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Architettura liquida e pensiero complesso  

Massimo Mariani
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 28 Ottobre 2016, n. 819
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Area Estetica

Se la forza dei maestri moderni sta
nella costanza, la nostra dovrebbe
stare nella diversità”
R. Venturi

 

La crisi del pensiero matematico, la relatività, la teoria quantistica, la cibernetica e la teoria dell'informazione convergono verso i nuovi paradigmi dell'a-razionale e dell'incertezza dei quali il pensiero complesso si fa interprete e costruttore di una nuova ontologia. “Meccanicismo”, “determinismo”, “classicismo”, “ordine ripetuto”, “linee rette”, “geometrie euclidee”, “causalità lineare”, la complessità li dissolve nella dialettica ordine/disordine, li sospende nelle “qualità emergenti” e nel concetto di “sistema organico”. Nel mutamento paradigmatico [1] che dalla fisica apre al modello biologico nel quale un sistema è pensato come ente organico ed evolutivo, la complessità rintraccia similarità strutturali e isomorfismi con altri sistemi di diversa natura, applicando principi uniformi. Un pluralismo che si contrappone al monismo della tradizione classica.

II pensiero complesso capovolge i criteri riduzionistici del paradigma razionalista, oltre gli orizzonti concettuali della scienza, investendo la realtà globale dell'uomo e la sua visione del mondo. Definire il concetto di "complessità" è uno tra i compiti più ardui del nostro tempo, l'estensione del suo concetto coincide con l'intera struttura del reale e le modalità di rappresentarlo. E. Morin, tra i maggiori interpreti di questa rivoluzione culturale, vede nella concezione illuministica una ragione degenerata nell'estremismo razionalistico che tenta di offrire una “spiegazione semplicistica” del mondo e di ciò che essa non comprende.

La logica della complessità interpreta quell’oltre che trascende certezze, identità e continuità, individuando e snodando trame invisibili alla classicità, in quanto architettura chiusa. Una dialettica tra estremi classico/anticlassico che sfascia le immote e predefinite simmetrie aprendo alle dinamiche asimmetrie della vita e dell'evoluzione. L'audacia della nuova architettura le traduce in forme estetiche liberatrici dalla millenaria "nevrosi" della classicità, volgendo alla costruzione di un habitat ecologico per l'uomo della post-modernità.

L'architettura è tra le migliori alleate della complessità. L'architettura complessa si contrappone al criterio meccanicistico di funzione e propone quello sistemico di organizzazione; organizzare spazi funzionali in un unico complesso sviluppa campi i cui gradi di funzionalità superano la pura somma dei suoi elementi. Spazi da gestire come insiemi ove gli uomini si relazionano, vivono, pensano, esprimono, sentono, imparano, producono, creano. Considerare la costruzione un vero e proprio organismo vivente sia come parte dell'habitat urbano, sia in quanto parte dell'intero naturale. Se per Le Corbusier “Il più alto diletto dello spirito umano è la percezione dell'ordine, [e] la più grande soddisfazione umana è di collaborare o partecipare a quest'ordine”, allora da questa nuova prospettiva quell’“ordine” è pensato come condizione particolare di un disordine dinamico, ordinato, evolutivo, poietico. Qui l’architettura si fa impronta umana sul mondo, spazio umanizzato che sfida il legiforme naturale superandone i limiti senza violarli, ponendosi come sintesi di ogni esperienza di vita e di conoscenza.

L'architettura liquida, il cui confine con l’architettura complessa è pressoché labile, è la forma più esplicita di arte compromessa con la scienza e la filosofia. Essa compie in questo clima una rottura epistemologica, una rivoluzione paradigmatica che ridisegna nuove forme per nuove dimensioni della realtà, aprendo a una visione olistica che privilegia l'organicità globale ai criteri cumulativi e settoriali nella teoria architettonica dei sistemi abitativi e urbanistici. Erede dell’anticlassico, primo a osare contro i canoni della classicità, la nuova filosofia dell'architettura traduce visibilmente l'interdisciplinarità dei saperi; alla riduttiva e monotona classicità del finito, essa risponde con la fluidità del non-finito, all'ordine statico e ripetuto propone l’“ordine caotico” e dinamico. L'architettura liquida, comprensibile attraverso canoni non-euclidei, nella sua spazio-temporalità, tratta una materia priva d'inerzialità che trova nel virtuale e nel Cyberspazio una libera e creativa espressione.

 

Il paradigma classico e il paradigma della complessità

L'idea di "modernità" trova nel Rinascimento la sua eredità. Di quella scienza fondata sull'uomo (N. Macchiavelli, Erasmo da Rotterdam, F. Bacone e M. E. de Montaigne), Shakespeare ne evocherà il pathos tragico con le sue contraddizioni. Essi svilupperanno un sapere e una epistemologia parcellizzati, eredità dei dettami aristotelici; in particolare, Galileo e Cartesio, concepiranno una scienza autoreferenziale secondo il paradigma scientista. Su tale sostrato ideologico, si identifica l'idea di “oggettivo” e la pretesa di unificare l'intero sapere, attraverso il metodo cartesiano fondato sui presupposti della razionalità logica e formale. Qui la modernità trae le sue origini identificandosi con “scientificità” e “razionalità”, come riduzione del reale al razionale mediante l'estensione della logica formale e dell'esperienza, e culminando nell’idealismo hegeliano.

La prospettiva razionalista, assunta come ideologia tra XIX e XX secolo, influenzerà tutte le esperienze culturali, da quella scientifica a quella umanistica e artistica, ponendole in conflitto tra loro [2] . L'eredità cartesiana sarà estremizzata nel Novecento con il circolo di Vienna, i cui contenuti verranno elaborati nel campo dell'arte e dell'architettura dal funzionalismo di Le Corbusier e dalla Bauhaus di W. Gropius nella prospettiva di un'unificazione teorica delle arti sotto i dettami razionalistici e delle esigenze del mondo industriale (P. Klee, V. Kandinskij). Tentativi apprezzabili di fuoriuscita dai modelli razionalistici e dallo “spirito della macchina” li offriranno l’acutezza e la sensibilità di A. Gaudi e di F. L. Wright; il primo con l’interpretazione spiritualistica dei contenuti stilistici, il secondo con la versione organica del funzionalismo.

A questo storicismo architettonico razionalista, nella seconda metà del secolo scorso, si oppone il post-moderno con forme linguistiche atte a interpretare la natura spontanea dell'uomo; in particolare, ciò si esprime con J. F. Lyotard che concepisce la modernità come qualcosa per la quale non ci sono alternative se non l'illogica casualità. Per J. Derrida, non vi è quindi possibilità per costruire, se non “de-costruire”; J. Habermas, al contrario, distingue la modernità dall'ideologia modernista riconoscendo nei suoi “principi autorevoli” le “narrazioni” di Lyotard, non presenti nella critica modernista alla realtà. Ne deriverà la critica post-moderna al modernismo tout court ma, in quanto critica ideologica, essa ridurrà alla stessa modernità.

Per valutare la portata rivoluzionaria del pensiero complesso è necessaria una riflessione nell'ambito del pensiero scientifico nel quale essa nasce, cresce e si sviluppa. Il paradigma razionalista fonda la spiegazione dei fenomeni naturali riducendoli ai loro componenti fondamentali. Il pensiero complesso capovolge tali criteri riduzionistici e apre a nuove prospettive che estendono oltre gli orizzonti concettuali della scienza, investendo la realtà globale dell'uomo e la sua visione del mondo.

Definire il concetto di "complessità" è uno tra i compiti più difficili del nostro tempo, la sua estensione riguarda l'intera costituzione del reale e le sue modalità di rappresentazione. Morin, tra i maggiori attori della rivoluzione del pensiero complesso, delinea questa "rottura epistemologica" con il paradigma culturale classico e l’eredità del razionalismo cartesiano, e del positivismo ottocentesco. Per il superamento del modello illuministico di una ragione degradata nell'assolutismo razionalistico, come “spiegazione semplicistica [del mondo], ci sono voluti nuovi sviluppi [e la necessità] che la ragione critica diventasse autocritica” [3] .

La critica epistemologica moriniana considera la cultura scientifica fondata su quattro paradigmi: a) ordine e regolarità, che rifugge disordine e incertezza; b) separabilità, che riconduce a elementi semplici un sistema; c) riducibilità, che spiega su termini di base; d) deduzione-induzione, derivabili dai principi di identità, contraddizione e terzo escluso [4] . Ad essa ha fatto eco il metodo cartesiano, assumendo la matematica (malhesis universaìis) come riferimento certo di “verità” e implicando, per conseguenza, la netta separazione tra res cogitans e res extensa, tra soggetto e oggetto, pur originata dalla riflessione del soggetto (coscienza) circa le modalità del suo conoscere e della relazione con l'oggetto conosciuto. Ciò ha determinato una divergenza tra ontologia ed epistemologia nella cultura contemporanea, tra pensiero umanistico e pensiero scientifico, in quanto

 

“Il metodo scientifico elimina la società e la cultura dalla costruzione della scienza fisica e biologica. [...] La disgiunzione tra le scienze naturali e le scienze umane è un prolungamento della separazione già stabilita da Cartesio tra res extensa e res cogitans [5] .

 

Nella seconda metà del XIX secolo, con l'emergere di nuove condizioni problematiche non risolvibili, viene reinterpretato il concetto di “scienza” con la scoperta delle geometrie non euclidee (F. Gauss, B. Riemann, J. Bolyai, N. Lobacevskji) e posta in discussione l'idea di “certezza matematica” reinterpretandone i fondamenti (B. Russell, K. Gödel), e, nel XX secolo, con l'esordio della teoria quantistica, dell'indeterminismo (N. Bohr, L. De Broglie, W. Heisenberg, E. Schrodinger, E. Fermi, P. Dirac) e della relatività (G. Ricci-Curbastro, T. Levi-Civita, H.  Lorentz, H. Minkowski, T. Kaluza, F. Klein, A. Einstein). Questo passaggio dall'idea di “assoluto” a quella di “relativo”, dalla “certezza” macrofisica e antropometrica all’“incertezza” microfisica, ha evidenziato l'insensatezza del programma riduzionistico nel risolvere l'intera realtà nelle scienze fisiche, la cultura e la dimensione psichica ed etica dell’uomo nelle scienze biologiche.

Il determinismo scientifico ha accentuato la propria influenza grazie alle scoperte della biologia molecolare nomologizzando un “disordine” pensato come impasse all'interno di un presunto “ordine” assoluto, non riuscendo a giustificare in questo quadro entropico il sussistere di un ordine biologico produttivo e conservatore della vita. Si è presa coscienza che il pensiero scientifico analitico, settorializzante e riduzionistico rischi di perdere di vista l’idea della “totalità”, del “tutto” e dell’”organico”, i quali prescindono dal monopolio paradigmatico delle scienze fisiche, estendendosi alle scienze umane e sociali, e pertanto di elaborare una “teoria dei sistemi” il cui “oggetto di studio consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per “sistemi in generale”” [6] .

