e nelle isole (vedremo poi che toccherà anche terre 
non italiane). 
 
 La forma  più frequente è la brocca con collo sviluppato,
corpo 
ovoidale, beccuccio  ad ansa,  ma non  mancano  altre  forme  come 
l'olla, il vaso ad alto collo, i coperchi ed anche le forme aperte 
(catini). 
 
   In  moltissimi  esemplari  ricorre  una  decorazione  a  petali 
applicati, disposti  in maniera più o meno regolare; numerosi sono 
anche i  casi di  decorazione incisa  che  può  trovarsi  talvolta 
combinata con la decorazione precedente. Sicuramente attestata nel 
periodo carolingio  (tardo VIII-IX  secolo), grazie  alle suddette 
caratteristiche, rimane  tuttavia ancora  aperto il problema della 
cronologia iniziale:  i dati di scavo finora disponibili non hanno 
permesso di  chiarire in  modo definitivo se sussista un effettivo 
rapporto di  continuità  tra  questa  produzione  e  quella  tardo 
antica; da  quest'ultima, comunque, la "Forum Ware" altomedioevale 
ha mutuato,  non si  sa se  per tradizione  diretta o  tramite  la 
mediazione bizantina,  l'elemento decorativo  a petali applicati a 
rilievo 
 
(9) 
 
Recentemente il Whitehouse 
 
(10) ,in una giornata di studio dedicata 
alla  ceramica   invetriata  tardo  romana  e  altomedioevale,  ha 
sottolineato come  una revisione  di vecchi rinvenimenti del Lacus 
Juturnae  (fontana   del  II   secolo  a.C.  nel  Foro  Romano)  e 
soprattutto una nuova valutazione delle monete rinvenute presso la 
Fonte, suggerisca  la possibilità  per il tipo "Forum Ware" di una 
datazione anteriore all'anno 600, invece di quella finora proposta 
fra il 750 e l'850 ca. 
 
(11) 
 
     Ciò  sembra   capovolgere  la  tesi  sulla  continuità
della 
invetriata, anche  se i  ritrovamenti di  Castelseprio e  di altre 
località   lombarde,    sembrano    indicare    che    nell'Italia 
settentrionale la  produzione proseguì almeno nel VI e VII secolo: 
gli scavi  di Luni,  con il suo ampio materiale, dimostrano che la 
ceramica invetriata tardoromana non fu mai comune nel Levante come 
lo era nel Ponente 
 
(12) . 
 
   Comunque l'analisi  storica generale  porta ormai a credere che 
nella transizione  dalla tarda antichità all'altomedioevo non si
è 
verificata nessuna  perdita delle abilità artigianali, ma solo una 
riduzione della quantità degli artigiani specializzati in un mondo 
in   cui   poche   persone   potevano   permettersi   di   pagarli 
adeguatamente. 
 
   Resta comunque  il fatto  che  una  diffusione  nell'uso  delle 
ceramiche rivestite  con vetrina  piombifera si  ebbe solo dopo il 
1000. Fino  al secolo  XII il  livello del  corredo  domestico  in 
ceramica, rimase qualitativamente e quantitativamente molto basso, 
probabilmente in rapporto con un maggiore impiego di recipienti in 
altri  materiali,   pietra  ollare  e  vetro,  trovati  in  strati 
altomedioevali, e  che hanno  anche riscontri in documenti scritti 
nei secoli XII e XIII.
 
 
   Consideriamo  la  sua  distribuzione.  Se  guardiamo  tutte  le 
attestazioni  di  ceramica    a  vetrina  pesante  altomedioevali, 
apparirà evidente  la diffusione  relativamente  ampia  di  queste 
produzioni, anche  se quantitativamente  esigue (ad  eccezione  di 
Roma e del Lazio), riferibili a diversi centri di origine. 
 
   Elementi sufficienti  per  una  datazione  circostanziata  sono 
emersi finora solo a Roma,nello scavo della Crypta Balbi 
 
(13) ,dove 
la ceramica  a vetrina  pesante altomedioevale,  nta anche  con il 
nome di  "Forum Ware"  è  già  presente  in  strati  di  VII
sec. 
inoltrato in  associazione con  un altro  tipo di  invetriata,  di 
produzione  locale,  la  quale  presenta  caratteri  molto  simili 
all'invetriata bizantina  di VII-VIII  sec.,  di  cui  costituisce 
probabilmente una filiazione diretta. 
 
