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San Lazzaro di Costantinopoli e la difesa delle immagini sacre all’epoca della Controriforma: un caso esemplare nella Roma del Seicento Atti Convegno Lo sguardo oltre il confine. Un viaggio tra le immagini

Federico De Martino
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 13 Febbraio 2017, n. 830
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Il culto di san Lazzaro di Costantinopoli, monaco iconografo vissuto nel IX secolo al tempo dell’Imperatore Teofilo, ebbe un nuovo impulso a Roma negli anni Ottanta del Seicento per iniziativa del pittore Lazzaro Baldi (Pistoia 1622 – Roma 1703), uno degli ultimi allievi di Pietro da Cortona. La devozione per san Lazzaro fu del tutto coerente con la personalità dell’artista pistoiese e rispecchia pienamente il modo in cui interpretò la propria professione. Baldi, infatti, propose se stesso in modo programmatico come un modello di artista al servizio della Chiesa, specializzato nella produzione di raffigurazioni religiose destinate a infiammare lo zelo dei fedeli. In un momento storico travagliato come gli ultimi decenni del Seicento, trovò nella produzione d’immagini sacre il fondamento e la giustificazione del proprio lavoro. La grande fortuna che il pistoiese ebbe in vita può essere interpretata come una prova di quanto i temi della controriforma fossero attuali nella Roma della seconda metà del Seicento. È anche per questo che le sue opere riuscirono particolarmente gradite a una committenza ecclesiastica che, dopo il pontificato di Alessandro VII, cercava nell’arte più decoro e adesione ai principi del Concilio di Trento.

Baldi fu un artista pienamente integrato nella corte pontificia e beneficiò della protezione di papi, cardinali e prelati di spicco. Il suo pieno inserimento in un ambito istituzionale è attestato, tra l’altro, dalla nomina a Principe dell’Accademia di San Luca nel 1679. Una figura come quella di Baldi dovette apparire particolarmente adatta a guidare l’istituzione durante il regno di Innocenzo XI Odescalchi, salito al soglio pontificio nel 1676. Il papa comasco, infatti, condusse il proprio pontificato all’insegna del rigorismo, imponendo alla Chiesa un regime di austerità e parsimonia. Egli si oppose energicamente al lusso e alla rilassatezza dei costumi, che si erano accentuati progressivamente dall’epoca di Urbano VIII. Promulgò alcuni editti per vietare alle donne romane la moda di portare le braccia scoperte e prese misure molto severe per contrastare ogni comportamento sconveniente nel teatro, nella musica e anche durante il Carnevale, che addirittura proibì del tutto negli anni 1684, 1688 e 1689. Vigilò anche con rigore sulla disciplina dei religiosi, in particolare dei conventi di monache, giungendo persino a far coprire il seno della Madonna di Guido Reni negli affreschi nel Palazzo del Quirinale. Inoltre fu un fiero oppositore del nepotismo, che avrebbe voluto contrastare con una Bolla fin dal 1677. Non riuscì nell’intento per l’opposizione o la scarsa collaborazione di tutti i cardinali, tuttavia suo nipote Livio non ottenne mai la porpora e finché il papa fu in vita dovette rinunciare a cariche e onori.

Le grandi opere volute da Alessandro VII avevano molto aggravato il deficit delle casse pubbliche, pertanto Innocenzo XI s’impegnò a riequilibrare il bilancio, tentando di arginare il debito dello Stato. L’impresa era quanto mai ardua, poiché le ingenti spese dei precedenti pontificati erano state compiute attraverso un sistema d’indebitamento basato sui luoghi di monte, cioè titoli di Stato che i risparmiatori acquistavano contando su un favorevole tasso d’interesse. Per interrompere la spirale del debito, il papa dovette imporre a ogni amministrazione pubblica un severo regime di parsimonia. Fu posto un freno anche alle spese per le canonizzazioni, che il pontefice ridusse considerevolmente con un decreto del 15 ottobre 1678. Durante i tredici anni del suo pontificato fu celebrata solo la beatificazione di Turibio di Mogrovejo.