La “teoria dei sistemi” evidenzia le trame strutturali e isomorfe tra strutture di diversa natura, per l'applicabilità di principi comuni. La natura eterogenea di tali sistemi è riducibile a una condizione di omogeneità sulla base di elementi descrivibili in senso olistico privilegiando la totalità rispetto ai suoi componenti. L'ascendenza del “globale” sul “parziale” si argomenta nell'indentificare i caratteri propri di un sistema i quali non sono riducibili ai suoi semplici componenti, ma considerabili - con le loro interazioni - come effettive “qualità emergenti”. Morin giustifica tali emergenze affermando che:

 

“Il tutto è molto più che una forma globale, [è] anche qualità emergenti. È ancora di più: il tutto retroagisce in quanto tutto (totalità organizzata) sulle parti. [...] Così perché le parole assumano un senso definito nella frase che esse formano, non basta che i loro significati vengano individuati fra altri nel dizionario, non basta che esse siano organizzate secondo la grammatica e la sintassi, bisogna inoltre che abbia retroazione della frase sulla parola, nel corso della sua formazione, fino alla cristallizzazione definitiva delle parole da parte della frase e della frase da parte delle parole” [7] .

 

Le carenze e la miopia della nostra cultura, per Morin, derivano dai canoni cartesiani di “chiarezza” e di “distinzione” dei concetti, assumendo l'idea del “semplice” come parametro di fondo che infirma l'idea di “sistematicità”. Su tali basi, l'assimilazione del determinismo come paradigma di riferimento rispetto al quale l'idea di “incertezza” si è sempre considerata difettosa come espressione di mancata conoscenza della realtà. Nello stesso senso, il “disordine” è una condizione apparente e formale dietro la quale si cela un ordine strutturale, così da ridurre il complesso al semplice della legge. Tutto ciò, secondo il filosofo e sociologo francese, ha contribuito a fuorviare l'idea di “sistema”, il rapporto tra ordine e disordine e la relazione tra il tutto e le sue parti, impedendo di comprendere l'impossibilità di ricondurre certi caratteri del sistema a semplici elementi delle sue componenti.

Al contrario, secondo la logica della complessità e della teoria dei sistemi se, da un lato, un sistema è possibile considerarlo come il numero dei suoi elementi componenti e pensabile isolatamente; da un altro lato, considerando le relazioni tra gli elementi costitutivi il sistema, diviene essenziale pensare quest'ultimo - come già detto – un insieme di caratteristiche non derivabili dalla pura somma delle sue componenti, le cui interazioni costituirebbero quelle emergenze irriducibili alle semplici componenti il sistema medesimo. L'approccio olistico alla realtà oggettiva e ai linguaggi culturali che la interpretano non vanifica l'identità e l'autonomia delle discipline, in quanto:

 

“una simile unificazione non avrebbe alcun senso se fosse unicamente riduzionista. [...] Ha senso solamente se è capace di afferrare ad un tempo unità e diversità, continuità e rotture. [Ciò] è possibile a una teoria dell'auto-eco-organizzazione, aperta su una teoria generale della physis. Fisica, biologia, antropologia smettono di essere entità chiuse, ma non perdono la loro identità” [8] .

 

Il tema della complessità – privo, a tutt’oggi, di uno proprio statuto epistemologico – rinvia al “problema di come si sia identificata la conoscenza con il tipo di formazione disciplinare inventato per le scienze nel corso del XIX secolo” [9] . La logica della complessità origina dalle scienze cognitive [10] ed evolutive, dalla teoria dei sistemi e dall’epistemologia sperimentale. Su tali presupposti, si iniziò una riflessione collettiva di pensatori di svariate estrazioni disciplinari, incrementato e accelerato dagli sviluppi della cibernetica fucina di esperienze trans-disciplinari come la neurofisiologia, la fisica dei quanti, l’antropologia, la psicologia, la sociologia, l’economia, ecc.

La nuova epistemologia coinvolge in senso più esplicito le discipline di confine come l'architettura, nella quale convergono più tipi di conoscenze i cui contenuti culturali sono molteplici e trasversali. Tale condizione apre l'architettura, in quanto “arte compromessa”, alle discipline scientifiche nel loro insieme, nonché a reinterpretazioni filosofiche sulla sua valenza epistemologica e culturale. Il pensiero complesso e il concetto di “liquidità”, parallelo a quello di “complessità”, sanciscono prospettive innovative rispetto alla classicità, intrecciando relazioni con il decostruttivismo. Il pensiero liquido può considerarsi un precursore del decostruttivismo in quanto esso può reinterpretarsi e riproporsi attraverso equilibri e fluidità delle forme e delle funzioni. Allo stesso modo, non può essere compreso il concetto di “liquidità” senza una lettura delle trame ontologiche del reale offerta dalla grammatica della complessità.

Uno dei termini fondamentali è il concetto di “ordine” il quale, proprio della mente umana, non intrinseco nelle strutture della natura. È il soggetto infatti che pensando riduce la realtà ai propri modelli; al contrario della fenomenologia hegeliana che identifica pensiero ed essere, soggetto e oggetto, il pensiero complesso ne rintraccia i legami profondi pur nella diversa identità. La complessità ripensa il soggetto come apertura alla realtà, una realtà sulla quale lascia la propria impronta, senza tuttavia restringerla entro i propri schemi. È in questo nuovo “soggetto” che le scienze naturali e antropo-sociali possono coniugarsi, ed è in tal senso che, “accanto ai concetti innovativi di sistema, inter-relazione, organizzazione, evento organizzatore, è fondamentale il recupero del soggetto di conoscenza” [11] .

 

Il pensiero liquido

Il soggetto, con le sue paure e incertezze, è al centro di un sistema di riferimenti che via via perde solidità. Z. Bauman riconduce il fenomeno ai prodromi della postmodernità mediante le metafore di modernità liquida e solida: l'incertezza della società moderna originerebbe dal degenerare dei soggetti da produttori a consumatori. Il consumismo implica, di conseguenza, la logica del rifiuto umano, l'omologazione planetaria e la “civiltà della paura”. La società liquida, pertanto, si configura tramite il post-modernismo che apre la crisi delle “grandi narrazioni” le quali proponevano un modello di ordine, all’interno del quale interpretare la storia del nostro passato [12] .

Secondo Bauman, “liquidità” indica lo status fisico della società tra l’età moderna e post-moderna riconducibile a un policentrismo di attività umane, intessute da una fitta rete di interazioni. Il sistema collettivo offre ampie possibilità di soluzioni per il suo investimento; in particolare, si delineano due condizioni: la prima che assume l’incertezza come crisi, l’altra che ne trae un valore. La distinzione contribuisce a definire il significato di “modernità”; secondo B. Zevi, “La modernità è quella che fa della crisi un valore e suscita un’estetica di rottura”. Egli lega l’idea di modernità a due condizioni: a) la crisi, che può tradursi in nuovi fenomeni culturali; b) l’estetica di rottura che prescinde dalla concezione del “bello” tout court, descrivendo mutamenti con nuove forme linguistiche e coinvolgendo ogni espressione dell’arte (poesia, musica, pittura, architettura). Una nuova estetica che interpreta il mutamento in atto e che propone grandi possibilità per coglierne i frutti.

Il postmoderno si differenzia e s’interpreta sulla base dei dettami della modernità. I tratti caratteriali che delineano questa modernità "interpretata" (tra Cartesio e F. Nietzsche) si riconoscono: a) nella convergenza tra teoria e prassi, legittimando una conoscenza assoluta nella quale si identifica il potere (fondazionalismo metafisico); b) nel valorizzare l'idea della "novità" secondo un percorso lineare; c) nel concepire la storia secondo i paradigmi della libertà e degli ideali etici, attraverso i dettami dell'illuminismo, del proletariato e del progresso scientifico; d) nel subordinare l'eterogeneo e il divenire alle categorie della totalità e dell'unità verso un orizzonte ontologico e storico assoluti.

A ciò il modernismo contrappone il rifiuto dei grandi sistemi filosofici con le loro forme forti e narrative, proponendo: a) versioni razionali deboli e instabili, negando fondamenti assoluti alla conoscenza; b) la negazione dello scorrere del tempo e dello spirito storicistico della realtà, ovvero l'idea di “universalità” e di “emancipazione della storia” sotto l'egida degli intellettuali; c) il transito dal paradigma della totalità a quello del molteplice e della pluralità, con la consapevolezza che non esiste un solo mondo ma molti mondi. Lyotard fa notare che “si parla spesso di “post”, ma, molto spesso, è un “pre” che si ha in mente” [13] . Egli critica la tesi secondo cui il post-moderno si pone come evento in successione lineare rispetto al modernismo, affermando che tale idea è essa stessa moderna in quanto derivante dal paradigma stesso di modernità; al contrario, essa deve “inaugurare qualcosa di completamente nuovo” [14] .

Il policentrismo e la rete associativa riflettono la consapevolezza dell’intera società, sancendo l’oggettivazione della rivoluzione informatica la cui valenza innovativa compete con le rivoluzioni agricola e industriale. L’informatizzazione, in quanto assenza dell’inerzialità, costituisce la nuova economia, assieme alla materia e all’energia; essa è la linfa che alimenterà l’economia globale. Afferma A. Saggio:

 

Il mondo di oggi è permeato dall’informazione. L’informazione, anzi, è esattamente la materia prima dell’architettura di oggi! Sì, non è più il mattone, è l’informazione. Una informazione che penetra nei nostri database, crea gli algoritmi dei nostri progetti, determina inedite possibilità di mutazione e adattamento topologico, che segna la possibilità di gestione, trasformazione, sviluppo anche futuro dell’edificio [15] .

 

Un dinamismo che origina dalla nuova materia di assumere diverse configurazioni; l’idea di liquidità presenta l’informazione come materia fluida che assume forma dagli input a cui è soggetta, rendendo l’immagine in perenne mutamento. Definire in tal senso l’“informazione” permette di concepire una connessione tra modernità, crisi ed “estetica di rottura”, nonché induce alla riflessione sull’idea che modernizzare non vuol dire esclusivamente “liquefazione”, ma anche “ibridazione”.

Per cogliere il senso della rivoluzione digitale è necessario riflettere sui mutamenti delle modalità di comunicazione, comprenderne i modelli di riferimento e su come prendano forma esigenze e aspirazioni. Il senso di questa ricerca si pone dal punto di vista del problema architettonico con l’analisi dei tratti caratteriali di un’architettura della crisi, di un’architettura che incarni quell’“estetica di rottura” all’interno della rivoluzione informatica. Con l’era industriale, l’utilità ha sostituito la bellezza, processo innescato dal funzionalismo come sostrato culturale dell’architettura razionalista, le cui ricadute sulla società globale hanno avuto un duplice riscontro sull’architettura e sul mondo dell’informazione in generale.

 

Il decostruttivismo

Il sostrato filosofico del decostruttivismo è il post-strutturalismo [16] , linea filosofica connessa parzialmente al pensiero di Derrida. Egli critica il logocentrismo della psicoanalisi e della fenomenologia, rielaborando il concetto di “differenza” ontologica di M. Heidegger, sostenendo che l’essere è differenza, irriducibile ad ogni identità in quanto differisce già da se stesso. Sostiene inoltre l’abbandono del linguaggio puro che pretenda cogliere l’essere nella sua essenza. Derrida considera che alla base del linguaggio non vi sia una parola detta, ma una scrittura all’origine, sovvertendo l’ordine tra voce e scrittura e assegnando a quest’ultima la funzione primaria di accesso all’essere mediante l’idea di “differenza”.

