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Recupero dell'antico e suggestioni pagane a Brescia tra Quattrocento e Cinquecento: Bartolomeo Averoldi e l'Accademia dei Vertunni  

Giorgio Lonardini
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 31 Gennaio 2019, n. 861
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Incastonato nel complesso e variegato sistema socioculturale del Rinascimento italiano, il caso bresciano è non solamente degno di menzione, bensì meritevole di un approfondimento specifico che in questa sede cercheremo abbozzare ed al contempo incoraggiare visti i molteplici punti d'interesse emersi nel tentativo di tirare le fila di un discorso che, iniziato da una ricognizione del fondo archivistico della famiglia Averoldi, è volto a fare luce sulla nebulosa figura di Bartolomeo Averoldi, uomo di chiesa ma anche di politica appartenente all'antica casata bresciana di origine longobarda di notevole peso nel consolidato sistema oligarchico bresciano. L'Averoldi, che all'apice della sua carriera ecclesiastica fu abate benedettino di un monastero millenario e successivamente arcivescovo di una diocesi dalmata, viene però ricordato soprattutto per aver fondato un'accademia umanistica di matrice neoplatonica ed ispirazione pagana, l'Accademia dei Vertunni. Le fonti la dicono esistente prima del 1479, data in cui l'abate dovette lasciare Brescia per insediarsi come arcivescovo a Spalato, ma di certo c'è che fu di poco successiva all'estinzione dell'Accademia Romana di Pomponio Leto, avvenuta nel 1468 per volere del Papa Paolo II. Quale che fosse la natura di questa accolita erudita, se avesse forma e statuto come quella romana oppure fosse “nulla più che un'Adunanza, o una regolata Conversazione letteraria1, la sua derivazione dal sodalizio raccolto solo pochi anni prima attorno alla figura di Pomponio Leto è più che probabile, vista la presenza in esso - l'Accademia Romana - di diversi personaggi di origine bresciana, più o meno direttamente accostabili alla rete di relazioni che compone e fa da substrato culturale al sodalizio bresciano, legato inoltre agli ambienti umanistici dello studium di Padova e di quello bolognese, alla corte mantovana ed influenzato dai rapporti con gli uomini di cultura riuniti nella Milano sforzesca.

Questo studio nasce infatti dal tentativo di riscoprire i legami costitutivi del sub-strato culturale che, dipanandosi sulla direttrice Venezia-Roma e con numerose tappe intermedie, sta alla base creazione della più famosa opera letteraria del Rinascimento, l'Hypnerotomachia Poliphili, il cui autore, Francesco Colonna, corrisponde, secondo la tesi del Prof. Stefano Colonna2, al nobile romano Signore di Palestrina, i cui legami con l'ambiente pomponiano, oltre che con una moltitudine di altri umanisti di primissimo ordine, sono riconosciuti e sostenuti da numerose prove documentarie. L'occasione di questa ricerca ci è data nella fattispecie dal fatto che la famiglia Averoldi fu legata da frequenti rapporti commerciali a quella veneziana dei Barbarigo, alla quale appartenevano Filippo Barbarigo, protonotario apostolico che nel 1473 sottoscrisse la bolla di nomina di Francesco Colonna a protonotario apostolico partecipante, e Pierfrancesco Barbarigo, socio e finanziatore per l'edizione dell'H.P. curata da Aldo Manuzio3: a sua volta, il celebre tipografo, ebbe non di rado rapporti professionali e culturali con la città lombarda stimandola pubblicamente per l'impegno della scolarizzazione e nella divulgazione delle humanae littare, ed in particolare fu in contatto con i titolari della tipografia più accreditata all'epoca in Brescia4, quella dei Britannico, famiglia di tipografi, grammatici ed eruditi, che fu strettamente legata alla famiglia Averoldi.

Occorre quindi inserire i dati raccolti (di fatto non inediti) nel contesto appropriato della Brescia rinascimentale al fine di carpirne il giusto valore: Brescia non rivestì certo un ruolo dominante nell'Italia dell'epoca che hanno interpretato centri come Milano e Venezia, politicamente, economicamente e culturalmente. Fu al contrario la sua natura di territorio eternamente conteso tra le due “capitali” del nord, di territorio di passaggio e di scambio tra il centro dell'Europa, al di là delle Alpi, e la fertile pianura padana e di qui al centro Italia che le permise di arricchirsi anche culturalmente venendo sempre a contatto con la profusione di correnti di pensiero filosofico dell'epoca. Nondimeno la riscoperta delle proprie radici culturali latine causò grande entusiasmo all'ombra della rinnovata stabilità garantita dal dominio veneziano a partire dal 1426, la cui manifestazione più evidente fu un vasto programma di riqualificazione urbanistica durante il quale, in occasione di abbattimenti e scavi per far posto a nuove mura, edifici e strade, riemerse una notevole quantità di epigrafi ed elementi architettonici di epoca romana: la diretta conseguenza fu l'allestimento del così detto lapidarium (nel 1482, storicamente la prima esposizione pubblica di reperti archeologici), nell'ambito più ampio dell'edificazione, significativa, della nuova Platea Magna, l'attuale Piazza della Loggia, iniziata negli anni '30 del Quattrocento e conclusa solo un secolo più tardi con la fine dei lavori del palazzo della Loggia. Qui il recupero dell'antico divenne strumento politico trovando espressione nell'architettura ispirata al modello greco dell'agorà e nelle lapidi celebrative romane esposte integrandole nella facciata del Monte di Pietà insieme ad altre realizzate ex-novo a celebrare i rappresentanti del governo cittadino, il podestà ed i rettori veneti, ma soprattutto a celebrare Brescia stessa nel paragone tratto dalla storia romana con la città di Sagunto, che fu fedele a Roma contro i cartaginesi proprio come Brescia lo fu verso Venezia contro i milanesi: l'iscrizione a caratteri capitali tutt'oggi visibile recita infatti SAGVNTINORUM ET / BRIXIANORUM / MIRANDA / CONSTANTIA . E' proprio dalla cultura antiquaria della cerchia costituitasi intorno alle figure dominanti di epigrafisti come il Ferrarino, il Vosonio ed il Solazio ma anche Elia Capriolo, autore della prima opera a carattere storiografico su Brescia (Chronica de rebus brixianorum, 1505), che sono usciti gli ispiratori del primo lapidarium realizzato come delle epigrafi ex-novo: ne è testimone il carme dedicato alla città dall'umanista Vosonio (Stefano Buzzoni) alla fine del Quattrocento che fa esplicito riferimento proprio al lapidarium appena realizzato 5. Una testimonianza ulteriore di questa nuova sensibilità nei confronti dell'antico fu il decreto datato 13 ottobre 1480 con il quale il comune stabilì all'unanimità che i marmi lavorati, scolpiti o incisi, ritrovati nell'area dei Monti di Pietà (in corso di edificazione) o altri luoghi, dovessero essere conservati per le pubbliche fabbriche e che non potessero essere alienati6. Ciò detto, se è vero che le pubbliche disposizioni mirano sempre a correggere processi già in corso, si può verosimilmente dedurre non solo che fosse d'uso comune l'appropriarsi di questi reperti ma anche affermare l'esistenza delle prime collezioni bresciane. Il possesso di queste “anticaglie” andava ad assumere un valore del tutto intellettuale, considerato l'emergere di un certo senso “patriottico” nell'erudizione locale, la quale sentiva sempre più forte l'esigenza di giustificare in qualche modo l'interesse per l'antico con la glorificazione del proprio passato e delle proprie origini. E' forse riconoscibile in quel Genio di Brescia a cui dedica un capitolo delle sue Memorie bresciane nel 1616 Ottavio Rossi nell'ambito di una cultura antiquaria che nel censimento dei marmi antichi afferma la nobiltà della discendenza classica, facendone anche strumento di dignità politica del patriziato locale sotto il governo della Serenissima. Medesimo discorso motiva il forte interesse per la numismatica, “disciplina assai praticata a Brescia, come confermano alcune fonti secondo le quali il medagliere del re di Francia si sarebbe notevolmente arricchito dopo che, nel febbraio del 1512, Gaston de Foix mise a ferro e fuoco la città lombarda, portando in patria un copioso bottino di guerra”7. In campo artistico tutto ciò fu fonte di ispirazione per elementi decorativi di monumenti, edifici pubblici e privati: ne sono esempi il monumento funebre del vescovo umanista Domenico de' Dominici datato al 1478 ed i portali di palazzo Calzaveglia e della chiesa di San Giovanni, ispirati agli archi trionfali romani ed attribuiti entrambi a Filippo de' Grassi, già architetto del Monte Vecchio di Pietà che ospita il lapidarium e successivamente direttore dei lavori della Loggia. Di attribuzione più incerta, tra lo stesso Filippo de' Grassi ed il Gasparo Cairano8, è invece l'arco trionfale che inquadra l'altare di San Girolamo e Santa Margherita di Antiochia nella navata destra della chiesa di San Francesco, dove oltre ai busti clipeati di ispirazione classica troviamo, scolpito in bassorilievo alla base delle due colonne portanti, il motivo paganeggiante della Zuffa di dei marini, direttamente riconducibile ad una matrice mantegnesca.

Fig. 1:  Gasparo Cairano (?), 1506-1510 circa, Zuffa di dei marini (da Mantegna), bassorilievo, particolare dell’altare di San Gerolamo e Santa margherita d’Antiochia, Chiesa di San Francesco d’Assisi, Brescia.

Ricostruito sinteticamente l'habitat storico dentro al quale è inscritta la nostra ricerca è necessario operare nello stesso modo anche per quanto riguarda l'ecosistema Averoldi, al fine di circoscrivere il campo d'indagine intorno alla figura di Bartolomeo, ovviando così (almeno in parte) alla mancanza di documenti che lo riguardano direttamente. In assenza di studi monografici sulla famiglia e detto anche della estrema lacunosità di un fondo archivistico maltrattato dalle vicissitudini della storia che, come evidenzia lo storico locale Paolo Guerrini in una nota del 1926, subì un duro colpo con la dispersione di gran parte del materiale documentario durante la Grande Guerra9, abbiamo comunque la possibilità di farci un'idea della storia della famiglia in epoca tardo medioevale basandoci su di un manoscritto di memorie risalente con buona certezza al secolo XVIII che ne tramanda personaggi illustri ed imprese10

Fig. 2:  Autore ignoto, XVI secolo, stemma della famiglia Averoldi sormontato da galero vescovile, affresco, ex palazzo Averoldi, via Odorici, Brescia.

