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Metamorfosi di architetture. Strutture ed esposizioni alla Centrale Montemartini di Roma  

Ettore Janulardo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 4 Marzo 2015, n. 759
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Area Musei

«Je n’ai jamais dormi. Je travaille sans fin / Pour enrichir l’espace de chefs-d’œuvre éphémères», scrive Filippo Tommaso Marinetti ne Le monoplan du Pape, pubblicato in francese nel 1912. Blasfemo inno a una modernità lontana da ogni tradizionalismo di matrice cattolica, il testo celebra un’insonne creazione effimera. E all’insegna di una laica modernità, il 30 giugno dello stesso anno si inaugura a Roma la prima centrale elettrica municipale, su progetto degli ingegneri Puccioni, Carocci, degli Abati, intitolata nel 1913 a Giovanni Montemartini e destinata a contribuire al fabbisogno cittadino fino alla definitiva interruzione della sua produzione di energia nel 1963.

Manifesti, dipinti e progetti del futurismo proclamano l’avvento di una «bellezza passeggera», all’insegna della valenza poetica di un progresso chiamato a ridefinire il mondo, anche e soprattutto come campo di forze e luogo di produzione/distribuzione di energie . Le rappresentazioni urbane espresse da tale immaginario, pittorico e letterario, evidenziano dinamismo spaziale e metafora della costruzione come figura privilegiata del conflitto e dello sviluppo sociale. Sono il fulcro di assi diacronici che metamorfizzano la progettualità in piano ludico, ove l’edificio s’innalza come organismo altro, sorta di totem dell’avvenire: e pensiamo alle tavole della Città nuova di Antonio Sant’Elia, con elementi urbani, una stazione aeroferroviaria, centrali elettriche e termiche, schizzi d’architettura. Sant’Elia non progetta né realizza la città nuova: la disegna e la dipinge. Apporta così il proprio contributo all’elaborazione dei miti futuristi, che postulano la necessità dell’innovazione tecnica come metafora e metamorfosi della vita umana in relazione al mondo degli oggetti: e il perfezionamento estetico della forma dovrà coincidere con la sua perpetua trasformazione. È in nome di effetti transitori e caduchi che afferma: «Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città». 1 Opponendosi radicalmente ad ogni idea di durata e di continuità nel tempo, Sant’Elia percepisce la civiltà del XX secolo come il momento in cui il trionfo delle macchine si rivela incompatibile con le vestigia del passato. 2

La centrale romana dell’Ostiense, all’insegna di un moderato eclettismo, si definisce per una pregnanza di volumi prevalentemente orizzontali, lontani dalle vibrazioni verticali immaginate da Sant’Elia. Ma se, come proclama il “Manifesto tecnico della letteratura futurista” dell’11 maggio 1912, si è alla ricerca estetico-esistenziale di forze meccaniche e termiche in grado di suscitare passioni, la Montemartini corrisponde ad alcune di queste possibilità espressive. Ancora nel 1912, i versi de Il canto dei motori di Luciano Folgore inseguono tracce del dinamismo elettrico in chiave mitopoietica:

«Strumenti di forza, arnesi di lavoro, / manovrati da questa volontà, / traini pesanti, / divoranti con bramosia / lo spazio, il tempo, e la velocità, / o braccia dell’Elettrico / distese in ogni luogo, / a prendere la vita, a trasformarla, / ad impastarla, / con rapidi elementi, / o ingranaggi potenti, / superbi figli dell’Elettrico / che stritolate il sogno e la materia, / odo le vostre sibilanti note / concorrere da tutte le fabbriche, / da tutti i cantieri, / per le strade robuste di suoni, / con l’inno dei carrozzoni, / e magnificare / divinamente / la volontà / che ogni prodigio fa / la libera Elettricità». 3

Le architetture primo-Novecento della Centrale Montemartini, con decorativismi che rivestono a tratti l’ambientazione industriale di elementi para-ludici come festoni e danze femminili, sono il sostrato di un aggregarsi e trasformarsi di volumi nell’arco di decenni . Articolazioni degli spazi, demolizioni di strutture e rifunzionalizzazione delle aree della struttura appaiono segni di un’ibridazione “genetica” corrispondente al suo eclettismo artistico-funzionale: in grado di produrre elettricità sfruttando turbine a vapore o motori diesel, la Montemartini si determina (in)consapevolmente come insieme ludico-modulare. È poi il 21 aprile del 1933, “Natale di Roma”, quando Mussolini procede alla nuova inaugurazione di una struttura adattata e potenziata nelle sue capacità produttive, disponendo ormai di due giganteschi motori diesel da transatlantico, capaci di una potenza di 7500 HP ciascuno.

