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Le due leonardesche Vergini delle Rocce a confronto: incontro con Ann Pizzorusso  

Tiziana Lanza
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 18 Aprile 2019, n. 868
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Area Interviste

Nella dedica del suo libro Tweeting Da Vinci (Twittando da Vinci nell’edizione italiana), Ann Pizzorusso, geologa ed esperta del Rinascimento italiano, si riferisce a Leonardo Da Vinci, ai Sacerdoti Etruschi, Virgilio e Dante come La Squadra dei Sogni. Ma soprattutto, dedica il libro a sua madre per aver instillato in lei un grande amore per la Terra. Sicuramente, sin da quando era bambina, Ann Pizzorusso era amante della Natura, e non ci sorprende che sia una geologa a 360 gradi. Prima di indirizzare la sua esperienza da geologa verso Leonardo Da Vinci, ha dedicato anni alla ricerca in campo petrolifero, poi a cacciare gemme e soprattutto a ripulire l’inquinamento nel suolo e nelle falde acquifere. Viene poi attratta dalle rocce di uno dei dipinti più magnetici del Rinascimento italiano: La Vergine delle rocce. La "passeggiata" tra quelle rocce l’ha portata a conoscere ancora meglio il genio italiano, che, scrive Ann, se fosse vivo oggi, non sarebbe solo all’avanguardia nella scena artistica; sarebbe anche in prima linea nella rivoluzione tecnologica, in Internet, così come in campo scientifico e medico. Ma c’è un aspetto meno noto di Leonardo: era un raffinato geologo. Non soltanto aveva già compreso molto riguardo alla formazione delle rocce, ma era anche riuscito a descriverle con precisione al punto, scrive Ann, che possiamo usare la geologia come strumento diagnostico per determinare l’autenticità delle opere create da lui. Siamo contenti quindi di avere questa conversazione con Ann che ha dimostrato un grande amore per il nostro paese e per uno dei geni più riconosciuti al mondo.

 

Fig. a: Dipinto del Louvre

 

Fig. b: Dipinto della National Gallery di Londra

 

Ann, prima di tutto, a parte geologia e cultura, c’è qualcosa di personale che ti lega all’Italia?

Sono italo-americana al 100 per cento. I miei genitori erano entrambi nati in Italia e arrivati negli Stati Uniti quando erano ancora bambini. Mia madre è nata a Pratola Peligna in Abruzzo e mio padre ad Amalfi. Quindi ho la combinazione perfetta di “mare e montagna”. Mia madre si è innamorata della natura proprio in Abruzzo. Quando ero bambina, mi portava a raccogliere funghi nei boschi, vongole e granchi in riva al mare e ogni tipo di vegetazione che cresceva. Per gli Stati Uniti a quei tempi, questo era davvero insolito perché proprio tutti mangiavano fast food, cibo pieno di zucchero e trattato chimicamente. Quando tornavo a casa da scuola, mamma invece aveva quasi sempre preparato una “bell’insalata” per me. Ero molto imbarazzata di fronte ai miei amici perché nessuno mangiava cose del genere. Questo modo di mangiare ora è di moda anche in America e io sono in salute anche grazie al meraviglioso cibo fresco che mia madre ha raccolto, cucinato e preparato per me. Per quanto riguarda l’acqua, sapeva dove si trovavano le sorgenti e andavamo a prenderla con le bottiglie. Era una cosa che tenevamo per noi. Non facevo altro che notare quanto apprezzasse questa meravigliosa e salutare acqua che sgorgava dalla terra. La sua conoscenza e il rispetto per la natura mi hanno in seguito molto influenzato.

 

C’è qualche sorgente di acqua minerale che ti attrae in particolare?

Devo ammettere che amo soprattutto le acque vulcaniche dell’isola di Ischia. Ci sono molte ragioni per questo. La prima è che spesso mi fanno molto male le ginocchia e quando vado a fare i trattamenti termali il dolore sparisce. Ho fatto tutti i trattamenti possibili, il fango, l’inalazione, la sauna, le grotte e ogni volta il mio corpo torna in perfetta forma. Anche per questo, ho scritto molto su queste acque, che sono state apprezzate sin da quando i Greci arrivarono sull’isola nel 750 a.C. Uno degli ingredienti segreti, che rende le acque così efficaci è il basso grado di radioattività, scoperta da Marie Curie quando arrivò sull’isola nel 1918. A parte Ischia, vado nelle terme di tutta Italia perché sono luoghi rigeneranti sia per il corpo sia per l’anima.

 

Prima di parlare di Leonardo, raccontaci qualcosa di particolare sugli altri membri della squadra: Virgilio, Dante e gli Etruschi...