Porre un limite alle spese dello Stato era per Innocenzo XI un obiettivo strategico anche per motivi di politica estera. Aveva, infatti, bisogno di ingenti risorse finanziarie per sostenere economicamente la difesa d’Europa dalla minaccia dei turchi. Durante il suo pontificato si ruppe il fragile equilibrio ai confini dell’Impero Asburgico che era stato garantito nel 1664 dalla pace di Eisenburg e il sultano Mehmet IV riuscì a portare il suo esercito all’assedio di Vienna, generando un forte stato di apprensione, poiché un’eventuale caduta della città gli avrebbe aperto la strada fino al cuore d’Europa. Innocenzo XI lavorò diplomaticamente dal primo anno di pontificato affinché i sovrani europei mettessero da parte le contese reciproche e stringessero un’alleanza contro i turchi. Non riuscì ad avere la crociata che avrebbe desiderato, ma ottenne una valida alleanza tra l’Impero Asburgico e il regno di Polonia per la difesa di Vienna. [1] L’assedio della capitale asburgica fu seguito a Roma con grande trepidazione e la vittoria delle armate imperiali nel 1683 fu accolta con festose manifestazioni di giubilo, rievocando alle coscienze il ricordo della battaglia di Lepanto.

È dunque in questo contesto che nel 1680 Baldi iniziò a lavorare a un articolato progetto per dare impulso al culto di san Lazzaro. L’artista, spronato dalla fervida venerazione per il santo omonimo, concepì l’iniziativa nel 1679, quando ricopriva la carica di Principe dell’Accademia di San Luca. Per manifestare la propria devozione adottò le strategie solitamente usate per le canonizzazioni: eresse a proprie spese un nuovo sacello dedicato al santo nella chiesa dei SS. Luca e Martina, per cui dipinse la pala d’altare (Fig. 1), fece pubblicare un libro sulla vita di san Lazzaro e ideò alcune stampe raffiguranti episodi della vita del monaco.

Il 31 marzo 1680 l’Accademia acconsentì alla richiesta dell’artista di poter erigere il nuovo altare nella chiesa dell’istituzione. [2] L’atto di donazione fu rogato il 25 luglio 1680. [3] Le spese devono essere state ingenti, poiché il sacello fu rivestito di marmi pregiati: non è escluso, quindi, che il pittore avesse l’intenzione di mostrare pubblicamente la propria affermazione sociale. Baldi decise che se stesso e la sorella Emilia sarebbero stati sepolti in prossimità del nuovo altare, cui l’artista avrebbe lasciato in eredità tutti i suoi beni. Considerando ogni aspetto della sua devozione per san Lazzaro, emerge chiaramente che Baldi intese replicare quanto aveva fatto prima di lui Pietro da Cortona in onore di santa Martina: il campo d’azione fu per entrambi la chiesa dell’Accademia di San Luca, sia il maestro sia l’allievo eressero un altare al santo protettore, accanto al quale vollero essere sepolti e a cui lasciarono le rispettive l’eredità. Le iniziative di Baldi collegate a san Lazzaro appaiono dunque congeniate per suggerire pubblicamente l’identificazione con il proprio maestro, proponendosi come il principale erede di Pietro da Cortona. Tuttavia nella volontà di imprimere un impulso alla venerazione del santo si possono individuare anche altre ragioni. Dietro alla devozione per il monaco greco si scorge distintamente l’adesione di Baldi a una precisa concezione dell’arte e del ruolo dell’artista come iconografo. Tutto ciò appare più chiaramente se si prende in esame la biografia di san Lazzaro che il pistoiese fece pubblicare nel 1681.

