bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Il mercato dell’arte, ieri e oggi, attraverso gli scritti di Hauser  

Valentina Lilla
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell’Arte, 21 Marzo 2020, n. 891
http://www.bta.it/txt/a0/08/bta000891.html
Articolo presentato il 12 Novembre 2018, approvato il 25 Febbraio 2020 e pubblicato il 21 Marzo 2020
Precedente
Successivo
Tutti
Area Didattica

Il legame che intercorre tra arte e società ha sempre avuto una valenza significativa per la storia dell’umanità, riuscendo ad adattarsi ed evolversi all’interno del tempo e dello spazio. Da ciò ne derivano dei profondi mutamenti inerenti in modo particolare al cuore della definizione stessa di arte. Quest’ultima, oggi considerata una delle pratiche più caratterizzanti ed universali della specie umana, evolve la propria identità, in particolare, relazionandosi con il concetto di società a seconda del periodo storico vigente. L’arte, proprio per tale motivo, è da riconoscere come un meccanismo di comunicazione simbolica, un elemento complementare per l’organizzazione dei sistemi culturali e, nelle sue opere, si è pensato di poter leggere le più profonde attitudini di una determinata società[1].

Parlare di arte equivale a parlare dell’uomo. Non può esistere un’istanza estetica se non si riconosce in essa l’elemento di identificazione antropologica. Si è messo in rilievo come attività sociali e valori culturali possano trovare espressione figurativa, come l’arte sia uno strumento di controllo ma possa essere usufruita anche come coscienza critica.

A tal riguardo si possono, quindi, distinguere modi diversi per poter affrontare uno studio che faccia da congiunzione tra arte e società: uno, come detto precedentemente, di tipo antropologico, studia lo spazio e le sue funzioni che i fenomeni artistici occupano entro una certa società; un altro, proprio degli storici dell’arte, legge nella produzione artistica – di cui non mette in questione lo statuto – la capacità di esprimere i problemi ed i valori di una determinato ambiente, e punta generalmente la sua attenzione sullo stile[2] e sull’iconografia delle opere; un terzo, di tipo sociologico, indaga sui modi in cui i rapporti tra arte e società si sono strutturati ed intessuti, sulle funzioni attribuite alle opere, sulla figura, la situazione sociale e la carriera artistica, sulle forme della committenza, sul mercato, sul pubblico.

Sull’argomento si può partire dagli studi svolti da Winckelmann[3] per poi passare attraverso gli scritti di Hegel, il quale creò un sistema che permetteva di abbracciare la storia universale delle arti. Eliminando la concezione che faceva del classicismo un unico punto di riferimento del giudizio estetico, Hegel giunse ad un atteggiamento omnicomprensivo di apprezzamento delle arti di ogni epoca, accompagnandolo alla sua teoria dello “spirito del tempo”, ovvero alla reciproca affinità che intercorre fra sviluppo dello spirito umano ed evoluzione dell’arte e del gusto, concetto fondamentale per gli storici tedeschi fondatori della storia dell’arte moderna. Un successivo grande sviluppo si ebbe nel momento in cui Arnold Hauser, storico e sociologo dell’arte, inglese e di origine ungherese, allargò i suoi studi procedendo attraverso il pensiero marxista, dimostrando fin dal principio una certa predisposizione ad una mentalità progressiva.

Hauser, infatti, è da considerare l’esponente più importante della storia sociale dell’arte di orientamento marxista.

I primi contatti con questo tipo di visione che diedero origine a tutte le sue successive riflessioni, avvennero a Budapest, dove iniziò gli studi di storia dell’arte. Lì fece parte della cerchia di intellettuali progressisti che si raccoglieva intorno a Lukàcs[4], il quale era convinto che vi fosse un’alienazione dell’uomo nella società capitalistica.

Egli si identificava nella filosofia nietzschiana ed in generale nella cultura irrazionalista come matrice ideologica del fascismo europeo, non andando a sviluppare direttamente le idee ma solo una corrente di pensiero che parte dal marxismo e sulla quale si evolve l’ideologia fascista. Ciò implica che Hauser abbraccerà il pensiero di Karl Marx in cui vengono messi in discussione i valori spirituali in quanto armi politiche che metteranno le proprie radici all’interno di una apparente verità o comunque utilizzando una visione per nulla complessiva ma parziale, distorta, quindi, a seconda degli interessi di una determinata classe. Ciò che Hauser sottolinea è il fatto che lo stesso Marx trascurò un elemento importante: l’uomo combatte continuamente contro la propria parzialità, alla ricerca di un punto di vista obiettivo, poiché, in caso contrario, si rischierebbe di sfuggire alla casualità della società[5].  Questo dovuto anche al fatto che in alcun caso un determinato ordinamento sociale può essere definito unitario e di conseguenza alcuna forma artistica potrà mai presentare la stessa identica condizione. Un esempio concreto è quell’arco temporale che cinge il XVIII ed il XIX secolo, in cui ci troveremo dinanzi ad un pubblico molto più aperto nei confronti della letteratura che non coloro che si accostavano alla pittura. Potremmo quindi parlare di varie ideologie di un eventuale preciso presente che andranno a congiungersi dal punto di vista dialogico con un parte della collettività sociale e, come sottolinea Hauser, solo così potremmo ricavarne di più del loro inquadramento storico, sociologicamente usufruibile.

