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La scultura digitale
 

Guglielmo Maria Gioele Chiavistelli in arte Gioele Stella
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 22 Luglio 2017, n. 843
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Arte, mente, cuore

Da sempre l’uomo è stato oggetto di una tensione che lo porta a desiderare ciò che gli pare irraggiungibile, a superare se stesso ed i suoi limiti fisici.

La tecnica si è evoluta nei secoli, nel bene e nel male, portando l’umanità alla creazione del mondo che oggi conosciamo, il mondo del progresso e dell’industria.

Le tecnologie esprimono al meglio la continua tensione verso il superamento dell’umano, del possibile, ma possono comportare anche il suo annullamento, il regresso verso una fase di non-pensiero.

Senza una connessione internet sempre a portata di mano, oggi l’essere umano si sente tagliato fuori dal mondo [1] . Senza dubbio il lato positivo è riscontrabile nelle nuove grandi possibilità di comunicazione: nel giro di pochi attimi si entra in contatto con chiunque, in ogni angolo della terra. I pro e i contro della tecnica; nella storia è sempre stato così.

Arte intesa come espressione del sentimento umano, sogno e tensione per oltrepassare i propri limiti. Arte è Amore, pura energia vitale.

Senza lo sviluppo della tecnica, l’arte sarebbe ricordata come un qualcosa di profondamente bello, ma altrettanto profondamente cristallizzato nel passato.

Non si può pensare che, con l’industrializzazione e conseguentemente con la massificazione, ci sia stata davvero una morte dell’arte [2] , semplicemente perché l’arte non può e non potrà mai morire.

Sarebbe come sostenere l’inesistenza della scintilla della creatività, del sentimento in generale e dell’amore, inteso come energia vitale che «move il sole e l’altre stelle» [3] .

Negare l’arte significherebbe negare la vita stessa.

Certo, l’arte si è evoluta, l’ha fatto per non restare indietro e, come sempre, l’ha fatto con una sua memoria. Le nuove forme d’arte della contemporaneità sono figlie della tradizione.

Oggi forme artistiche sono riscontrabili anche in alcuni prodotti dell’industria e dei mercati, ma, riflettendo attentamente, ci si rende conto che ciò è sempre avvenuto. Basti pensare alle forme di mecenatismo riscontrabili nella Storia dell’Arte e in quella più comune: il ritratto.

Ma l’arte, allora come ora, è stata in grado di superarsi.

Nel 1650 papa Innocenzo X commissionò un suo ritratto a Diego Velázquez. Una volta che quest’ultimo ebbe finito di dipingere, Antonio Palomino racconta che al vedersi Innocenzo X esclamò: «È troppo vero!» [4] . L’artista aveva colto, grazie ad una tecnica pittorica sopraffina, la fisionomia del papa, l’intensità e la verità dello suo sguardo.

Si tratta di un esempio che ci fa comprendere non soltanto che l’arte può essere al servizio di un committente, ma, e forse soprattutto, che un artista può mantenere un certo grado di libertà ed autonomia anche se si trova a dover liberare il suo ingegno all’interno di cliché o traiettorie precostituite, dovendo sottostare ad alcune regole.

In un contesto produttivo come quello degli Studios della Pixar, gli artisti devono attenersi a delle regole, ma ciò non preclude loro la libertà di esprimersi con disegni, storyboard e software che permettono la modellazione e la scultura digitale oltre all’animazione dei personaggi.

Il riscontro di un operato artistico, mediato dalle nuove possibilità offerte dalle tecnologie digitali è attualmente riscontrabile in molteplici ambiti e genera continuamente nuove modalità espressive che possono arrivare anche a creare grandi suggestioni e dimostrano che arte e tecnica possono convivere; se non altro perché l’artista si serve sempre di uno strumento tecnico per il suo fare artistico che esprime il suo sentire artistico.

Il medium non è che il mezzo, ovvero il canale mediante il quale si attiva il processo comunicativo dell’opera stessa. Con il progresso i media si aggiornano continuamente, vengono inglobati l’uno nell’altro [5] .

Negli ultimi venti anni, il digitale ha profondamente cambiato l’arte, le modalità di creare le opere e la fruizione delle stesse. Si è aperto un mondo di nuove possibilità che hanno permesso agli artisti di sperimentare e di spingersi sempre più al di là dei limiti; non soltanto intesi come appartenenti all’umano, ma anche al reale, oltre le frontiere della Realtà Virtuale.

Milioni di schermi invadono la nostra quotidianità. Siamo una civiltà occidentale che crea e divora continuamente immagini.

Il fare esperienza dell’immagine è parte integrante della nostra vita al punto che, talvolta, facciamo fatica a trovare il messaggio profondo che si potrebbe celare dietro ai pixel.

Già il Dadaismo e la Pop Art avevano riflettuto sul concetto di serialità dell’immagine, ironizzando sulla possibilità che anche un oggetto “mainstream”, di uso comune, potesse essere considerato opera d’arte. Artisti come Andy Warhol e Roy Lichtenstein, hanno profondamente analizzato la civiltà della massificazione e i suoi miti [6] .

Grazie ad una sorta di retína tipografica ingrandita, utilizzata per opere quali Il Tempio di Apollo, Lichtenstein, nel 1964, ha ingigantito la matrice di puntini che generano il colore nei fumetti e nelle cartoline [7] . L’intento era quello di far riflettere l’osservatore sulle centinaia di immagini alle quali costantemente veniva sottoposto, una sorta di indagine da parte dell’artista sulla natura profonda di quelle immagini, quasi biologica, se vogliamo intendere ognuno di quei puntini come parte del DNA delle icone.

Oggi la cellula dell’immagine è il pixel, elemento puntiforme che compone, con migliaia di altri, la rappresentazione di un’immagine digitale. Sono punti sempre più indistinguibili per l’occhio umano, grazie alle risoluzioni altissime degli schermi in alta definizione, in Full e Ultra HD, 4K e, ultimamente, anche in 8K (7.680 pixel orizzontali x 4.320 pixel verticali di risoluzione) [8] .