Qui un'ampia descrizione ne attesta l'origine in epoca romana, sotto l'Imperatore Vespasiano, accostando le vicende di alcuni suoi membri a quelle dei Santi patroni della città, Faustino e Giovita, martiri cristiani. Più verosimile è però la versione di Ottavio Rossi che ne riconduce la comparsa a Brescia in epoca longobarda11. Continuando la lettura si incontrano numerosi Averoldi ecclesiastici, politici e militari che nel corso dei secolo lasciarono memoria tramite le proprie imprese; sul finire del medioevo, nell'ambito degli scontri tra guelfi e ghibellini, abbiamo i primi dati significativi per delineare un profilo storico-politico dell'antica casata utile alla nostra ricerca, allorché un Girardo (Gherardo) Averoldi guidò la scacciata della fazione ghibellina da Brescia nell'anno 1311. La fedele appartenenza degli Averoldi alla fazione guelfa è un dato da tenere sempre in considerazione poiché li lega nel corso dei secoli alla politica filo-veneziana, che dell'appartenenza a questa fazione fece il principale strumento di indipendenza dall'Impero. A conferma di questo, un secolo dopo, nel 1426, un altro Gherardo Averoldi è protagonista assieme a Pietro Avogadro, esponente di un'altra potente famiglia aristocratica bresciana, della cosiddetta Congiura di Gussago, evento dal quale presero le mosse la rivolta antiviscontea ed il conseguente atto di sottomissione alla Repubblica di Venezia. Da questa data la ricerca si può avvalere dei primi dati genealogici certi: la suddivisione della casata in numerosi rami avvenuta successivamente alla spartizione dell'eredità di Giovanni quondam Gherardo Averoldi è riportata in maniera precisa in due manoscritti12 di provvisioni e concessioni riguardanti soprattutto il ramo dei Patengoli che aveva possedimenti nel territorio limitrofo al Lago di Garda, in particolar modo il Castello di Drugolo, tuttora esistente, dove crebbe e venne educato Altobello Averoldi, il più noto esponente di questa famiglia, nipote di Bartolomeo. In calce a questi due volumi sono due identici alberi genealogici di pregevole esecuzione che partono appunto dalla figura di Gherardo quondam Ioannes de Averoldis padre di tre fratelli, Bartolomeo, Cristoforo e un altro Giovanni, il cui ramo ci interesserà particolarmente. Figlio di Giovanni è il nostro Bartolomeo (da non confondersi con l'omonimo e di poco successivo vescovo di Calamona), il quale ebbe altri quattro fratelli tra i quali è bene ricordare Giovan Paolo (i manoscritti in questione lo riportano però come Gio. Petrus) padre del celebre Altobello, uomo politico e soprattutto grande mecenate. Un'altra ricostruzione più recente della genealogia Averoldi, limitatamente al ramo di Bartolomeo, è nel resoconto biografico redatto dal Fé d'Ostiani13 che, tolte alcune discordanze, combacia con la fonte precedente, anche nel mutamento di Giovan Paolo in Giovan Pietro. A questo punto credo sarà utile soffermarsi sulle figure di Giovan Paolo Averoldi e del figlio Altobello, non solo in quanto molto significative da un punto di vista culturale e molto vicine al soggetto della nostra ricerca, del quale ricostruiremo successivamente un profilo biografico, ma anche perché evidentemente parte integrante della rete di legami umanistici prossima al sodalizio vertunno. Della personalità di Giovan Paolo Averoldi deduciamo il peso in ambito politico ed economico grazie alla notevole quantità di materiale documentario conservato in archivio e notiamo l'intenso rapporto in affari con l'ambiente veneziano e spesso la sua diretta presenza a Venezia: in particolare il legame con la famiglia Barbarigo è testimoniato da una missiva di carattere commerciale indirizzata ad Andrea Barbarigo da me visionata all'interno dell'Archivio Averoldi14. Dallo stesso archivio in passato sono emersi numerosi documenti15 che testimoniano l'intensa attività di mecenate del nobile bresciano, volta all'arricchimento delle residenze private, delle proprie collezioni e delle maggiori chiese cittadine, e che vide all'opera i più noti artisti lombardo-veneti dell'epoca: a Vincenzo Foppa, Giovanni Girolamo Savoldo, Agostino da Lodi ed Alessandro Bonvicino detto il Moretto corrispondono commissioni di Giovan Paolo Averoldi. Tra le più significative ed interessanti per cronologia e per valore filosofico-culturale troviamo l'edificazione della cappella Averoldi all'interno della Chiesa di Santa Maria del Carmine, all'epoca uno dei cantieri cittadini più importanti. Al suo interno troverà sepoltura proprio Giovan Paolo Averoldi, per volontà del figlio Altobello e della moglie Lucrezia Caprioli o Capriolo (sorella di Elia Capriolo)16. Per l'esecuzione degli affreschi nel 1477 fu richiamato da Milano Vincenzo Foppa, il più noto degli artisti bresciani dell'epoca, esponente e divulgatore di quel gusto proto-rinascimentale ancora intriso di gotico floreale caratteristico dell'area lombarda sul finire del XV secolo ma già influenzato dagli apporti rinascimentali toscani introdotti a Milano da Filarete, Bramante e Leonardo da Vinci, che troverà a Brescia, in particolare nel bramantesco cantiere della nuova Platea Magna (attuale Piazza della Loggia), la propria maturità stilistica. 































Fig. 3:  Veduta generale della cappella Averoldi, dal 1477, Santa Maria del Carmine, Brescia.

Non meno interessante la commissione nel 1504 di un'opera della quale purtroppo non ci è noto il soggetto al pittore Agostino da Lodi, ormai universalmente riconosciuto nello pseudo-Boccaccino, artista itinerante e tra i maggiori responsabili della diffusione delle novità milanesi a Venezia ed in rapporti con Bramantino e Leonardo da Vinci a Milano, con Giovanni Bellini, Giorgione e Dürer a Venezia: il documento di spesa a lui riferito fa parte di una serie di pagamenti effettuati da Giovan Paolo Averoldi proprio nella città lagunare. Medesimo discorso per la commissione (nel 1527, stavolta riferibile con buona probabilità al San Girolamo oggi custodito alla National Gallery di Londra) a Giovanni Girolamo Savoldo “bressano, pictore in Venezia ”, la cui biografia lo vuole documentato in giovane età tra Parma e Firenze, e successivamente operante tra Milano e la laguna. Sono soprattutto queste commissioni a darci la misura dell'inclinazione culturale e del gusto verso le più moderne tendenze artistiche e, come escluderlo, filosofiche di una personalità come quella di Giovan Paolo Averoldi, che con ogni probabilità non dovette essere isolata nell'elaborazione del proprio pensiero ma, più probabilmente, fu partecipe di un ambiente e di un contesto ben più ampio. Prova della viralità della diffusione di tale tensione umanistica è da riscontrarsi nella figura del figlio di Giovan Paolo, Altobello Averoldi, prosecutore accanito del mecenatismo averoldiano. Nato nel 1468, secondo le fonti trascorse l'infanzia nel castello di Drugolo, possedimento storico della famiglia nei pressi del Lago di Garda17 e fu educato dallo zio Bartolomeo Averoldi18 che fu suo precettore e con buona probabilità lo introdusse alla carriera ecclesiastica; sappiamo però anche della presenza di Giovanni Britannico tra i familiares Giovan Paolo Averoldi, stipendiato come precettore dei figli giovinetti19: la compresenza di Bartolomeo Averoldi e Giovanni Britannico nell'educazione del giovane Altobello è un elemento di particolare interesse visti i molteplici legami del Britannico con i maggiori umanisti locali dell'epoca, molti dei quali relazionabili o appartenenti al circolo vertunno. Laureatosi Dottore in legge presso lo studio di Padova Altobello fu immediatamente accolto a Roma dal cardinale Raffaele Riario, nipote dell'allora pontefice Sisto IV, eventualità questa che è bene sottolineare in quanto testimone di un possibile rapporto di interessi tra la famiglia Della Rovere e quella degli Averoldi. L'amicizia tra Altobello e Riario sarà duratura: alla morte del cardinale, nel 1521, Altobello farà erigere un monumento funebre comune per sé e per l'amico nella chiesa bresciana intitolata ai S. Nazaro e Celso, storica prepositura della casata bresciana che fu presieduta per un periodo di tempo allo stesso Riario. In seguito alla distruzione della chiesa per lo scoppio della polveriera nella vicina porta San Nazaro nel 1726 e alla conseguente ricostruzione, la sepoltura Riario-Averoldi fu smembrata e ricollocata maldestramente impedendone una visione unitaria (mescolata anche ad un altro monumento funebre, quello di Ottavio Ducco, di qualche decennio più antico). Altobello dovette godere di buona fama anche presso i successivi papi: Alessandro VI lo investì del prestigioso vescovato di Pola e da Giulio II, “amico e parente del Riario” e ricevette l'incarico di “Prefetto e Correttore degli Archivi e Referendario”20; sotto Leone X fu nunzio apostolico a Bologna e successivamente a Venezia, ricevendo nel frattempo la prepositura di Ss. Nazaro e Celso a Brescia che dotò di notevoli capolavori artistici tra i quali come detto spicca il celebre Polittico Averoldi ad opera di Tiziano, del quale era “amicissimo”21, come pala dell'altare principale22

Fig. 4:  Tiziano Vecellio, Polittico Averoldi, 1520-1522, olio su tavola, Collegiata dei Santi Nazario e Celso, Brescia.

Tra gli affini all'Averoldi è poi doveroso citare un altro nobile bresciano, Mattia Ugoni, ordinato vescovo di Famagosta nel 1504 sempre da Giulio II. In un recente studio proposto da Vittorio Zani sullo scultore ed architetto Gasparo Coirano, è stata ricondotta all'Ugoni la commissione dell'altare dedicato a San Girolamo nella chiesa di San Francesco a Brescia, di ispirazione bramantesca nell'architettura e indubbiamente derivante nella decorazione a bassorilievo alla base delle colonne marmoree dall'incisione intitolata “Zuffa degli dei Marini” di Mantegna (databile tra il 1458 e il 1480, Collezioni del Duca di Devonshire e Chatsworth Settlement Trustee, Chatsworth): sia l'Ugoni che il Mantegna figurano curiosamente tra i dedicatari della rarissima raccolta di Epigrammi del Vosonio23, insieme a molte altre figure di primo livello in ambito politico, religioso ed anche artistico, tutti accomunati da profondo spirito umanistico espresso di caso in caso con l'inclinazione alle lettere, al collezionismo di “anticaglie” o all'attività di mecenati che permette la creazione quelle opere che costituiranno lo stile rinascimentale (ne incontreremo numerosi altri nel corso della ricerca). Da notare inoltre che la matrice architettonica del Coirano, attivo peraltro nel cantiere della Loggia (vedi Zani), è facilmente riconoscibile in almeno due luoghi “averoldiani” come il portale laterale della Chiesa di Ss. Nazaro e Celso (unico elemento residuo della struttura rinascimentale dell'edificio andata distrutta all'inizio del XVIII secolo) e nella facciata della vicina Chiesa di Santa Maria dei Miracoli (legata amministrativamente alla prepositura nazariana), per l'esecuzione della quale è certo l'intervento, in qualità di supervisore, di Giovan Paolo Averoldi insieme a Mattia Tiberino, grammatico insegnante a Brescia e presente anch'esso nel suddetto elenco dedicatorio vosoniano. Restando nel campo del mecenatismo di Altobello è da ricordare un suo ritratto eseguito da Francesco Raibolini detto il Francia ed attualmente conservato presso la National Gallery of Art di Washington24









Fig. 5:  Francesco Raibolini detto “Francia”, Ritratto di Altobello Averoldi, 1505 circa, olio su tavola, National Gallery of Art, Washington.