Non a caso Hauser prende spunto dalle sue teorie per riflettere sulla storia dell’arte improntata sull’analisi tra i fenomeni artistici ed il loro retroterra socio–economico. Egli andrà a rielaborare queste teorie per adattarle allo sviluppo dei movimenti artistici e al rapporto con la società. Fondamentale per questo suo lavoro furono gli studi su Troltsch[6], figura influente all’epoca, da cui apprese che sono le azioni dell’uomo a guidare la storia. Infine, a Vienna, fu particolarmente influenzato dall’interpretazione della storia dell’arte come Geistesgeschichte[7] e dagli studi sul manierismo di Max Dvorak, il quale, partendo da spunti romantici elaborò nelle sue lezioni una teoria intorno all’opera d’arte come prodotto dello spirito[8] e sulla mutevolezza del concetto dell’arte nel corso del tempo. Il fattore principale è che egli respinse la teoria sull’autonomia dell’arte, a suo dire formata da fattori materiali indipendenti tra loro.  

Per Hauser ogni società ha un suo specifico stile: la società aristocratica predilige uno stile rigido, tradizionalista, mentre una società come quella democratica ne preferisce elementi che siano più naturalistici possibili, un’arte più vicina alla città e così a seguire. Sarebbe da chiedersi cosa avrebbe potuto dedurre Hauser esaminando la società odierna ed a quale tipo di stile avrebbe potuto accostarla.

Resta il fatto che Hauser analizza l’uomo alla luce di ciò che diventa in seguito a cambiamenti. Nel susseguirsi di movimenti storici, letterari ed artistici, l’uomo acquisisce caratteri nuovi e diversi, il tutto impastato ed amalgamato dalle mani dell’artista.

Leggendo Hauser ci si rende conto immediatamente che i suoi scritti, in particolar modo Storia sociale dell’arte, pubblicata per la prima volta dopo il 1945, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, potrebbero essere riferite e rapportate ad ogni epoca. Ripercorrere, quindi, quei periodi storici da lui analizzati permette di giungere a quel tempo che noi definiamo presente e che può costruire il ponte con tutti gli innumerevoli presenti artistici che l’umanità ha vissuto.

Affrontare le problematiche dell’arte dal punto di vista sociologico, considerando l’opera anche come prodotto commerciale, sembrava, inizialmente, essere un tipo di approccio estraniante da una corretta analisi di storia dell’arte, intesa come studio di valori qualitativi. Successivamente ci fu una forte presa di coscienza nel considerare lo studio di interconnessione fra valore artistico e valore economico, di fondamentale importanza per comprendere il senso complessivo della produzione artistica come fenomeno peculiare della nostra cultura. Una presa di coscienza che ha lacerato fortemente l’animo degli artisti di oggi, portando le loro opere ad una schiacciante business art, estremizzando in questo caso la coincidenza fra valore artistico ed economico. Già a partire dagli anni Sessanta, critici di peso internazionale dibattevano riguardo questo prepotente mercato, come scrisse Germano Celant[9] , che andava contro ogni forma di mercificazione dell’arte ma con un senso di vittimismo irrisorio: «Il mercato è dappertutto. Togliamoci questa moralista attitudine».

I due termini arte e società hanno dato vita a due scienze, l’estetica e la sociologia dell’arte e qui Arnold Hauser giocò un ruolo imprescindibile, chiarendo l’esatto significato dell’opera attraverso la conoscenza dei fenomeni sociologici. La conseguenza di questo rapporto tra arte e società si esprime nella sovvenzione economica dell’arte, sia nella nostra epoca, sia nel passato: la Chiesa è stata il mecenate dell’arte sicuramente più longevo, mentre dal Rinascimento si sono aggiunti i principi, infine nel XVII e XVIII secolo questo ruolo fu ricoperto più che altro dai mercanti e dai borghesi.

L’artista, nonostante sia da considerare come il creatore del manufatto, risulterà essere un tassello di un grande mosaico meccanico volto al processo di realizzazione di questo specifico prodotto allo stesso tempo culturale ed economico. La creatività del singolo era tendenzialmente subordinata al volere dei mercanti, dei collezionisti, di coloro che in passato commissionavano un’opera. Poi si è arrivati nel nostro presente, ai direttori dei musei e ai critici d’arte, i quali manovrano in modo a volte sottile, a volte esplicito ciò che l’artista è destinato a generare.

Arte ed economia costituiscono, infatti, due sfere con caratteristiche ed origini sicuramente distinte, ma non opposte, in cui la società rappresenta uno degli anelli di congiunzione tra questi due aspetti, che fin dal passato si sono incrociati e sovrapposti.