    Si  tratta  di  una  ceramica  ad  impasto  grezzo,  superfici 
schiarite, invetriatura esclusivamente interna, spessa, brillante, 
di colore chiaro o marrone-verdastro, cavillato. 
 
   Non sappiamo  esattamente quando  tale produzione  abbia  avuto 
inizio a  Roma, ma  essa è  certamente posteriore  alla diffusione 
della ceramica  invetriata in area bizantina, avvenuta nella prima 
metà del VII, da cui mutua le caratteristiche di fondo 
 
(14) . 
 
    Da  ciò  si  deduce  che  questa  ceramica,  che  deve  essere 
considerata la prima produzione invetriata altomedioevale di Roma, 
si  colloca   nei  secoli   centrali  dell'VIII  sec.  esattamente 
nell'ambito cronologico  indicato dalla  stratigrafia della Crypta 
Balbi. 
 
   Numerosi ritrovamenti  in siti anche molto distanti (il caso di 
Marsiglia e  di Genova  è emblematico),  sono  ricondicibili  alla 
tipologia romana  e provengono,  con ogni probabilità, da officine 
di Roma.  Rientrano in  questo gruppo  alcuni frammenti di Napoli, 
della Sardegna,della  Corsica, probabilmente anche un frammento di 
Arezzo: in Toscana, oltre questo frammento, sono tornati alla luce 
di recente alcuni pezzi di ceramica a vetrina pesante a Lucca 
 
(15) 
e a rocca S.Silvestro,riferibili, forse, a centri di fabbricazione 
di  area   toscana,   anch'essi   non   ancora   localizzati.   La 
distribuzione  dei   ritrovamenti,  come  risulta  dalle  località 
citate,  è   prevalentemente,  ma  non  esclusivamente,  costiera: 
l'irraggiamento della  produzione romana  di  ceramica  a  vetrina 
pesante lungo le coste tirreniche (da Napoli a Genova e Marsiglia, 
coste  della  Sardegna  e  della  Corsica)  documenta,  sul  piano 
archeologico, il  persistere di  contatti lungo  collaudate  rotte 
marittime,  concordemente   con  quanto   è   noto   dalle   fonti 
altomedioevali. Vediamo come esempio il caso di Marsiglia. 
 
  In questo luogo, negli scavi del 1985, furono rinvenuti pezzi di 
ceramica a  vetrina piombifera verde. Messi a confronto con quelli 
provenienti dallo scavo  della  Crypta  Balbi 
 
(16) , lo  studio  ha  
provato l'origine comune  dei frammenti  di Roma  e  Marsiglia,  e 
dunque  l' esportazione  in  Francia   meridionale   di   prodotti  
nvetriati del Lazio.  Questo  commercio  ipotizzabile  già  nel IX  
secolo, riguarda principalmente i  secoli X-XI.  Per  ora  dunque, 
la   ceramica  a  vetrina   pesante   rappresenta  la  più  antica   
ceramica   medioevale   d'  importazione   scoperta   in   Francia  
meridionale. 
 
   Nel suo  complesso, la  distribuzione della  ceramica a vetrina 
pesante altomedioevale  in confronto  a quella  invetriata  tardo- 
antica mostra  uno spostamento  dell'asse dal  settentrione  della 
penisola, dove  l'invetriata  era  prevalente  in  periodo  tardo- 
antico, al  centro sud  in periodo  altomediovale.  Ed  è  proprio 
quest'ultima parte  d'Italia che rimane in stretto contatto con il 
mondo bizantino nei secoli VII e VIII, da cui sembra derivò motivi 
di sopravvivenza "ellenistica". 
 
   Nel corso  del X  secolo la  ceramica a vetrina pesante subisce 
delle radicali  trasformazioni: da  una parte un impoverimento del 
rivestimento,  distribuito   da  ora   in  modo  assai  irregolare 
sull'intera superficie  del vaso  (ceramica a  vetrina  pesante  a 
macchia  o  "Sparse  Glazed");  dall'altra  una  modificazione  di 
carattere  formale,   con  l'affermarsi   del  vaso  biconico  con 
beccuccio espanso. 
 
   Il  suo  esaurimento  si  colloca  in  un  periodo  successivo, 
pressapoco nei  secoli  XII-XIII,  soppiantato  dalla  diffusione, 
abbastanza considerevole  anche a  Roma, di ceramiche rivestite di 
tipo bassomedioevale.  Gli ultimi  esemplari di ceramica a vetrina 
pesante, consistono  in vasi  che presentano appena una pennellata 
intorno a tutto il corpo (ad esempio gli esemplari di S.Cornelia). 
 