L’arte contribuisce ad accrescere la sensibilità dell’uomo e lo rende migliore. Ritengo che nella vita di un uomo il sentimento artistico sia determinante affinché egli possa dirsi completo ed elevarsi.

L’uomo necessita di nuovi stimoli e di nuove tensioni e nel mondo in cui vive, nella società di questo tempo, talvolta è indotto a trascurare questo bisogno primario.

Il progresso tecnologico ha condotto l’umanità verso un crescente appiattimento dei valori.

Spesso sentiamo il bisogno di etichettare ogni singola situazione, di ricondurre tutto a fredde classificazioni. Si tende a standardizzare ogni cosa: il lavoro, la vita, con i suoi orari e la sua routine, persino i sentimenti, a volte; credo che la nostra società abbia ancora più bisogno dell’arte di quanto non si possa immaginare.

Se è vero, però, come credo, che l’arte è anche sogno, mi piace interrogarmi sulle tecnologie che oggi fanno parte della vita dell’uomo. Possiamo davvero servircene intelligentemente, con il cuore, permeati da quel sogno?

 

Sculture digitali di Guglielmo Maria Gioele Chiavistelli (in arte Gioele Stella)

 

La suddivisione di un’opera scultorea digitale, scolpita mediante il computer, avviene in relazione alla quantità di RAM [9] installata sullo stesso; quindi non vi è mai un numero fisso.

Anche il conteggio dei poligoni [10] – la modellazione digitale è sempre ridotta ad un aspetto poligonale – sarà un parametro che potrà influenzare la densità della suddivisione.

Si partirà da un basso livello per arrivare a scolpire opere che produrranno ottimi risultati, anche con un esiguo numero di poligoni.

 

Interviste a cura di Guglielmo Maria Gioele Chiavistelli

Lo scultore-architetto Viviana Ravaioli è un’artista dotata di grande sensibilità, ricca di emozioni, che lei stessa definisce “epifanie”, illuminazioni che generano opere originali e rendono le sue Sculture “scintille di anima”.

Miriam Bonetti, giovane artista digitale è specializzata in modellazione e texturing [11] .

Viviana non si limita ad esprimere la propria arte e a soffermarsi sul suo rapporto con la tecnica, o i diversi medium che utilizza per veicolare il suo messaggio, ma spiega il suo connubio con l’arte in generale e racconta del suo personale percorso di arte e vita, in cui la prima ispira la seconda e viceversa.

Miriam parte dalla concezione che sia la scultura classica tradizionale a guidare tutto il suo lavoro. Seppur giovanissima, infatti, sono già dieci anni che si dedica a questo lavoro, ricorrendo all’ispirazione dal calco in creta. Le sue più recenti collaborazioni sono state con Rainbow CGI e Ubisoft. Con l’apporto di programmi specifici, quali Pixologic ZBrush, riesce ad ottenere forme che scaturiscono in opere singolari, molto apprezzabili, per originalità e ricerca quasi accademica. Ritenendosi in crescita continua, Miriam affronta il suo lavoro con estrema umiltà e dedizione. Trasmette quella sensibilità e quel senso della percezione che consentono, ad ogni grafico 3D, di perfezionare al meglio la propria tecnica, essendo sempre alla ricerca di nuovi stimoli, applicazioni sempre più avanzate, ma con un occhio sempre rivolto alla tradizione e all’arte classica.

 

 

Viviana Ravaioli, Scultore-Architetto

 

Viviana Ravaioli, foto di Damiano Liotti

 

«La scultura di Viviana Ravaioli è la concretizzazione in termini essenziali di una dinamica energetica sostanziale e coinvolgente, approdo principale di una creatività ad ampio raggio che, oltre la ricerca plastica si estende potenzialmente e di fatto verso vari livelli creativi riguardanti altrettanti campi di realizzazione che vanno dall’approfondimento teorico alle problematiche sociali, la storia, il linguaggio sonoro e musicale, le culture “altre”, la fotografia, la grafica, l’urbanistica, la scenografia, la progettazione di nuovi spazi abitabili, l’umano in genere, che ne fanno un artista poliedrica e vitalissima. Il suo lavoro scultoreo si inserisce in quella linea che dal barocco passando attraverso le avanguardie costruttiviste, continua nelle proposte ambientali degli anni ‘60, nella strutturazione di un pensiero dove convivono fisicità e concettualità, intuizione e sintesi mentale, che sottintende l’idea di opera d’arte totale dove i generi si integrano, fondendosi e creando ipotesi complesse e di trasparenza processuale.

 

[…] La scultura insinuandosi nell’ambiente vi penetra quasi obliquamente, determinando una serie di rapporti con linee curve e taglienti, costruzioni paraboliche e parafrasi estroverse, potenziali solidi volanti ed imprevedibili, o strutture architettoniche un domani abitabili in una voluta ambiguità tra reale e virtuale, in una cercata analogia tra fenomeni strutturali e ricerca scientifica. Questa tensione fa sì che l’oggetto si trasferisca, a volte, nella propria ombra, come esito di una dimensione generativa dove la dinamica plastica e le fughe ellittiche sconvolgono le certezze della razionalità geometrica che significa, introdurre nella realtà un principio in cui convergono possibile ed impossibile, immagine concreta e potenziale aderendo più che ad una nozione, ad una immaginazione dello spazio. A un’idea di arte, con cui si misura quotidianamente Viviana Ravaioli, dove convivono l’eccezionalità della missione e la normalità della funzione, che armata di slancio ideale e di speranza getti luce su una nuova possibilità, dell’arte come della vita, pensate in quanto fenomeni in costante trasformazione, che si nutrono e si determinano a vicenda.»

 

Patrizia Ferri, storica, critica d’arte, curatrice e giornalista [12]

 

D: Le tue opere sono considerate opere di scultura-architettura. Spiegaci perché.