Il libro, edito a Roma da Giacomo Fei, s’intitola Breve compendio della Vita, e Morte di San Lazzaro Monaco, et insigne Pittore, che sotto Teofilo Imperatore Iconomaco molti tormenti patì per la Pittura, e Culto delle Sagre Immagini, dedicata all’Illustriss. Et Eccellentiss. Sig. D. Livio Odescalchi Duca di Ceri. Il frontespizio, ideato da Baldi e inciso da Benoit Thiboust, raffigura san Lazzaro tormentato in carcere con i ferri roventi. [4] Esistono altre due stampe con il medesimo soggetto, ideate dal pistoiese e incise dai suoi allievi Filippo Luzi e Francesco Simoncelli, che non erano destinate al libro, bensì a essere distribuite il giorno della festa del santo (23 febbraio) (Figg. 2-3). [5] Il frontespizio riproduce, con poche varianti, l’iconografia della pala per l’altare nella chiesa dei SS. Luca e Martina che Baldi stava dipingendo nello stesso periodo. La prima edizione del volume è molto rara, tanto che Leopoldo Cicognara quando nel 1807 riuscì a entrarne in possesso la ripubblicò, facendola precedere da un breve saggio intitolato Osservazioni sulla bibliomania. [6] In precedenza il libro aveva avuto altre tre edizioni: una del 1715 priva del frontespizio, una del 1758 e un’altra del 1788. A proposito della biografia di san Lazzaro, Pascoli riferisce: «Scrissela dunque in compendio, e la fece per sua maggiore gloria, e per maggiormente eccitare in altri la divozione susseguentemente a universal benefizio stampare. Ne donò parecchie copie agli amici, parecchie ne mandò fuori, e parecchie nobilmente legate ne presentò a molti, e diversi prelati, e cardinali». [7] Secondo Pascoli il libro sarebbe stato scritto dal pittore stesso, tuttavia Cicognara ha notato che nella dedica a Livio Odescalchi, effettivamente firmata da Baldi, l’artista dice espressamente: «ho fatto scrivere, e stampare la sua Vita». [8] Da ciò si desume che il pistoiese scrisse solo la dedica e il resto del libro spetta a un anonimo compilatore. Anche se non lo redasse di persona, Baldi fu comunque l’ispiratore del testo, che deve considerarsi del tutto corrispondente alle sue idee.

La dedica a Livio Odescalchi, nipote di papa Innocenzo XI, si deve agli stretti rapporti che l’artista intrattenne con l’illustre personaggio, ampiamente documentati nel fondo archivistico della famiglia Odescalchi. In una lettera del 1676 Francesco Maria della Porta si congratulò con il Duca per l’acquisto di due dipinti del pistoiese. [9] I libri dei conti riferiscono che nel 1692 Livio pagò l’artista cento scudi per alcune opere non meglio specificate. [10] L’inventario dei beni del Duca, redatto alla sua morte nel 1713, menziona ben quattordici dipinti di Baldi, che hanno avuto il medesimo destino del resto della sua collezione e nel 1792 sono andati dispersi. [11] Un altro inventario, in possesso della famiglia Odescalchi, menziona due vedute, il Belvedere di Frascati e Trinità dei Monti, con figure del pistoiese e paesaggi del Tempestino. [12] La più rilevante dimostrazione del mecenatismo di Livio Odescalchi nei confronti di Baldi è un perduto ciclo di suoi dipinti, che ornavano un’alcova del Duca e sono stati riprodotti dal polacco Georg Szymonowicz in una serie di stampe pubblicate nel 1682. [13] Il rapporto di Baldi con Livio Odescalchi emerge anche dal testamento del pittore, in cui si riferisce che il 2 gennaio del 1698 il Duca contrasse un censo a favore dell’artista, che fruttava duecentoventi scudi e cinquanta. [14] Baldi, inoltre, gli lasciò in eredità un quadro raffigurante santa Caterina d’Alessandria. [15] Nel 1679, in qualità di principe dell’Accademia di S. Luca, l’artista propose che Livio fosse nominato Accademico d’Onore, ottenendo l’approvazione generale. [16] È pertanto legittimo ipotizzare che il pistoiese abbia conseguito il principato grazie all’appoggio dell’influente principe Odescalchi. [17] Tutto ciò, fa ritenere che il libro fosse prima di tutto indirizzato ai pittori dell’Accademia. L’artista, infatti, si rivolge al nipote di Innocenzo XI come Accademico d’Onore e benefattore dell’istituzione. Nella dedica si legge: «questo [libro] all’E. V. presento, a cui di certo penso, che sarà gratissimo, sì per la sua rara, e singolare pietà, sì anche per essersi degnata di essere ascritta nella nostra Accademia, mostrandosi sempre affettionatissimo alle nostre professioni, e promovendole da quel Principe, che ella è». [18]