L’analisi del mercato dell’arte comporta alcune difficoltà di interpretazione risalenti in particolar modo ad un’imperfetta distribuzione dell’informazione nel settore ma non possiamo sorprenderci o rinnegare questo punto se si rimane all’interno di quella considerazione dell’arte in quanto attività economica.

La funzione economica dell’arte, infatti, oltre al suo valore estetico e sovraestetico, tende ad esprimersi tramite il sostegno di complessi processi di commercializzazione che, come detto, comportano un cambiamento motivazionale e le condizioni dell’attività artistica. L’approccio a questa tipologia di “prodotto di mercato artistico” si è sicuramente evoluto nel corso del tempo, al pari modo di come è andato man mano a mutare l’idea stessa dell’artista in relazione al mondo circostante. In passato quest’ultimo era stato visto non inerente al rapporto con il sistema dell’arte, ma all’interno della società, e saranno proprio questi due termini “arte e società” a dare vita alle due scienze primarie per una visione non esclusivamente tecnica dell’arte: l’estetica e la sociologia, le quali saranno successivamente aggregate nella cosiddetta “sociologia dell’arte” di Hauser. Hauser, legando il mondo dell’arte al materialismo storico di matrice marxista, riuscì ad interpretare l’arte come parte di una realtà più ampia ed articolata. È a lui che si deve l’elaborazione di una vera e propria teoria dell’arte, nella quale le forme artistiche risultano direttamente collegate ai fenomeni socio–economici. Nella sua analisi, l’arte non riflette meramente la società, ma interagisce con essa. In questo senso la forma ed il contenuto dell’espressione artistica risultano in stretto rapporto con il contesto culturale della società in cui essa si sviluppa.

Lo studioso parte dall’osservazione che nella storia tutto è realizzazione di individui, ma che gli individui sono condizionati sia temporalmente sia spazialmente, essendo la loro condotta il risultato di disposizioni personali e delle circostanze e finirà per riconoscere che l’arte di un’epoca storicamente più o meno evoluta, non può essere socialmente omogenea, dal momento che tale società non è essa stessa omogenea.

Alle medesime conclusioni giungerà anche Friedrich Antal[10] che, nel corso delle sue analisi storiche, pone come punto di discussione una riflessione sul manufatto artistico. Quest’ultimo, infatti, pur essendo contestualizzato in un tempo ben preciso, riuscirà ad effondere solo una parte delle cognizioni culturali del pubblico, espresse attraverso l’artista, dal momento che lo stesso pubblico non è omogeneo, ma risulta articolato in diversi strati spesso in contrasto fra loro. Questa riflessione permette di giustificare il perché, analizzando una determinata parentesi temporale storica–artistica, potremmo imbatterci all’interno di un intreccio di più stili, direttamente proporzionali agli innumerevoli micro(o macro)circuiti di persone in grado di apprezzarli.

Una critica intensa a capire l’arte attraverso un metodo sociologico si sviluppa soprattutto nella vasta Storia sociale dell’arte (1951) che ha inoltre costituito il primo tentativo del genere. Successivamente nella sua ultima opera, Sociologia dell’arte (1974), mette a fuoco ulteriori punti metodologici, tra cui la dialettica dell’estetica, costituita insieme da spontaneità e resistenza, invenzione e convenzione. Vi è qui un disarcionamento riguardo l’approccio critico dell’analisi delle opere, in favore di una sociologia dell’arte che volge il proprio interesse sul rapporto opera–pubblico. La sua non fu una posizione passiva nei confronti della storia ma la rottura del concetto di continuità storicista della cultura che professava, andando in tal modo a sottolineare che quello che noi chiamiamo “pubblico”, non essendo un corpo omogeneo, si articolerà in vari settori, spesso antagonisti, poiché lo considera come un’altra parola per indicare la società, quella società che accoglie l’arte e di conseguenza la prima cosa da fare per esaminare quest’ultima sarà il doverci rivolgere verso la struttura sociale e le strutture intercorrenti tra i suoi vari ordini.

Non esiste un periodo storico o un epoca che abbia una valenza maggiore o minore rispetto ad un’altra, tutto è consequenziale, ogni momento necessita di un suo passato per poter persistere nel presente ma per quanto riguarda il punto di vista culturale, artistico ed evolutivo–umano, il Rinascimento ha quel nescio quid che lo distingue all’interno di questo campo.

Il concetto stesso di Rinascimento equivale ad una diffusa ripresa socio–economica, la quale andrà a riversarsi, in modo proficuo, anche sulle arti e la cultura. I tanto attesi e sfuggenti ideali diventano, nel Rinascimento, una vera e propria applicazione progettuale e come Persefone[11] tornano sulla terra regalando una nuova primavera umanistica, seminando non solo nel mondo dell’arte ma contribuendo anche alla fioritura del ruolo dell’uomo nella società e nel mondo, dopo l’apparente interminabile inverno di fine Trecento.