Su “L’Osservatore romano” del 22 ottobre 1933 compare uno scritto di Carlo Emilio Gadda – La nuova centrale termoelettrica della Città del Vaticano – tra l’encomiastico e il tecnico. A pochi mesi dal potenziamento dell’impianto ostiense, si risponde oltretevere in termini analoghi. Scrive il romanziere: «Sua Santità Pio XI inaugura oggi i modernissimi impianti destinati a fornire l’energia elettrica e l’energia termica alla Città del Vaticano. Essi sono stati condotti a termine nel corso di un anno, sotto la direzione di S. E. il conte Ing. Franco Ratti […] Un edificio architettonicamente sobrio, dalle linee eleganti, curato negli ultimi particolari con motivata ricerca d’ogni finitezza, contiene la sala caldaie, gli apparecchi di epurazione dell’acqua che le alimenta, la sala delle macchine e il sottopiano per i condensatori e i servizii di macchina. Si aggiunga il grande serbatoio della nafta, a lato dell’edificio». 4

Il “cameo” giornalistico dell’ingegner Gadda sulla centrale vaticana contribuisce a delineare il clima di un interesse diffuso, all’insegna della modernità e della costruttività. Per quanto concerne la Montemartini, i lavori di rinnovamento si susseguono negli anni mentre la funzionalità ibrida della Centrale permane, poiché viene abbattuta nel 1940 la Sala Caldaie n. 1 per costruirne un’altra ove ospitare due nuove caldaie a vapore. Al di là della narrazione che vuole che su di essa sia stata issata la bandiera vaticana durante le fasi più drammatiche della guerra per preservarla da attacchi e bombardamenti, dopo la conclusione del conflitto, all’inizio degli anni ’50, la struttura si configura con un assetto simile all’attuale, mantenuto fino al termine del suo ciclo produttivo.

Sarà dopo un parziale abbandono che la Montemartini, nel solco architettonico e concettuale del postmodernismo, virerà dagli anni ’90 verso la dimensione espositivo-museale – prima con limitate esposizioni temporanee, poi con l’allestimento provvisorio proveniente dai Musei Capitolini – fino alla sistemazione definitiva con la ripulitura e la riproposizione “filologica” dei grandi motori, chiamati a condurre lo sguardo nella Sala Macchine e a fronteggiare le sculture che popolano lo spazio.

Adottato non come paradigma di una neo-temporalità estesa e indeterminata, il postmodernismo della Montemartini propone «un disvelamento, una sorta di risveglio della dimensione critica [per] consentirci di ripensare le coordinate e il funzionamento dell’episteme Moderno, e soprattutto le sue relazioni implicite con il potere e la politica». 5 Esasperando la materialità dei marmi o di metalli, le strutture e l’allestimento tendono a riconnettersi anche alle pratiche materiche dei tardi anni ’60 e dei primi anni ’70, nei quali Kounellis e l’arte povera mettevano in scena – come teatralità del quotidiano – le proprietà del ferro e del legno, del fuoco e del carbone. In opposizione alle scelte progettuali e museali della Tate Modern di Londra, ove alla “modernità” della struttura corrispondono opere esposte del pieno Novecento, la Montemartini giustappone “ludicamente” gli opposti – produzione / museo, archeologia industriale / archeologia classica –, sottraendosi ad ogni possibile liquefazione materica o pulsione verso la virtualità.