Il volume descrive come Lazzaro, nato in Grecia nella città di Chazana, vestì l’abito monastico ispirato dalle sacre immagini e apprese con entusiasmo l’arte della pittura. A quei tempi a Costantinopoli regnava l’imperatore Teofilo, che aderiva all’eresia iconoclasta. Alcune pagine sono dedicate a confutare l’iconoclastia, dichiarando che il culto delle immagini sacre non è un’invenzione dei monaci, ma risale all’apostolo Luca e a Cristo stesso, la cui sacra effige è impressa nel velo della Veronica e nella Sindone. Il racconto prosegue riferendo che Lazzaro si recò con coraggio al cospetto dell’Imperatore per difendere le immagini sacre e Teofilo lo fece crudelmente tormentare e rinchiudere in carcere. Poiché il monaco continuava a dipingere anche nella cella, l’Imperatore gli fece bruciare le mani con ferri roventi. Questo episodio è il più noto nella vita del santo e Baldi lo scelse come soggetto per il frontespizio del libro e per la pala d’altare nella chiesa dei SS. Luca e Martina. Quasi morto per i tormenti, Lazzaro fu scarcerato per volontà dell’imperatrice Teodora, nemica degli iconoclasti. Alla morte di Teofilo l’impero passò nelle mani di Teodora, che ristabilì il culto delle immagini e inviò Lazzaro come ambasciatore a Roma. Nella città pontificia il monaco greco contrastò l’antipapa Anastasio, che fu deposto e sostituito con il legittimo pontefice Benedetto III. Tornato a Costantinopoli, Lazzaro fu di nuovo inviato a Roma e morì durante il viaggio. Alla fine del libro è riferito un breve aneddoto, concepito come un monito agli artisti sui temibili effetti delle immagini disoneste. È il racconto di un Carmelitano Scalzo, cui apparve l’anima di un pittore defunto, che nell’aldilà rischiava di essere dannata poiché altre anime la accusavano di essere state indotte al peccato da un suo quadro disonesto. L’artista pregò il Carmelitano di rintracciare e distruggere la nefasta pittura, affinché potesse finalmente ottenere la salvezza eterna.

La storia di san Lazzaro era già nota nella letteratura precettistica destinata ai pittori. Il monaco greco era stato ricordato da Gabriele Paleotti nel Discorso intorno alla imagini sacre e profane del 1582 e fu anche menzionato da Pietro da Cortona e Giovanni Domenico Ottonelli nel Trattato della pittura del 1652. [19] Il volume di Ottonelli e Berrettini è inoltre la fonte da cui è tratto quasi alla lettera l’aneddoto a monito dei pittori con cui termina il Breve compendio. [20] Baldi ha identificato in san Lazzaro un modello ideale di artista, che dipinge esclusivamente per devozione, ponendosi al servizio della Chiesa senza mai deviare dalla via maestra delle immagini sacre. Nella biografia del santo è dominante il tema della lotta all’iconoclastia, che in ambito cattolico aveva avuto un forte impulso in contrapposizione alla riforma protestante. L’Accademia, in cui i pittori si sarebbero dovuti formare sotto la guida della Chiesa, era il contesto ideale in cui l’esempio di san Lazzaro avrebbe potuto produrre gli effetti desiderati. Baldi, pertanto, non solo si propose come ideale continuatore dell’opera di Pietro da Cortona, ma anche come assertore di un modello istituzionale di artista, pienamente adeguato alla funzione attribuitagli dopo il Concilio di Trento. Se si considera che Livio Odescalchi fu nominato Accademico d’Onore durante il suo principato e che il Breve compendio è dedicato al nipote del papa, ci sono elementi sufficienti per delineare un preciso contesto alle iniziative di Baldi in onore di san Lazzaro. La sua pittura devota era particolarmente in sintonia con il clima di severità imposto a Roma da Innocenzo XI, che giunse addirittura a far coprire il seno della Madonna negli affreschi di Guido Reni al Quirinale. Il pontefice, impegnato a ricondurre la chiesa al rigore morale e a difendere la cristianità dalla minaccia ottomana, riportò alla ribalta argomenti tipici della controriforma, compreso il controllo sulle immagini e sugli artisti. Con il rilancio della figura di san Lazzaro Baldi intese orientare l’Accademia nella direzione delle posizioni rigoriste di Innocenzo XI, richiamando gli artisti a farsi guidare dalla fede e ad esercitare la professione al servizio della Chiesa.