Hauser nel suo lavoro scritto mette in risalto tutto ciò attraverso l’individuazione dei motivi che hanno spinto l’uomo ad intraprendere la strada di questo forte cambiamento sociale ed artistico, partendo proprio dall’individuazione dei punti cardine che hanno dato origine a quello da noi conosciuto, appunto, come Rinascimento, per condurre quelle stesse sue individuazioni verso il tramonto del classicismo rinascimentale, nella crisi spirituale che investe l’uomo del Cinquecento. Ogni primavera, d’altronde, così come inizia è destinata a concludersi. I drammatici eventi storici, le catastrofi economiche, l’instabilità politica e sociale porranno fine all’ottimismo umanistico nelle facoltà dell’uomo, alle sue possibilità razionali di dominio e lettura della realtà, fino ad arrivare all’abbandono dell’unità e dell’equilibrio classico proprio del Manierismo e la tendenza ad una visione più soggettiva, spirituale della realtà.

 

All’interno del già citato volume, Storia sociale dell’arte, non è presente solo un resoconto di alcuni periodi storici, ma un susseguirsi di stagioni sensoriali dell’uomo e del mondo dell’arte, l’inizio del pensiero moderno, di un processo capitalistico e per certi aspetti oserei dire di quella globalizzazione che oggi vive nel suo massimo aspetto l’uomo del “2000”.

Il Rinascimento potrebbe esser considerato, per alcuni aspetti, precursore di un grande progetto visionario, una visione che andrà poi a riflettersi all’interno di tutto ciò che circoscrive il concetto stesso di arte. Come disse Hauser:

 

«Il Rinascimento intensifica questo processo di sviluppo dell’economia e della società medioevale verso il capitalismo solo per l’indirizzo razionalistico che vi porta, indirizzo che d’ora in poi sarà predominante in tutta la vita intellettuale e materiale. E ad esso si ispirano i principi che di qui in avanti saranno normativi per l’arte: la coerente unità dello spazio e delle proporzioni, l’accentrarsi della rappresentazione su un solo tema principale e l’ordinarsi della composizione in una forma immediatamente afferrabile. Vi si esprime la stessa avversione per tutto quello che sfugge al calcolo e alla prova, che si ritrova nell’economia del tempo, che apprezza il metodo, il calcolo, la convenienza; lo stesso spirito che pervade l’organizzazione del lavoro, la tecnica commerciale e bancaria, la contabilità a partita doppia, i metodi di governo, la diplomazia e la strategia.»[12]

 

Seguendo la prospettiva sociologica di Hauser, una buona parte di studiosi perseverano nel voler abbattere un muro già da tempo in fase di distruzione: che nessun movimento artistico o letterario è definibile come un unicum e che, a rigore, non esistono quasi “movimenti”, ma si dovrebbe piuttosto parlare di un consorzio culturale, costituito da più o meno incoerenti singole personalità artistiche e linguaggi formali, raggruppati intorno ad un nucleo comune che scaturisce nella coscienza della propria solitudine cosmica. Hauser sicuramente ho svolto il proprio lavoro di lettura, comprensione ed interpretazione della storia e della storia dell’arte ma d’altronde intuizione ed analisi personale sono il motore di ricerca per ogni studioso, storico e letterato; da non trascurare un elemento di fondamentale importanza ovvero che ogni sua supposizione si è sempre poggiata su di una ben salda struttura muraria fatta di dati scientifici e storici.

Per certo si può affermare con disinvoltura che questo suo lavoro di ricerca ha la capacità di rendere molto più intimo quel rapporto che intercorre tra l’uomo, la società ed il suo creato. Come affermò durante l’apertura di una conferenza da lui sostenuta, «le opere d’arte sono una forma di provocazione». Non parla, infatti, di arte nel senso aulico del termine, parla di opere d’arte, opere dell’uomo, opere per l’uomo. Egli afferma che vede nell’uomo un meccanismo ordinato ed efficiente, un meccanismo come venne teorizzato da Galilei, Cartesio, Newton.

Non può essere sicuramente trascurato il fatto che, sotto un certo punto di vista, il lavoro svolto dal nostro storico è limitativo poiché, proprio attraverso la distinzione da lui operata tra la produzione artistica dei distinti gruppi sociali, imporrebbe di rivedere una forte contraddizione: la rivoluzione scientifica e le sue conseguenze religiose e morali. Il punto sta che questo “meccanismo ordinato ed efficiente” quale è appunto l’uomo, rappresenta pur sempre una struttura che come qualunque altra macchina è soggetto a commettere errori. Alla luce di quanto riportato sarebbe riduttivo anche solo ipotizzare chi in questo caso possa avere o meno ragione su una problematica così importante e non solo inerente a qualunque genere di opposizione nei confronti di Hauser ma nell’immenso mare di pensieri in cui gli addetti al mestiere o i profani rischiano di annegare.