Il decostruttivismo nasce come teoria letteraria diffondendosi, poi, in altre esperienze culturali. Una decostruzione del “logocentrismo” che si propone di demolire le antinomie nell’interpretazione di un’opera, di “smontare le parti di un tutto”. Il contenuto filosofico decostruttivista è “pensare il proprio pensiero”, un processo auto-riflessivo elevandosi a meta-comunicazione, superando selve di strutture e frammentazioni categoriali. Una svolta epistemologica che apre alla trasversalità interdisciplinare e alla diffusione dei contesti. All’eccessiva attenzione alla forma, che trascura il contenuto tematico e creativo di un’opera (secondo lo strutturalismo), la decostruzione sconvolge il criterio classico del costrutto; essa, pur riconoscendo all’interno di un sistema un’intrinseca coerenza, ne estrapola le logiche usandole per smantellarlo.

Nel radicalismo rivoluzionario derridiano nulla è accolto secondo un criterio d'evidenza, ma tutto viene dissolto dal procedimento della decostruzione, in quanto “la decostruzione è la de-naturalizzazione del naturale”. Riconosciuta estranea al nichilismo, la decostruzione riesce tra le forme più irruenti dell'ermeneutica contemporanea estremizzando l’ermeneutica utilizzata da Nietzsche e Foucault. Dalla fenomenologia di E. Husserl, dall'ontologia di Heidegger, dallo strutturalismo linguistico di F. de Saussure e dalle riflessioni di Nietzsche e di S. Freud, Derrida elabora una decostruzione della “metafisica della presenza”. Tale presenza viene decostruita ridefinendone i contenuti; all’interno della stessa antinomia, da un lato, nella sua affermazione più esplicita e idealizzata; dall’altro lato nella complessità della sua struttura.

Derrida non concepisce la decostruzione come metodo d'interpretazione. Il concetto di “metodo” si elabora all’interno di quella filosofia nei cui presupposti la stessa decostruzione si riconosce. Al di là degli schemi di relazione tra soggetto che pensa e oggetto conosciuto, la decostruzione penetra e trasforma le stesse strutture e istituzioni. Una circolarità tra l'elemento oggettivo e quello soggettivo nella quale emergono analogie, processo decostruttivo ed ermeneutica. Tuttavia Derrida si distanzia dai principi che fondano l'ermeneutica i quali legano la “metafisica della presenza” al “logocentrismo”. Le ricadute della riflessione derridiana hanno coinvolto vari ambiti del sapere dalla letteratura al diritto, dall'architettura all'arte in generale [17] .

Il programma derridiano è “decostruire” dall’interno la filosofia con l’ordine strutturato dei suoi concetti, come dall’esterno in quanto essa non potrebbe definire. Sovvertendo una struttura, emergono le contraddizioni celate in ogni sistema presunto “ordinato” individuandole come suoi germi distruttivi, usando lo stesso principio decostruttivo senza richiamarsi a un principio superiore. “Decostruire” non muove da un’idea all’altra ma rivoluziona un sistema concettuale perfetto, una sintesi che supera le antinomie approdando non nel contraddittorio assoluto, ma riconoscendole parti attive di un complesso dialettico. La decostruzione non origina da un nuovo sistema logico dato, ma è interna al sistema, agisce in esso ponendolo perennemente in crisi, in quanto “la logica dell’argomento usato per difendere una posizione contraddice la posizione che è stata affermata” [18] . Non si afferma l’autoriflessione del testo, ma si ricava il tarlo del paradosso mediante il quale si decompone il discorso e la coerenza tra l’essere e l’agire.

L’opposizione al dissolvimento nichilista, mossa dalla fenomenologia, dal marxismo umanista e dall’esistenzialismo analitico, si esprime nell’“oltrepassamento” heideggeriano, il quale affida all'architettura la funzione di tradurre, mediante l'opera d'arte, la coscienza dell’appartenenza di una società a una certa epoca. Nel programma decostruttivo dell'ontologia, Heidegger tenta di superare la dialettica hegeliana attraverso un’ontologia ermeneutica, mostrando il forte legame tra 'essere' e 'linguaggio'; una sostanziale relazione tra “decostruzione” heideggeriana e derridiana, il cui processo decostruttivo mira al senso stesso di un sistema o di una qualsiasi realtà. Il “decostruire” è inteso nella sua accezione positiva, in quanto la “distruzione appartiene alla costruzione” [19] . Nella riflessione ontologica, Derrida estremizza le istanze heideggeriane sulla definibilità e sull’identità dell'Essere, avendo in sé un'intrinseca differenza costitutiva di ogni spazio esistenziale, rispetto al quale tutto è decentrato, quindi non esprimibile.

Tuttavia, la sterilità linguistica rispetto all'essere si rapporta alla presenza stessa del linguaggio il quale muove sulla scia dell'Essere, rinviando alla sua stessa origine e decentrando la ragione fondativa dello stesso interrogativo sull’Essere. Secondo Derrida, il linguaggio, non fondato su presupposti metafisici, si riduce alla sola impronta, ovvero la scrittura, sulla quale origina il discorso. Emergono le radici antropologiche del problema dell’essere.

 

La critica contemporanea suole contrapporre il decostruttivismo a post-moderno, ma ciò risulta ingiustificato. Subordinare, da parte del modernismo, l'eterogeneo alla totalità è il bersaglio comune al decostruttivismo e al post-modernismo; quest’ultimo infatti propone un mutamento dal paradigma della totalità a quello del molteplice; così il decostruttivismo, a sua volta, stravolge l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica creando geometrie instabili e decomponendo le forme pure.

Si è riflettuto sull’idea di “modernità” elaborando varie tesi sociologiche sulla vita comunitaria dell'uomo giungendo alla necessità di una nuova scienza empirica come “teoria sociale” della modernità come “scienza interpretativa dei mutamenti intercorsi nel passaggio dalla società tradizionale a quella moderna” (M. Ghisleni 1998). C’è da considerare che per Habermas la sociologia “si occupa soprattutto degli aspetti anomici della disgregazione dei sistemi sociali tradizionali e della formazione di quelli moderni” [20] . Lo status della modernità è tuttavia ampio e la complessità degli enti ai quali essa si richiama implica riferimenti a tempi e modelli tra loro diversissimi.

Nel rapporto con la fenomenologia, il pensiero derridiano si pone fra storicismo e strutturalismo, in particolare nell'analisi sulla genesi storica e metastorica (strutturale) delle idee husserliane. Secondo Husserl, infatti, è deducibile l’esistenza di un “io trascendentale” non conforme ad una logica pura e accessibile attraverso l’esperienza. Per Derrida, al contrario, un “io trascendentale” puro è astratto, prescinde dalla storia; il trascendentale in quanto tale coesiste alla realtà pur non essendone definito. La decostruzione concepita come indagatrice dell'esperienza, a sua volta, emerge come costruzione, esibendo delle condizioni a priori nascoste nella realtà, ma, tuttavia, come causa della sua stessa esistenza. Derrida e i filosofi post-moderni, definiti nichilisti, come espressione della precarietà del pensiero occidentale, sono criticati dal mondo scientifico per l’incomprensione sui risultati della fisica quantistica e di decostruzione dell'epistemologia moderna; per N. Salngaros, in particolare, il decostruttivismo in architettura equivale a un “virus” contaminante il pensiero logico e la conoscenza in generale.

Con l’introduzione da parte di R. Dawkins del modello del meme [21] , come fattore interpretativo sulla trasmissione delle idee, Salngaros conferma le tesi critiche di R. Wolin sul contenuto logico nihilista della filosofia derridiana. Tuttavia, Salingaros, proprio sulla base delle tesi di Dawkins, lo contesta considerando queste stesse tesi come altre forme di meme. Salingaros, inoltre, condivide la posizione di C. Alexander che pone in relazione la religione con la geometria, riconoscendo il ruolo storico della tradizione religiosa nel processo della conoscenza, in particolare nella relazione tra architettura e filosofia.

Nel dibattito tra letteratura, arte e architettura, non vi è ente che indichi qualcosa senza che questo si riferisca ad altro che non sia presente, in quanto ogni ente può trasformarsi in un’espressione che, a sua volta, muti altri enti di un sistema. Il solo elemento esprimibile è la “differenza”; qualsiasi testo interpretato (letterario, figurativo, architettonico) deve sottoporsi ad una rilettura la quale, a sua volta, produrrà un ulteriore testo, aprendo un processo ermeneutico all’infinito. Un aspetto fondamentale della decostruzione è la trasversalità interdisciplinare: l’intrecciarsi dei confini tra i saperi, o tra forme d’arte, apre alla contaminazione dei contenuti epistemici e alla dispersione dei contesti. Un mix di strategie della logica decostruttiva con le logiche della complessità e della teoria dei sistemi. Da tali sinergie disciplinari, emergono forti relazioni tra filosofia decostruttivista e architettura.

 

Il decostruttivismo in architettura

Il decostruttivismo - movimento che si vuole contrapposto al post-moderno - intende “de-costruire ciò che è costruito”, interpretando la costruzione e il progetto come testo e sovvertendo il rapporto tra significato e forma [22] . Per Derrida, la decostruzione in architettura

 

“non è semplicemente la tecnica di un architetto che sa de-costruire ciò che è costruito, ma una interrogazione che tocca la tecnica stessa, l’autorità della metafora architettonica e di lì costituisce la sua personale retorica architettonica. La decostruzione non è solo, come il suo nome sembra significare, la tecnica della costruzione alla rovescia, se essa sa pensare l’idea stessa della costruzione. Si potrebbe dire che non c’è nulla di più architettonico della decostruzione, ma anche nulla di meno di architettonico. Un pensiero architettonico può essere decostruttivo solo in questo senso: come tentativo di pensare ciò che stabilisce l’autorità della concatenazione architettonica nella filosofia” [23] .

 

Tra gli aspetti costruttivi della filosofia derridiana, l’impegno che l'architettura è chiamata a svolgere è: a) depurare la razionalità dall'ideologia razionalista, risolvendosi nell’estrema versione del de-costruire; b) continuità nel post-modernismo, elaborando un concetto più maturo di “modernità”; c) nuova logica progettuale secondo l'idea multidimensionale di conoscenza. Si apre un discorso di depurazione dai vecchi paradigmi, di dislocazione dalle fissità classiche del “costruire” in opposizione al fluido “de-costruire”; in altri termini, l’architettura si reinterpreta non più nella sua staticità, ma come architettura dislocata tra costruzione e de-costruzione, o meglio, una dialettica tra costruibile e de-costruibile. Questa “dislocazione” si attua attraverso la “distorsione tipologica” (Torri del Peak - Z. Hadid, Hong Kong, 1983), svalutando i materiali tradizionali, ribaltando tra interno/esterno degli edifici, aprendo le pareti (Ove Arup).

La valenza della interdisciplinarietà sulla quale è impostata la nuova teoria dell’architettura (1985) viene espressa nella collaborazione tra il filosofo Derrida e gli architetti P. Eisenman e B. Tschumi per un progetto del parco della Villette di Parigi, sancendo il concetto di “decostruzione”; in particolare, il primo è il fedele traduttore del decostruzionismo derridiano. Le forme regolari cedono a forme oblique e frammentarie, attingendo parzialmente al costruttivismo russo (J. G. Chernikov, K. S. Melnikov). Il paradosso è che l’idea di casa come “habitat” sia inversa alla percezione e all’interpretazione dell’uomo del proprio ambiente [24] .