 

R: La prima grande differenza che bisogna fare è quella tra scultura inserita nell’ambiente, inteso come habitat del contesto urbano, e scultura-architettura, abitata e vissuta.

Quindi, per quanto mi riguarda, si tratta di creare, in primo luogo, sculture vere e proprie, che però, al loro interno, abbiano già la progettualità architettonica, senza che queste subiscano mutazioni dal punto di vista formale, sostanziale.

Certo, nel loro passaggio da scultura ad architettura realizzata, devono subire ovviamente ingrandimenti in scala ed adeguamenti tecnico-strutturali, per l’uso reale che poi dovrebbero avere, ma la loro forma estetica, che è quella che mi interessa da scultore, in quanto artista puro, rimane totalmente inalterata.

Non si può parlare, quindi, di una scultura-architettura che rimane pura utopia nel suo farsi.

All’inizio si tratta soltanto di utopia mentale, a livello di sfida verso la creatività e verso il contesto estremamente interessante, pieno di dinamiche e di coinvolgimenti, che è la città.

La città contemporanea è da me intesa anche come città idealizzata; nella mia visione contano, in sostanza, tre aspetti della città e tre aspetti del paesaggio: il land-scape (paesaggio a livello naturale e interazione della scultura con esso), il last-scape (l’ultimo paesaggio, la morte) e l’utopian-scape (paesaggio utopico, la città di Dio). In sostanza: la città dei vivi, la città dei morti e la città di Dio.

Inserisco anche, sentendo la necessità di stare al passo coi tempi, determinate istanze dell’architettura contemporanea. Ad esempio, quando c’è stata la forte tendenza al ricorso delle trasparenze, che aveva dato vita ai cosiddetti fish apartements – gli appartamenti-acquario, trasparenti, che pongono l’osservatore in una posizione voyeuristica, facendo di chi si muove al loro interno l’oggetto della visione da parte di chi guarda dall’esterno – ho ribaltato la prospettiva nell’opera Sasso del XXI secolo, sostituendo all’atteggiamento voyeuristico del vedere-osservare, il concetto del guardare-osservare.

 

Viviana Ravaioli, Sasso del XXI secolo (Omaggio a Matera), scultura, tufo materano, plexiglass e rame, 2006-2007

 

Per cui, questa cellula abitativa, a forma di occhio, osserva la gravina materana, non nasce per essere guardata, ma essa stessa “osserva” all’interno e dall’interno del bulbo oculare.

In quel caso mi sono impossessata di un’istanza dell’architettura contemporanea e l’ho fatta confluire in istanza scultorea, con una concezione completamente diversa.

L’indagine del paesaggio cimiteriale (il last-scape) è uno degli argomenti che sta stuzzicando l’architettura contemporanea, in quanto argomento tabù. Per secoli, il paesaggio cimiteriale è rimasto immutato, soprattutto per questioni religiose. Nel tempo sono stati avviati alcuni tentativi ed attualmente, per una visione più laica, si è aperto questo nuovo fronte della ricerca per l’architettura pura. Impossessandomi dell’argomento, ho fatto del last-scape una scultura-architettura.

Al passo con i tempi, interagendo con l’architettura militante, sono intervenuta con l’ottica dello scultore, aprendo una sfida.

L’architettura contemporanea vorrebbe generare architetture a immagine e somiglianza della scultura, ma non potrà mai riuscirci, perché non può prescindere dalla funzione.

Io posso prescindere da essa, in quanto non è il mio primo, né ultimo fine.

Il mio obiettivo non è quello di realizzare sculture in cui la funzione sia l’unico fine, per me è un quid in più; se esse possono avere anche un utilizzo, allora ho vinto la mia sfida. Essendo un’artista, ho soprattutto interesse per l’utopia, cioè il gesto di sfida iniziale.

Nella progettazione di un’opera architettonica, il mio obiettivo è dimostrare che il percorso da scultura ad architettura è percorribile, mentre quello da architettura a scultura no, perché si traduce in architettura estetizzante. Privilegiando l’architettura, e con essa la pura immagine, si tende a trascurare la forma; ne deriva un’architettura lontana da ogni utilizzo e quindi lontana dall’uomo, che ne è comunque il referente e che ha reso possibile la sua realizzazione.

Essa rappresenta il mezzo, lo strumento, il fine dell’uomo stesso.

L’uomo se ne serve per vivere, operare, relazionarsi, dormire, proteggersi dagli agenti atmosferici… L’arte e la scultura non hanno bisogno di essere abitate, o di convivere con l’uomo, ma possono esistere e sopravvivere anche senza di esso.

Posso sicuramente asserire questo: io sono soltanto il medium, cioè il tramite di quella scintilla iniziale che diviene materia ed elemento stesso della natura, di un paesaggio, interagente coralmente con esso. Oggi l’istanza architettonica del voler fare tutto in maniera “scultorea” può creare derive.

 

Viviana Ravaioli, Ponte, scultura, ferro e plexiglass, 2002, elaborazione architettonica Arch. Gernando Marasco

 

D: Qual è il tuo rapporto con la scultura-architettura tradizionale e più in generale con la tecnica?

 

R: Già all’origine scultura e architettura sono nate insieme. Talvolta come piglio mentale, intellettuale, oppure in forma di apparato decorativo della scultura come arricchimento dell’architettura. Basta ricordare quello che avveniva nella cultura greca e nella cultura romana.

Ci sono molti artisti che si occupano della città nell’era contemporanea: fotografi, pittori, scultori che realizzano, nello specifico, sculture ambientali, monumentali, nate per essere inserite in un contesto urbano. È una pratica piuttosto diffusa per gli scultori, non solo contemporanei, ma anche del passato, che hanno da sempre realizzato le loro opere perché fossero collocate nel contesto cittadino, nell’ambiente esterno e non in un ambiente chiuso.

Realizzare sculture che abbiano al loro interno la scintilla architettonica è meno comune.