Collocata sulla tomba dell’artista, la pala d’altare raffigurante San Lazzaro tormentato con i ferri roventi è come una sorta di epitaffio figurato, con cui Baldi desiderò essere ricordato dai posteri (Fig. 1). La lunga iscrizione dedicatoria dichiara che l’altare fu compiuto nel 1681. [21] Il 25 novembre di quell’anno i lavori erano ancora in corso, poiché Baldi chiese il permesso di servirsi di un «marmo cipollino esistente fuori della porta della nostra Chiesa, avanzato dalla fabbrica della nostra Accademia». [22]   Il cantiere terminò poco dopo, perché il 18 gennaio 1682 un verbale della Congregazione accademica definisce il sacello costruito e provvisto di tutte le suppellettili sacre. [23] Anche la pala d’altare, quindi, risale al 1681.

Nella chiesa dei SS. Luca e Martina già esisteva un sacello dedicato a san Lazzaro, su cui era posto un quadro di Ciro Ferri (Fig. 4). Baldi propose di dedicare il vecchio altare all’Assunta, sostituendo il quadro di Ferri con un’Assunzione della Vergine da lui appositamente dipinta. Il 15 febbraio 1682 la Congregazione accademica accolse la proposta. [24] La tela di Ferri, tuttavia, rimase al suo posto e l’Assunzione della Vergine di Baldi fu collocata temporaneamente nel transetto sinistro della chiesa. [25] Nel 1685 l’Accademia chiese alla Congregazione della Visita Apostolica l’autorizzazione a compiere la sostituzione, ottenendo un diniego. [26] Oggi il quadro di Ferri è conservato nella galleria dell’Accademia di San Luca, mentre quello di Baldi è andato perduto.  Nell’ideare il San Lazzaro tormentato con i ferri roventi il pistoiese si è ispirato al dipinto di Ferri e, cosciente del fatto che la propria pala d’altare avrebbe sostituito la precedente, non volle stravolgerne l’impostazione, contentandosi di aggiungere alcuni elementi e a rendere la scena più spaziosa e monumentale.

Per il sacello di san Lazzaro Baldi non si limitò a dipingere la pala d’altare, infatti gli inventari della cappella redatti nel 1725 e nel 1728 ricordano l’esistenza di altri sei quadri, che raffiguravano vari episodi della vita del monaco greco: San Lazzaro ordinato sacerdote, San Lazzaro in atto di dipingere, San Lazzaro davanti all’Imperatore Teofilo, San Lazzaro offre un calice d’oro a papa Benedetto III, San Lazzaro fa deporre l’antipapa, Morte di san Lazzaro. [27] Tutti questi dipinti sono perduti, ma è possibile farsene un’idea attraverso un gruppo di disegni e incisioni che raffigurano alcuni dei soggetti registrati nei documenti. Nel 1692 Filippo Luzi incise su disegno di Baldi una stampa raffigurante San Lazzaro in atto di dipingere, dedicata all’Abate Domenico Cappello (Fig. 5). [28] Un’altra stampa raffigura la Flagellazione di san Lazzaro, cui sono collegati due disegni di Baldi, uno all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma, l’altro al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi. [29] Antonella Pampalone nel 1979 ha pubblicato i disegni inerenti San Lazzaro ordinato sacerdote, San Lazzaro offre un calice d’oro a papa Benedetto III e la Morte di san Lazzaro. [30] È probabile che Baldi abbia cominciato a occuparsi dei quadri fin dal 1680-1681, tuttavia si deve ritenere che il lavoro sia andato avanti molto a lungo. L’artista continuò a dedicarsi all’altare per il resto della propria vita, come dimostrano le due tele destinate al paramento per la festa del santo, oggi conservate nella galleria dell’Accademia di San Luca, la cui esecuzione per ragioni stilistiche deve collocarsi nella fase più tarda della sua attività. [31]