Questa commissione, non documentata ma ripetutamente nominata dalle fonti con varie e presunte attribuzioni, ha una propria verosimiglianza vista la reiterata presenza del prelato bresciano a Bologna e inoltre si lega strettamente ad un'altra commissione del vescovo riportataci ancora una volta nel breve resoconto del Fè d'Ostiani allorché parlando della sua opera di mecenate ci informa del fatto che “Trovandosi al reggimento di Bologna ebbe un distinto lavoro dell'Urbinate Timoteo Vite che regalò alla chiesa di S. Giovanni sua Parrocchia paterna”. La relazione di discepolato che lega i due artisti (Timoteo Vite è allievo del Francia, ce ne informa già il Vasari25), attesta ulteriormente la frequentazione dell'Averoldi con questa bottega di artisti, ma risulta ancor più importante alla luce del fatto che il Francia, che prima che pittore fu apprezzato orafo e medaglista, fu affiliato alla bottega di Squarcione, artista cultore dell'antico e soprattutto collezionista di antichità a Padova, la stessa in cui apprese l'arte il già citato Andrea Mantegna. Altro scultore, orafo e medaglista nell'orbita Averoldi fu Maffeo Olivieri, autore per Altobello di due medaglie “all'antica” con la sua effige26 e di due candelabri per la basilica di San Marco a Venezia attualmente ai lati dell'altare della Cappella della dei Mascoli, donati dallo stesso Altobello.
























Fig. 6:  Maffeo Olivieri, Medaglia per Altobello Averoldi (recto), 1517-1521 circa, Museo Civico Archeologico di Bologna.

Evidenziati i legami dei familiari, almeno delle personalità più affini al soggetto della ricerca, con alcuni umanisti ed artisti che sembrano costituire una cerchia abbastanza definita e definibile attorno all'idea del recupero dell'antico spendiamo in questa sede alcune parole (troppo poche per l'importanza dell'argomento) anche sulla testimonianza pervenutaci a riguardo dell'antica biblioteca Averoldi. Smembrata e dispersa anche questa (come l'archivio di famiglia) durante la Grande Guerra, ha lasciato traccia di sé tramite due elenchi parziali fortunosamente recuperati e successivamente pubblicati dal Guerrini27, uno anteriore al 1487 (la data compare in calce in una nota riguardante volumi dati in prestito) e l'altro recante le date 1526 - 1529 – 1538. Nel primo dei due inventari, intitolato significativamente, Inventario de libri de humanità sono presenti, insieme a molti classici greci e latini, alcuni testi di illustri umanisti contemporanei all'Averoldi, come nel caso delle Elegantie di Lorenzo Valla, testo celebre in cui il letterato romano si prodiga in una difesa della purezza della lingua latina e in un'esaltazione del ruolo della grammatica e della retorica in funzione antiscolastica e antiaristotelica; medesime istanze, volte a celebrare l'utilizzo della filologia e della critica storiografica come mezzi per una più ampia comprensione dell'uomo e come mezzo di trasmissione dei più alti valori dell'epoca classica, sono perseguite da Marco Antonio Sabellico, presente anche lui nell'elenco, ma maggiormente significativo in quanto affiliato all'Accademia Romana di Pomponio Leto insieme al Platina, sempre nell'elenco, che accusato di paganesimo da Paolo II e processato per eresia, ebbe miglior fortuna quando salì al soglio pontificio Pio II, il papa umanista, al secolo Enea Silvio Piccolomini. Anche quest'ultimo è presente nell'inventario averoldiano con la dicitura Li comentari de Caesaro [e la asia de papa pio]: l'accostamento dei Commentarii di Giulio Cesare e del De Asia di Pio II (iniziata nel 1461 ed ultima delle sue opere a carattere storico-geografico), non è casuale visto che lo stesso Piccolomini fu autore di un'opera intitolata Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt (I Commentari delle cose memorabili che accaddero ai suoi tempi), notoriamente ispirata a quella dell'imperatore romano (come quest'ultima era scritta in terza persona, espediente atto ad enfatizzare il carattere autocelebrativo dell'opera nei confronti dell'autore stesso); si può anzi pensare che l'identificazione con l'opera di Giulio Cesare sia addirittura erronea ed in realtà il volume indicato fosse proprio quello di mano del Piccolomini, altrimenti non si spiegherebbe l'accorpamento dei due volumi. La loro presenza risulta ancor più significativa alla luce del fatto che i Commentari furono pubblicati solo un secolo più tardi e l'Asia non lo fu mai, quindi si parlerebbe di copie manoscritte e giunte nella biblioteca Averoldi non molto tempo dopo la loro stesura. E' noto che l'approccio storiografico del Piccolomini fosse desunto almeno in parte dai modi di Flavio Biondo, suo segretario papale, storiografo umanista per eccellenza, studioso delle antichità romane, vero e proprio archeologo nonché autore di varie opere tra le quali riconosciamo nel nostro inventario il De Roma triumphante, narrazione storica della Roma pagana come modello di governo e di civiltà da imitare. Un'altra dicitura che merita di essere evidenziata in questo primo elenco riporta semplicemente il nome Igino, ma ne abbiamo maggiori informazioni in quanto verrà ripetuta anche nel secondo elenco come Higinus, de signis celestibus. Vissuto in epoca romana Igino è ricordato come autore di un trattato astronomico (De astronomia o Poeticon astronomicon) che tratta in quattro libri di nozioni generali sulla terra e lo zodiaco, di miti riguardanti il cielo e le costellazioni, della posizione e composizione delle stesse e di nozioni riguardanti il moto ed il percorso degli astri; anche quest'opera doveva essere una copia manoscritta essendo stata data alle prime stampe presso Gianbattista Sessa nei primi anni del '500. Nel secondo documento riportato dal Guerrini, stralcio di un inventario databile agli anni venti del Cinquecento, troviamo altri testi che confermano il carattere neoplatonico nella scelta dei testi con la presenza di un altro trattato astronomico, l'Al manach, altri volumi di filosofi e umanisti contemporanei come Erasmo da Rotterdam (dal quale l'umanista bresciano Emilio Emilii ricevette l'imprimatur per la pubblicazione della sua traduzione in lingua volgare dell'Enchiridion che uscì per Ludovico Britannico nel 1531 con dedica ad Altobello Averoldi), Marsilio Ficino, Mario Filelfo e di nuovo compare Pio II con un epistolario. Vi troviamo inoltre una teoria musicale di Franchino Gaffurio che egli elaborò nel 1492 sui principi armonici dell'astronomia e dell'architettura e diede alle stampe presso i fratelli Britannico nel 1502 e nel 1508 (il Gaffurio era peraltro solito commissionare traduzioni degli autori latini per le sue composizioni ad umanisti come Lorenzo Valla e l'accademico vertunno Valguglio). Infine troviamo testi cardine del pensiero cinquecentesco che ebbero poi larga fortuna come un Meschino vulgare, poema cavalleresco di ascendenza neoplatonica molto vicino al pensiero ficiniano e soprattutto un poliphylo vulgare, in riferimento chiaramente all'Hypnerotomachia Poliphili che è il soggetto primo da cui prende le mosse anche questa ricerca. L'importanza di queste notizie è veramente notevole, tanto più se pensiamo che nel quattro e cinquecento la prima istruzione dei rampolli delle famiglie nobili veniva loro impartita all'interno delle mura domestiche e, detto che in seguito si recavano presso i centri universitari delle città limitrofe per laurearsi, la loro educazione umanistica si basava sui volumi presenti nella biblioteca di famiglia: nel nostro caso la presenza di Bartolomeo Averoldi e contemporaneamente quella di Giovanni Britannico nell'educazione di Altobello Averoldi ci dà la certezza che Bartolomeo fosse almeno in parte responsabile della selezione di questi testi oltre ad averne certamente subito il fascino.