Varie tendenze si diffondono nella seconda metà dello scorso secolo, dall’architettura decostruttivista di Tschumi come diretta espressione del pensiero derridiano, al più complesso stereotipo dell'iper-frammentazione di D. Libeskind; da Frank O. Gehry, autore del Guggenheim Museum di Bilbao, che decostruisce in senso sostanziale sviluppando il “non-finito”, e perturbando i tradizionali canoni di verticalità e orizzontalità, ad Hadid la quale, prescinde dal pensiero derridiano, riprendendo dalle scuole del costruttivismo russo e del suprematismo di K. S. Malevic. Un'architettura "senza geometria" [25] , piani e assi privi di tradizionali strutture e particolari architettonici, una anti-architettura avvolta su se stessa e che, nello stesso tempo, si dipana attraverso la duttilità delle sue geometrie.

Sintesi tra una nuova concezione dell’habitat costruito e dello spazio architettonico nel quale il caos ha una funzione ordinatrice. L’instabilità geometrica caratterizza le opere decostruttiviste decomponendone le forme, frammentandone i volumi, scomponendo in asimmetrie, senza canoni estetici tradizionali. Il decostruttivismo, decostruendo ciò che è costruito, ripensa un'architettura nella quale ordine e disordine coesistono senza contraddirsi. La ricerca decostruttivista è una derivazione del costruttivismo russo del secolo scorso, che infranse l’equilibrio e la gerarchia della composizione classica, “destabilizzandone la purezza formale”; essa, esasperando le opere degli architetti russi, portò a compimento il radicalismo avanguardistico costruttivista [26] .

 

Se dunque l’architettura decostruita non può subordinarsi alle sole funzioni, tuttavia l’architettura di Eisenman e Tshumi è pensata ancora come riparo umano. Secondo Derrida, la ragione dell’esperienza architettonica risiede nella ricerca di nuove forme, sperimentarne le possibilità evolutive e inventando nuove architetture. Tali condizioni estreme si rendono possibili grazie alla Cyber-architettura. Eisenman ne è uno degli ispiratori. La Cyber-architettura, creando spazi virtuali della percezione, attinge alla tesi derridiana sulla perdita di funzionalità, per la quale prevede una architettura svincolata dalla sola funzione abitativa una “architettura esclusivamente [come] spazio del vissuto” (A. L. Rossi).

Tra pura virtualità e architettura costruita esistono alcuni tratti comuni. Significativo il riscontro nella decostruzione sulla perdita della funzione dell’abitare e che la Cyber-architettura ha derivato, da un lato le geometrie non ordinarie, l’abbandono degli schemi figurativi tradizionali e l’interpretazione estensiva dell’idea di “forma”; dall’altro lato la negazione del sistema architettura/funzione abitativa come criterio fondante della logica progettuale.

Per Derrida, la filosofia dell’architettura decostruttivista è sostanzialmente irrazionale; la decostruzione infatti non corrisponde all’idea di demolire edifici, né ad una “metafora architettonica”, ma un approccio positivo a una diversa idea di “costruzione”. Una costruzione decostruttivista è un costruire non logocentrico che non accentri il senso della costruzione e la chiuda su se stessa, ma, al contrario, la apra al contesto con le sue variabili ed evoluzioni.

Ma se il logocentrismo configura il senso tradizionale con cui l’habitat viene concepito dalla nuova filosofia dell’architettura, tuttavia

 

“il Logocentrismo, che può condurre alla decostruzione attraverso la ri-articolazione Metafisica, si incentra sull’architettura, seppur trascendendone le etichette. Il pensiero architettonico [...] può essere considerato decostruzionista solo nel seguente significato: come tentativo di visualizzazione di ciò che stabilisce l’autorità che unisce architettura e filosofia” [27] .

 

Per Eisenman, la decostruzione è speculativa, ricava l’irrazionale dal razionale, svelando realtà nascoste. La filosofia di Eisenman concepisce i progetti decostruttivisti in contrasto con l’insieme, un’architettura dell’alienazione, auspicando un rinnovamento del metodo. Gehry, l’architetto della frammentazione, tuttavia non decostruisce il sistema dell’architettura nel suo complesso, così Tshumi che apre al concetto di “creazione” in architettura come destabilizzazione dei processi creativi.

La dialettica di Gehry e di Eisenman converge nell’anticlassicismo smentendo in qualche modo i contenuti stessi del decostruttivismo il quale trae il proprio significato da ciò che è stato già edificato. Tra i concetti che il decostruttivismo ha infranto è quello di “spazio”. Uno spazio immagine del caos che dissolve la percezione; ne consegue che il sistema habitat è decentrato e sviluppato secondo geometrie prive di elementi precostituiti. Lo sviluppo di organismi architettonici è il risultato di diverse tendenze interpretative intorno all’idea di “decostruire”.

Hadid, al contrario, concepisce un agire dinamico. La “dinamica” è stato il paradigma fondamentale nell’architettura del XX secolo, oggi si impone un’architettura basata su una sintesi formale all’interno di un’ampia complessità spaziale, espressione di una complessa articolazione dei volumi. Lo spazio decostruttivista non è uno spazio euclideo, non descrive spazi ed elementi ordinati e coerenti in un quadro predefinito, ma è uno spazio che riflette l’irrazionalità e contiene in sé tutti gli effetti della rivoluzione culturale del nostro tempo. Nuove geometrie che descrivono nuovi spazi abitativi per possibilità alternative al modo tout court dell’abitare, una geometria che esula dai solidi idealistici e statici, propri di un pensiero logocentrico e platonico, aprendo a un ordine dinamico, un “ordine caotico” che interpreti lo stato critico e destabilizzante della società contemporanea.

La città post-modernista disgrega il paradigma della pianificazione modernista e della prevedibilità ordinatrice, implicando ricadute sul piano psicoanalitico: l’architettura decostruttivista esprime la crisi identitaria di una società in rapida trasformazione. È questa rapidità il valore aggiunto alla normale crisi di un’epoca, in quanto tratto caratteriale della cyber-cultura e della Globalizzazione. Condizioni di un vissuto di incertezza e di piena crisi d’identità di una società che la cyber-cultura incarna nella progettualità virtuale degli spazi.

La società della cyber-cultura, attraverso gli spazi della percezione, smaterializza il vissuto, procede dalla realtà fisica a quella della virtualità. Le nuove geometrie non euclidee riflettono l’incertezza e il bisogno di ricercare forme di vita lontane dalla tradizione. La cyber-cultura fa eco a tali esigenze attraverso la filosofia derridiana della decostruzione la quale ne definisce i presupposti, e il pensiero liquido di Bauman che ne denuncia gli effetti. La decostruzione evidenzia le contraddizioni interne del sistema e, mediante l’ermeneutica, lo destruttura costantemente.

La cyber-cultura si esprime in senso esplicito nella rivoluzione informatica e nel post-moderno. In questa interazione tra decostruzione e virtualità, l’immaterialità delle immagini, l’assenza d’inerzialità si fanno cultura di una società ripensata sulla sovrapposizione e sul caos. Una trans-architettura mediata dalla cyber-cultura. Se quindi il progetto è la matrice dalla quale fiorisce il criterio cognitivo della de-costruzione, progettare attende un proprio rovescio: un procedimento speculare de-costruttivo. Il senso che danno le scienze cognitive al concetto di “progetto” restringe al contingente, a quei processi interni all’intero naturale il cui atto originario è affidato al puro caso. Dunque, il “caso” attiverebbe una serie di progetti al proprio interno o, se si vuole, il progetto in senso assoluto che nega se stesso. Ma tutto questo chiude nella contraddizione.

 

Pensiero complesso e architettura organica

La consapevolezza che non esista un unico punto di vista sulla realtà ma una pluralità di aspetti dai quali considerarla, ha condotto ad una successiva presa di coscienza circa la possibilità di scegliere l’arte come un modo più aperto di osservare il mondo. L’architettura, quale arte compromessa che concentra in sé varie forme di sapere, concretizza questa libertà verso possibili sinergie intellettuali. Il concetto autentico di “complessità” non si assimila come “incertezza” nella sua accezione negativa, ma nel significato costruttivo di “multidimensionalità”; in esso si compendiano tutte le discipline quali immagini di un unico sistema all’interno del quale tali categorie sono intercomunicabili.

Il pensiero complesso illumina sulle insufficienze e gli errori del razionalismo esasperato che espunge tutto ciò che sfugge dalle categorizzazioni presunte privilegiate e dalle sovrastrutture prestabilite. Dinanzi a tale pericolo, Morin invita a

 

“pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni fra ciò che è disgiunto, di sforzarci di comprendere le multidimensionalità, di pensare con la singolarità, con la località, con la temporalità, ma non dimenticare mai le totalità integratrici”.

 

Al binomio “semplice/complicato” si contrappone il “complicato/complesso”, alla presunta “oggettività” la “relazione reciproca”, il non ridurre semplicemente dall’infinito al finito, ma spiccare un salto qualitativo dall’infinito della complicazione al finito della complessità. Da tale trasformazione emergono significati che altrimenti, con l’idea riduttiva della complicazione, non risalterebbero. La realtà non è né semplice né complessa, è l’uomo che costruisce sistemi e, mediante questi, ne interpreta e ne informa la struttura; la condizione d’incertezza che ne deriva tra fenomeno modellizzato e sistema osservatore induce a reinterpretare l’idea di “razionalità”. Un passaggio dal razionalismo a una razionalità metodologica.

Nello stesso concetto di “differenza” derridiana, fondato sul dubbio e sull’ambiguo e che prescinde dalla storia e dalla struttura, si innesca provocante il concetto di “complessità”. L’incertezza che insinua la coscienza dell’uomo smitizzando l’dea di “onniscienza” che ha presunto porsi a guida della storia, indicando il fine dell’arte e dell’architettura, sfalda quei codici che selezionano i contenuti e i temi del progetto. Se, da un lato, si apre un mondo incerto, da un altro lato, al di là della crisi in quanto tale, nasce lo stimolo a valutare le possibilità espressive di un mondo, o meglio di mondi, sempre più ampi e complessi con i quali la nostra intelligenza si va confrontando.

D’altra parte, il decostruttivismo filtra il post-moderno e l’idea organica nell’architettura, traendo i propri contenuti linguistici dalla geometria frattale, non-euclidea e quanto-spaziotemporale. Non essendo lo spazio semplicemente antropometrico, esso apre a ulteriori dimensioni, assimilandole alla molteplicità delle proprie funzioni. Sul piano della percezione si evolve dal puro sguardo alla visione, dalla prospettiva del sensibile, che restringe allo spazio iper-dimensionale, alla sua liberalizzazione con la virtualità, dalla dimensione dell'oggetto a quella dell'evento che muta il senso stesso del progetto.