La Squadra dei Sogni mi ha attirato perché ognuno di loro aveva una connessione con la Terra. Ad esempio, ho scritto molto sulla conoscenza che Dante aveva in Gemmologia. Ha usato le gemme come metafore nella Divina Commedia. La sua conoscenza era così profonda che gli umanisti non realizzarono la portata della sua conoscenza. Scrissi un primo trattato sull’uso delle gemme di Dante nella Divina Commedia e aprii le porte ad ulteriori studi da parte di gemmologi e geologi.

Per quanto riguarda Virgilio, usò il paesaggio vulcanico dei Campi Flegrei, vicino  Napoli, come modello per gli Inferi. Ancora una volta, i critici letterari pretesero che il mondo sotterraneo descritto da Virgilio fosse frutto della sua immaginazione. In realtà non lo era, tutti i luoghi sono reali e visibili ancora oggi. Virgilio camminava in mezzo alle fumarole, ammirava il lago Averno, l’Antro della Sibilla, Cuma e Miseno. Ancora oggi, si può entrare in una grotta e vedere il fiume sotterraneo che ha ispirato lo  Stige.

I sacerdoti etruschi erano estremamente consapevoli dei segnali che la natura inviava: fulmini, tuoni, tempeste, uccelli, ecc. Dovevano interpretare questi segni per potere comprendere i messaggi divini. Usavano la geografia sacra per tracciare le direzioni nord-sud, est-ovest (cardo-decumano) prima che una città potesse essere sviluppata. C’erano anche sacerdoti specializzati nell’interpretazione dei fulmini. Gli Etruschi compilavano cataloghi dettagliati sulle dimensioni, forme e colori dei lampi. Ora sappiamo che questi tipi di fulmini esistono e sono particolarmente diffusi nelle aree vulcaniche come l’Etruria.

 

Il tuo libro è un gioiello nella mia biblioteca e credo nella biblioteca di molti altri. Twittando Da Vinci ha vinto numerosi premi, tra cui quello per la copertina disegnata da un giovane italiano di Napoli, Francesco Filippini. Come è nata l’idea di scriverlo?

Ho iniziato a scrivere vari articoli su geologia e cultura per divertimento. Era il mio professore di studi su Dante, il grande professore John Freccero, che mi ha incoraggiato per diversi anni a pubblicare i miei studi, perché nessuno aveva mai fatto nulla di simile prima e gli articoli erano molto utili a studiosi di diverse discipline.

 

Nel tuo libro, Leonardo Da Vinci è la tua guida nel nostro bel paese, come Virgilio lo era per Dante nella sua Divina Commedia. Perché l’hai scelto?

Leonardo è il mio idolo. Era, tra le altre cose, il padre della Geologia, anche se ancora non è riconosciuto in tal senso (ci sto lavorando). Ha viaggiato in molte zone d’Italia osservandone la geologia, scrivendo, disegnando e facendo mappe di ciò che vedeva. Ho seguito le sue orme, andando (con la mia guida alpina, il grande Fulvio Casari) sui luoghi visitati da Leonardo nelle Alpi. È stata un’esperienza gioiosa e mi sento vicino a Leonardo quando faccio le mie ricerche in Geologia, ma anche quando faccio ricerche in campo artistico. Leonardo mi aiuta in diverse discipline.

 

Leonardo ha scritto: «Pittore dovresti sapere che non puoi essere considerato abile se non sei un maestro nell’imitare con la tua arte ogni tipo di forma naturale». Sono queste parole di grande ispirazione quando guardiamo la Vergine delle Rocce?

Uno dei metodi per determinare un’opera di Leonardo è l’accuratezza geologica. Leonardo stesso ha scritto sulla sua importanza criticando altri artisti come Botticelli per i loro “brutti paesaggi”. Leonardo trasmise ai suoi studenti l’importanza dell’accuratezza geologica. Non ha mai cambiato il suo stile, quindi quando vedi un dipinto attribuito a lui con geologia e botanica precise, sai di avere per certo un’opera autentica di Da Vinci.

 

Per favore Ann, aiutaci a “leggere” le rocce dietro la Vergine nella versione del Louvre...

Rimandiamo allo Schizzo in Fig. 1

 

Che mi dici delle rocce nella versione londinese?

Rimandiamo allo Schizzo in Fig. 2

 

Hai anche preso in considerazione la botanica in entrambe le versioni e sei supportata da un grande orticoltore, il Prof. John Grimshaw...