Ripercorriamo ora la biografia del nostro ecclesiastico dal forte ascendente umanistico, costituita unicamente da notizie di carattere ufficiale ed incentrate quindi sulla sua carriera professionale; anche da queste possiamo farci un'idea di quali possibilità possa realmente aver avuto di entrare in contatto con ambienti umanistici e personaggi di rilievo della sua epoca. Bartolomeo Averoldi nasce nel 1413 da Giovanni Averoldi e da Regina de' Conti di Martinengo della Pallata28. Dopo una prima istruzione domestica, come da uso comune all'epoca, completò gli studi nella Bologna liberale dei Bentivoglio, allievo del filosofo, teologo e predicatore francescano Francesco Piazza29. Nel 1437 ricopre già la carica di Preposto della Casa di S. Bartolomeo in Contignaga30: ce ne informa lo storico settecentesco Zaccaria che deduce l'informazione da una Bolla di Eugenio IV secondo la quale l'Averoldi denunciò al Papa (si ricorda come l'ordine degli umiliati non rispondesse alla diocesi vescovile ma direttamente alla Sede Apostolica) l'abate Jacopo del monastero di S. Eufemia per indisciplina, suggerendone la rimozione con la speranza, suggerisce lo Zaccaria, di prenderne il posto, cosa che non avvenne per l'opposizione “de' principali Signori di Brescia” che scagionarono l'accusato31. E' necessaria qui una riflessione sulla significativa appartenenza dell'Averoldi all'ordine umiliato che, per quanto in quegli anni versava già in una situazione di decadenza morale sopravvivendo solo fino al secolo successivo, vantava comunque una posizione di notevole rilievo essendo principalmente volto all'espletamento di funzioni politiche, economiche e commerciali quasi fosse una branca dell'amministrazione comunale (nella fattispecie gli umiliati di San Bartolomeo ebbero l'incarico dal Consiglio Generale della custodia del grano e dell'ufficio del sale, nonché di massari per il controllo del bilancio comunale e per la supervisione sulle mercanzie in ingresso ed uscita dalla città). E' inoltre importante ricordare che da un punto di vista spirituale questa congregazione non si allineò mai con una visione dogmatica del cattolicesimo, tanto più che finì spesso con l'essere accostata ai molti movimenti evangelici radicali allora diffusi anche a Brescia, che sfociarono poi nell'eresia come quello degli Arnaldisti: da ciò derivò la loro istanza di rispondere unicamente alla sede papale, senza nulla dovere al potere territoriale dei vescovi. Comincia quindi a delinearsi una personalità, quella dell'Averoldi, sicuramente ben integrata nel sistema beneficiale del tempo ma forse non totalmente inquadrato in esso. La traslazione nel 1440 nella principale sede bresciana della congregazione cioè nella domus di Santa Maria Maddalena di Gambara32, che nelle gerarchie seguiva per importanza le sedi di Milano, Viboldone e Como, avviene contemporaneamente ad un importante incarico politico allorché […] fu uno dei sette ambasciatori mandati dalla città al Serenissimo nostro principe di Venezia, dal quale impetrarono diverse immunità et essencioni alla città medesima l'anno 144033. Aggiunge il Faino che “giunto alla virilità fu così grato, et stimato dalla Patria, che lo sonstituì uno delli Riformatori delli Decreti, o Statuti di Brescia; nel qual cas(ic)o fece valere le qualità del suo dotto, e peregrino ingegno”: è ipotizzabile che il fatto avvenne più o meno in questo periodo, quanto l'Averoldi doveva avere circa ventisette anni e già una considerazione tale da ricevere incarichi pubblici. Sette anni dopo, nel 1447, viene eletto Vicario Generale degli Umiliati da parte del Consiglio Generale dell'ordine34, entrando così in rapporto diretto con la sede apostolica presieduta dal neoeletto Niccolò V, al secolo Tommaso Parentucelli. Riconosciuto dalla storiografia come prototipo del papa umanista, questo pontefice diede un grosso contributo all'Umanesimo capitolino, controvertendo la percezione e la ricezione dei nuovi studi umanistici fino ad allora considerati come possibili fonti di eresie ed inclini al paganesimo; costituì una consistente raccolta di codici che divenne il primo nucleo della Biblioteca Apostolica Vaticana e promosse la traduzione in latino della letteratura greca sia pagana che cristiana avvalendosi della collaborazione di numerosi umanisti conosciuti nel suo periodo bolognese (contemporaneo al periodo di studi universitari a Bologna dell'Averoldi) al seguito dell'Albergati, poi a Firenze dove si trasferì la Corte pontificia di Eugenio IV in seguito alla rivolta dei Romani: tra questi alcuni nomi illustri che incontriamo analizzando le opere presenti nella biblioteca Averoldi prima del 148735 come Lorenzo Valla, Niccolò Perotti, Falvio Biondo, Francesco Filelfo ed il futuro Pio II Enea Silvio Piccolomini, a cui il Parentucelli fu legato da profonda amicizia. Tornando alla biografia dell'Averoldi si assiste ad un successivo balzo in carriera col raggiungimento della carica abbaziale (conferita dalla Sede Pontificia) in una data compresa tra il 18 aprile 1451, ultima attestazione del predecessore, ed il 12 aprile 1452, quando è presente secondo lo Zaccaria in uno stromento in questo giorno fatto dall'Abate Averoldo, l'Averoldi è traslato dagli umiliati ai cassinesi e insignito del titolo di Abate del monastero benedettino di Leno, struttura di fondazione longobarda legata storicamente a quella di Montecassino e da sempre dotata di un ingente patrimonio fondiario. Non è noto come e per quali motivi Bartolomeo Averoldi fu insignito di tale carica, ma qualcosa si sa dei legami tra l'ordine umiliato bresciano, molto vicino (se non in qualche modo affiliato) a quello benedettino e questo monastero che all'ordine benedettino apparteneva per tradizione36. Lo studioso gesuita (Zaccaria) è anche l'unica fonte che si sbilancia in un accenno di racconto dell'operato del nostro Bartolomeo nell'abbazia benedettina: “Finalmente verso la fine del MCCCCLI o certo innanzi il dì 12 d'Aprile dell'anno seguente fu creato Abate di Leno. In questa dignità costituito Bartolommeo pensò a vantaggi della Badia. Gli stava a cuore principalmente la regolare disciplina, al qual fine nel MCCCCLXXI trattò d'aggregare alla celebratissima Congregazione di S. Giustina di Padova il suo Monastero. Ma convien dire, che per insorte difficoltà malgrado le convenzioni stabilite non se ne facesse nulla”37. Per quanto riguarda il fallito tentativo da parte dell'Averoldi di aggregare l'abbazia leonese alla potente congregazione di Santa Giustina di Padova ben poco si sa, se non che probabilmente doveva essere l'unico modo per risollevare le sorti del cenobio benedettino da tempo in decadenza; il fallimento della trattativa, quando ormai il contratto era già stipulato (in data 29 agosto 1471, nel monastero di Santa Eufemia, già aggregato a Santa Giustina dal 1457) avvenne in coincidenza con la morte di Paolo II e la salita al soglio papale di Sisto IV, il quale però non si dimostrò mai ostile ad essa durante il suo operato, confermando anzi i privilegi concessi dai predecessori38. Vi è poi da annotare un altro episodio biografico interessante, significativo soprattutto per farci un'idea della fama raggiunta dall'ecclesiastico bresciano nella sua città natale, riportato unicamente dalla storiografia sei-settecentesca39: nel 1474 si sparse la voce della morte dell'allora vescovo di Brescia Domenico de' Domenici e con grande entusiasmo della popolazione, stanca di vescovi assenteisti, il Consiglio Generale della città propose la candidatura di Bartolomeo Averoldi; verificata però la falsità della luttuosa notizia il tutto venne vanificato. L'Averoldi mantenne così ancora per alcuni anni la molto remunerativa carica abbaziale finché gli venne offerta la possibilità di permutarla con l'arcivescovato di Spalato, allora ricoperta dal cardinale veneziano Francesco Foscari, compiendo un ulteriore passo in avanti nella propria carriera ecclesiastica seppur in una diocesi periferica; al contempo Venezia riuscì a dotare di una rendita degna il proprio cardinale di fiducia e forse impossessarsi con la concomitante messa in commenda dell'istituzione ecclesiastica del suo ingente patrimonio fondiario, sul quale peraltro godeva già di un privilegio dal 1426, anno dell'annessione di Brescia. Unica testimonianza pervenutaci sull'operato dell'Averoldi nella sede dalmatica (peraltro indiretta in mancanza di studi sul luogo) è ancora dello storico seicentesco Faino che ci informa dell'impegno concreto in un riassetto dell'intera diocesi iniziato con la convocazione dei vescovi a lui sottoposti in un Sinodo generale, con conseguente plauso della popolazione locale40. Senza dilungarsi oltre su un argomento di cui sappiamo ben poco, annotiamo a questo punto come alcune delle fonti cioè il Rossi e, sulle sue orme, il Mazzucchelli ed il Peroni dichiarino il decesso dell'ormai Arcivescovo Averoldi nel 1480, l'anno successivo all'investitura. Ancora lo Zaccaria, preciso, annota prima la testimonianza del Faino, che vuole il decesso di Bartolomeo sotto il papato si Leone X, salito sul trono pontificale nel 1513, mettendo in evidenzia in secondo luogo che in ogni caso l'Averoldi non possa dirsi scomparso prima del 7 agosto 1480, giorno in cui si svolse a Roma un aggiornamento degli accordi stipulati l'anno precedente tra lui ed il Cardinal Foscari. Mentre c'è disaccordo sulla cronologia, sulle cause di morte tutte le fonti concordano adducendo come spiegazione il morso di un cane a Verona mentre si recava a Brescia, proveniente da Spalato o da Venezia. C'è però prova che nel 1485 fosse ancora vivo visto che il 16 febbraio è tra gli iscritti alla proba per l'episcopato di Treviso eseguita il 26 dello stesso mese41. Non fu questo l'ultimo tentativo di ottenere un nuovo importante incarico che lo avvicinasse alle sue terre d'origine (il che farebbe peraltro pensare che risiedesse a Spalato più di quanto si possa immaginare). Il secondo personale tentativo di accedere al seggio vescovile di Brescia avvenne nel 1500 allorché Paolo Zane, successore del de' Dominici, chiese al Papa di poter scambiare la sede bresciana con il remunerativo arcivescovato di Spalato. Questa informazione è stata dedotta da noi come dal Fè d'Ostiani dal manoscritto del mons. Faino, il quale aggiunge che sapendo dell'approvazione ottenuta presso la Santa Sede, il 5 febbraio 1500 il consiglio cittadino si apprestò a mandare “oratori al Ser.mo Prencipe, acciocchè si compiacesse di questa permuta” (ipotizzo in riferimento all'allora Doge Agostino Barbarigo); anche stavolta si risolse in un nulla di fatto “per le contingenze che occorsero” senza specificarne però la natura. Bernardino Faino chiude poi la sua biografia del prelato bresciano informandoci che quest'ultimo, ormai centenario, dovette ottenere da Leone X (1513-1521) il permesso di licenziarsi dal seggio arcivescovile di Spalato per far ritorno nella città natia, dove bramava di “rigodere positivamente nel Convento di S. Francesco in Brescia i suoi dolcissimi studii della Sacra Scrittura”.

Ora, è da sottolineare che ci sfugge completamente il legame tra l'Averoldi ed il monastero di San Francesco a Brescia, allora molto potente dopo il periodo sotto la guida di Francesco Sanson, ministro generale dell'ordine francescano dal 1475 e grande mecenate42, ma quest'ultima frase del Faino lascia forse supporre che per l'Averoldi si potesse trattare di un ritorno in quel luogo. Esclusa quindi con certezza la data del 1480 in riferimento alla scomparsa dell'ecclesiastico bresciano, la data di morte più probabile è quella proposta dal Fè d'Ostiani del 1503, ad un età di circa 90 anni (nello stesso anno è nominato Arcivescovo di Spalato Bernardo Zane), ma credo si debba tenere comunque conto dell'informazione del Faino, il più preciso dei biografi fin qui considerati e conosciuti, che motivando come detto in precedenza con la rinuncia al titolo arcivescovile e il successivo ritorno a Brescia, ne ascrive la morte intorno al 1514, sotto il pontificato di Leone X. Tutte le fonti concordano poi sul luogo del decesso, cioè la città di Verona, dalla quale l'Averoldi transitava recandosi definitivamente nella città natia. Effettivamente è conosciuta la sepoltura di un Bartolomeo Averoldi in Verona, nella ex-chiesa di Santa Maria della Ghiaia facente parte anticamente dell'omonimo monastero umiliato, ma questa corrisponde ad un nipote del nostro Bartolomeo Averoldi, che fu vescovo di Calamona e morì nel 1538 come riporta l'iscrizione sepolcrale. Singolare è la notizia che questo secondo Bartolomeo sia titolare di una ulteriore sepoltura che si trova a Brescia nella chiesa di San Lorenzo e riporta anch'essa nell'iscrizione la stessa data43. Resta quindi ad oggi ignota la sepoltura di Barolomeo Averoldi Arcivescovo di Spalato. Ulteriori notizie emergono soprattutto dalla biografia tracciata dal Rossi nella sua raccolta di vite di bresciani illustri. Queste riguardano l'altro aspetto della personalità dell'abate, quello dell'umanista e dello studioso che meritò già molto giovane di far parte, come detto, dei Riformatori degli Statuti della città, che si applicò agli studi delle Sacre Scritture e, soprattutto, che fu “splendidissimo inventore” dell'Accademia dei Vertunni, circolo di umanisti e letterati a lui “familiarissimi” (nell'accezione latina di familiares, cioè di famiglia allargata, di amicizie quasi parentali) coi quali “spendeva egli quel talento delle Virtù, che aveva imparato co isquisita diligenza da Frate Francesco Piazza dell'ordine di San Francesco Teologo & Predicator di gran nome, come testificano il suo libro delle Restituzioni e altre opere”. In ultimo il Rossi aggiunge in seguito al suddetto elenco (pur senza specificarne un'eventuale appartenenza al sodalizio accademico) che l'Averoldi fosse poi in ottimi rapporti “con quel nostro Cardinale da Chiari, che morì in Buda essendo secretario del Ré d'Ungheria” riferendosi, per quanto ho potuto riscontrare, al Cardinale clarense Gabriele Rangone (1410 – 1486, creato cardinale diacono da Sisto IV, come Altobello Averoldi e il cardinale Riario, nipote del Papa Sisto IV, nel 10 dicembre 1477 col titolo dei Santi Sergio e Bacco al Foro Romano) personalità di spessore nel contesto politico-religioso, attivo nell'Europa orientale, morto però a Roma (e non a Budapest come sostiene il Rossi) e sepolto nella cappella di San Bonaventura nella basilica di Santa Maria in Aracoeli44.