   Accanto alla ceramica a vetrina pesante, furono prodotti a Roma 
per tutto il Medioevo altri tipi di ceramica, quali la ceramica da 
fuoco  e   quella  ad  impasto  depurato,  prive  di  rivestimento 
(ceramiche acrome).  Al primo  tipo  appartengono  olle,  boccali, 
tegami, coperchi e lucerne. Ad eccezione del tegame, gli esemplari 
esposti  sono   riferibili  ai   secoli  antecedenti   il   Mille. 
Interessante è  notare come  il vasellame  fabbricato a  Roma  nei 
primi secoli  del Medioevo, contrariamente ad altre zone, presenti 
un livello  tecnologico evoluto:  i vasi  sono sempre  lavorati al 
tornio veloce, gli impasti accuratamente selezionati, le superfici 
ben definite. 
 
     Anche  la   ceramica  acroma   ad  impasto  depurato  rivela, 
nell'Altomedioevo, una vasta gamma di tipi e decorazioni. Le forme 
più comuni  sono  rappresentate  da  brocche  e  anfore  di  varie 
dimensioni. L'esemplare  monoansato si  riallaccia alla tradizione 
tardo-antica, mentre  le  anfore  a  corpo  ovoidale,  spesso  con 
decorazione a linee ondulate eseguite a pettine sulla spalla, sono 
comuni nei secoli VIII-IX. 
 
   Un'altra forma  tipica del  periodo è l'anforetta a largo collo 
svasato, sulla  cui  superficie  schiarita  compaiono  decorazioni 
incise a pettine o a rotella. 
 
   Le ceramiche  da mensa  di tipo bassomedioevale, si affermano a 
Roma solo nel XIII secolo, sotto l'influsso di ceramiche importate 
già nel  XII secolo  da  altri  centri  mediterranei,  soprattutto 
dall'Italia meridionale. 
 
   Le nuove tecniche, che introducono un rivestimento invetriato o 
smaltato monocromo  (verde o  giallo) o  policromo (verde,  bruno, 
giallo) su  fondo bianco,  si trovano  applicate inizialmente alle 
sole forme chiuse (boccali e "truffette" ovvero boccali panciuti a 
collo strettissimo  e  orlo  trilobato),  e  solo  successivamente 
estese a forme aperte (ciotole carenate e catini) 
 
(17) . 
 
 
 
NOTE
 
 
 
(1) 
I.  BALDASSARRE, La ceramica delle necropoli di Nocera Umbra e 
Castel Trosino, Altomedioevo I-1967, pp.141-185 
 
 
(2) 
A. PASQUI-R. PARIBENI, La nacropoli barbarica di Nocera Umbra, 
Mon. Ant.  Linc. XXV-1918, pp.137-351; R. MENGARELLI, La necropoli 
barbarica di  Castel Trosino presso Ascoli Piceno, Mon. Ant. Linc. 
XX-1902, pp.47-235 
 
 
 
Nell'anno  571  la  città  fu  conquistata  dai  longobardi  e 
incorporata nel Ducato di Spoleto. 
 
 
(4)
La  città posta  sulla Via  Salaria presso  Ascoli  Piceno  fu 
conquistata dai  longobardi nel  578 ed  in  seguito  inclusa  nel 
Ducato di Spoleto. 
 
 
(5) 
O.  MAZZUCATO, La  ceramica  laziale  nell'altomedioevo,  Roma 
1977, nn.53-54,  dove recipienti  simili, ma  in realtà più
tardi, 
vengono indicati con questo nome. 
 
 
(6) 
Per  Ventimiglia cfr.  il lavoro  di N. LAMBOGLIA, Ventimiglia 
romana, Bordighera 1964 
 
 
(7)
 Cfr.  M. BROZZI, La più antica necropoli longobarda in Italia, 
Nocera Umbra s. d. 
 
 
(8)
Esattamente nella vetrina 23. 
 