La scienza, da parte sua, interpreta il mondo naturale, di cui la tecnologia è l’azione trasformante; tuttavia essa è un’azione confinata all’interno del nomologico. L'architettura, mediante la creatività, varca questo limite, oltre la semplice lettura analitica del mondo e delle sue trasformazioni, c’è l'uomo come realtà emergente sulla totalità fenomenica; ovvero, la creatività dell’arte e l’architettura. Dice Le Corbusier: “L’architettura è un fatto d’arte, un fenomeno che suscita emozione, al di fuori dei problemi della costruzione, al di là di essi. La costruzione è per tener su. L’architettura è per commuovere”.

L'architettura, quale atto creativo, è il fertile paradosso che aspira alla razionalità pura, superandola. Ordine e ribellione; su tale apparente contraddizione s’implementa la dialettica ordine-caos, si sfida il legiforme con la creatività, controllando la natura. Come afferma E. L. Boullée, “l’architettura è l’arte di progettare e portare alla perfezione un edificio qualsiasi”. Il punto, però, è definirne il senso in questo contesto. Se essa corrisponde non solo a puri rapporti di equilibrio tra condizioni fisiche, tecniche ed estetiche, ma estende alle condizioni ecologiche e sistemiche, psichiche ed etiche, secondo la logica di un “caos ordinato”, allora “l’arte di progettare” giunge al suo compimento.

 

Dalla subordinazione razionalista della progettazione architettonica alla progettazione urbanistica come razionalizzazione delle forme architettoniche in relazione alle proprie funzioni. Questo è il cammino che impegna la nuova filosofia dell’architettura. Un'economia degli spazi e dell’analisi dell’architettura come fattore evolutivo e di progresso, integrando la tecnologia con la dimensione estetica. Dall'architettura organica la libera creatività si svincola dalle sovrastrutture imposte dai canoni culturali, verso l’unità delle componenti tra luce e spazi visivi. Su tali premesse, si armonizza l’edificio con l’ambiente esterno, lo sviluppo orizzontale e l’adattamento morfologico dei luoghi naturali. È l’eredità del funzionalismo organico di Wright [28] , dal quale tutti i movimenti successivi hanno attinto sviluppandone particolari aspetti.

L’architettura organica, contrapposta a quella razionalista che ha dominato il XX secolo, esprime nella logica del progetto le strutture normative e le logiche della complessità degli organismi viventi. Tale concetto, che può sintetizzarsi nell’architettura della complessità, è il punto di approdo di un lungo processo evolutivo che muove dal futurismo al neoplasticismo, così dall’architettura organica funzionalista al decostruttivismo. Gli strumenti della geometria frattale e di alcuni aspetti della logica della complessità vengono utilizzati dagli architetti e dagli urbanisti nell’ambito della progettazione. Tuttavia va considerato il fatto che definire “architettura complessa” vuol dire assumere una nuova filosofia dell’architettura, introdurre nuovi paradigmi all’interno dei ragionamenti del progettista, nuove ottiche dalle quali vedere il mondo, sia negli spazi naturali sia negli spazi culturalizzati, in modo completamente nuovo.

Wright, legando l’edificio all’ambiente, coniuga l’azione dell’uomo con la natura ove la forma determina la propria funzione come “organismi plasmati sulle necessità psicologiche dell’uomo”. Esempi sono la Casa Kaufmann (Casa sulla cascata), un connubio tra edificio e natura, e il Guggenheimm Museum di New York uno spazio privo di separazioni con forma a spirale. C’è di più. La relazione tra individuo e società, all’interno della realtà naturale, è concepita come evoluzione dal semplice al complesso; l’architetto americano contrappone all’antropometria classica dello sviluppo in verticale di Le Corbusier un’antropometria orizzontale aperta alla natura e al divenire, in quanto:

 

“l’architettura deve riflettere con naturalezza quella realtà mista di occulta simmetria, grazia e ritmo che rappresenta l’essenza più profonda di una dimensione naturale di vita. […] l’architettura organica è un’architettura prima di tutto naturale, fatta di natura per la natura” [29] .

 

Lo spazio possiede una propria struttura mediante la geometria, o le tante geometrie, l'architettura ne trae le forme (virtuali) dando loro vita. Il concetto di “processualità” deve assumersi come input per delineare i tratti evolutivi delle forme. Le forme, infatti, sono l'espressione ontologica ed estetica dell'esistere, e in esse è contenuto lo stesso processo evolutivo e dinamico degli enti esistenti: “non esiste metamorfosi senza forma, non esiste forma senza metamorfosi”. Tali trasformazioni coinvolgono la struttura del reale manifestandosi nelle trasformazioni sociali, storiche, politiche, linguistiche, estetiche, pertanto il processo trasformante non procede in senso lineare, ma discontinuo, oscillante tra la memoria storica e l’oltrepassare l'immobilità del sapere.

La nuova architettura teorica non prescinde dallo “spazio del vissuto” in quanto intrinseco alla complessità del mondo. Wright, al di là della radice razionalistica alla quale appartiene e considerando il carattere organico della sua filosofia progettuale, si esprime:

 

“è giunta l’ora per l’architettura di riconoscere la propria natura, di comprendere che essa deriva dalla vita e ha per scopo la vita come oggi la viviamo, di divenire la più intensa espressione dell’uomo”.

 

Come approccio cognitivo alla progettazione, libero da dogmatismi classicisti, per P. Feyerabend:

 

“abbiamo bisogno di un insieme di assunti alternativi o, dal momento che questi assunti saranno del tutto generali di costruire, per dir così, un intero mondo alternativo al fine di scoprire i caratteri del mondo reale in cui pensiamo di vivere” [30] .

 

Movimento parallelo dell’architettura organica è la scuola di Graz (G. Domenig, E. Hunt, E. Gross, F. Gross, W. Hollomey, H. Pichler), trasversale all’architettura decostruttivista, il cui programma è liberarsi dalle forme obsolete e di ogni segno predefinito, virando su fenomenologie di relazione e di rapporti tra differenze. Presupposti per una filosofia dell’architettura che interpreta i mutamenti sociali, culturali e politici, e, attraverso strategie originali come gli “spazi-laboratorio”, propone soluzioni tali da imporsi come polo di ricerca avanzata. Il punto forte è abbandonare i modelli tradizionali sulla concezione dello spazio aprendo ad una analisi critica intorno agli schemi organizzativi del territorio; riformulando, ad esempio, il criterio di spazio pubblico in una città contemporanea; partendo dallo stato di disordine urbano proporre interventi attraverso sperimentazioni tecnologiche di alta valenza, allo stesso tempo, risolutiva e creativa.

 

Tra i dettami fondanti del pensiero complesso emerge l’asserto: “Il tutto è maggiore delle sue componenti”. Concetto in base al quale è ripensato il sistema del mondo, secondo un criterio organico della realtà. La psicologia della Gestalt [31] nega la divisione dell’esperienza umana nelle sue componenti elementari, ma considera l’intero come fenomeno emergente rispetto alla loro somma. L’oltre la somma delle sue parti (molarismo epistemologico o emergentismo) corrisponde, ad esempio, alle caratteristiche di una società le quali non coincidono con quelle degli individui che la costituiscono. O ancora, ciò che noi siamo e percepiamo esprimono una organizzazione complessa che veicola gli stessi processi del nostro pensiero; percezione e sensazione sono stati immediati, una combinazione di diversificate componenti di un’unica esperienza reale in atto. In senso più esteso, ciò prelude lo sviluppo del concetto di “complessità” che estende al processo di funzionalità tra i propri elementi e l’ambiente nel quale un qualsiasi sistema è immerso. Questo può considerarsi un modo alternativo di definire un “sistema organico”. Finora l'architettura ha studiato e operato su oggetti e mai su eventi, se non come risultato dall'intreccio di oggetti e momenti dissociati, oggetti di un mucchio nel quale l'architettura relaziona funzioni semplicemente accostandoli, assemblando caratteristiche comuni. Al contrario, qui si cerca di reinterpretare le strutture dì tali oggetti in un insieme organico dal quale definire qualità e caratteri emergenti. È proprio dalla relazione di tali emergenze che viene sviluppato il concetto di “organismo architettonico”.

Non oggetti ma eventi, non mucchi ma organismi. All’interno di questi nuovi rapporti, la luce e lo spazio sono l’essenza delle forme e delle loro funzioni; la luce è l’elemento di sintesi estetica, energetica e dimensionale, e lo spazio non più un ente puramente dato nel quale si giustappongono semplici relazioni tra oggetti, ma un fatto interno e mobile alla costruzione stessa. Un passaggio dall’oggetto all'evento, dalla “pura costruzione” al “sistema sintropico” [32] .

Su tali presupposti lo sviluppo organico tra urbanizzazione e territorio può essere letto in chiave sistemica. L'architettura urbana deve osservare la medesima distinzione, concepire la città in sinergia con l'ambiente. La logica del mucchio concepisce la costruzione un fatto estraneo all'ecosistema, alieno all'ambiente naturale; la logica dei sistemi relaziona il fatto costruito al contesto, intesse sinergie con le forze, gli spazi e gli equilibri che la natura pone a disposizione. L’azione umana non è un'impasse della natura, ma un suo completamento, un ricavare l’universo antropico dall'universo naturale come sua continuità e superamento.

Su queste premesse, l’idea derridiana di “differenza” va reinterpretata. Differenti spazi per differenti attività, alterazioni delle forme che aprono a multifunzioni, un’ermeneutica delle forme che assume ruoli diversificati, liberi da canoni precostituiti e che si competa con una società molteplice e complessa. Consapevoli che “progettare” significa interpretare, trasformando le forme dell’abitare secondo le complesse strutture degli eco-sistemi i quali evolvono continuamente, si approfondisce il concetto di “organismo”, contrapponendo l’eccentricità agli schemi della centralità. Si apre così al molteplice e alla differenziazione, esplorando sentieri nuovi e intrecciando rapporti interattivi con il territorio.

Il paradigma della complessità organizza tali esigenze secondo programmi di ricerca i quali riflettono le diversificazioni della realtà tra loro incommensurabili, senza che alcuna di esse possa considerarsi privilegiata. Tuttavia, tra certezza dogmatica e incertezza scettica esiste un equilibrio: la prospettiva della certezza, irrinunciabile per l’uomo, con la consapevolezza che i traguardi delle conoscenze sono in perenne movimento. A tale proposito, A. Lizcano scrive:

 

“Il caos non penetra da un ipotizzato elemento esterno al sistema ribolle dentro il suo stesso ordine. E così pure l’inverso: il caos è un nodo di potenzialità all’interno del quale si sprigionano, con stupefacente ostinazione, nuove configurazioni di ordine, come se gli ordini fossero fenomeni effimeri che emergono da una matrice caotica per farvi necessariamente ritorno” [33] .

 

Questo “perenne movimento” si giustifica nel nuovo paradigma che lega l’“ordine” al “caos”, nella mutua implicazione di stati ontologici considerati incommensurabili dai criteri del pensiero classico. Il pensiero complesso sguscia dal centralismo razionalista, attraverso la “fluidità”, sovverte l’idea canonica di “reticolo”, schiude in più dimensioni la relazione tra oggetto osservato e soggetto osservante, interpreta l’ambiguità dello spazio in ogni sua proiezione (presupposto teorico del virtuale), getta uno “sguardo “oltre” [che pone] l’architettura in un’altra luce che non si era mai vista prima” (P. Eisenman). Z. Hadid, a sua volta, afferma:

 

“Penso che il massimo impegno per un architetto debba essere l’organizzazione della pianta, saperci entrare dentro, gestirla e muoversi in essa. La fluidità della pianta, la sua frammentazione, l’azzardo perfettamente calcolato, sono idee desunte dagli insegnamenti da Malevich e dai suprematisti, che conducono a nuove forme di utilizzazione e creazione dello spazio” [34] .