Nel 1700 Carlo Maratta, eletto Principe dell’Accademia di San Luca, donò all’istituzione una serie di quattordici ritratti di santi e beati artisti, dipinti dai suoi allievi. L’elenco dei soggetti da ritrarre, che include anche san Lazzaro, era stato probabilmente elaborato nel 1696, quando Maratta fu incaricato di dipingere una pala d’altare dedicata ai santi artisti in occasione del centenario dell’Accademia. È stato suggerito che Baldi possa aver contribuito alla definizione del programma iconografico. [32] L’ipotesi è da ritenersi fondata, giacché l’artista partecipò ai preparativi per la ricorrenza del 1696, ricoprendo la carica di vice Principe. [33] La promozione dei santi artisti è del tutto coerente con la sua devozione per san Lazzaro, con l’erezione dell’altare e con la pubblicazione del Breve compendio. L’inventario dei beni ereditari del pittore, inoltre, menziona due tele raffiguranti i santi Dustano e Metodio pittori, che figurano entrambi anche nella serie marattesca dell’Accademia di San Luca. [34]

La figura di san Lazzaro, pur così lontana nel tempo e nello spazio dalla Roma del Seicento, tornò dunque di grande attualità nell’epoca della controriforma, sia per affermare la legittimità delle sacre raffigurazioni, sia come modello per gli artisti, chiamati dalla Chiesa a diffondere la fede attraverso le immagini.







NOTE

[1] Sul pontificato di Innocenzo XI si veda: von Pastor 1961, pp. 1-384; de Syrmia 1978.

[2] ASL vol. 45, cc. 80r, 80v. Noehles 1969, pp. 359-360.

[3] ASR, Trenta Notai Capitolini, Ufficio 12, 663, c. 285r. Merz 2005, p. 338.

[4] Merz  2005, p. 339.

[5] Un esemplare dell’incisione di Filippo Luzi è a Düsseldorf, Kunstmuseum, numero d’inventario 4379 D, dove si conserva anche una disegno preparatorio (inv. FP 1085). Si veda: Merz 2005, p. 339. Per quanto riguarda l’incisione di Simoncelli, si veda: Pampalone 1979, p. 63.

[6] Cicognara 1807. Si veda anche: Cicognara 1821, p. 377; Ticozzi 1830, I, p. 98.

[7] Pascoli 1992, p. 615.

[8] Cicognara 1807, p. 33.

[9] ASO, III C 3, lettera del 29 luglio 1676. Si veda: Costa 2009, pp. 350, 393.

[10] ASR, Archivio Odescalchi, XXXIV B 24, cc. 138, 142. Si veda: Costa 2009, p. 312. Si veda anche: ASR, Archivio Odescalchi, XXIV F 16, Entrata e Uscita dell’Ecc.mo Sig. Principe D. Livio Odescalchi, 1690-1692, c. 108.

[11] ASR, Notai A. C., 5134, Inventarium bonorum hereditariorum cla. mem. Serenissimi D.ni Ducis Don Livij Odescalchii factum ad instantiam Ill.mi D.ni Ducis Don Balthaxaris Odescalchis olim Herba, 1713-1714, cc. 28r, 50v, 58r, 78v, 81v-82r, 100v, 172r, 211r, 230v. Il documento è stato pubblicato parzialmente in: Costa 2009, pp. 386, 400. La collezione di pitture di Livio Odescalchi fu acquistata dopo la sua morte dal Duca d’Orleans, la cui raccolta è andata dispersa con una vendita all’asta nel 1792. Sul collezionismo di Livio Odescalchi si veda: GUEZE 1982, pp. 45-50; ASHBY 1916, pp. 55-90; ASHBY 1920, pp. 67-74; MAHONEY 1965, pp. 383-388; ROETHLISBERGER 1985-1986, pp. 5-30; NOÈ 1989, pp. 79-96; WALKER 1994, pp. 189-219; MONTANARI 1996, pp. 52-55; COSTA 2009.

[12] Bernardini 1997, p. 221, nota 12; Merz 2005, p. 302.

[13] Le incisioni sono menzionate per la prima volta da Heinecken 1788, p. 53. Si veda anche: Maliszewska 1975, pp. 220-223.

[14] ASR, Trenta Notai Capitolini, Ufficio 12, vol. 663, c. 286r.

[15] «[…] al Eccellentissimo sig. Livio Odescalchi un quadro di palmi tre con cornice dorata rappresentante Santa Cattarina della Rota con altre figure». ASR, Trenta Notai Capitolini, Ufficio 12, 663, c. 298v. Si veda: Pampalone 1979, p. 159.