In un certo modo si tratta quindi di una pratica contemporanea, o figlia delle Avanguardie Artistiche, ma è una strada intrapresa da pochi, una visione di nicchia, molto particolare.

Credo che sia per questo motivo che i critici ritengono che la mia attività sia piuttosto innovativa.

La scultura è sempre stata vista come un’espressione artistica molto tradizionale, in quanto strettamente legata alla tecnica ed alla materia, ma essa, è molto di più.

Se non fosse così, si correrebbe il rischio di vederla declassata a mera espressione creativa artigianale.

L’aspetto artigianale è riscontrabile nel senso di arte applicata, arte del fare volumi tridimensionali, ma poi esiste la parte veramente creativa, artistica, vale a dire la scultura pura, che ha, ovviamente, delle potenzialità enormi, a mio avviso ancora poco esplorate.

 

D: Ultimamente hai deciso di orientarti verso una commistione, aprendoti alla tecnologia digitale e alla grafica tridimensionale computerizzata. Negli anni ‘70 gli artisti della Videoarte hanno esplorato i territori del video, le potenzialità di un medium nuovo, che vollero “liberare” da un contesto “mainstream” come quello televisivo, per conferirgli un’elezione artistica ed esplorare percorsi del tutto nuovi, inusuali e variegati [13] . Credi che lo stesso potrebbe accadere anche per il medium digitale? Qual è il motivo di questo tuo avvicinamento a questo medium?

 

R: Ho riflettuto molto sulla questione. Ho potuto fare il punto della situazione e mi sono trovata a considerare che, in effetti, non mi sto avvicinando soltanto ora alle tecnologie.

Diciamo che, in questo momento, sto percorrendo lo sviluppo al quale le tecnologie sono arrivate, ma sono circa vent’anni che, in un certo qual modo, lavoro al passo con esse.

Seguo l’innovazione, anzi la anticipo, perché, scalpito; so che avrei bisogno di determinate cose, che a volte ancora non esistono sul mercato, ma sono paziente e so anche che, prima o poi, saranno a mia disposizione.

Questo per dire che seguo il progredire della tecnica e della tecnologia, rimanendo, però, uno scultore. Non sono una videoartista e neanche uno scultore digitale.

Sono uno scultore che indaga su ciò che accade intorno, nella società, per rimanere scultore, mantenendo una concezione di arte totale, nietzschiana, wagneriana, ampia.

Alla base c’è sempre la scultura, tridimensionale, la quale si può amplificare, ricorrendo a vari media, anche a quello digitale.

Credo che ci siano ancora molte potenzialità per la scultura nella nostra epoca e tanti sentieri tutt’ora inesplorati. I nuovi media possono senz’altro giocare un ruolo importante in questo senso.

 

D: Un artista che opera con mezzi digitali approccia alla scultura mediante un software: crea la scultura digitale e si muove continuamente attorno ad essa, in uno spazio virtuale, per poi darle una consistenza, una materialità, anche se simulata.

Quali potenzialità vedi nel medium digitale?

R: Credo che un artista debba essere al passo con il proprio tempo e se è intenzionato a svolgere un ruolo attivo all’interno della società e a non esserne tagliato fuori, debba anche sentire e ascoltare le richieste della società e a coglierne gli aspetti positivi.

A volte si cade nella moda, oppure, al contrario, si guarda con un certo snobismo a determinate novità, credendo che sia opportuno restarne completamente al di fuori. Io penso che l’equilibrio si trovi, come sempre, nel giusto mezzo. Il creativo deve prestare attenzione al contemporaneo, all’hic et nunc, a quelle che sono le istanze, le necessità, le produzioni e capire come potersene impossessare e come potersi servire del medium, affinché quest’ultimo possa potenziare il suo operato.

 

D: La tua arte può essere considerata universale e multi-mediale, in quanto ti servi delle tecniche e dei linguaggi più differenti: utilizzo della musica in sottofondo, poesie, recitazione di brani, clip audiovisive realizzate in computer grafica che accompagnano le tue opere. Questa apertura che ultimamente ti sta portando ad esplorare territori di ambienti virtuali, tridimensionali, creati interamente al computer, come si relaziona con la realtà, con l’uomo e con la natura circostante?

 

R: Parto sempre da un discorso mentale: “vero” e “verosimile”.

Il verosimile può essere, talvolta, anche più vero del vero. Vent’anni fa, già facevo questo tipo di discorso, servendomi delle prime strumentazioni tecnologiche, per calare sculture che esistevano concretamente e che quindi avevano la loro realtà, all’interno di altre realtà. Mi sono servita anche di tavole trattate in un certo modo e il risultato finale si concretizzava in opere che apparivano come se fossero realmente presenti all’interno di quel determinato contesto.

Si trattava, dunque, di due realtà vere; la loro fusione era verosimile. In questa fusione che veniva fatta, mediante gli strumenti che esistevano all’epoca, il verosimile sembrava vero; a volte, addirittura, più vero del vero. Quindi si tratta, a mio avviso, di un concetto, per così dire, mentale. Nel momento in cui produco un verosimile, più vero del vero, per me, in qualità di artista, già esiste di per sé.

 

 

Miriam Bonetti, 3D Artist

 

Miriam Bonetti

 

«Miriam Bonetti, Modeling e Texture Artist. La sua passione per il computer è nata già da bambina, grazie a suo padre che gliel’ha trasmessa. A otto anni già sapeva come funzionava il DOS mentre, giocando con i Lego, sognava di dar vita ai mondi nella sua fantasia.

 

Ha scoperto il 3D a diciassette anni, guardando per caso il making of di un videogioco. Ha iniziato a studiare da autodidatta, prima nei pomeriggi dopo la scuola, e poi durante e dopo il lavoro per quattro anni, periodo nel quale ha indirizzato la sua passione verso la modellazione e il texturing di personaggi fotorealistici. È infine approdata in Rainbow dove si occupa principalmente di texturing, ma all’occorrenza anche di lighting e modellazione.»