E' evidente nella lettura di tutte le altre fonti biografiche a nostra disposizione che solamente il Rossi è in grado di fornirci queste informazioni dalla consultazione di fonti dirette; in tutti gli altri casi emerge appunto l'opera del Rossi come principale fonte comune di riferimento e sulla scorta di questa proseguiamo in un'analisi biografica dei profili di quei personaggi che lui ci indica come appartenenti all'Accademia dei Vertunni.

I primi elencati sono Lanfranco e Paolo Oriani (da Oriano o de Ariadno, possedimento dei Martinengo nella bassa bresciana) ed è nella stessa opera del Rossi dalla quale traiamo l'elenco che troviamo un sintetico racconto della personalità dei due più celebri componenti di questa nobile famiglia bresciana. Per ciò che riguarda Lanfranco Oriani il Rossi si limita a lodarne la produzione di opere civili, tanto da meritare, superati i novanta anni, sepoltura nel Duomo di Brescia: ne cita l'epitaffio scritto in lingua greca, unico indizio di adesione al pensiero umanistico. L'archivio di stato di Brescia offre un frammento del suo documento di laurea presso l'Università di Padova45, informazione comunque già riportata da F. Roggero nel catalogo Treccani46 il quale ne approfondisce la carriera giuridica e politica: nel 1455 fu brevemente a Trento per ricoprire la carica di Podestà; subito dopo si recò a insegnare nello Studio di Ferrara che, dopo un lungo periodo di decadenza, conobbe un nuovo impulso grazie all'opera di Leonello d'Este e in seguito di Borso, suo fratello e successore. Sappiamo dunque che, tra il 1456 e il 1457, Lanfranco Oriani fu a Ferrara docente straordinario di diritto canonico. Fu suo figlio o nipote Paolo, dedito oltre che al diritto civile a quello canonico e alla filosofia; ancora più ridotte le notizie sul suo conto: l'episodio su cui si concentra il Rossi ruota attorno alla sua redenzione sulla questione dell'immortalità dell'anima (“per aver incontrato un fantasma”, dice il Rossi) e alla successiva composizione di un trattato sul tema: questa informazione sembrerebbe niente più che un aneddoto piuttosto inconsueto se non fosse che la stessa esperienza viene curiosamente attribuita dal Rossi anche a Carlo Valguglio, altro accademico Vertunno, e se non fosse che lo stesso argomento fu oggetto di studio e di pubblicazioni anche da parte di Bernardino Gadolo e Teofilo Bona, entrambi accademici Vertunni47.

Le due nebulose figure di “Frate Antonio Dominicano inquisitore” e di“Antonio Locadello Frate Domenicano” sono descritte dal Rossi l'uno come “famoso inquisitor generale della Lombardia, del Genovesato, e della Marca, Predicator di gran credito e scrittore lodato di sermoni quadragesimali e di alcuni discorsi del Tempo de' Santi” , l'altro come “Frate Dominicano, chiaro non solamente per dottrina e per Santità di vita, quanto per il dono dello spirito profetico, col quale evidentemente predisse il sacco di Brescia”. Scarsissime notizie si ricavano dalle fonti locali sui due domenicani vissuti a Brescia sul finire del XV secolo, anzi nessuna a parte la citazione del Capriolo sul secondo frate: “Et fu conosciuto per certo Profeta il Beato Antonio Locadello nostro Cittadino dell'Ordine de Predicatori48, sempre in riferimento alla profezia del sacco di Brescia ad opera delle truppe di Gaston de Foix nel 1512. Qualche informazione in più ci viene invece fornita nel saggio di Giancarlo Pedrella intorno alla Descrittione di tutta l'Italia del domenicano Leandro Alberti49, che cita Antonio Locadello “elegante e fruttuoso predicatore dell'Ordine dei Predicatori” e dove si distingue tra due Antonius de Brixia: il primo, probabilmente Antonius de Pezzotellis, fu inquisitore della provincia di Lombardia dal 1483 al 1497, anno della sua morte; il secondo, del quale non si cita il cognome, è un Antonio da Chiari noto per le sue qualità di predicatore; uguale distinzione in Mazzuchelli50 che distingue ugualmente un Antonio da Brescia domenicano inquisitore ed un altro predicatore indicandone la provenienza di Chiari. Il cognome di Locadello è verosimilmente ricavato dall'Alberti dalle Historie del Capriolo, fonte da lui usata per la descrizione del territorio bresciano.

La figura del bresciano Cristoforo Barzizza51 è invece stata fraintesa per molto tempo a causa dell'omonimia col Barzizza Cristoforo medico bergamasco e professore all'Università di Padova, figlio di Gasperino, erudito in contatto con umanisti come Filelfo, Flavio Biondo e Sabellico. E' possibile rintracciare il profilo del nostro grazie alle antiche fonti locali: nei “Chronica de rerum Brixianorum” (Brescia, per Rondo de' Rondi, 1505) il Capriolo lo ricorda per un'opera di cui lui stesso fu dedicatario: “E Cristoforo Barzizio nostro Municipe letteratissimo dedicò a me un'operina arguta del fine dell'Oratore”; fu proprio su esortazione di Elia Capriolo che il Barzizza compose l'opera a cui deve maggiormente la sua fama cioè il “De fine oratoris”52: lo testimonia la lettera prefatoria dedicata proprio al Capriolo53 e intrisa di un tono scherzoso ed amichevole. Daniele Cereto, letterato bresciano autore del "De foro et laudibus Brixiae ad Magnificum Ludovicum Martinengum libellus", pubblicato dal Mazzuchelli (Brescia, p. Vescovi, 1778) dopo aver tessuto le lodi della città e messo in evidenza la sua fedeltà a Venezia, lo cita tra i giovani dotti della città insieme a Giovanni Calfurnio54, Marco Picardi, Carlo Valguglio, Ubertino Posculo, Elia Capriolo, Teofilo Bona, Bartolomeo Partenio e Marco Civile, fornendo una preziosa testimonianza sulla vita culturale del tempo. Il panegirico in lode a Brescia, riportato interamente dal Rossi nei sui “Elogi”55, è inoltre aperto da alcuni versi di Pilade Boccardo. Daniele Cereto è fratello di Laura Cereto, autrice di un epistolario diretto ad alcuni umanisti e personaggi influenti dell'Italia settentrionale56; i due fratelli compaiono tra i dedicatari degli Epigrammata del Vosonio.

Il Barzizza fu tra i maestri di grammatica e oratoria, appartenente alla folta schiera di umanisti insegnanti insieme a Giovanni Calfurnio, Giovanni Taberio57 e Giovanni Britannico. Non siamo a conoscenza dei suoi rapporti con gli altri maestri ma sappiamo che fu suo allievo Marino Becichemo, a sua volta maestro di grammatica ed oratoria a Brescia. Ebbe rapporti con le maggiori famiglie bresciane come i Bornati, i Martinengo e soprattutto gli Emilii, a testimonianza della grande considerazione di cui godette. Si data la sua morte attorno al 1496. Noto fino al seicento, almeno in ambito locale, viene confuso con il suo celebre omonimo bergamasco dal Mazzuchelli58 e da tutta la trattatistica successiva.

Bernardino Gadolo, nativo di Pontevico, nell'agro bresciano, iniziò gli studi umanistici a Brescia prima di laurearsi allo studium di Padova. Presi i voti e cambiato il nome da Pietro a Bernardino, fu protagonista di una notevole carriera all'interno dell'ordine camaldolese, il che gli permise di viaggiare tra Venezia, Roma e Firenze, e di intrattenere rapporti con diversi umanisti contemporanei come il Bembo, il Poliziano e Pico della Mirandola. Nell'ambito bresciano invece è citato dal Rossi59 come dedicatario della traduzione dell'Historia di Tucidide ad opera di Bartolomeo Partenio60. Compilatore di una raccolta di una cinquantina di epistole latine inedite ed attualmente conservate all'Archivio del sacro eremo di Camaldoli (mss. 734-735)61, risultano disperse sia l'opera satirica Bembis o Bembeide (come vuole il Rossi) contro il bresciano Bonifacio Bembo colpevole di avergli indirizzato alcune invettive, sia di un compendio sul problema della natura dell'anima, argomento curiosamente caro ad altri esponenti del circolo vertunno (come detto in precedenza, si parla di Paolo Oriani, Stefano Valguglio, Bernardino Gadolo e Teofilo Bona) e a Girolamo Donati, Podestà di Brescia che compare tra i dedicatari degli epigrammi latini del Vosonio. Fu inoltre in contatto col cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, futuro Papa Pio III (nipote di Enea Silvio Picclomini, Pio II), protettore dell'ordine Camaldolese62, come anche Carlo Valguglio. Quest'ultimo (1434-1517), anche lui accademico vertunno secondo il Rossi, compare nell'opera di Daniele Cereto tra i valenti uomini di cultura bresciani nel De foro et laudibus Brixiae come Cristoforo Barzizza. Sempre secondo il Rossi fu maestro di Andrea Marone63, personaggio di notevole interesse nel panorama umanistico (un suo epigramma è premesso alla Hypnerotomachia Poliphili, uscita dai torchi di Aldo Manuzio nel dicembre 1499), del quale si sa ancora pochissimo. Rivestì l'importante carica di protonotario apostolico64 e segretario del tesoriere papale Falco Sinibaldo ed inseguito divenne segretario personale di Cesare Borgia dal 1493. In occasione di un soggiorno a Firenze compilò un Methodus linguae grecae dedicato a Francesco e Giovanni de' Medici, figli di Cosimo65. E' nota una traduzione latina del De Musica dal testo greco di Plutarco curata dal Valguglio e stampata a Brescia da Angelo Britannico (fratello di Giovanni, familiares degli Averoldi) il 1 aprile 1507, eseguita su esortazione teorico musicale ed umanista Franchino Gaffurio (del quale, come detto, è testimoniata un'opera nella biblioteca Averoldi). Fu inoltre in contatto con Angelo Poliziano, che gli dedicò un epigramma66. Curiosamente secondo il Rossi morì di spavento per aver visto un fantasma (sempre in riferimento al dibattito sull'immortalità dell'anima già affrontato parlando di Paolo Oriani), mentre secondo fonti più certe si a che fu assassinato nei pressi della sua abitazione da un certo Filippo Sala67. Amico del Valguglio, oltre che consodale accademico vertunno, fu, sempre secondo il Rossi, Teofilo Bona, monaco benedettino cassinese presso la sede bresciana di S.Eufemia. Fu legato al Capriolo il quale lo incoraggiò a pubblicare nel 1496 quella che fu la sua opera maggiore, il dialogo in esametri intitolato De vita solitaria et civili dedicato a Guidobaldo I della Rovere duca d'Urbino, cui pure si rivolge anche nel Carmen Erotematicon. Pubblicò anche una lettera indirizzata da Elia Capriolo ad Agostino Emilii (altro dedicatario degli Epigrammata del Vosonio, fratello probabilmente dell'Emilio Emilii in contatto con Erasmo da Rotterdam68). Nel 1495 dà alle stampe il suo opuscolo sulla vita di Bernardo di Chiaravalle presso la tipografia di Angelo e Giovanni Britannico, che ricordiamo essere stato familiares di Giovan Paolo Averoldi, fratello di Bartolomeo fondatore dei Vertunni. Tra le sue opere ne vengono ricordate due non pervenuteci: un'elegia sul valore dei bresciani, nell'occasione di una rivolta stroncata dal fratello podestà a Salò ed il già citato Discorso del vagare, e della certa sede dell'anime de' morti, che richiama ancora una volta nell'ambito vertunno la diatriba sull'immortalità dell'anima particolarmente accesa in quegli anni69.