Personalmente condivido l’affermazione di Hauser quando riconduce le opere d’arte ad una forma di provocazione. Le quali non possono essere spiegate ma possiamo solo misurarci con esse. Possiamo interpretarle in conformità dei nostri fini e delle nostre aspirazioni, dando in tal modo loro un senso. La loro origine si trova nelle nostre forme di vita e nelle nostre abitudini di pensiero ma, tenendo conto di questa cosa, consegue che non esiste un rigore scientifico, uno schema pertinente che ci conduce verso la Storia in generale e verso la Storia dell’arte. Forse la problematica sta nel fatto che l’uomo in generale cerca costantemente qualche cosa che sia diverso dalla propria esperienza pregressa ma allo stesso tempo si mantiene legato alla sussistenza di un’idea stereotipata legata solo ed esclusivamente alle radici della sua cultura di origine.

In realtà è che ogni opera d’arte ci costringe non solo ad una rivalutazione delle opere precedenti ma essendo ciascuna la visione dell’estrapolazione di un determinato evento storico, comporterà questa forte congiunzione tra arte e società, in quanto entrambe possono essere definite mìmesis di realtà che attraversano una determinata sfera collettiva o più precisamente di un individuo inserito in una collettività. Concludendo il breve excursus del pensiero dello storico–filosofo trattato, varrebbe la pena chiedersi cosa comporterebbe riadattare quelle parole oltre il tempo da lui trascorso in vita e ricontestualizzandole all’interno del nostro presente.

Partendo dal presupposto hauseriano in cui non solo l’arte non può essere socialmente omogenea considerando l’eterogeneità all’interno di una stessa società, ma anche dal fatto che, mentre l’opera d’arte come forma raggiunge sempre il suo scopo, in quanto creazione di un singolo, l’arte, in quanto dottrina e verità, non lo raggiunge mai. Come potrebbe apparire oggigiorno una simile visione?

 

‹‹In una società post–industriale, come quella in cui viviamo, dove non dovrebbero esistere più tabù o superstizioni ideologiche che possano causare rimozioni e censure, è possibile aprire un discorso e fare un’analisi lucida di un fenomeno quale quello del mercato dell’arte?

L’arte contemporanea vive in un sistema articolato di funzioni, corrispondenti ad altrettanti ruoli, giocati dall’opera, dalla critica, dal pubblico e dal mercato appunto››[13].

 

Nella storia, come già detto, tutto è realizzazione di individui. Gli individui si trovano sempre in una situazione condizionata temporalmente e spazialmente, e la loro condotta è il risultato sia delle loro disposizioni personali che di questa situazione[14]. Eppure il mercato ha avuto l’elasticità di adeguare il proprio circuito alle novità dell’arte, promuovendo spazi espositivi privati, capaci di richiamare un pubblico incuriosito di ricchi borghesi, pronti ad accettare i linguaggi di una nuova arte che significa anche un nuovo modo di vedere il mondo. Questa capacità camaleontica nella quale appunto si riversa il mercato, in realtà, non è per nulla lontana da ciò che poteva accadere nei secoli precedenti. Anche oggi il mercato è in continua evoluzione quanto la stessa società che lo accoglie, un mercato che condiziona e che è condizionato a sua volta. Questa appare come una considerazione alquanto semplice se si tiene in considerazione il fatto che il vero caleidoscopio universale non sono gli occhi della comunità che guarda ma solo ed esclusivamente gli occhi di chi in quel momento fa da capo–bandiera della società in questione, qualunque essa possa essere. Decadrebbe e decade in tal modo quello stretto rapporto tra opera d’arte e società che, partendo dai presupposti hauseriani, si potrebbero affermare.

Il paradosso è costituito dall’intreccio tra la generosa utopia delle avanguardie storiche, cioè quella di voler trasformare il mondo, e l’intraprendenza di un mercato dell’arte, legato necessariamente alla iniziativa privata e dunque all’economia di profitto che comporta la regola di considerare l’opera come un prodotto di cui va incentivato il valore, mediante un sistema capace di dilatare l’informazione intorno ad essa ed eventualmente anche l’alone mitico che la circonda. Il denaro è il parametro che ne determina l’identità di valore.

Il denaro, inoltre, è un timbro universale che, nel caso del mondo artistico, ha una struttura formata dal valore semantico dell’opera e dal lavoro di riflessione critica effettuato dalla moderna figura del critico d’arte. L’opera, nel senso generale del termine, diventa una sorta di nuova torre di Babele, una stratificazione di pensieri, opinioni, uomini e culture, tutte rivolte alla ricerca di una propria ideologia che possa identificarsi all’interno di essa. Tale accumulo di pensieri determina, sicuramente, un processo di accrescimento del valore, un paradigma che abbiamo visto iniziò proprio all’interno di quello che è padre del nostro sentire quotidiano: il Rinascimento. Il punto è che il susseguirsi di questa stratificazione ideologica ha, da sempre, come punto apice l’identificazione sociale dell’uomo all’interno del mondo circostante, sia per quanto riguarda la struttura sociale, sia per quanto riguarda quella culturale e spirituale. Oggigiorno ci si trova di fronte ad un grande capovolgimento dei valori e delle varie stratificazioni di questa nuova grande torre di Babele, il cui apice, è costituito dal mercato dell’arte stesso. Questa interpretazione genera un crollo dell’emisfero culturale.