 

La relazione tra pensiero complesso e architettura organica apre a quella tra complessità e pensiero liquido; una sinergia che prelude a nuove prospettive filosofiche, progettuali e funzionali per la ricerca architettonica del XXI secolo.

 

L 'architettura liquida e il pensiero complesso

L’“architettura liquida” è definibile come un’architettura tra immutabilità e variabilità le cui strutture sono allo stesso tempo duttili e stabili [35] . Dal punto di vista epistemologico, la concezione può assimilarsi come architettura invisibile la quale, pur collegata agli sviluppi tecnologici, estende all’’architettura, alla scultura e alle arti verso forme evanescenti. Ciò rinvia all’idea che l’invisibile oltrepassa il visibile nelle infinite possibilità strutturali e architettoniche, prive di conoscenza cognitiva se non di una minima parte della realtà. Per L. Spuybroek, l’architettura liquida è 

 

“una teoria progettuale anti-ortogonale basata sul dissolvimento di tutto ciò che è consolidato e acquisito in architettura, attraverso l’utilizzo di tecnologie multimediali. L’architettura abbraccia il movimento e approfondisce le proprie possibilità di metamorfosi e flessibilità, nel nome della fantasia” [36] .

 

Per Tanaka Jun, le idee nascono e si sviluppano nella virtualità realizzandosi attraverso diversificazioni, ciò, solo per la forza creativa in se stessa, si pone sulla stessa scia del razionalismo di Le Corbusier. L’architettura tout court si limita ad offrire soluzioni connesse a una ampia serie esigenze, l’architettura liquida, al contrario, nasce e crea liberamente nel virtuale del cyber-spazio. G. Deleuze distingue gli oggetti virtuali da quelli reali in quanto i primi, potendo realizzarsi, non si contrappongono ai secondi, perché in possesso di una loro intrinseca realtà. Egli dichiara che

 

“gli oggetti possibili sono prodotti a posteriori. Con un trucco vengono fatti divenire oggetti reali come se fossero esistiti già in precedenza. L’‘attualizzazione’ di oggetti virtuali procede per differenze, dispersioni e differenziazioni. Questo genere di ‘attualizzazione’ è, in linea di principio, del tutto sconnesso con l’identità. Le categorie reali sono del tutto diverse da quelle virtuali che si attualizzano” [37] .

 

Al di là dei presupposti filosofici ed epistemologici, il concetto di “architettura liquida” fu definito attraverso un legame indissolubile con il cyber-spazio da M. Novak il quale, attraverso sistemi software, rielabora forme architettoniche complesse rendendole duttili e malleabili, quindi liquide. Le figure generate digitalmente vengono completamente manipolate dai progettisti, ridisegnate secondo la natura formale e la plasticità del contesto. Il cyber-spazio apre a un nuovo universo, realtà “virtuale”, multidimensionale, generata attraverso le reti della comunicazione globale. Un universo vissuto ma privo di vincoli propri dello spazio e del tempo, un universo non inerziale. Una dimensione che va oltre l’accumulo e la diffusione della cultura, della scienza e dell’arte, superando la pura iniziativa umana. Il connesso rapporto tra progetto e virtualità amplia le valenze degli spazi fisici, potenziandone la risposta ai bisogni di chi ne usufruisce; tale è la finalità primaria di ogni progettista operante nel ciberspazio. Così si esprime Novak,

 

“nella misura in cui lo sviluppo dell'interazione degli uomini con i computer rovescia l'odierna relazione tra l'uomo e l'informazione, collocando l'uomo all'interno dell'informazione, esso è un problema architettonico, ma, oltre questo, il ciberspazio ha una propria architettura e inoltre può contenere architettura. Ripetiamoci pure: il ciberspazio è architettura; il ciberspazio ha architettura; e il ciberspazio contiene architettura” [38] .

 

Nel ciberspazio si accede allo stesso modo come si accede nello spazio fisico, l’unica variante è, appunto, l’assenza di inerzialità, implicando una serie di mutamenti e alterando quasi indefinitamente le potenzialità creative e progettuali. Nella sua totale artificialità, al di là della sua apparente naturalezza, essa si concentra in uno spazio modulato ma vivo, uno spazio architettonico che non può descriversi senza un’architettura di nuova concezione, libera dalla pura dimensione fenomenica. In esso si concentrano edifici, città, paesaggi e tanti altri fatti i quali convergono nell’innovativa idea di esplorare. A tale riguardo, per Novak,

 

“Una architettura liquida nel ciberspazio è chiaramente un'architettura smaterializzata, un'architettura che non si accontenta più solo dello spazio, della forma e della luce, e di tutti gli aspetti del mondo reale. È un’architettura di relazioni mutevoli tra elementi astratti”. [39]

 

Sul concetto di “liquido”, insiste: 

 

“mi riferisco a una entità animistica, animata, metamorfica, che supera i confini delle categorie e richiede le operazioni cognitivamente ricche del pensiero poetico: il ciberspazio è liquido. Ciberspazio liquido, architettura liquida, città liquide. L'architettura liquida è qualcosa di più dell'architettura cinetica e dell'architettura robotica, un'architettura di parti fisse e legami variabili. L'architettura liquida è un'architettura che respira e pulsa. L'architettura liquida è un'architettura la cui forma è contingente agli interessi dello spettatore; è un'architettura che si apre per accogliermi e si chiude per difendermi; è un'architettura senza porte né corridoi, in cui la stanza successiva è sempre dove mi occorre che sia e ciò che mi occorre che sia. L'architettura liquida produce città liquide, città che cambiano al cambiare di un valore, in cui visitatori con retroterra diversi vedono paesaggi diversi, in cui i dintorni cambiano con le idee in comune, e si sviluppano quando le idee maturano oppure si dissolvono” [40] .

 

Ciberspazio e architettura liquida sono le componenti costruttive del concetto esteso di “paesaggio”. Essi costituiscono ciò che può considerarsi un “principio di relatività”, nel quale la percezione delle forme e delle strutture di chi lo penetra e lo vive si accentui e risalti sempre più. Il coinvolgimento di questo processo evolutivo di trasformazione estende oltre l'osservatore, lo stesso progettista non guarda all’oggetto in sé, ma alla processualità nella quale questo è inserito, con la sua genesi e le sue successive mutazioni. Osserva S. Tagliagambe che “Un'opera di architettura liquida non è più un singolo edificio, ma un continuum di edifici, che si evolvono fluidamente o aritmicamente sia nello spazio sia nel tempo” [41] .

Un esempio che risponde ai nuovi paradigmi è il museo Guggenheim che rappresenta un “monumento oltre il museo”. Gehry ha sovvertito le regole canoniche del fare architettura, virando verso la sperimentazione, orientandosi su soluzioni che agevolino le esigenze della vita moderna. I mutamenti della società implicano i mutamenti sui criteri di progettazione delle strutture e delle architetture; esse sono espressioni di tali trasformazioni sociali nelle forme come nelle logiche. La complessità della società con le sue relazioni complesse si riflette attraverso strutture con forme complesse. Su questa scia, oltre l’indiscussa provocazione dell’architettura di Gehry, quel che emerge è la funzionalità delle strutture; come, d’altra parte, l’immergersi correttamente nel contesto urbanistico, sociale e ambientale. Tuttavia, i suoi progetti sconcertano l’osservatore in quanto privi di proporzioni, senza coerenza tra quel che contengono nel loro interno e ciò che esprimono con le loro forme estetiche.

 

Uno dei caratteri fondamentali dell’architettura del cyber-spazio è definita dalla struttura frattale delle sue geometrie. Nel pensiero classico, il linguaggio euclideo si traduce in forme regolari con assi di simmetria definendo un modello estetico fondato sull'armonia e la proporzione. Nell'architettura antica si notano già analogie con le geometrie frattali. Alcuni capitelli egizi presentano riproduzioni degli insiemi di G. Cantor [42] , così la pianta di Castel del Monte ad Andria che ricorda l'insieme di B. Mandelbrot. Tuttavia tali esperienze storiche esprimono semplici relazioni di forme estetiche frutto di una realtà inconscia e non di un vero e proprio contenuto di pensiero. Nella cultura contemporanea, tuttavia, gli sviluppi della logica complessa e della “teoria dei sistemi” individuano in quei legami formali linguaggi interpretativi tra la struttura del mondo naturale e la creatività della mente umana. Mandelbrot, ad esempio, evidenzia analogie tra la geometria frattale e gli oggetti naturali; così F. O. Gehry e D. Libeskind che si ispirano nei loro progetti alla rottura di simmetrie, creando forme curve, plastiche e dinamiche.

L’idea di spazio come “assoluto dei valori plastici”, nella sua realtà “multidirezionale”, con la teoria dei frattali elabora una “struttura frattale dell’universo”. La geometria frattale spiega le strutture – cui noi attribuiamo una valenza estetica – esistenti in natura, penetrando lo stato caotico della realtà; al contrario, la geometria euclidea, in quanto pura astrazione, la visualizza esemplificandola attraverso il tridimensionale.

Conseguenza della geometria frattale è la dimensione frattale che misura il grado di irregolarità e di complessità di un oggetto frattale. Il concetto di dimensione si è evoluto da Euclide fino al XX secolo, dalla percezione intuitiva dello spazio a tre dimensioni fino alla quarta e a n-dimensioni. In questa evoluzione le strutture spazio-temporali, attraverso raffinate analisi, sono approdate a nuove categorie interpretative ed applicazioni nella scienza e nell’arte.

Dalla geometria frattale origina lo sviluppo di una linea di ricerca su modelli mediante cui produrre forme elaborate da sistemi di funzioni iterate di L-Sistemi (IFS) [43] . Per i sistemi di funzioni iterate nella natura, in particolare in biologia, emergono varie forme frattali come le membrane alveolari di scambio gassoso o i lembi fogliari nei vegetali; nonché la descrizione dettagliata in senso quantitativo di forme diagnostiche per patologie o per l’osservazione e lo studio dell’arte [44] . La dimensione frattale ha una forte valenza interpretativa in architettura analizzando la complessità di un edificio, che, a sua volta, fornisce elementi aggiuntivi per interpretare la stessa complessità. La sua efficacia si manifesta in campo urbanistico valutando lo sviluppo di una città e le modifiche delle forme del territorio che trova particolare espressione in uno studio elaborato da M. Batty e P. Longley sull’involuzione frattale della città di Cardff (Scozia) o dell’istituto di Scienza del Campus di Cranbrook, nel Michigan (USA) sul modello degli attrattori strani [45] .