 

Redazione Romics, Fiera di Roma 2014 [14]

 

D: Quando hai capito che saresti diventata un’artista 3D e che un giorno sarebbe stato questo il tuo lavoro? Qual è stato il tuo percorso formativo?

 

R: Ho sempre amato i videogame, fin da molto piccola, ma non ho mai pensato che creare un videogame potesse essere un lavoro. Cioè, non immaginavo neppure lontanamente che cosa ci fosse dietro. Un giorno, in quarta superiore, ho visto, quasi per caso, il making of del noto gioco Riven [15] e ne sono rimasta completamente affascinata, folgorata direi.

Decisi in quel preciso istante che avrei lavorato in questo settore. Ho cominciato quindi a studiare, da autodidatta, il software Lightwave 3D, mentre completavo gli studi di Grafica Pubblicitaria.

Dopo averlo utilizzato per circa due anni, ho capito che, se volevo realmente inserirmi nel settore dei videogiochi o del cinema 3D, avrei dovuto apprendere un software maggiormente diffuso.

Ho scelto così Autodesk Maya, ricominciando da capo i miei studi da autodidatta e consolidandoli, successivamente, con l’aiuto di un corso intensivo al Darkside di Verona.

 

D: Come lavora uno scultore 3D?

Qual è per te il rapporto tra scultura tradizionale e scultura digitale?

R: Credo che il concetto alla base della scultura 3D sia molto vicino a quello della scultura tradizionale. Comincio a scolpire sempre da una banalissima sfera (che potrebbe essere l’equivalente di una tradizionale pallina di creta) e poi, grazie ai tanti strumenti (tools) differenti messi a disposizione da software molto avanzati che offrono una capacità di calcolo elevatissima, come ad esempio ZBrush, proseguo nella modellazione.

Si può ottenere praticamente qualsiasi risultato ormai. Uno scultore classico può tranquillamente passare al digitale, dopo aver preso confidenza con gli strumenti, e, viceversa, non è raro che molti artisti 3D, che non hanno una formazione artistico-accademica, comincino ad esplorare, per perfezionarsi, la scultura tradizionale.

A mio avviso, la differenza non è tanto nello strumento usato, ma nella sensibilità che ogni artista ha nel percepire e riprodurre le forme, le curve e le linee di forza. Avere un buon background di studi artistici tradizionali può aiutare molto ad affinare questa percezione.

 

Miriam Bonetti, Salvador Dalì, scultura digitale in 3D (liberamente tratta dalla foto originale di Philippe Halsman)

 

D: Parliamo della tua scultura digitale Salvador Dalì, un’opera che ha ricevuto, tra gli altri, un riconoscimento importante, figurando nel 2014 al 26⩝ posto in uno dei portali più importanti in rete dedicati al 3D, 3Dtotal.com, tra i cinquanta migliori render [16] di personaggi celebri.

L’idea di realizzare quest’opera nasce da una foto, giusto? Reputo interessante approfondire questo rapporto tra tridimensionalità e bidimensionalità, 3D e 2D.

Spesso si parte da un concept, un disegno bidimensionale per arrivare alla tridimensionalità, i cosiddetti blueprint.

Qual è la tua riflessione in merito e cosa pensi che aggiunga, se si può dire in questi termini, un’immagine in tre dimensioni, rispetto ad una bidimensionale?

 

R: Credo che la risposta a questa domanda vari molto da persona a persona; ti rispondo esclusivamente da un punto di vista personale. Trovo assolutamente affascinante l’idea di prendere qualcosa di piatto, bidimensionale, immobile e renderlo in qualche modo “vivo”, quasi palpabile. Ancor più strepitoso è il fatto che ciò sia possibile servendosi di un mezzo assolutamente virtuale.

Un quadro o una fotografia possono essere osservati e contemplati, ma un “quadro 3D”, secondo me, possiede qualcosa in più, che va ben oltre il virtuosismo tecnico.

Può essere animato, reso quasi vivente; si può, in un certo senso, avere la forte sensazione che sia realmente presente, che lo si possa toccare con mano.

Per me questo aspetto rappresenta il punto più alto della sfida: servirsi di un mezzo virtuale per catturare l’essenza di qualcosa di reale... È magia!

 

D: In questa scultura digitale sei riuscita a rendere in modo stupefacente l’intensità dello sguardo dell’eclettico artista. James Cameron, regista di Avatar, ha dichiarato di aver dedicato molto tempo per riprodurre digitalmente al meglio lo sguardo dei suoi personaggi nel film, riservando agli occhi degli attori in carne ed ossa ed ai loro impercettibili movimenti apposite macchine da presa, dedicate unicamente a coglierne le minime sfumature per riportarle fedelmente sui loro alter ego digitali [17] . Spesso si vedono opere molto curate tecnicamente, ma che non riescono ad avere una resa visiva adeguata per lo sguardo del personaggio.

In quest’opera digitale tu sei riuscita a catturare magistralmente questo aspetto.

Come hai realizzato dal punto di vista tecnico Dalì? Di quali materiali ti sei servita?

 

R: Dalì è un render creato con ZBrush (che non ha nessun punto di forza attualmente per quanto riguarda il rendering in particolare, essendo un software dedicato soprattutto alla scultura).

L’aspetto su cui mi sono concentrata, per cercare di catturare il suo sguardo, più che l’utilizzo di uno strumento o di un altro, è stato osservare tantissimo il vero Dalì.

Ho scaricato da internet molte fotografie dell’artista ed ho impiegato molto tempo a rifinire, in fase di scultura, l’area dei suoi occhi e le linee di costruzione del viso. Si trattava di modifiche quasi impercettibili, millimetriche.

La dilatazione delle palpebre, la grandezza delle pupille, sono particolari molto importanti, un millimetro di troppo può cambiare radicalmente lo sguardo. Quando mi sono ritenuta (quasi) soddisfatta, ho renderizzato e, successivamente, in Photoshop, ho leggermente rinforzato le aree di chiaro/scuro, per conferire all’immagine una maggior profondità.