Al fine di completare l'ordito di relazioni che si è analizzato, è necessario presentare qui brevemente i dati di alcuni altri umanisti non citati dal Rossi nel gruppo di appartenenti al sodalizio vertunno ma comunque ad esso molto prossimi. Si ricordi innanzitutto come Elia Capriolo70 e la sua famiglia condivisero con gli Averoldi il forte legame con la Chiesa di Santa Maria del Carmine, nella quale lo stesso Capriolo ebbe sepoltura come anche Giovan Paolo Averoldi, fratello di Bartolomeo e padre di Altobello, peraltro come detto sposato a Lucrezia Caprioli, sorella di Elia. Nell'ambito delle relazioni umanistiche si noti che, nella sua produzione minore, è conosciuta una sua Epistola ad Ioannes Taberium71 datata 2 dicembre 1496, pubblicata da Battista Spagnoli detto Mantovano72 nei suoi De patientia aurei libri III (Brixiae 1497); lo stesso Battista Mantovano è presente con l'epigramma di apertura ai Chronica del Capriolo (Baptistae Mantuani carmelitae poetae celeberrimi in Heliae Capreoli de rebus Brixianorum Chronica); ancora Battista Mantovano indirizza al Capriolo un carme in lode al Vosonio: De Stephano Vosonio Benacensi ad Eliam Capreolum er Joannem Ruatum cives Brixiensis, Carmen ex tempore73. Alla già citata Epistola ad Augustinum Aemilium (scritta sempre dal Capriolo) inserita dal vertunno Teofilo Bona nel De vita solitaria et civili (Brixiae 1496), possiamo aggiungere che fu proprio su esortazione di Agostino Emilii che il Capriolo compose l'opera per la quale maggiormente è ricordato cioè i Chronica de rebus brixianorum, ed all'Emilii lui la dedicò. E' inoltre dedicatario del De fine oratoris (Brixiae 1492) del vertunno Cristoforo Barzizza e delle Adnotationes in Alexandrum grammaticum de Villa Dei pro eruditione puerorum (Brixiae) di Pilade Boccardo. Se il Capriolo, per quanto prossimo ai vertunni, ebbe fortuna e fama proprie come storico e letterato, il Boccardo è invece a mio parere molto più integrato ed integrabile all'interno dell'accolita fondata dall'Averoldi. A partire dall'appellativo ellenistico col quale è conosciuto e col quale si firmava, cioè Pylades (il nome di nascita è Gian Francesco Boccardo), notevoli sono gli elementi a favore della nostra tesi: il suo commento a Plauto (per Britannico Brescia, 1506) è introdotto da una epistola dedicatoria dello stesso Giovanni Britannico che fu mentore di Altobello Averoldi e che ne parla in questi termini “Cum sit che dappoi la morte del q. Pilades Academico olim Professor de studj de humanità a Salò ”. L'appellativo “Academico” lascia qui ben poco spazio all'immaginazione. Fu inoltre amico del Vosonio74 e di Daniele Cereto75; fu compagno di viaggio e guida del patrizio veneziano Marin Sanudo (nipote di Marco Sanudo, entrambi dedicatari degli Epigrammata vosoniani) in alcune escursioni archeologiche ad Oderzo ed Aquileia76. Infine è stato segnalato da Bowd un foglio firmato da Pilade ed indirizzato a Marco Antonio Sabellico (affiliato di Pomponio Leto e presente con un opera nella biblioteca Averoldi, come detto) per richiedergli una copia della sua opera De vetustate aquileiensis patriae (1482-1483) a favore di Sanudo, volume nel quale si trova il primo testo a stampa firmato dal Boccardo77.

Altra figura molto prossima ai vertunni è Stefano Buzzoni, conosciuto come Vosonio, le cui relazioni culturali con una moltitudine di personalità dell'umanesimo “lombardo-veneto” sono già state citate in maniera precisa da Colonna78 nell'ambito della ricerca sulle origini culturali dell'Hypnerotomachia Polophili e da Tosetti Grandi79 in connessione alla figura di Giovanni Marcanova nell'ambito di una escursione archeologica sul Lago di Garda svoltasi tra il 23 ed il 24 settembre 1464 che vide la partecipazione di alcuni umanisti antiquari tra i quali, oltre al Marcanova, figurano gli artisti Andrea Mantegna e Samuele da Tradate, e l'epigrafista Felice Feliciano. Lo spunto comune per questi due approfondimenti arriva dal lungo elenco di dedicatari dalla raccolta di epigrammi del Vosonio: vi compaiono molti dei nomi incontrati durante la nostra ricerca che, una volta di più, testimoniano la fitta rete di relazioni che fece capo al circolo vertunno di Bartolomeo Averoldi e che la rinforzano ulteriormente. Tra i già citati Mattia Tiberino, maestro di grammatica e retorica a Brescia, che fu scelto come responsabile insieme a Giovan Pietro Averoldi, fratello di Bartolomeo, per la costruzione del Santuario civico della Vergine dei Miracoli80; Panfilo Sassi, umanista modenese residente a Brescia, il quale dedica al Vosonio un epigramma contenuto in Pamphili Saxi Epigrammatum Libri quatuor, stampato a Brescia per Angelo Britannico81: il profilo del Sassi è inoltre meritevole di approfondimento in quanto se da un lato è accostabile ai vertunni per essersi schierato contro il concetto dell'immortalità dell'anima, subendo anche un processo per eresia, dall'altro compare in uno studio ottocentesco sull'Accademia Romana di Pomponio Leto come possibile partecipante. Sempre nell'elenco dedicatorio del Vosonio troviamo Domenico Grimani, cardinale che offrì ad Altobello Averoldi la prepositura della Collegiata San Nazaro e Celso, e Mattia Ugoni, amico fraterno di Altobello Averoldi e committente nella chiesa di San Francesco di un altare recante fregi eseguiti su disegni di Mantegna, anch'esso tra i dedicatari e inoltre partecipante alla gita archeologica sul Garda; Agostino Emilii, più volte incontrato in relazione ad Elia Capriolo; con Baptista carmelita. Theologu & poeta il Vosonio si riferisce poi a Battista Spagnoli detto Mantovano, di cui sopra; Bartolomeo Partenio e Giovanni Calfurnio, umanisti riconducibili all'Accademia Romana di Pomponio Leto, e Pomponio Leto stesso; di Elia Capriolo e Pilade Boccardo si è detto poc'anzi.

Lo studio e l'analisi di questi insiemi di dati (in riferimento all'elenco dedicatorio vosoniano come agli appartenenti alla gita sul Garda, agli umanisti bresciani come a quelli riconducibili all'Accademia Romana, fino agli autori dei volumi della biblioteca ed ai veri e propri accademici vertunni secondo la memoria del Rossi) e la loro intersezione e sovrapposizione ci permette di considerare raggiunto l'obiettivo di questa ricerca, cioè di circoscrivere ad un numero relativamente limitato i profili relazionabili tra di loro e di verificare l'inerenza ed il significato stesso delle relazioni, mai casuali e sempre documentate.




NOTE

1 Chiaramonti G. B., Dissertazione istorica delle accademie bresciane detta da Gianbattista Chiaramonti, Brescia, 1762, pp.16-17.

2 Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012.

3 Ibidem

4 Passamani B., Il culto dell'antico e gli studi antiquari a Brescia tra i secoli XV e XVI, in Arte, economia, cultura e religione nella Brescia del XVI secolo, Società Editrice Vannini, Brescia, 1988, pp. 341-353; per il legame fra Aldo Manuzio e l'amico Francesco Taverio, insegnante di greco e latino a Brescia, al quale dedica l'editio princeps del repertorio De urbibus di Stefano da Bisanzio, vedi Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato (Brescia), 2009, p.56-57.

5 Buzzoni S., Epigrammata, per Battista Farfengo, 1498. Da notare che alcuni distici del Vosonio sono scolpiti in pietra lavorata sull'ingresso della chiesa di Carzago Riviera consacrata in data 1502 in onore dell'architetto Magnocavallo autore della stessa. Per approfondimenti sulle vicende edilizie di Piazza della Loggia cfr. Frati, Gianfranceschi, Robecchi, La loggia di Brescia e la sua piazza: evoluzione di un fulcro urbano nella stria di mezzo millennio, Grafo, Brescia, 1993.

6 Captum fuit nemine discrepante, quod lapides lavorati super sub terra reperti et inde estratti apud domum communi nostri, in qua sal venditur conservati debeant pro fabbricis pubblici communitatis nostrae; et quod aliquo modo donati vendi vel alienari non posino et quod pars aliqua poni non posti de donando vendendo vel alienando aliquem ex dictis lapidibus, misi prius volens ponete partem huiusmodi depositaverit ducato duo pro quolibet lapide, qui deveniant in comune, sive capta sive reprobata fuerit. [Frati V., Gianfranceschi I., Robecchi F., La loggia di Brescia e la sua piazza: evoluzione di un fulcro urbano nella stria di mezzo millennio, Grafo, Brescia, 1993, pp. 140-141].

7 Piazza F., Quattro secoli di collezionismo a Brescia, in Moretto, Savoldo, Romanino, Ceruti. Cento capolavori dalle collezioni bresciane, catalogo della mostra (Brescia 2014) a cura di D. Dotti, Milano 2014, pp.29-41.

8 Gasparo da Cairano, altra grande personalità artistica, peraltro da poco riscoperta grazie ai recenti studi di Vito Zani, è l'autore del mausoleo Martinengo a San Cristo (oggi all'interno del complesso del museo Santa Giulia) e dell'apparato ornamentale di forte impronta bramantesca del Palazzo della Loggia, nel quale sono notevoli la serie clipei con teste di imperatori ed il portale d'ingresso allo scalone adiacente la Loggia stessa, anch'esso di ispirazione classica.

9 ASC 178, Famiglie diverse, Averoldi.

10 ASBs, Archivio Averoldi, b.17, fasc. 18, Memoria sulle origini della famiglia, XVIII secolo.

11 Elogi Historici di bresciani illustri, per Bartolomeo Fontana, 1620, in Brescia, ad vocem “Altobello Averoldo Vescovo”; ciò è confermato dalla notizia di un documento riportato dal letterato Giulio Antonio Averoldi in un carteggio del 1696 col Muratori dove l'autore informa che “Averoldi ab Averoldo Longobardorum heroe originem duxere tempore Desiderio”.

12 ms. 157; ms. 158, Biblioteca della Fondazione Ugo da Como, Lonato del Garda, Brescia.

13 Fé d'Ostiani L.F., Bartolomeo Averoldi ultimo abate di Leno ed arcivescovo di Spalatro: cenni storici, Tip. Pio Istituto di S. Barnaba, Brescia, 1869.

14 ASBs, Archivio Averoldi, busta miscellanea Conti, fatture, ricevute.

15 Boselli C., Nuovi documenti sull'arte veneta del secoloXVI nell'archivio della famiglia Averoldi di Brescia, in “Arte Veneta”, A26, 1973.