Sì, cito direttamente lui: «e per me c’è una differenza sorprendente se non scioccante nelle piante e nel paesaggio. Nel quadro francese le piante sono disegnate con singolare maestria, con la precisione che ci si aspetterebbe da un grande pittore di botanica quale Leonardo fu: un iris, un polemonio e un’aquilegia sono chiaramente riconoscibili. Nella versione londinese, l’iris è sostituito da un cespuglio fatto di un ciuffo di Narcisus tazzetta, ma non si tratta di un normale narciso selvatico. I fiori sono facilmente riconoscibili, ma crescono su rami di bracteate, da un ammasso di piantagione simile a foglie del plantain. Accanto a questo sono due piante completamente fantastiche che non possono essere identificate, e ci sono altre stranezze altrove nel paesaggio. Sembra che qui Leonardo, incauto scarabocchiatore e inventore, abbia creato fiori immaginari paradisiaci, e che nell’evoluzione del dipinto abbia trasformato la scena da terrena in un luogo celeste. È bello pensare che abbia immaginato i narcisi proprio lì».

 

Se la versione di Londra non è stata dipinta da Leonardo chi l’ha fatto, e quali sono le argomentazioni a supporto di tale ipotesi?

La storia dei due dipinti ha sconcertato gli storici dell’arte per anni e il dibattito riguardo l’attribuzione della Vergine delle Rocce che si trova nella National Gallery a Leonardo da Vinci è tutt’ora acceso. Questo mistero, che ancora oggi dobbiamo sciogliere, va avanti nonostante ci siano numerose testimonianze riguardo una causa che durò 25 anni.

Secondo alcuni documenti storici, la Confraternita dell’Immacolata Concezione, commissionò a Leonardo e ai fratelli Ambrogio ed Evangelista de Predis la creazione di una pala da collocare sull’altare della loro cappella nella chiesa di San Francesco il Grande, a Milano nel 1483. Il preventivo per la realizzazione di tale progetto venne stimato in circa 800 lire. La caratteristica centrale della pala d’altare doveva essere un ritratto della Vergine Maria con Bambino circondati da angeli, per rappresentare l’Immacolata Concezione. Leonardo doveva preparare il dipinto e i fratelli de Predis dovevano completare il quadro. Anche se da Vinci completò l’opera nel 1486, non venne installata per circa quattro anni perché i fratelli De Predis lavorarono a lungo per completare l’elaborata cornice.

Nel 1490, i fratelli de Predis pretesero un compenso maggiore, sostenendo che la cornice da sola era costata l’intero importo che gli artisti avevano inizialmente concordato. Chiesero dunque che la «pittura ad olio di Nostra Signora» (Vergine delle Rocce) fosse detratta dal contratto poiché “altri” si erano offerti di acquistarla, presumibilmente per piú soldi.

Le dispute legali continuarono per quasi un quarto di secolo. Le motivazioni non sono chiare   perché ci furono molti reclami e contro-reclami. Leonardo e i fratelli De Predis volevano più denaro, mentre la Confraternita sosteneva che il quadro non soddisfaceva la loro richiesta di un dipinto che raffigurasse l’Immacolata Concezione della Beata Vergine, e quindi dichiararono il dipinto “incompiuto” per rafforzare la loro posizione in tribunale.

Forse la Confraternita non accettò il quadro perché le condizioni di finanziamento del progetto erano specifiche e non consentivano variazioni o sostituzioni in corso d’opera. Ambrogio de Predis lo scoprì quando fece una petizione alla corte nel 1503, poiché la Confraternita non era disposta ad accettare il dipinto e Leonardo non era disposto a modificare drasticamente quello che aveva completato, né a dipingerne un altro.

Charles Hope, esperto di latino forense e direttore del Warburg Institute di Londra, ha compiuto uno studio approfondito su questi antichi documenti giudiziari e ci dice cosa è successo dopo. «Leonardo e i fratelli de Predis speravano di ricevere almeno 400 lire, e inizialmente i committenti ne offrivano solo 100. Nel 1506 la cifra arrivò a 200, a condizione che l’opera fosse completata. In base a questi accordi, Leonardo avrebbe dovuto pagare di tasca propria eventuali modifiche dettate dalla Confraternita. Soltanto dopo il 1506 Leonardo e Ambrogio ricevettero effettivamente 200 lire. Anche se i documenti non rivelano nulla a riguardo, sembra che i committenti abbiano alla fine accettato il secondo quadro a una tariffa ridotta, restituendo l’originale a Leonardo, che fu in grado di recuperare tutti i suoi soldi, inclusa la quota di Ambrogio, vendendolo a un altro acquirente. Come e quando sia entrato nella collezione reale francese è dibattuto da tempo. Ma potrebbe essere rilevante che nel 1508 Milano fosse sotto il controllo francese e che Leonardo lavorasse alla corte di Luigi XII. Sebbene avesse proposto ad Ambrogio di vendere la copia e condividerne il ricavato, è certo che la copia rimase in quella chiesa. Ed è proprio questa copia che è stata successivamente acquistata dalla National Gallery».