Il mercato crea uno stimolo produttivo intorno al prodotto artistico condizionando il pubblico ed il collezionista in modo esponenziale e assume, in tal modo, le vesti di una presenza mitica.  

 

‹‹Il mito è determinato anche dalla qualità del circuito entro cui l’opera si muove, costituita dall’identità culturale e sociale di coloro che vi gravitano. Il circuito è un circolo, una struttura circolare entro cui si muovono forze culturali, mondane, economiche e più generalmente sociali che formano un’opinione pubblica, capace cioè di imporsi come opinione di tutto il corpo sociale.››[15]

 

Forse sta proprio qui il punto: nonostante ci sia sempre stato questo legame incentivato da un costante scambio di interessi tra apparente libera creazione dell’immaginario artistico e colui che detiene il potere, vi è una netta differenza tra il tipo di  sociologia artistica  che Hauser affronta nel corso dei suoi studi e la situazione che nel presente viviamo, la perdita della nostra individualità in un mondo in cui la società è venuta a mancare.

L’individualismo regna in questa utopica globalizzazione artistica, quel genere di individualismo de–costruttivo, tutto intento non a combattere o sostenere la società in cui esso è inserito ma proiettato verso un unico scopo, ovvero l’emergere dal nulla in cerca di gloria, rinunciando al proprio essere “creatore” per adeguarsi a quei parametri che nulla più dicono al di fuori di quello che è il costume della società dell’arte: le gallerie, i critici, i curatori, i quali rappresentano il teatro espositivo in cui l’opera si incontra col pubblico, la cornice che fa da cerniera tra la solitudine dell’opera tutta ritagliata dall’immaginario dell’artista ed il corpo sociale.

Nonostante persista nel nostro immaginario l’idea che l’arte possa appartenere a chi la guarda, l’artista non riconosce né un dialogante beneficiario della sua opera, né tanto meno potrà più illudersi di voler raggiungere la moltitudine, piuttosto riconoscerà il mercante–mediatore, il quale si farà doppiamente garante nei riguardi dell’artista e del collezionista. Si genera in tal mondo un circuito chiuso, governato da paramenti che escludono il manufatto artistico, che escludono la vera etica sociale a cui l’artista si riallacciava. Un’arte in cui il nome arriva prima dell’opera generata, sempre se quest’ultima riesca a cogliere l’animo di chi puntualmente dimenticherà anche il nome stesso del suo creatore.

In una prospettiva come questa, come si suol dire, la colpa sta nel mezzo. Non può esser puntato il dito contro solo ed esclusivamente ad un mercato che da sempre monopolizza tutto ciò che incontra, comprese l’umanità e la sensibilità del singolo. L’artista cede alle lusinghe e provocazioni del mercato divenendone egli stesso parte integrante.

Ciò comporta aspettative eccessive e frequenti riscontri con la realtà che già in passato vedevano coinvolti giovani che si dedicavano all’arte con la speranza di diventare ricchi e famosi ed i numeri del mercato palesavano un popoloso sostrato di bassa manovalanza artistica, cosa che continua a verificarsi in modo sempre più esponenziale nel nostro presente.

Come oggi accade anche nelle altre epoche gli artisti che non raggiungevano la prospettiva iniziale, davano la colpa del loro fallimento all’incomprensione del pubblico, sognando l’aureo passato in cui vigeva la credenza di un arte realmente apprezzata.

Lo stesso Vasari, avendo potuto constatare con i propri occhi il fallimento di molti amici artisti, aveva ben compreso quale fosse quel meccanismo che azionava il motore di quel mondo non più dettato esclusivamente dal tanto discusso genio creativo ma era ben altro ciò che aveva ormai preso il comando. Lamentandosi dell’eccessiva differenza di trattamento, che vedeva da una parte artisti ricoperti di fama e denaro e dall’altra degli altrettanto capaci artisti costretti alla miseria, scrisse al riguardo qualcosa che si potrebbe adattare benissimo a qualsiasi epoca successiva, compresa la nostra:

 

‹‹Se in questo nostro secolo fusse la giusta remunerazione, si farebbero senza dubbio cose più grandi, e molto migliori che non fecero mai gli antichi. Ma lo avere a combattere più con le fame che con la fama, tien sotterrati i miseri ingegni, né gli lascia (colpa o vergogna di chi sollevare gli potrebbe, e non se ne cura) farsi conoscere.››[16]

 

La triste realtà probabilmente è che in tutta la Storia non esiste un periodo in cui l’attività dell’artista sia stata una garanzia di sopravvivenza, non solo economica ma libera sopravvivenza creativa.