 
(9) 
È  da ricordare  che nei  secoli VIII-IX, una copertura molto 
simile alla  vetrina pesante è in uso a Bisanzio, per cui è
logico 
supporre che  vi sia  stato un  legame  tra  il  "  vetro  romano" 
occidentale e  quello prodotto  nell'Impero romano d'Oriente. Cfr. 
O. MAZZUCATO,  Introduzione alla  Ceramica Medioevale del Museo di 
Roma, Roma 1990, p.9 
 
 
(10) 
D.  WHITEHOUSE, L'invetriata tardo romana e altomedievale nel 
Lazio, Atti  del Convegno  "La ceramica  invetriata tardoromana  e 
altomedievale" (Como, 14  Marzo 1981), Como 1985, pp.105-108 
 
(11)
O. MAZZUCATO, La ceramica a vetrina pesante, Roma 1972 
 
 
(12)
H. BLAKE, Ceramiche romane e medioevali e pietra ollare dagli 
scavi della torre civica di Pavia, Archeologia Medioevale  V-1978, 
pp.141-170 
 
 
(13)
Il  giardino del  Conservatorio di  S. Caterina  della  Rosa, 
Archeologia urbana  a Roma:  il progetto  della Crypta Balbi .3, a 
cura di  D. MANACORDA,  Firenze 1985;  L'esedra della Crypta Balbi 
nel Medioevo  (XI-XV sec.), Archeologia urbana a Roma: il progetto 
della Crypta  Balbi .5,  a cura  di L. SAGUI' e L. PAROLI, Firenze 
1990 
 
 
(14)
Non sembra perciò affatto sorprendente che il più antico
tipo 
di ceramica  invetriata altomedioevale  prodotto a Roma negli anni 
centrali dell'VIII sec. abbia elementi in comune con quella in uso 
a Costantinopoli, e che molti tratti bizantini si ritrovino ancora 
nei primi  esemplari del  "Forum Ware". Cfr. Atti del Convegno "La 
ceramica invetriata...", op. cit. 
 
 
(15) 
G. DE MARINIS, Esemplari di ceramica invetriata altomedievale 
a Lucca, Archeologia Medioevale V-1978, pp.504-512 
 
 
(16) 
Il giardino del Conservatorio..., op. cit. 
 
 
(17) 
Su tutti gli argomenti trattati nell'articolo vedasi anche la 
seguente bibliografia:  ENCICL.  ARTE  ANTICA,  vol.  III,  s.  v. 
Ceramica e Suppl., Atlante della ceramica romana, Roma 1983; B. M. 
FELLETTI MAJ,  Echi di  tradizione antica  di  età  longobarda  in 
Umbria, Atti  del II  Convegno di Studi Umbri, Gubbio 1974, p. 317 
sgg.; O.  MAZZUCCATO, La ceramica a vetrina pesante, Roma 1972; A. 
MELUCCO VACCARO,  I Longobardi  in Italia.  Materiali e  problemi, 
Milano 1982;  S. NEPOTI,  Manufatti di  uso domestico, Archeologia 
Medioevale X-1983,  pp. 199-212;  L. PAROLI,  Ceramiche a  vetrina 
pesante scoperte  a Roma  e a  Marsiglia:  risultati  delle  prime 
analisi fisico-chimiche, Archeologia Medioevale XIII-1986, pp. 79- 
86; L.  PAROLI, D.  MANACORDA, M. RICCI, A. MOLINARI, D. ROMEI, La 
ceramica medioevale di Roma nella stratigrafia della Crypta Balbi, 
Atti del  III Congresso Internazionale "La ceramica medioevale nel 
Mediterraneo  Occidentale"   (Siena-Faenza,  8-13  Ottobre  1984), 
Firenze 1986,  pp. 511-544;  La ceramica invetriata tardo antica e 
altomedievale in  Italia, a  cura di L. PAROLI, Atti del Seminario 
(Certosa di  Pontignano-Siena, 23-24 Febbraio 1990), Firenze 1992; 
A.  PERONI,  L'arte  in  età  longobarda.  Una  traccia,  Magistra 
Barbaritas, Milano  1984, pp.  229-300; O.  von ESSEN, A proposito 
della ceramica  longobarda in  Italia, Atti  del Convegno di Studi 
Longobardi 1970,  pp. 91-94;  O.  von  ESSEN,  A  proposito  della 
produzione di  ceramica nel  periodo delle migrazioni, XVIII Sett. 
Studi Alto  Medioevo, Spoleto-Cen.  It. Stud.  Alt. Med. 1971, pp. 
749-764; O.  von ESSEN,  Il cimitero  altomedievale  di  Pettinara 
Casale Lozzi  (Nocera Umbra),  Firenze 1978;  O. von ESSEN, Alcuni 
aspetti della  cronologia riguardante i Longobardi in Italia, Atti 
del VI  Conv. Intern.  Stud. Alto Med., Spoleto 1980, pp. 229-300; 
D. WHITEHOUSE,  Nuovi elementi  per la  datazione della ceramica a 
vetrina pesante, Archeologia Medievale, VIII-1981, p. 583 sgg.