Una volta risolta la questione legale, la copia, oramai nella National Gallery, fu completata. Charles Hope afferma che «qualora Leonardo fosse stato coinvolto nel dipinto abbia dato un contributo molto limitato». L’opinione del Prof. Hope concorda con quella di molti altri studiosi che hanno discusso sull’attribuzione di questa opera a Leonardo.

Negli anni successivi, gli artisti presero strade diverse. I fratelli de Predis rimasero a Milano e Leonardo visse i suoi ultimi anni come ospite del re di Francia, Francesco I, presso il castello nella Valle della Loira. E così ciascun quadro ha seguito una propria sorte. La versione del Louvre è menzionata per la prima volta come parte della collezione reale di Fontainebleau nel 1625. La versione londinese, che rimase nella chiesa di San Francesco il Grande fino al 1781, fu portata all’ospedale di Santa Caterina a Milano e venduta nel 1785 all’artista inglese Gavin Hamilton. Fu nella collezione del marchese di Landsdown per poi passare al conte di Suffolk, per quasi un secolo prima di entrare nella National Gallery nel 1880.

 

In che modo gli esperti di arte hanno accolto le tue ipotesi sulle due Vergini delle rocce?

Tutti i grandi studiosi di Leonardo sono d’accordo con me e si sono galvanizzati nel vedere il mio approccio innovativo che non è “opinione” ma una metodologia che può essere messa in pratica osservando il dipinto e validata leggendo gli stessi appunti di Leonardo.

 

Possiamo considerare il presente dibattito come simbolo di un più ampio dibattito tra arte e scienza, nel senso che sarebbe auspicabile per certi versi tornare a Leonardo perché in lui le due culture erano interconnesse, mentre oggi sono separate?

Io sono ottimista e penso che non ci siano già più le condizioni per un dibattito tra arte e scienza, ma che anzi ci stiamo già avvicinando alla riunificazione di questi due rami del sapere. Nel Rinascimento, arte e scienza venivano studiate insieme. Oggi siamo pensatori unilaterali perché non facciamo molto lavoro multidisciplinare. Eppure, anche nell’era dei computer, artisti, designer e creativi sono indispensabili per lavorare a fianco degli ingegneri. Walter Isaacson, nel suo meraviglioso libro, gli Innovatori, parla delle innovazioni tecniche create da team multidisciplinari. Penso che ci stiamo rapidamente riavvicinando all’ideale rinascimentale.

 

Infine, dicci qualcosa sul Codex Hammer, uno dei codici Da Vinci meno popolari...

Il Codex Leicester fu acquistato dall’uomo d’affari Armand Hammer che cambiò il nome in Codex Hammer. Quando Bill Gates acquistò il quaderno nel 1994 per $ 30 milioni, ripristinò il nome in Codex Leicester (1508-10). Prima di prenderne possesso, Gates lo ha esposto all’American Museum of Natural History di New York. Sono stata onorata di essere fra i relatori del museo e di presentare Leonardo come geologo. Il codice contiene annotazioni sulla geologia, studi sull’acqua, fossili, aria e sulle aurore.

 

Fig. 1: Dipinto del Louvre



Spherically weathered sandstone = arenaria erosione sferoidale

Diabase sill (not exactly 900 ) = filone strato di diabase (non esattamente 900)

Erosional remnants = pinnacoli dell'erosione

Basal Contact = contatto basale

Sole mark = strutture erosive sedimentarie.



Contact surface = superficie di contatto

Columnar mud cracks = fessurazione colonnare nel fango

Columnar joints = fratturazione colonnare

Spherically weathered sandstone = arenaria arrotondata

Bedded sandstone = arenaria stratificata.

 

Fig. 2: Dipinto della National Gallery di Londra



Diabase isolated = diabase isolato.

Discontinuous basal contact = Contatto basale dicontinuo

Fiord = Fiordo

Steep Drop-Off = sporgenza stretta

Not identifiable = non identificabile.



Unnatural joint depiction = fessurazione innaturale

Lacks basal contact = manca contatto basale

Rock not identifiable = roccia non identificabile.