 

D: In questa scultura digitale, si può notare una cura importante dei dettagli: la porosità della pelle, le rughe attorno agli occhi, le pieghe del collo. Come hai realizzato questi particolari? Puoi spiegarci i vari passaggi, necessari per arrivare a questo tipo di resa? Come hai raggiunto questo risultato di specularità della pelle, molto realistico e suggestivo?

 

R: I pori della pelle e le rughe sono stati ottenuti utilizzando dei pennelli alpha [18] . Anche qui la chiave di volta è l’osservazione. Ho preso la fotografia originale alla massima risoluzione possibile ed ho osservato come variava la porosità della pelle, a seconda della zona del viso.

Un esempio per tutti: i pori grossi e tondi si trovano sul naso, sul mento, ma non sulla fronte.

Ho lavorato su diversi livelli, isolando i vari tipi di porosità. Pori piccoli, grandi, allungati e così via, cercando di individuare in quali parti del viso fossero concentrati (ho osservato anche fotografie di altri soggetti). La pelle, generalmente, non è perfettamente liscia, specialmente quella di una persona di una certa età; ci sono piccole imperfezioni, lievi sporgenze e avvallamenti, tutti particolari riproducibili utilizzando i vari pennelli che mette a disposizione ZBrush.

Ho ottenuto la specularità renderizzando due versioni del viso con uno shader [19] completamente nero e con due valori di specular diversi (uno stretto ed uno più diffuso).

In Photoshop li ho quindi stratificati, andando a miscelarli, a seconda della zona del viso.

 

D: Nel ritratto di Dalì l’illuminazione è particolare. Colpiscono molto le ombre soffuse che si integrano alla perfezione con la scelta vintage del bianco e nero. In che modo le hai ottenute?

 

R: Mi sono servita di un paio di luci, cercando di posizionarle in modo da avere l’ombra principale come quella nella foto originale. Una volta fatto il render, ho corretto manualmente in Photoshop alcune aree che non erano scure come avrebbero dovuto essere.

 

L’Angelo Caduto, dalla tradizione al digitale. La realizzazione in 3D di Miriam Bonetti, liberamente tratta dalla scultura originale di Ricardo Bellver

 

D: Parliamo di un’altra scultura digitale che hai realizzato: l’Angelo Caduto. A che modelli classici ti sei ispirata per la sua realizzazione? Sembra che dietro ci sia uno studio anatomico non indifferente. La posa plastica classicheggiante della figura è molto curata, così come il dettaglio che hai dato alla muscolatura e alle ali.

 

R: L’Angelo Caduto è stato un esercizio di scultura anatomica nel quale ho cercato di riprodurre, il più fedelmente possibile, la scultura originale di Ricardo Bellver. Ho scelto questo soggetto perché per me è molto affascinante; sono rimasta colpita dalla sua posa estremamente dinamica ed espressiva. Ho deciso, poi, di scolpire le piume delle ali una ad una, a mano, senza aiutarmi con alpha o insert mesh [20] , perché volevo che fossero tutte diverse tra di loro.

 

D: Nell’Angelo Caduto è molto interessante la scelta del materiale utilizzato, come anche e le sfumature di luce fredda sulla superficie. Come hai lavorato per ottenere questo tipo di effetto visivo?

 

R: Per l’Angelo, ho utilizzato mentalray [21] , sfruttando la bella resa delle area light [22] unite al final gather [23] . Il set di luci di cui mi sono servita è molto basilare (key, fill e rim light). Il final gather rende tutto più soffuso.

Il materiale della scultura è un marmo, ottenuto con il mia material [24] ed una texture procedurale, dato che l’angelo non aveva UV [25] e non era stato texturizzato. Per quanto riguarda invece la fase di shading/rendering dell’angelo, mi sono avvalsa del prezioso aiuto di un caro amico e collega, Giovanni Dossena, che è doveroso per me menzionare in questa occasione.

 

Miriam Bonetti,l’Angelo Caduto, dettagli della scultura digitale in 3D

 

D: Hai lavorato per la Bad Seed Entertainment, studio italiano con sede a Milano che produce videogiochi, che ha rilasciato il titolo Sleep Attack. Qual è stato il tuo contributo artistico in relazione ad una realtà produttiva nel settore videoludico?

 

R: Per Sleep Attack sono stata impegnata soltanto nella fase di beta testing [26] . La Bad Seed mi ha assunta per lavorare su un nuovo progetto completamente realizzato in 3D, mentre Sleep Attack è in 2D. Ho ricoperto il ruolo di Senior 3D Artist, scolpendo oggetti, personaggi, props [27] , ho texturizzato ed ottimizzato i modelli 3D per l’utilizzo su diverse piattaforme di tipo mobile (tablet e smartphone).

 

D: Che differenza c’è, tecnicamente, tra la realizzazione di un modello iper-dettagliato, hi-poly [28] come quello di Salvador Dalì o dell’Angelo Caduto ed altri modelli low-poly [29] per un videogame? In cosa differisce l’approccio scultoreo, se differisce, in funzione della finalità del modello tridimensionale?

 

R: L’approccio scultoreo non differisce di molto. Probabilmente il modello va organizzato meglio quando si deve lavorare con una mesh [30] low-poly, in funzione del baking [31] successivo dei dettagli. Inoltre, per realizzare una mesh finalizzata ad un videogame, spesso bisogna tenersi bassi con il numero di poligoni utilizzati. La differenza tra hi-poly e low-poly sta anche nel gestire alcuni elementi del modello separatamente e non come un’unica mesh. Nella lavorazione hi-poly, una volta terminata la scultura, la si texturizza, illumina e renderizza; mentre, nel low-poly, ci sono due passaggi extra: si ricrea una struttura poligonale, più leggera, sulla base del modello hi-poly (mediante il retopology, cioè ridisegnando una topologia semplice sopra ad una più complessa), e poi si fa il bake dei dettagli scolpiti, riportandoli sulla mesh meno dettagliata. Alla fine, si può texturizzare. Ovviamente, lavorando con modelli low-poly, si hanno molti più limiti tecnici che mettono i bastoni tra le ruote!