Come ricorda Hauser nella sua sociologia dell’arte, l’arte non è solo fonte di conoscenza ma un vero e proprio completamento della scienza psicologica umana, e mantenendoci su questo fronte, riportando al pensiero nostro contemporaneo, la psiche artistica è tutta avvalsa e presa da questa corsa alla scala di notorietà senza cognizione di causa, perdendo ogni tipologia di esteticità ed unicità del valore artistico:  

 

‹‹le obiezioni contro la storia sociale dell’arte derivano principalmente dal fatto che le si attribuiscono intenzioni che essa non può né vuole perseguire. In particolare essa non cerca mai, neppure nelle sue forme più rozze, di presentare l’arte come un’espressione omogenea, comprensiva e diretta di una determinata società.››[17]

 

Probabilmente soluzioni non possono esserci al riguardo o comunque al momento ma se è vero che l’universo è manovrato da questa forza ciclica indomabile ed infrenabile, ciò che verrebbe da dire ripercorrendo il corso degli eventi storico–artistici, è che l’unico forte cambiamento che possa rigenerare il sistema lo vedo nella riconsiderazione del concetto puro di arte attraverso un ridimensionamento radicale dell’industrializzazione artistica.

A tal proposito, ci verrebbe da chiedere ad Hauser: cosa accadrebbe alla sociologia del mercato artistico se improvvisamente tutti i pittori, scultori e letterati smettessero improvvisamente di firmare le proprie opere?





NOTE

[1] PANOFSKY  1973, pp. 17–22.

[2] Per ulteriori approfondimenti v. SHAPIRO 1994. Mayer Schapiro, storico dell’arte statunitense, conosciuto in particolar modo per i suoi interventi a favore dell’arte moderna e per il suo approccio marxista con la storia dell’arte. All’interno della sua multiforme strumentazione teorica e filologica, si riflette il carattere costitutivamente problematico della disciplina storico–artistica, sempre costretta a ridefinire i suoi oggetti d’indagine e a rinegoziare con rigore il metodo dei suoi strumenti di analisi. Da queste riflessione S. ne ricaverà uno dei suoi noti elaborati Stile, artista e società, pubblicato nel 1982.

[3] Winckelmann reca contributi importanti in progressi questa sua parte di studi, partendo da una posizione liberal democratica fornì una chiave per riscoprire la realtà storica tra vita artistica antica e vita politica–sociale contemporanea.

[4] Gyorgy Lukàcs, filosofo e critico letterario ungherese, definito «il più grande marxista del XX secolo», oltre ad aver dato un grande contributo alla storia del pensiero moderno, si è impegnato lungamente nell’ambito di riflessioni sull’estetica, tentando di saggiare le idee marxiste nella problematica dell’arte e dell’attività critica.

[5] HAUSER 2001 a, pp. 13–26.

[6] Ernst Troeltsch, figura intellettuale che spicca nella cultura europea all’inizio del Novecento, elabora i suoi studi attorno a due tematiche salienti sotto il profilo filosofico: da un lato la materia concreta dell’agire umano nella storia (di cui si indaga lo statuto di intellegibilità), dall’altro la religione di cui si ricercano le ragioni che generano «sintesi culturali» nella storia degli esseri umani. Il suo interrogativo di fondo è «essendo questa l’unica vita nella quale si gioca il destino dell’esistenza nella dimensione della storicità, il quesito è se sia possibile un apprezzamento dei significati plasmati nella storia, nonché l’adesione ad un senso e una finalità non effimeri della storia stessa.» v.E.T. «La storicità come infrastruttura del mondo umano».

[7] Geistesgeschichte termine tedesco appartenete ad una sottocorrente della filosofia che in questo caso va ad indicare la «storia dell’arte come storia dello spirito».

[8] DVORAK 1927.

[9]  CELANT 1967. Celant, critico d’arte, pubblicò il manifesto, dal quale è stato estrapolata la citazione, il 23 novembre 1967, due mesi dopo la sua mostra “Arte Povera e IM Spazio” alla Galleria La Bertesca di Genova.

[10] Antal in questo approccio, anch’egli attraverso un’ottica apertamente marxista, considera il campo artistico come una delle sovrastrutture culturali condizionate dalla struttura socio–economica. Sia la storiografia di Hauser che di Antal sono da considerare “idealistiche” in quanto l’operare artistico viene ritenuto attività prevalentemente, se non esclusivamente, culturale. Da qui derivano le accuse di aver considerato più la genesi dell’opera che non la sua funzione e destinazione e di non aver considerato abbastanza il momento pragmatico che pone svariati altri problemi di ordine sociale.

[11] Persèfone, chiamata anche Kòre, Kora o Core, che in greco vuol dire “giovane donna” è uno dei nomi più celebri della mitologia greca ed in particolare dei Misteri Eleusini. In latino il suo nome è tradotto con Prosèrpina. Moglie di Ade, era la regina dell’oltretomba. A lei si doveva l’alternanza delle stagioni. Nella versione principale del mito che la riguarda, era la figlia di Demetra (Cerere per i romani) e Zeus. Suo zio Ade si innamorò di lei, tanto da rapirla e portarla con sé negli Inferi, contro il suo volere. Demetra non si rassegnò al rapimento della figlia. In quanto dea dell’agricoltura e della fertilità, ebbe modo di far sentire la sua vendetta. Dopo il ratto di Persefone, per la disperazione, Demetra causò un inverno interminabile, che gelò la crescita delle messi. Persefone fu costretta ad un patteggiamento : trascorrere sei mesi negli inferi e sei mesi sulla Terra. Nei sei mesi in cui Persefone tornava dalla madre, la gioia di Demetra faceva sì che la Terra rifiorisse, dando luogo alla primavera e all’estate. Nei sei mesi in cui tornava dal marito Ade, la tristezza di Demetra dava luogo all’autunno e all’inverno.