Altro fattore è l’autosomiglianza mediante cui interpretare le comuni strutture tra la natura e l’arte. Se i frattali sono pensabili come un “codice genetico” delle forme architettoniche, in quanto contengono le necessarie informazioni per la loro costruzione entro un esiguo numero di istruzioni (in analogia al DNA e agli organismi viventi), l’autosomiglianza può assumersi come funzione replicativa delle forme, un processo iterativo estensibile all’urbanistica e al territorio come felice sintesi tra natura e cultura. Le città nella loro evoluzione sviluppano, mediante processi di adattamento ed economicità strutturale all’interno di spazi organizzati, secondo moduli simili ad un organismo vivente. L'evoluzione di una città può quindi essere prevedibile; il processo evolutivo delle singole città è analogo ad un organismo nel quale si sviluppa l'organizzazione spaziale e relazionale degli insediamenti sul territorio. P. Portoghesi riconosce che

 

“nella storia dell'architettura, l'auto-similarità, le strutture a "cascata", lo scaling, la frammentazione geometrica, sono "ferri del mestiere", procedimenti compositivi attraverso i quali si persegue l'unità nella molteplicità e in cui spesso si ravvisa la chiave della bellezza” [46]

 

In questo ampio contesto, non è possibile trascurare il Mondo 3 di K. Popper, noosfera nella quale vive la dimensione intellettuale dell’uomo e dei suoi costrutti mentali (mondo delle teorie). Esso si colloca all'interno del sistema dei cosiddetti “tre mondi popperiani”: 1) mondo degli stati fisici, o “realtà esterna”; 2) mondo degli stati di coscienza e delle rappresentazioni, o dell’organizzazione interna dell’“io”; 3) mondo dei contenuti oggettivi del pensiero (filosofia, arte, scienza). Sulla base di tali distinzioni epistemologiche, per Popper, qualsiasi analisi intellettuale procede essenzialmente con le unità strutturali e strumenti del “terzo mondo”. Un mutamento di prospettiva che riguarda una conoscenza priva di un soggetto conoscente, che si occupa di teorie in quanto tali, di problemi in se stessi, considerati astrattamente e da assumere e interpretare in modo oggettivo. Secondo il filosofo austriaco,

 

“In questo modo può sorgere un intero nuovo universo di possibilità o potenzialità: un mondo che è in larga misura autonomo [...] L'idea di autonomia è centrale per la mia teoria del terzo mondo: sebbene il terzo mondo sia un prodotto umano, una creazione umana, esso a sua volta crea, al pari di altri prodotti animali, il suo proprio ambito di autonomia” [47] .

 

Questo “mondo autonomo” agisce sugli stati mentali degli individui, per cui ci si orienta verso

 

“una epistemologia oggettivista che studia il terzo mondo [e che] può gettare una luce immensa sul secondo mondo, quello della coscienza soggettiva, specialmente sui processi di pensiero degli scienziati; ma non è vera l'affermazione reciproca” [48] .

 

Per Popper, la “mente” non è un insieme di processi psicofisiologici o sede di credenze, desideri, emozioni, ma produttrice di conoscenza e teorie, pertanto essa è autonoma rispetto al cervello [49] :

 

“ciò che può chiamarsi il secondo mondo - il mondo della mente - diventa, a livello umano, sempre di più l'anello di congiunzione tra il primo e il terzo mondo: tutte le nostre azioni nel primo mondo sono influenzate dal modo in cui noi afferriamo il terzo mondo ad opera del nostro secondo mondo” [50] .

 

Da tale prospettiva, la mente è un luogo di confine tra due distinte dimensioni, quella fisica e quella della conoscenza. Secondo Popper, in tale “luogo di confine” tra l'io e il mondo significa che noi agiamo in base a specifiche "congetture" su noi stessi, sulla nostra condizione ambientale e sui nostri stati di relazione con gli altri. Il mondo 3 di Popper, i cui "oggetti" sono le idee, le immagini, i suoni, le storie, i numeri, è il mondo dei puri costrutti teorici che, con la fisicità del mondo 1, costituisce il presupposto fondamentale per la comprensione della natura del cyber-spazio.

 

Dimensione cognitiva dell’architettura liquida e del pensiero complesso

La logica delle scienze cognitive scompone in parti i sistemi complessi, naturali o artificiali, per componenti semi-indipendenti al fine di conservare e comprendere la struttura degli stessi sistemi. L’eccessiva decomposizione di un problema in sotto-problemi, oltrepassando il limite dell’interdipendenza, rende impossibile il grado sufficiente della sua risolvibilità. Tale criterio è condiviso dalla logica della complessità. Nella struttura funzionale di un sistema esiste un limite oggettivo il quale, oltre a rendere possibile la conoscenza e la ricostruzione di un sistema da parte dell’uomo (in senso epistemologico), è intrinseco alla struttura del sistema stesso.

Il significato ontologico di tale limite si ricava dal criterio stesso della superiorità del sistema complesso nella sua totalità rispetto alla somma delle sue parti procedendo all’inverso; ovvero, ricavando all’interno delle strutture componenti lo stesso sistema ipotizzando un limite 'fisiologico' originario. Un valore critico dal quale derivi per n-volte gli elementi componenti l’intero sistema, quella caratteristica differenziale tra la totalità e la somma lineare delle sue parti componenti. Un valore critico che va al di là del significato epistemologico circa la possibilità di ricostruzione e comprensione strutturale dell’intero sistema. Il limite critico per la decomponibilità di un sistema complesso equivale pertanto alla differenza tra la sua totalità funzionale e la somma dei suoi componenti elementari, una relazione implicativa tra il limite dell’interdipendenza tra l’insieme delle parti di un sistema complesso e la differenza tra sua la totalità e la somma dei suoi componenti elementari.

Sul piano della percezione, lo spazio reale estende a tutti i sensi del soggetto, al contrario dello spazio virtuale che coinvolge perlopiù sensazioni visive. La continuità dello spazio reale non determina distinzioni tra la diversità degli ambienti; lo spazio reale implica problemi sulle condizioni di realizzabilità, sulla natura dei materiali, tutti aspetti inesistenti nello spazio virtuale. L’imperfezione e l’imprevedibilità dello spazio reale contrasta con lo spazio virtuale nel quale ogni elemento è perfettibile e immaginabile dalla creatività, in quanto frutto di un progetto. Tuttavia, nel mondo virtuale, tali elementi sono di carattere puramente imitativo. Ciò mostra analogie e differenze; se sul piano della pura percezione visiva le due specie di spazio sono identiche, tuttavia esse non sono sovrapponibili. Se dalla progettazione dello spazio virtuale emergono affinità culturali rispetto allo spazio fisico che, a sua volta, riflette le qualità stilistiche e le concezioni sulla sua natura, d’altra parte, al di là delle possibili interferenze tra le due dimensioni, le variabili del mondo reale sono infinite, per cui qualsiasi tentativo di elaborazione tridimensionale non potrà che fallire. La complessità del mondo è infatti la diretta espressione degli infiniti di ordine superiore o trans-finiti concepiti da Cantor [51] .

Conseguenza della geometria frattale è la dimensione frattale, mediante la quale si misura il grado di “irregolarità” e di “complessità” di un oggetto frattale. Progettare spazi non-euclidei impronta su logiche differenti con soluzioni in apparenza distanti dalla progettazione architettonica tout court. Ciò risiede non tanto nelle potenzialità insite nello strumento informatico, utile per un fine, ma è una nuova cultura che diviene sistema nel quale la progettazione di spazi nasce, cresce e si sviluppa. Questo implica il superamento di una architettura costruita come unico luogo nel quale si manifesta l’esperienza dello spazio della percezione, ma che si individua anche nelle esperienze di luoghi virtuali. L’idea di “spazio” con il quale l’individuo si confronta non è limitata ai luoghi fisici ma estende a sistemi viventi nella memoria di un computer. Distinte realtà un solo sistema culturale globale. E tutto manifestandosi anche nella difficoltà di individuare un unico movimento di avanguardia in architettura che unifichi tutte le esperienze precedenti.

Nella cyber-architettura convergono architetti e urbanisti con distinti linguaggi ed esperienze; il punto è individuare tratti comuni. Tra i differenti architetti che progettano spazi non-euclidei emergono grandi differenze qualitative, ciò che conta è individuare un comune contenuto di pensiero. Essenziale è la privazione delle forme, in quanto la cyber-architettura attinge a processi propri dalla scienza e dell’arte, come da nuove culture visive, non distinguendo mai tra la produzione di massa e la cultura d’élite.

 

L'architettura, in quanto arte compromessa con altre discipline, è tra le migliori alleate della complessità. L'architettura complessa contrappone al criterio meccanicistico di funzione quello sistemico di organizzazione; organizzare spazi funzionali in un unico complesso che sviluppa campi e sistemi superiori alla somma delle funzioni dei loro elementi costitutivi. Spazi da gestire come insiemi nei quali gli uomini si relazionano, vivono, pensano, esprimono, sentono, imparano, producono, creano. Considerare la costruzione un vero e proprio organismo vivente rispetto al suo interno, sia come parte dell'habitat naturale e urbano. La procedura consta nello schematizzare la struttura del sistema in costruzione, sviluppandone gli organi. Nell'architettura coesiste la ricerca dell'ordine matematico e del legiforme naturale e la sfida alla natura che viola gli schemi imposti dalla rigidità delle sue leggi.

L'analisi ontologica ed epistemologica del concetto di “complessità”, i legami con il pensiero liquido e le sue ricadute sul problema filosofico dell'architettura, sono realtà nelle quali si concentra ogni esperienza umana (conoscitiva, emotiva, psicologica, sociale, politica, antropologica, ecc.). Definire il concetto di "complessità" è uno tra i compiti più ardui del nostro tempo. L'estensione del suo concetto riguarda l'intera costituzione del reale e le sue modalità di rappresentazione, implicando una rivoluzione assolutamente radicale.

L’architettura complessa, contrapponendo al criterio meccanicistico di funzione quello sistemico di organizzazione, organizza spazi funzionali sviluppando un sistema complesso superiore alla somma delle sue parti e funzioni. Un'architettura aperta nella quale gli spazi siano veri e propri organismi viventi e parte dell'habitat naturale; un passaggio dal criterio meccanicistico-funzionale del costruire sulla natura, all'edificare un sistema integrato e di sviluppo sinergico con la natura. Una vera architettura ecologica. Esempi di questa nuova filosofia architettonica sono l’interpretazione dello spazio museale e il ruolo della coscienza nella percezione dell’iper-dimensionalità.

Il pensiero complesso concepisce lo spazio museale oltre se stesso. Al di là della staticità del racconto, lo pensa come momento dinamico della narrazione, cogliendo il senso degli 'oggetti' esposti per immergervi il fruitore. Non cimeli ma fatti vivi che godano della fluidità dell'ambiente museale; fatti, oggetti e storie da memorizzare che solo la fluidità di una struttura liquida e complessa è in grado di narrare e interpretare. Secondo quanto esprime P. Eisenman: “lo sguardo oltre [pone] l'architettura in un'altra luce, una luce che non si era mai vista prima” [52] .

È nella coscienza che converge e si giustifica ogni modalità percettiva del mondo esterno. Il decostruttivismo ne agevola l'adeguato linguaggio interpretativo attraverso le strutture liquide che esplicitano quel “disagio ermeneutico” espresso dalla sensibilità filosofica di Derrida, confliggendo con la capacità percettiva del fruitore dell'opera d'arte, oppressa entro spazi non idonei. In sintonia con gli assunti del filosofo francese, il pensiero complesso traduce l'atemporalità dello spazio museale, la quale, attraverso l'architettura liquida, rende percepibile alla coscienza il “percorso della memoria”.