16 L'iscrizione sepolcrale recita IO. PAVLO AVEROLDO Q. CHRIST.NE VIXIT / LVCRETIA CAPREOLA VXOR / ET FILII CVM LACRIMIS POS. / XIII. KL. OCT. M.D.XLII.

17 Fé d'Ostiani L. F., Altobello Averoldi vescovo di Pola e la chiesa di Ss. Nazaro e Celso in Brescia: cenni storici, Tip. Pio Istituto di S. Barnaba, 1868, Brescia.

18 Ibidem

19 Giovanni Britannico è, intorno all'ultimo ventennio del Quattrocento, insegnante di grammatica e retorica a Brescia; autore di traduzioni e commenti di autori classici, per tutto il secolo XVI il suo Persio e il suo Giovenale furono preferiti a quelli di altri noti umanisti ed insieme ai fratelli diede vita ad una azienda tipografica tra le più vivaci del periodo, integrando la traduzione dei classici nonché la produzione di opere originali e l'insegnamento con l'attività tipografica. Sui rapporti tra attività scolastica pubblica e tipografia nella Brescia umanistica, in particolare sui Britannico vedi: Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato (Brescia), 2009.

20 Fé d'Ostiani L. F., 1869.

21 Ibidem

22 Il capolavoro di Tiziano andò a sostituire sull'altare maggiore della chiesa dei Ss. Nazaro e Celso un preesistente polittico di mano del Foppa, identificabile nella Natività presente oggi nella località di Chiesanuova (Bs) e nei due pannelli raffiguranti i Santi Battista ed Apollonia della Pinacoteca Tosio Martinengo e databile al 1492 circa. La cronologia e la locazione fanno ovviamente pensare anche in questo caso ad una commissione da parte di qualche esponente della famiglia Averoldi per l'opera dell'artista bresciano che nel frattempo stava lavorando alla Cappella Averoldi nella chiesa di Santa Maria del Carmine, ma nessuna prova documentaria ci è pervenuta al riguardo.

23 Sui rapporti tra Mattia Ugoni ed Altobello Averoldi vedi anche Bowd S., Venice's most loyal city: civic identity in Reinassance Brescia, Harvard University Press, Cambridge (Massachussetts), London (England), 2010, p.110, 187; per quanto riguarda i dedicatari degli Epigrammata di Vosonio (Buzzoni S.) vedi Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129 e seg.; Tosetti Grandi, Giovanni Marcanova in San Giovanni di Verdara a Padova, in Atti delle Giornate di studio LABS, Sulle pagine, dentro la Storia, Padova, 2005; Barbara Bettoni, I beni dell'agiatezza. Sili di vita nelle famiglie bresciane dell'età moderna, Franco Angeli, Milano, 2005.

24 Scheda dell'opera: http://www.nga.gov/content/ngaweb/Collection/art-object-page.41679.html

25 Vasari G., Le vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, in Firenze, G. C. Sansoni Editore, 1906, tomo IV p.493, nota 1.

26 http://www.museibologna.it/archeologico/sfoglia/47681/offset/1552/id/1703; http://www.museibologna.it/archeologico/sfoglia/47681/offset/1552/id/1614.

27 Guerrini P., La biblioteca privata degli Averoldi di Brescia nel Cinquecento, in Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda – A.61, Brescia, 1934.

28 Fé d'Ostiani L.F., 1869; la genealogia corrisponde a ms. 157; ms. 158, della biblioteca della Fondazione Ugo da Como. La famiglia Martinengo, anch'essa di origine longobarda come quella degli Averoldi, fu probabilmente ancora più influente e numerosa: intorno al XIV secolo infatti si suddivise in vari rami cadetti, tra cui quello nominato appunto “della Pallata”, per via della residenza situata nei pressi dell'ancor visibile Torre della Pallata; raggiunse il massimo splendore nel XV secolo, uno dei rami più impostanti ebbe origine dal matrimonio tra Tisbe Martinengo ed il condottiero Bartolomeo Colleoni, capostipite della casata che maggiormente favorì da un punto di vista artistico e culturale oltre che politico, lo sviluppo in chiave rinascimentale della città di Bergamo, avvalendosi di artisti ed esecutori dal medesimo linguaggio di ascendenza bramantesca e mantegnesca presenti sul cantiere della Loggia di Brescia e producendo capolavori architettonici come la Cappella Colleoni che sintetizzando la lezione romano-fiorentina e quella veneziana danno luce ad una “terza via” del Rinascimento italiano.

29 Faino B., 1670; nessuna notizia emerge purtroppo sulla figura del francescano Francesco Piazza.

30 Su S.Bartolomeo in Contignaga: Guerrini P., Gli Umiliati a Brescia, in Miscellanea Pio Paschini, Studi di storia ecclesiastica, Vol. I, 1948, Roma; Manieri E., San Bartolomeo di Brescia. Da “doums” degli umiliati a caserma militare: sette secoli di storia del palazzo dell'arsenale, Grafo, 1990, Brescia.

31 Zaccaria F. A., Dell'antichissima badia di Leno libri tre, per Pietro Marcuzzi in Venezia, 1767, p. 47; la bolla recante testimonianza del fatto è riportata a pp. 243-245, cioè Libro II, n. LXII.

32 Fè d'Ostiani L. F., 1869.

33 ASBs, Archivio Averoldi, b. 17, fasc. 18, Memoria sulle origini della famiglia, XVIII secolo.

34 Lo Zaccaria trae questa informazione indirettamente dagli scritti del Luchi: “ciò si trae da una carta autentica presso il P. Luchi pag. 90 nella quale il Vescovo di Brescia Bartolomeo Malipiero investì in detto anno a' 7 di Ottobre Praepositum domus sancti Bartholomaei de Cemmo (?) in praesentia, consensu, & auctoritate ven. & religiosi viri domini fratris Bartholomaei de Auroldis de Brixia praepositi domus sanctae Mariae Magdalenae de Gambara nuncupatae brixiensis ordinis Humiliatorum, ac vicarii generalis dicti ordinis”; anche il Fè d'Ostiani la riporta, datata, ma senza approfondire la fonte.

35 Guerrini P., La biblioteca privata degli Averoldi di Brescia nel Cinquecento, in Archivio storico lombardo: giornale della Società storica lombarda – A.61, Brescia, 1934.

36 Già nel secolo precedente veniva sancita tramite un documento datato 9 aprile 1349 l'unione dei frati e sorelle della casa umiliata di secondo ordine detta di San Marco de Medio (in quanto situata esattamente tra le due domus di Santa Maria Maddalena e di San Luca) con i monaci della badia benedettina di Leno. La testimonianza più significativa riguarda però una convenzione stipulata tra la domus humiliata di Santa Maria Maddalena in Gambara e il monastero benedettino nel 1464, per la quale all'abate spettava il pagamento, da parte della congregazione stessa, di una pensione annua relativa a redditi della domus, da Manieri E., pp. 23 e seg., 1990; Archivio di Stato di Milano, Fondo Religione, cartella n. 3452 (che comprende 5 libri), Libro E, carta 31, in Strinati M. B., Fondazione e sviluppo in età medioevale del Cenobio umiliato di Santa Maria Maddalena di Brescia detto di Gambara (secolo XIII-XV), 1991, Brescia

37 Zaccaria F. A., Dell'antichissima badia di Leno libri tre, per Pietro Marcuzzi in Venezia, 1767, p. 48. La copia del documento della Convenzione nel 1479 stabilita tra il Cardinal Foscari e l'Abate Averoldi, dal libro XXXII si trova alle pagine 255 e seg.

38 Tagliabue M., Leno in commenda: una caso di mancata unione a Santa Giustina 1471-1479, in L'abbazia di San Benedetto di Leno: mille anni nel cuore della pianura Padana: atti della giornata di studio, Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001, Associazione per la storia della chiesa bresciana, Brescia, 2002.

39 Notizia riportata sia in Faino B., Vita delli Santi Fratelli Martiri sacrati à Dio Faustino, e Giovita primi Patroni, & Protettori di Brescia venerati in S. Faustino Maggiore: con l'inventioni, translationi, & elevationi de i loro venerandi corpi, per Giacomo Turlino, 1670, in Brescia; sia in Fé d'Ostiani L.F., 1869: ciò rende evidente la presenza di una fonte comune ai due studiosi, a noi non pervenuta.

40 ASBs, Archivio Averoldi, busta 51, nella quale è riportata una copia da uno scritto di B. Faino intitolato “Di Bartolomeo Averoldo Abbate Benedettino et Arcivescovo di Spaltro” e datato 1677, con postilla che precisa che tale scritto è stato prodotto sulla base degli scritti di Ottavio Rossi e dei Libri pubblici dela città di Brescia.

41 Tagliabue M., Leno in commenda: una caso di mancata unione a Santa Giustina 1471-1479, in L'abbazia di San Benedetto di Leno: mille anni nel cuore della pianura Padana: atti della giornata di studio, Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001, Associazione per la storia della chiesa bresciana, Brescia, 2002, p. 217, nota p.231.

42 Il convento cittadino di S.Francesco riprese la sua funzione di importante centro devozionale nella seconda metà del XVI secolo, grazie soprattutto alla figura carismatica di Francesco Sanson (1414-1499) che, anche dopo essere stato eletto ministro generale (1475), continuò a risiedere nel convento urbano di San Francesco, dove convocò il capitolo generale dell'ordine nel 1482 ed avviò importanti lavori di ampliamento e l'arricchimento artistico dell'intero complesso. Si sa di una sua commissione per l'esecuzione, purtroppo mai avvenuta, della pala dell'altare maggiore a Leonardo da Vinci.

43 Questa singolare situazione è stata esaminata in Yoni Ascher, The Two Monuments of Bishop Bartolomeo Averoldi, Deutscher Kunstverlag GmcH Munchen Berlin, 2002.

44 Sulla figura del Cardinale Rangoni vedi Guerrini P., Cardinale bresciano in Ungheria nel Quattrocento: Gabriele Rangoni, Edizioni del Moretto, Brescia, 1987.

45 ASBs, 72. Carte famiglie diverse, Fasc. 93 Oriani (alias Benadussi).

46 Roggiero F., Lanfranco da Oriano, Dizionario Biografico degli Italiani – V. 63, 2004.

47 La questione dell'immortalità dell'anima fu argomento di acceso dibattito nell'ateneo padovano; uno dei suoi protagonisti fu Girolamo Donati (Podestà a Brescia nel 1495) con la pubblicazione a Milano della versione latina del primo libro del De anima di Alessandro d'Afrodisia (Rigo P., Donà Girolamo, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 40, 1991); si ricorda la presenza del Donà o Donati tra i dedicatari degli Epigrammata del Vosonio. Di Bernardino Gadolo, altro accademico Vertunno, si ricorda un'opera purtroppo dispersa sulla natura dell'anima dal titolo Aurea Corona (Moro G., Gadolo Bernardino, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 51 (1998); secondo quanto riportato da Negri R., Bona Teofilo, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 11 (1969) Teofilo Bona fu autore di un perduto Discorso del vagare e della certa sede dell'anime de' morti. Anche per l'umanista modenese d'origine, ma adottivo bresciano, Panfilo Sasso è testimoniata l'adesione alla teoria che negava l'immortalità dell'anima: fu motivo del processo per eresia da lui subito all'inizio del Cinquecento. Da non sottovalutare la familiarità di questi personaggi con uno dei concetti principe del pensiero rinascimentale, cioè quello del viaggio iniziatico dell'anima verso la propria redenzione e rinascita, principio cardine proprio dell'Hypnerotomachia Poliphili.