[12] HAUSER 1963, pp. 29–30.

[13] BONITO OLIVA 1983. In questo saggio ( Il mercato come opera d’arte n.57, maggio, 1983 ), l’autore, affronta il tema della mercificazione, svolgendo un critico excursus sul mercato dell’arte. L’indagine da lui svolta inizia con l’età medievale in cui l’artista è protetto dalle Corporazioni, dalla Committenza pubblica, mentre la committenza privata è quasi inesistente mancando ancora il collezionismo e l’idea di tesaurizzare l’opera d’arte.

[14] HAUSER 2001 a, pp. 48–49.

[15] BONITO OLIVA 1983.

[16] Citazione vasariana richiamata all’interno del libro di ANDROS 2014. Storia dell’artista dal Paleolitico a stamattina in cui l’autore affronta la mercificazione dell’arte come questione che riaffiora di continuo tutto il Novecento, alternando tra due estremi: da una parte avremo chi tende a ridurre l’arte ad un mero affare commerciale e quello di chi si illude per poter sfuggire del tutto al mercato. Affrontato il tutto attraverso un metodo ideologico piuttosto che logico.

[17] HAUSER 1997 b. Cfr. HAUSER, 2001 a, p. 38.




BIBLIOGRAFIA

ANDROS 2014

ANDROS [Alexandro ALÙ], Storia dell’artista. Dal Paleolitico a stamattina, Tricase, Youcanprint, 2014.

 

BONITO OLIVA 1983

Achille BONITO OLIVA, Il mercato come opera d’arte, in “Op. cit. selezione della critica d’arte contemporanea”, 57, Napoli, Edizioni Il Centro, maggio 1983.

 

CELANT 1967

Germano CELANT, Appunti per una guerriglia, in “Flash Art”, 5, 1967.

 

CLARK 1939

Kenneth CLARK, Leonardo da Vinci: an account of his development as an artist, Cambridge, University Press, 1939.

 

CROCE 1993

Benedetto CROCE, Storia dell’età barocca in Italia, Milano, Adelphi, 1993 (ed. orig. 1929).

 

DVORAK 1927

Max DVORAK, Geschichte der italienischen Kunst im Zeitalter der Renaissance, 2 voll.,  München, R. Piper & Co. Verlag, 1927.

 

HAUSER 1997 a

Arnold HAUSER, Il Manierismo: la crisi del Rinascimento, la nascita dell’età moderna, Torino, Einaudi, 1997 (collana Biblioteca di storia dell’arte), (ed. orig. 1965).

 

HAUSER 1997 b

ID., Sociologia dell’arte, Teorie generali, vol. I, Torino, Einaudi, 1997 (collana Saggi) (ed. orig. 1953).

 

HAUSER 1999

ID., Sociologia dell’arte: Dialettica del creare e del fruire, Torino, Einaudi, 1999 (collana Saggi) (ed. orig. 1913).

 

HAUSER 2001 a

ID., Le teorie dell’arte: tendenza e metodi della critica moderna, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2001 (ed. orig. 1969).

 

HAUSER 2001 b

ID., Storia sociale dell’arte : Rinascimento, Manierismo e Barocco, vol. II , Torino, Einaudi, 2001 (ed. orig. 1956).

 

HAUSER 2003

ID., Storia sociale dell’arte: Arte moderna e contemporanea, vol. IV, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi, 2003 (ed. orig. 1957).

 

PANOFSKY  1973

Erwin PANOFSKY, Idea. Contributo alla storia dell’estetica, Firenze, La nuova Italia, 1973.

 

SCHLOSSER 1935

Julius SCHLOSSER, Die kunstliteratur, La letteratura artistica, Firenze, La Nuova Italia, 1935.

 

SHAPIRO 1994

Meyer SHAPIRO, Theory and philosophy of art: style, artist, and society, New York, George Braziller, 1994.

 

WACKERNAGEL 2001

Martin WACKERNAGEL, Il mondo degli artisti nel Rinascimento fiorentino. Committenti, botteghe e mercato dell’arte, Roma, Ed. Carrocci, 2001 (ed. orig. 1936).

 

WÖLFFLIN 2017

Heinrich WÖLFFLIN, Rinascimento e Barocco, ricerca sull’essenza e sull’origine dello stile barocco in Italia, Milano, Abscondita, 2017 (collana Aesthetica), (ed. orig. 1888).

 



PDF

Contributo valutato da tre referees anonimi nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

Risali

BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it