L'architettura è dunque un punto di convergenza di scienza e tecnologia, la sintesi intellettuale che traduce e connette il pensiero filosofico, l’espressione artistica e l’esperienza scientifica, nonché lo specchio della società e della politica. Attraverso percorsi obbligati, dal futurismo di F. T. Marinetti all’architettura organica di Wright, si è giunti al decostruttivismo nel quale confluiscono pensiero liquido, geometria frattale, pensiero complesso, teoria dei sistemi, di cui vengono espresse nuove forme estetiche. Come afferma Tagliagambe:

 

Dall'architettura organica, come linguaggio espressivo di una progettazione che riprende leggi e criteri conformi agli elementi naturali, si contrappone ai criteri razionalistici ed è assumibile come una delle basi partenza dei nuovi sviluppi di pensiero filosofico della nuova architettura” [53] .

 

È possibile ritenere che i germi della nuova filosofia dell’architettura si distinguono in tre momenti tra loro connessi: la complessità e il decostruttivismo come sostrato ontologico ed epistemologico; la liquidità nella nuova estetica e dinamicità delle forme; il Cyber-spazio che introduce a un nuovo discorso progettuale e virtualmente creativo. Pensiero liquido e complessità rimarranno pertanto gli obiettivi dell’architettura del XXI secolo.









NOTE

[1] Dalla nascita della scienza moderna (XVII secolo), la fisica ha imposto il paradigma del “pensare scientifico” secondo un modello analitico, razionalista e riduzionistico. Dalla seconda metà del XX secolo, un nuovo paradigma è stato sostituito dalle scienze biologiche, secondo i criteri dell’organizzazione, del caos ordinato e delle qualità emergenti.

[2] Es. la decorazione-copertura della Tour Eiffel

[3] E. Morin Il metodo!. La natura della natura, Milano, R. Cortina Editore, 2001, p. 45 (già citata)

[4] Il principio del terzo escluso stabilisce che date le due proposizioni costituenti una contradictio, cioè dati un giudizio affermativo e un giudizio negativo di ugual soggetto e di ugual predicato, non solo essi non possono essere né contemporaneamente veri né contemporaneamente falsi (già stabilito dal principio di non contraddizione), ma è necessario che uno di essi sia vero e l’altro falso, e che la falsità dell’uno implichi la verità dell’altro e viceversa, senza una “terza” possibilità. Il principio del terzo escluso è con ciò un corollario del principio di contraddizione, dal quale è distinguibile soltanto quando lo stesso principio di contraddizione venga fuso con quello di identità. 

[5] R. Fortin Comprendre le complexité. Introduzion à la méthode d'Edgar Morin cit. 2004, pp. 4-5

[6] L. Von Bertalanffy Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni, Milano, Mondadori, 2004, p. 66.

[7] E. Morin Il metodo!. La natura della natura, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, pp. 142-143.

[8] E. Morin Introduzione al pensiero complesso. Milano, Sperling & Kupfer, 1993, p. 49

[9] I. Stengers La sfida della complessità (a cura di G. Bocchi e M. Ceruti) B. Mondadori, 2007, p. 57

[10] Le scienze cognitive hanno come elemento di studio la cognizione di elementi pensanti, sia naturali che artificiali. La mente dell’uomo viene esaminata nella sua capacità di interagire con settori differenti come la neurofisiologia, la neuroscienza cognitiva, la psicologia cognitiva, l’intelligenza artificiale, la linguistica cognitiva e la filosofia della mente, estendendo a discipline come l’antropologia, la genetica, l’informatica e l’economia.

[11] A. Anselmo, Edgar Morin. Dal riduzionismo alla complessità, ed. Siciliano (2000), p. 55

[12] Per alcuni analisti (Bordoni), il post-modernismo è in declino, è visto come epoca di transizione verso un’era ancora da definirsi.

[13] T. Maldonado 11 futuro della modernità, Feltrinelli, Milano 1987, p. 16.

[14] J. F. Lyotard 11 postmodernismo spiegato ai bambini, Feltrinelli, Milano 1987, p. 88.

[15] A. Saggio Architettura e modernità. Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica. Carocci Ed. 2007, p. 40

[16]  La tendenza alla radicalizzazione e al superamento della prospettiva strutturalista in campo filosofico (J. Derrida, G. Deleuze, J. F. Lyotard), psicoanalitico (J. Lacan), politico e sociologico, in ottica neomarxista (L. Althusser, M. Foucault) e nell'analisi del testo letterario (R. Barthes, M. Blanchot).

[17] Per la critica ufficiale, tuttavia, le ricadute del decostruttivismo riconducono la ricerca architettonica al Movimento Moderno, non affrontando direttamente tematiche sociali.  

[18] S. Petrosino Jacques Derrida e la legge del possibile. Un'introduzione ed. Guida, Napoli 1983 p. 141

[19] II decostruire è in relazione alla fenomenologia husserliana.

[20] A. Santucci Habermas, la teoria critica della società e le scienze sociali, ed. Il Mulino 1970 p. 57

[21] Il meme è "l’unità auto-propagantesi" di evoluzione culturale, analoga al gene per la genetica; elemento di una cultura o civiltà trasmesso da mezzi non genetici, per imitazione.

[22] M. Wigley, P. Johnson, F. O. Gehry, D. Libeskind, R. Koolhaas, P. Eisenman, Z. M. Hadid e B. Tschumi enunciano il “decostruttivismo”. Essi attingono dal radicalismo avanguardistico costruttivista russo che infrange l’unità, l’ordine e l’equilibrio del classicismo, concependo una geometria instabile come “destabilizzazione della purezza formale”.

[23] J. Derrida Architetture ove il desiderio può abitare “Domus” n. 671 (1986)

[24] La Casa VI (1972) è l’esempio di contraddizione tra classico e funzione in cui l’utilità di una scala contrasti con un’altra falsa scala ad essa simmetrica.

[25] Il riferimento è la geometria euclidea, espressione dei canoni tradizionali dello “spazio tridimensionale” separato dalla coordinata temporale.

[26] Da cui l’anteporre “de” al termine costruttivismo, come deviazione dall'originaria corrente architettonica.

[27] G. Broadbend, Deconstruction a Student Guide, Editor J. Glusberg Publisherl, A. Papadakis, New York, 1991, p. 8.

[28] F. L. Wright si colloca tra gli architetti del funzionalismo (del razionalismo formale di Le Corbusier, ed empirico di A. Aalto; tuttavia egli concepisce il progetto come un organismo interno al sistema naturale.

[29] F. L. Wright La città vivente Einaudi, Torino 1966. 49

[30] P. Feyerabend Ambiguità e armonia - Lezioni trentine, a cura di Francesca Castellani, Laterza, 1999, p. 50 

[31] La tesi fondamentale della Gestalt o Gestaltpsychologie è che alcuni tipi di oggetti complessi non possono ridursi ai loro elementi costituenti, alla loro pura sommatoria; il fenomeno si evidenzia maggiormente rispetto a oggetti complessi come forme geometriche, musica, o realtà fisiche complesse come particelle in un campo elettrodebole. Il falsificazionismo popperiano, in particolare, è invece vicino alla psicologia della forma o Gestaltpsychologie, il cui principio di fondo è che la psiche umana possegga di per sé, in modo innato, forme (Gestalten) entro cui strutturare i dati sensori dell'esperienza. Ancora più congeniale al falsificazionismo è la teoria della psicologia dell'età evolutiva (epistemologia genetica) formulata e sperimentata da J. Piaget, secondo il quale l'uomo, nella formazione delle sue strutture cognitive, a partire dall'infanzia, non fa altro che sviluppare moduli interpretativi dell'esperienza che poi vengono progressivamente sostituiti con altri moduli interpretativi e cognitivi più evoluti e complessi.

[32] Sintropia, entropia negativa, o neghentropia. Fattore di organizzazione degli elementi fisici, umani e sociali, che si oppone alla tendenza naturale al disordine, o entropia. La neghentropia modifica un sistema da disordinato a ordinato.

[33] A. Lizcano Complessità e sostenibilità. Il territorio e l’architettura. Ed. Gangemi, 2007, p. 47

[34] P. Schumacher Hadid digitale. Paesaggi in movimento “Testo & Immagine” n. 156, 2004

[35] DNA e algoritmi genetici esemplificano tali concetti.

[36] L. Spuybroek L'Architettura del Continuo, (tr. it. di L. Tramontin) Edil-Stampa, 2004, p. 51

[37] G. Deleuze Differenza e ripetizione (1968) ed. R. Cortina, Milano 1997, p. 85.

[38] M. Novak Architetture liquide nel cyber-spazio in “Cyberspace”, p. 44

[39] Ibidem, p. 67

[40] Ibidem, p. 43

[41] S. Tagliagambe Epistemologia del Cyberspazio ed. Demos, Cagliari, 1997 p. 51

[42] L'insieme di Cantor è un frattale (di tipo deterministico). Prendendo due insiemi di Cantor negli intervalli [0, 1] e [2, 3], e contraendo l'intervallo [0, 3] di un fattore 1/3, si ottiene nuovamente l'insieme di Cantor. Esso ha una "dimensione non intera", intermedia fra le dimensioni 0 e 1 rispettivamente del punto e della retta. Infatti la sua dimensione di Hausdorff è pari a ln(2)/ln(3).

[43] Molti degli oggetti “reali” che ci circondano, come ad esempio nuvole, alberi, felci e broccoli ( ) condividono una notevole proprietà: ognuno di essi `e uguale all’unione di copie (ridotte in dimensioni) dell’oggetto originale. Ad esempio, la struttura “tronco da cui si dipartono rami” di un albero `e replicata nella struttura “ramo da cui si dipartono rametti”, e nella struttura “rametti da cui si dipartono foglie”. Analogamente, le foglie di una felce ne replicano la struttura globale, ed a loro volta sono costituite da micro-foglie disposte in modo da imitare la felce.

[44] Lo scienziato R. Taylor utilizzò l’autosomiglianza per descrivere le opere di J. Pollock.

[45] Sistema di equazioni differenziali a bassa dimensionalità (non lineari) generatore un comportamento complesso

[46] P. Portoghesi Natura e architettura, ed. Skira (1999)  pp. 395-396.

[47] K.R. Popper Conoscenza oggettiva. Un punto di vista evoluzionistico Armando, Roma, 1975 pp. 164-165.

[48] Ibidem, p. 157

[49] Il dualismo tra mente e cervello (problema mente-corpo) di Popper che prevede un’irriducibilità ontologica tra gli ambiti mentale e fisico. Esso si contrappone al monismo anomalo di D. Davidson il quale, al contrario, identifica le due realtà pur prescindendo dal concetto sostanzialistico, considerando il mentale condizione privilegiata sul legiforme.

[50] K. R. Popper La conoscenza e il problema corpo-mente ed. il Mulino, 1994, p. 85.

[51] L’infinito cantoriano è strutturato secondo livelli d’infinito (א 1, א 0, …), o trans-finiti, con “densità” numerica sempre più intensa, quindi “infiniti” sempre più potenti.

[52] G. Ciucci Peter Eisenman. Opere e progetti, a cura di P. Ciorra, Milano, Electa 1993

[53] S. Tagliagambe Epistemologia del cyberspazio ed. Demos, Cagliari, 1997, p. 75







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