 

D: In che modo ti servi del software Adobe Photoshop per i tuoi lavori? Puoi spiegare alcune tecniche di cui ti servi per il texturing dei tuoi modelli e per la post-produzione delle tue opere?

 

R: Utilizzo Photoshop nella fase di post-produzione, dopo i render, principalmente per i ritocchi finali; per lo più me ne servo per la correzione colore o aggiunta di layer extra [32] per migliorare la resa finale dell’immagine. Più raramente, lo uso per correggere o rafforzare luci e ombre, come ho fatto per Dalì.

Gli strumenti di cui mi servo sono per lo più il pennello standard, regolato in modo tale che sia molto soft per poter agire sull’immagine in modo graduale e morbido, e le maschere [33] , che mi permettono di tornare sempre indietro, qualsiasi modifica faccia.

Nel texturing mi servo molto dei layer, che organizzo per lavorare in modo non distruttivo, soprattutto perché questa fase è soggetta molto spesso a ulteriori cambiamenti.

Stratifico vari layer, suddividendoli per tipologia (base colore, texture, layer estrapolati dal baking...), facendo molto uso di maschere e blending modes [34] , che mi aiutano ad ottenere effetti di colore a volte inaspettati e molto particolari.

 

Making of Salvador Dalì

Ho voluto riportare i passaggi principali eseguiti da Miriam Bonetti per la creazione della sua scultura digitale ispirata a Dalì, con l’intento di fornire un ulteriore spunto di riflessione sulla complessità tecnica che risiede nella lavorazione di questa realizzazione digitale.

ZBrush, il software di cui si è servita Miriam, che anche io spesso utilizzo, è distribuito dalla Pixologic. L’approccio alla materia virtuale sperimentabile con questo programma è piuttosto simile a quello che si avrebbe modellando la creta.

ZBrush è uno dei programmi che prediligo per la libertà che offre nel processo di modellazione poligonale; si riduce al minimo la soglia tra il procedimento tecnico-scientifico ed il “sentire” artistico. La tavoletta grafica si trasforma in infinite superfici e nei più diversificati materiali, lo stylus, strumento a forma di penna in grado di fornire input direttamente al software, diventa lo scalpello dell’artista digitale che lascia una traccia di sé sulla materia – fatta di pixel – con ogni suo gesto.

 

La “materia digitale” è stata sgrossata per procedere quindi alla definizione dei volumi principali.

Il volto ha preso progressivamente forma: i tratti somatici hanno acquisito carattere.

I volumi sono stati progressivamente bilanciati e, successivamente, perfezionati.

Miriam ha aggiunto capelli, baffi e sopracciglia poligonali alla sua scultura, oltre ad alcuni elementi del vestiario. Lo sguardo di Dalì cominciava già a delinearsi.

È iniziata, quindi, la fase di dettaglio, con la suddivisione graduale del modello tridimensionale. Miriam ha adottato un materiale idoneo per la traslucenza della pelle ed ha scolpito tutti i dettagli necessari; i capelli sono stati sostituiti dai filamenti generati all’interno di ZBrush, per un effetto ancor più realistico.

Raggiunto il livello necessario anche per il dettaglio dei vestiti, l’artista 3D si è dedicata alla ricerca del colore, che è stato dipinto direttamente sul modello all’interno dello stesso software, grazie alla tecnica del polypainting [35] .

 

Miriam Bonetti, Salvador Dalì, dettagli della scultura digitale in 3D




NOTE

[1] Federico Tonioni, Psicopatologia web-mediata – Dipendenza da internet e nuovi fenomeni dissociativi, Milano, Springer Verlag, 2013, p. 69.

[2] Erika Petres, Arte, verità, essere: La riabilitazione ontologica dell’arte in Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty, Pontificio Istituto Biblico, 2013, p. 55.

[3] «L’amor che move il sole e l’altre stelle», Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso XXXIII, 145), Novara, De Agostini Editore, 2004, p. 351.

[4] Vittorio Sgarbi, Velázquez, genio spagnolo ma italiano nell’anima, articolo del 07/06/2015, il Giornale.it. <http://www.ilgiornale.it/news/vel-zquez-genio-spagnolo-italiano-nellanima-1137658.html>

[5] Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media, The MIT Press, 2000, p.45.

[9] Random Access Memory: memoria ad accesso casuale. Può essere letta o scritta accedendo direttamente all’informazione o alla zona voluta, senza dover interessare altre zone, come avviene nelle memorie “sequenziali”. <http://www.dizionariologistica.com/dirdizion/ram.html>

[10] L’unità minima che compone un oggetto 3D è detta poligono (così come per un’immagine 2D si parla di pixel); un poligono è un triangolo definito da tre vertici, tre lati, e una sola faccia, per disegnare un parallelepipedo (che ha sei facce) occorrono quindi due triangoli per faccia (formiamo una faccia quadrata) per sei facce, quindi dodici poligoni. Un poligono può essere di dimensioni variabili, piccolissimo o grandissimo senza per questo influenzare le dimensioni del file. <http://www.html.it/pag/14688/principi-base-del-3d/>

[11] Il texturing è quel procedimento per cui il grafico 3D, lavorando sulle coordinate bidimensionali di un oggetto tridimensionale, conferisce allo stesso colori, graffi…

[12] Patrizia Ferri, estratto da Critica Viviana Ravaioli. Cfr. <http://digilander.libero.it/vivianaravaioli/testo_critico.htm> 

[13] Alessandra Cigala, Lo sguardo e il fenomeno, in Valentina Valentini (a cura di), Le storie del video, Roma, Bulzoni, 2003, pp. 53-61.