[16] «Havendo il s. Lazzaro Baldi nostro Principe proposto per Accademico d’Onore il D. Livio Odescalchi nepote di N. Sig.re Innocenzo XI, fu subbito a viva voce dichiarato Accademico d’Onore». ASL, vol. 45, c. 66r; ASL, vol. 46, c. 25v.

[17] Merz 2005, p. 302.

[18] Baldi 1681, pp. 7-10.

[19] Paleotti 1582, p. 32; Ottonelli-Berrettini 1973, p. 189.

[20] Ottonelli-Berrettini 1973, pp. 151-152.

[21] Forcella 1876, p. 419-420.

[22] ASL, vol. 45, c. 94v. Pampalone 1979, p. 63.

[23] ASL, vol. 45, c. 99v. Noehles 1969, documento 143.

[24] ASL, vol. 45, cc. 100r-100v. Merz 2005, p. 338.

[25] Idem.

[26] ASV, Congr. Visita Apostolica, 12, c. 154.

[27] ASL, vol. 165ter, Ultimo inventario fatto l’anno Santo 1725 Adì 26 Agosto Delle Suppellettili Sacre, ed altro spettante alla Ven.le Cappella di S. Lazaro Martire, e Pittore esistenti nella Guardarobba di detta Cappella, e nella stessa Cappella di d.o Santo Oltre n. 7 Quadri esistenti nella Sacrestia della Chiesa per adornamento della medesima, c. 223r. Si veda: Pampalone 1979, pp. 59, 61. Si veda anche: ASL, Miscellanea inventari, XV, Stato dell’Insigne Accademia di S. Luca 1725, carte non numerate; ASL, Miscellanea inventari, XIII, Visita Apostolica 1728, Descrittione Particolare Della Cappella di S. Lazzaro, e dì ogni cosa spettante alla sudetta, c. 22r.

[28] Un esemplare è all’Istituto Nazionale della Grafica di Roma, numero d’inventario FC 76217. Si veda: Heinecken 1788, p. 53; Pampalone 1979, p. 59.

[29] Roma, Istituto Nazionale della Grafica, numero d’inventario FC 124595. Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, numero d’inventario 3142 S. Si veda: Pampalone 1979, p. 59.

[30] Roma, Istituto Nazionale della Grafica, numeri d’inventario FC 124519, FC 125492. Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, numero d’inventario 3115 S. Si veda: Pampalone 1979, pp. 61, 63.

[31] I due dipinti raffigurano l’Incoronazione di san Lazzaro e alcune Figure di santi. Roma, Accademia Nazionale di San Luca, invv. 34, 150.

[32] Marzinotto-Rotili-Ventra 2014, pp. 11-12. I dipinti, ridotti a dodici per la scomparsa di due tele, si trovano nella Galleria dell’Accademia di San Luca.

[33] ASL, vol. 46, c. 87v. Marzinotto-Rotili-Ventra 2014, pp. 11, 16.

[34] ASR, Trenta Notai Capitolini, Ufficio 12, 266, c. 358r. Si veda: Pampalone 1979, p. 155.






BIBLIOGRAFIA

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Edmond de Syrmia, At the Head of Nations, the Rise of the Papal and Princely House of Odescalchi, Pleasant Valley, New York, Cyclopedia Pub. Co 1978.

 

FORCELLA 1876

Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle chiese ed altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, VII, VIII, Roma, Tipografia delle Scienze Matematiche e Fisiche 1876.

 

GUEZE 1982

Raoul Gueze, Livio Odescalchi ed il Ducato di Sirmio, in Venezia, Italia e Ungheria fra Arcadia e illuminismo. Rapporti italo-ungheresi dalla presa di Buda alla Rivoluzione Francese, a cura di Bela Köpeczi e Péter Sàrközy, Budapest 1982, pp. 43-50.

 

HEINECKEN 1788

Karl Heinrich von Heinecken, Dictionnaire des Artistes dont nous avons des Estampes, avec une notice detaillée de leurs ouvrage gravés, II, Lipsia, Breitkopf 1788.

 

MAHONEY 1965

Michael Mahoney, Salvator Rosa provenance studies: Prince Livio Odescalchi and Queen Christina, in Master Drawings, III, 1965, pp. 383-388.