48 Capriolo E., Delle historie bresciane, traduzione Spini, appresso Pietro Maria Marchetti, Brescia, 1630, p. 180.

49 Petrella G., L'officina del geografo: La descrittione di tutta Italia di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinquecento, in Biblioteca Erudita, studi e documenti di storia e filologia – 23, V&P Università, Milano, 2004, p. 243, nota 204.

50 Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, II/4, p. 2053.

51 La maggior parte delle informazioni sono tratte dall'unico studio monografico sul Barzizza finora prodotto: Bargigia G., Cristoforo Barzizza bresciano, in Profili di umanisti bresciani, a cura di Carla Maria Monti, Torre d'Ercole, Travagliato (Brescia), 2012.

52 Barzizza C., De fine oratoris pro Ciceronis et Quintiliani assertione, Brescia, Battista Farfengo, 7 settembre 1492.

53 Anche Pilade Boccardo fu legato da simile rapporto al Capriolo, gli dedicò infatti le Adnotationes in Alexandrum de Villa Dei pro eruditione puerorum (Brescia, 1492).

54 Secondo Bargigia G. (Cristoforo Barzizza bresciano, in Profili di umanisti bresciani, a cura di Carla Maria Monti, Torre d'Ercole, Travagliato, Brescia, 2012) il B. fu allievo di Calfurnio, soprannome accademico di Giovanni Perlanza dei Ruffoni (1433-1503), di umili origini, nato in realtà nella bergamasca si professò sempre bresciano e come tale viene ricordato dal Capriolo negli Elogi, pp. 187-188. Chiamato allo studium di Padova nel 1483 come lettore di retorica latina, preferito nell'incarico all'umanista bergamasco Raffaele Regio, col quale ebbe un'aspra polemica. Autore di numerosi commenti ai poeti classici, lasciò la propria biblioteca al convento di S.Giovanni di Verdara a Padova dove peraltro fu sepolto. Autore di un poemetto intitolato Simonidos sulla vicenda del Santo Simonino da Trento per il principe e vescovo di Trento Hinderbach (Cremona, L’umanesimo bresciano, in Storia di Brescia, 2: La dominazione veneta, (1426-1575), promossa e diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, Morcelliana, Brescia 1963-1964, pp. 546-551). Fu accademico romano e sodale di Pomponio Leto (De' Rossi G. B., La Roma sotterranea cristiana, Cromo-Litografia Pontificia, Roma, 1864).

55 Rossi O., Elogi Historici di bresciani illustri, per Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1620, p.194.

56 Palma M. Cereto Laura, Dizionario Biografico degli Italiani – Vol. 23 (1979).

57 Giovanni Taberio, illustre grecista, insegnò a Brescia nel biennio 1501-1502 nella scuola superiore istituita dal comune. Del suo incarico e della scuola si era compiaciuto Aldo Manuzio, che dedicò a Taberio l'edizione del De urbibus di Stafano di Bisanzio del 1502. Della sua attività di commentatore di classici rimane la revisione al commento di Lucano allestito da Ognibene da Lonigo, in difesa del quale rispose Calfurnio, già allievo di Ognibene (Brescia, I. Britannico, 1486). Curò insieme a Pilade Boccardo l'edizione di Macrobio del 1501 (Cremona, L'umanesimo bresciano, in Storia di Brescia, pp. 556-557, 561-562).

58 Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, pp. 496-98.

59 Rossi O., Elogi Historici di bresciani illustri, per Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1620, p. 190-191, ad vocem Partenio, Gadolo, Bembo.

60 Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p.133-134: Partenio è indicato come professore in Roma di “belle lettere” e ricondotto alla qualifica di filo-ellenico in relazione con l'umanista Lorenzo Valla; è anche indicato come affiliato all'Accademia Romana di Pomponio Leto col nome di “MINUTIUS”; compare inoltre nel codice Vat. Lat. 3274 come dedicatario col nome di “Parthenius Minutius Paulinus” insieme a Francesco Diedo (Podestà a Brescia), Stefano Buzzoni (detto Vosonio) e Pilade Boccardo, tutti personaggi strettamente relazionabili all'Accademia dei Vertunni.

61 Moro G., Gadolo Bernardino, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 51 (1998).

62 Ibidem; Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129-130.

63 Rossi O., Le memorie bresciane, per Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1616, p. 411; Andrea Marone, indicato dalle fonti come “Brixianus” è autore di un epigramma che introduce le Comoedie di Plauto (Venezia, S. Bevilaqua, 1499, c. Iv) in lode agli autori del commento (Giovan Pietro Valla, figlio di Giorgio, e Bernardo Saraceno. Autore di testi esortativi in volgare bresciano sulle vicende politiche del suo tempo che ne dimostrano la linea antisforzesca e filo francese, compare nel 1510 nel registro degli stipendiati dei Ippolito d'Este a Ferrara dove strinse forti legami con umanisti locali come l'Ariosto. Alla morte di Ippolito d'Este fu a Roma nella cerchia di Alessandro Farnese e divenne celebre verseggiatore estemporaneo in latino alla corte di Leone X. Le sue tracce si perdono poi nel tragico sacco di Roma nel 1527. (Calitti F., Marone Andrea, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 70, 2008); per Marone A. nell'Hypnerotomachia Poliphili vedi Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129-130.

64 Valentini A., Carlo Valguglio letterato bresciano, Brescia, 1903.

65 Cremona V., L'Umanesimo bresciano, in Storia di Brescia, 2: La dominazione veneta (1426-1575), promossa e diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, Morcelliana, Brescia, 1963-1964.

66 Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129-130.

67 Cremona V., L'Umanesimo bresciano, in Storia di Brescia, 2: La dominazione veneta (1426-1575), promossa e diretta da Giovanni Treccani degli Alfieri, Morcelliana, Brescia, 1963-1964.

68 Guerrini P., Due amici bresciani di Erasmo, in Note Storico – Letterarie / Guerrini Paolo, a cura di Fappani A., Brescia, Edizioni del Moretto, 1986.

69 Anche in Mazzuchelli G., Gli scrittori d'Italia, cioè notizie storiche, e critiche intorno alle vite, e agli scritti dei letterati italiani, presso Gianbattista Bossini, Brescia, 1753, p. 1528 la composizione del trattato sulla natura immortale dell'anima è messo in relazione all'accidente avvenuto a Carlo Valguglio riferito dal Rossi negli Elogi a pagina 211 e seguenti nella biografia del Valguglio.

70 Giansante M., Capriolo Elia, Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 19 (1979).

71 Si ricordi il legame tra Giovanni Taberio e Teofilo Bona; il Taberio è anche dedicatario del De urbibus di Stefano da Bisanzio curato da Aldo Manuzio nel 1502 (Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato, 2009.

72 Battista Spagnoli, detto Mantovano: fu monaco carmelitano, fatto che probabilmente favorì la sua amicizia col Capriolo; fu erudito e compositore di versi di ispirazione ellenistica: in particolare lo resero famoso le sue Egloghe, componimenti bucolici di matrice virgiliana e petrarchesca. La sua vita si snoda tra Mantova, Ferrara, Bologna e Roma per poi fare ritorno a Mantova dagli anni '90 del Quattrocento fino alla morte, nel 1516. Fu Vicario Generale del suo ordine. Allo zelo religioso unì la passione per gli studia humanitas stingendo amicizia con umanisti di primissimo piano come Giovanni Pontano, Pico della Mirandola e con artisti quali Andrea Mantegna (https://it.wikipedia.org/wiki/Battista_Spagnoli); si evince l'informazione della sua presenza nel Santuario del Carmine di San Felice del Benaco da http://santuariodelcarmine-sanfelice.it/2016/08/29/esposizione-del-beato-battista-spagnoli/ , in occasione dell'esposizione del suo corpo nel santuario benacense proprio in questi mesi in occasione del cinquecentenario della sua morte. Da segnalare l'assenza di studi monografici approfonditi sulla sua figura.

73 Brunati G., Dizionarietto degli uomini illustri della riviera di Salò considerata qual era sotto la Rep. Veneta ciè formata dalle sei quadre o distretti antichi di Gargnano, Maderno, Salò, Montagna, Valtenese e Campagna, Tip. Pogliani, Milano, 1837, p. 147-148.

74 Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 129

75 Rossi O., Le memorie bresciane, per Bartolomeo Fontana, in Brescia, 1616, pp. 194-195: il Rossi riporta un suo epigramma (mai stampato) che dice essere quello di apertura al panegirico De foro, et laudibus Brixiae, stampato nel 1778.

76 Signaroli S., Maestri e tipografi a Brescia (1471 – 1519): l'impresa editoriale dei Britannici fra istituzioni civili e cultura umanistica nell'occidente della Serenissima, Torre d'Ercole, Travagliato (Brescia), 2009, p. 64 e seg.

77 Bowd S., Venice's most loyal city: civic identity in Renaissance Brescia, Harvard University Press, Cambridge (Massachussetts), London (England), 2010, p. 89.

78 Colonna S., Hypnerotomachia Poliphili e Roma. Metodologie euristiche per lo studio del Rinascimento, Gangemi Editore, Roma, 2012, p. 128 e seguenti.

79 Tosetti Grandi, Giovanni Marcanova in San Giovanni di Verdara a Padova, in Atti delle Giornate di studio LABS, Sulle pagine, dentro la Storia, Padova, 2005.

80 Ceriana M., Il santuario civico della Beata Vergine dei Miracoli a Brescia, in Annali di architettura, rivista del Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio, 2002.

81 Brunati G., Dizionarietto degli uomini illustri della riviera di Salò considerata qual era sotto la Rep. Veneta cioè formata dalle sei quadre o distretti antichi di Gargnano, Maderno, Salò, Montagna, Valtenese e Campagna, Tip. Pogliani, Milano, 1837, p. 147-148.



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Franco TAGLIABUE, Leno in commenda: una caso di mancata unione a Santa Giustina 1471-1479, in L'abbazia di San Benedetto di Leno: mille anni nel cuore della pianura Padana: atti della giornata di studio, Leno, Villa Seccamani, 26 maggio 2001, Brescia, Associazione per la storia della chiesa bresciana, 2002.

TOSETTI GRANDI 2005

Paola TOSETTI GRANDI, Giovanni Marcanova in San Giovanni di Verdara a Padova, in Atti delle Giornate di studio LABS, Sulle pagine, dentro la Storia, Padova, 2005.

VALENTINI 1903

Andrea VALENTINI, Carlo Valguglio letterato bresciano, Brescia, 1903.

VASARI 1906 (1550)

Giorgio VASARI, Le vite de' più eccellenti pittori scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, in Firenze, G. C. Sansoni Editore, 1906, tomo IV.

ZACCARIA 1767

Francesco Antonio ZACCARIA, Dell'antichissima badia di Leno libri tre, in Venezia, per Pietro Marcuzzi, 1767.

ZANI 2010

Vito ZANI, Gasparo Cairano e la scultura monumentale del Rinascimento a Brescia (1489-1517 ca.), Roccafranca (Brescia), Compagnia della Stampa Masetti Rodella, 2010.





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