 

Le due versioni: discussione

La Vergine delle Rocce del Louvre è un vero e proprio tour-de-force geologico per via della precisione con cui Leonardo rappresenta le complesse formazioni rocciose. Nella parte superiore della grotta, a sinistra, sono visibili erosioni sferoidali di una roccia sedimentaria, l’arenaria. Sopra la testa della Vergine una roccia si erge verticalmente. Questa è il diabase, una roccia ignea iniettata come liquido fuso che si diffonde sopra l’arenaria, formando una colonna di quasi un metro di altezza. La roccia si contrae mentre si raffredda, formando giunture verticali (fratturazioni colonnari).

Immediatamente sopra la testa della Vergine c’è una crepa orizzontale chiamata “contatto basale” o inferiore. Questa è la linea di demarcazione tra il diabase sopra e la roccia arenaria sottostante. La colonna di diabase si estende verso l’alto fino a quando incontra un’altra superficie di contatto orizzontale, mentre, in cima alla grotta, la formazione rocciosa si trasforma in arenaria.

Le rocce che si estendono sotto il contatto basale vicino alla testa della Vergine in primo piano sono arenarie, come quelle nella parte superiore della grotta. La struttura dell’arenaria riportata nel disegno è quella arrotondata da agenti atmosferici come nella parte superiore della grotta. Si può notare che l’arenaria in primo piano non è molto erosa e, pertanto, ha mantenuto una struttura stratificata ben definita. Lo strato di diabase al centro della formazione è duro e meno incline all’erosione, quindi ha bordi spigolosi e rilievi verticali. Leonardo è stato geniale nel catturare questo contrasto, avendo una profonda conoscenza di come le rocce sono in natura e poi a rappresentarle in maniera realistica tramite l’uso della luce e del colore. L’uso dello  “sfumato”, una tecnica di ombreggiatura che Leonardo padroneggiava, è in grado di dare la sensazione realistica di una grotta umida e ammuffita.

Le rocce a pinnacolo in alto ammantate da una nebbia blu-grigia sullo sfondo sono i resti di quei processi erosivi che hanno portato via lo strato superficiale di roccia più morbida lasciando intatta quella più dura. Queste formazioni sono state dipinte minuziosamente con cura, coerentemente con l’immancabile impegno del Maestro per il realismo geologico.

Particolarmente intrigante è l’ubicazione della vegetazione sia per l’effetto estetico, sia per la fedeltà al luogo reale in cui ciascuna pianta sarebbe cresciuta. In cima alla grotta, l’arenaria erosa a sufficienza avrebbe permesso alle radici di attecchire. Questo vale sia per le piante in primo piano sia per quelle sullo sfondo. Nessuna pianta può crescere nel diabase per la durezza e resistenza della roccia ignea.

Un osservatore anche con minime competenze geologiche può facilmente rendersi conto che le formazioni rocciose rappresentate nel dipinto della National Gallery non corrispondono alla realtà naturale, come invece accade nella maggior parte dei disegni e dei dipinti di Leonardo. Tutto quanto sappiamo su Da Vinci suggerisce che aveva troppo rispetto per la natura per ritrarla in modo inaccurato. Le rocce nella versione National Gallery mancano di realismo geologico. Guardando il dipinto, sopra la testa della Vergine, non vi è alcuna differenza nella tessitura delle rocce per indicare la presenza dello strato di diabase. Le giunture verticali continuano verso l’alto senza interruzioni. Le rocce sono monotone e uniformi se confrontate a quelle variegate del dipinto del Louvre. Le rocce in primo piano non sono ben stratificate e infatti non sono identificabili. La scarsa conoscenza geologica dell’artista del dipinto della National Gallery sembra escludere la possibilità che fosse Leonardo.

Se ci spingiamo oltre prendendo in considerazione la cronologia delle tre opere di Leonardo - La Vergine delle Rocce al Louvre, dipinta ca. 1483-86, la versione della National Gallery ca. 1495-1508 e la Vergine e Sant’Anna del 1510 - appare del tutto improbabile che Leonardo abbia cambiato il suo approccio geologico per un solo dipinto - quello della National Gallery - considerando che la Vergine e Sant’Anna, finita dopo il dipinto di Londra, è un quadro molto più dettagliato e geologicamente complesso.

Alla fine, la straordinaria conoscenza geologica di Da Vinci ci ha fornito un metodo imparziale per distinguere il suo lavoro da quello dei suoi numerosi imitatori e seguaci. L’accurata descrizione geologica è un indice di autenticità. Può fungere da marchio inimitabile di Leonardo, perché nessun altro artista del suo tempo ha compreso così bene la geologia.

 

Bibliografia:


PIZZORUSSO 2014
Ann C. Pizzorusso, Twittando Da Vinci, New York, Da Vinci Press, 2014 (VII, 232 p.)

 







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