 

MALISZEWSKA 1975

E. Maliszewska, in Polonia: arte e cultura dal medioevo all’illuminismo, catalogo della mostra tenutasi a Roma (1975), Firenze, Centro Di 1975, pp. 220-223.

 

MARZINOTTO-ROTILI-VENTRA 2014

Marica Marzinotto, Valeria Rotili, Stefania Ventra (a cura di), I Ritratti dei Santi Artisti. Una regia di Carlo Maratti per l’Accademia di San Luca, catalogo della mostra tenutasi a Roma (2014), Roma, Accademia Nazionale di San Luca 2014.

 

MERZ 2005

Jörg Martin Merz, Die Zeichnungen von Pietro da Cortona und seinen Kreis. Die Zeichnungen in Dussledorf, Berlino, Deutscher Kunstverlag 2005.

 

MONTANARI 1996

Tomaso Montanari, Jacob Ferdinand Voet e Livio Odescalchi, in Prospettiva, 81, 1996, pp. 52-55.

 

NOÈ 1989

E. Noè, Le medaglie di Livio Odescalchi, in Medaglia, 24, 1989, pp. 79-96.

 

NOEHLES 1969

Karl Noehles, La Chiesa dei SS. Luca e Martina nell’opera di Pietro da Cortona, con contributi di Giovanni Incisa della Rocchetta e Carlo Pietrangeli, presentazione di Mino Maccari, Roma, Ugo Bozzi Editore 1969.

 

OTTONELLI-BERRETTINI 1973

Giovanni Domenico Ottonelli, Pietro Berrettini, Trattato della Pittura e Scultura, uso et abuso loro (Firenze 1652), edizione a cura di V. Casale, Treviso, Canova 1973.

 

PALEOTTI 1582

Gabriele Paleotti, Discorso sopra le imagini sacre et profane, Bologna 1582.

 

PAMPALONE 1979

Antonella Pampalone (a cura di), Disegni di Lazzaro Baldi nelle collezioni del Gabinetto Nazionale delle Stampe, catalogo della mostra tenutasi a Roma (1979-1980), Roma, De Luca 1979.

 

PASCOLI 1992

Lione Pascoli, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni, (Roma 1730-1736), introduzione di A. Marabottini, Perugia, Electa Editori Umbri 1992.

 

PASTOR 1961

Ludwig von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medio Evo, versione italiana di mons. Pio Cenci, XIV, Storia dei papi nel periodo dell’Assolutismo dall’elezione di Innocenzo X sino alla morte di Innocenzo XII (1644-1700), parte II, Roma 1961.

 

ROETLISBERGER 1985-1986

Marcel Roethlisberger, The drawing collection of Prince Livio Odescalchi, in Master Drawings, XXIII-XXIV, 1985-1986, pp. 5-30.

 

TICOZZI 1830

Stefano Ticozzi, Dizionario degli architetti, scultori, pittori, intagliatori in rame ed in pietra, coniatori di medaglie, musaicisti, niellatori, intarsiatori d’ogni età e d’ogni nazione, I, Milano 1830.

 

WALKER 1994

Stefanie Walker, The Sculpture Gallery of Prince Livio Odescalchi, in Journal of the History of Collections, 6, 1994, pp. 189-219.




Vedi anche nel BTA:

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Fig. 1
Lazzaro Baldi, San Lazzaro tormentato con i ferri roventi
1681, olio su tela
Roma, chiesa dei SS. Luca e Martina.

Fig. 2
Filippo Luzi da Lazzaro Baldi, San Lazzaro tormentato con i ferri roventi
acquaforte
Düsseldorf, Kunstmuseum, numero d'inventario 4379 D.

Fig. 3
Lazzaro Baldi, San Lazzaro tormentato con i ferri roventi
Düsseldorf, Kunstmuseum, numero d'inventario FP 1085.

Fig. 4
Ciro Ferri, San Lazzaro tormentato con i ferri roventi
1657, olio su tela
Roma, Accademia Nazionale di San Luca.

Contributo valutato da un referee anonimo nel rispetto delle finalità scientifiche, informative, creative e culturali storico-artistiche della rivista

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