[15] Per maggiori informazioni sul Making of di Riven si rimanda al video su Youtube della versione originale del DVD del 1998 <https://www.youtube.com/watch?v=lOOVWFXjGQY>

[16] Il rendering sta a indicare nella computer grafica la procedura che permette di generare, con un apposito programma, un’immagine digitale a partire da una serie di informazioni (descrizione degli oggetti tridimensionali, punto di vista, illuminazione…

[17] Per maggiori informazioni si rimanda al video su Youtube Avatar - Making Of - Creating The World Of Pandora, 20th Century Fox, Film TV, 2010 <https://www.youtube.com/watch?v=oCDh5SdxAdo>

[18] Strumenti personalizzati che simulano uno specifico effetto sulla superficie della scultura.

[19] Strumento della computer grafica 3D, generalmente utilizzato per determinare l’aspetto finale della superficie di un oggetto.

[20] Strumenti che semplificano il lavoro quando si tratta di inserire nella scultura una serie di elementi identici.

[21] Motore grafico di rendering.

[22] Tipologia di luci che produce un’illuminazione piuttosto diffusa.

[23] Algoritmo che simula l’impatto della luce sulle superfici.

[24] Un materiale selezionabile all’interno di Maya che possiede proprietà fisiche alterabili in base alla resa grafica che si vuole raggiungere.

[25] Le UV sono la proiezione planare della geometria di un modello poligonale tridimensionale.

[26] Prova e collaudo di un software non ancora uscito sul mercato.

[27] Oggetti secondari da inserire in una scena.

[28] Ad alta densità/numero di poligoni.

[29] A bassa densità/numero di poligoni.

[30] La mesh è l’insieme di vertici, spigoli e facce che definiscono la forma di un oggetto nella computer grafica 3D e nella modellazione solida.

[31] Il procedimento per cui un dettaglio molto alto, realizzato scolpendo un modello ad alta risoluzione, viene riportato, sotto forma di mappe bidimensionali, su un modello a risoluzione molto più bassa.

[32] I layer sono i livelli con i quali si lavora verticalmente sull’immagine digitale all’interno di un software di elaborazione grafica.

[33] Le maschere di livello sono utili per nascondere porzioni del livello a cui sono applicate e rivelare i livelli sottostanti. Sono uno strumento di composizione efficace per combinare più foto in una sola immagine e per effettuare correzioni locali di colori e toni.

[34] Varie tipologie di fusione tra i vari livelli che il programma calcola matematicamente, interpolando i pixel dell’immagine. Alcuni esempi sono Multiply, Color, Hard Light

[35] Approccio al texturing per colorare un modello 3D, applicando un singolo valore RGB a ciascun vertice poligonale.




BIBLIOGRAFIA

 

ALIGHIERI 2004

Dante Alighieri, Divina Commedia (Paradiso XXXIII, 145), Novara, De Agostini Editore, 2004.

 

BLASI 2001

Anna Blasi, Scultura arte e tecnica. Un percorso formativo, Milano, Ulrico Hoepli Ed., 2001.

 

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Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation. Understanding New Media, The MIT Press, 2000.

 

CARONIA 2005

Antonio Caronia (a cura di), Catalogo Techne 05 - Fra arte e tecnologia - L’immagine infinita. Schermi, visioni, azioni, Bologna, Revolver, 2005.

 

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Lev Manovich, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Edizioni Olivares, 2002.

 

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Roberto Marchesini, Angeli o demoni? Postumani in Associazione Italiana Transumanisti (a cura di), Transumanesimo. Cronaca di una rivoluzione annunciata, Milano, Lampi di stampa, 2008.

 

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Erika Petres, Arte, verità, essere: La riabilitazione ontologica dell’arte in Martin Heidegger e Maurice Merleau-Ponty, Pontificio Istituto Biblico, 2013.

 

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Scott Spencer, Creare personaggi con ZBrush – Scultura digitale avanzata, Guidonia (RM), Imago Edizioni, 2011.

 

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Roberto Strippoli, Maya. Guida Completa, vol. 1, Guidonia (RM), Imago Edizioni, 2009.

 

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Federico Tonioni, Psicopatologia web-mediata – Dipendenza da internet e nuovi fenomeni dissociati, Milano, Springer Verlag, 2013.

 

VALENTINI 2003

Valentina Valentini (a cura di), Le storie del video, Roma, Bulzoni, 2003.

 

 

SITOGRAFIA

 

DIZIONARIO ONLINE GARZANTI

Garzanti Linguistica, dizionario online, <http://www.garzantilinguistica.it> visitato nel 05/2017

 

Per approfondimenti

 

ADOBE PHOTOSHOP

Adobe Photoshop, <http://www.adobe.com/it/products/photoshop.html> visitato nel 06/2017

 

AUTODESK MAYA

Autodesk Maya, <https://www.autodesk.it/products/maya/overview> visitato nel 06/2017

 

NEWTEK LIGHTWAVE 3D

NewTek Lightwave 3D, <https://www.lightwave3d.com> visitato nel 06/2017

 

PIXOLOGIC ZBRUSH

Pixologic ZBrush, <http://pixologic.com> visitato nel 06/2017

 

MIRIAM BONETTI

ArtStation, pagina personale di Miriam Bonetti, <https://www.artstation.com/artist/miriam> visitato il 15/04/2017

 

MAKING OF DALÌ

Making of Dalì sul portale 3dtotal.com, tutorial originale di Miriam Bonetti, <https://www.3dtotal.com/tutorial/1666-making-of-dali-photoshop-maya-zbrush-by-miriam-eithne-bonetti-character-male-dali-moustache> visitato nel 04/2017

 

 

L’autore ringrazia Viviana Ravaioli e Miriam Bonetti per la loro disponibilità e per la gentile concessione delle immagini di loro proprietà.

 

Impostazione grafica a cura di Gioele Stella. File html curato da Michela Ramadori e Stefano Colonna. Normalizzazione redazionale: Alessia Dessì. Correzione ortografica a cura di Michela Ramadori



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