Nel solco di un mettersi in mostra trasversale, l’esposizione di Patricia Cronin «Le Macchine, gli Dei e i Fantasmi», con la curatela di Ludovico Pratesi, ha presentato nel 2013 (10 ottobre – 20 novembre) suggestioni dell’artista americana, creazioni site-specific concepite in relazione con gli ambienti della Centrale. Sei opere monumentali, stampate su pannelli di seta traslucida e dedicate alla riscoperta dell’opera della scultrice neoclassica americana Harriet Hosmer (1830-1908) che trascorse a Roma anni di tirocinio artistico e raffinamento tecnico, sono state esposte nella Sala Macchine. Erano Ghosts: fantasmatiche immagini fluttuanti di acquarelli stampati su tessuto suggeriscono legami tra statuaria classica, rivisitazione del neoclassico, macchinismo da archeologia industriale, tracce di lavoro e di presenze operaie. E la diversa esposizione «Petrolio» di Xavier Bueno, nella Sala Caldaie (18 aprile – 29 settembre 2013), fra tralicci, trivelle e tubi anticipa e bidimensionalizza la macro-struttura della caldaia sullo sfondo. Riconsiderazione del processo estrattivo, produttivo e della ricerca, il grande acrilico su tavola – di oltre 7 metri di lunghezza – si dipana come “fregio” d’arte industriale e pubblica, non immemore degli insegnamenti della pittura murale italiana o degli artisti messicani.

Oltre a rivestire un carattere giocosamente e provocatoriamente neo-futurista, la musealizzazione a contrariis della Montemartini rientra, infine, in una visione dialettica del patrimonio: «[...] le nostre stazioni e le nostre fabbriche sembravano imprigionarci senza speranza», scrive Walter Benjamin a proposito di «avventurosi viaggi» cinematografici in mezzo a «sparse rovine». 6 Ma lungi da frammentismi neo-decadenti, egli avvia alla conclusione L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica ricordando come la struttura architettonica sia necessariamente punto di snodo per consapevolezze e riflessioni da estrinsecare in ambito comune – «L’architettura non ha mai conosciuto pause. La sua storia è più lunga di quella di ogni altra arte [...]» 7 – divenendo possibile emblema del rapporto tra elemento pubblico e sua percezione, tra rispetto degli spazi e pratiche di risemantizzazione.






NOTE

1 Antonio Sant’Elia, L’architettura futurista. Manifesto, in Luciano De Maria (a cura di), Marinetti e il futurismo, Milano, Mondadori, 1977, p. 148.

2 Cfr. Rosario Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano, Jaca Book, 1984.

3  Luciano Folgore, Il Canto dei Motori, Milano, Edizioni Futuriste di Poesia, 1912, cit. da Edoardo Sanguineti (a cura di), Poesia italiana del Novecento, II, Torino 1971, p. 606.

4  Carlo Emilio Gadda, La nuova centrale termoelettrica della Città del Vaticano, 1933, cit. da Alba Andreini, Studi e testi gaddiani, Palermo 1988, p. 179.

5 Claudio Minca, Il soggetto, il paesaggio e il gioco postmoderno, in Els paisatges de la postmodernitat, atti del II Seminario internazionale sul Paesaggio (Olot, 21-23 ottobre 2004), p. 3.

6  Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936-39, ediz. cit. Torino 1998, p. 30.

7 Ibid., p. 35.








BIBLIOGRAFIA

Rosario Assunto, La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città, Milano 1984, p. 166.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, 1936-39, ediz. cit. Torino 1998, p. 30 e p. 35.

Luciano Folgore, Il Canto dei Motori, Milano 1912, cit. da E. Sanguineti (a cura di), Poesia italiana del Novecento, II, Torino 1971, p. 606.

Carlo Emilio Gadda, La nuova centrale termoelettrica della Città del Vaticano, 1933, cit. da A. Andreini, Studi e testi gaddiani, Palermo 1988, p. 179.

Claudio Minca, Il soggetto, il paesaggio e il gioco postmoderno, in Els paisatges de la postmodernitat, atti del II Seminario internazionale sul Paesaggio (Olot, 21-23 ottobre 2004), p. 3.

Antonio Sant’Elia, L’architettura futurista. Manifesto, in L. De Maria (a cura di), Marinetti e il futurismo, Milano 1977, p. 148.












Fig. 1
Centrale Montemartini, Roma, esterno
(Foto ©: E. Janulardo)

Fig. 2
Centrale Montemartini, Roma, particolare degli elementi decorativi esterni
(Foto ©: E. Janulardo)

Fig. 3
Centrale Montemartini, Roma, veduta parziale dei busti allineati nella Sala Motori
(Foto ©: E. Janulardo)

Fig. 4
Centrale Montemartini, Roma, particolare della Sala Caldaie
(Foto ©: E. Janulardo)

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