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Declinazioni aeropittoriche: Giovanni Korompay e Magda Falchetto a Ferrara  

Raffaella Picello
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 2 Ottobre 2014, n. 732
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Per Giovanni Korompay, ancora residente a Venezia, città passatista sulla quale piove la condanna futurista nel 1911, l’impatto col Futurismo fu precoce. Al 1922 risale l’incontro con la personalità travolgente di Marinetti e l’adesione all’avanguardia fu immediata e comprovata dalla tela Rumore di locomotiva, saggio di solidificazione della forma applicato all’estetica della macchina. Essa è pressoché l’unica a sopperire alla mancata reperibilità di opere prodotte fino al 1933, anno del dipinto Bolidi + strada, arco temporale denso di operosità per Korompay, il quale nel 1925 fu artefice della prima mostra del gruppo di futuristi veneziani, che includeva Magda Falchetto, Francesco Korompay e Lorenzo Tron.

Dal 1933 si fa, invece, iniziare la realizzazione di sculture futuriste in legno e poi in bronzo, un esemplare delle quali, collocato nei pressi della Scuola intitolata a Corrado Govoni, attesta la prosecuzione dell’attività scultorea anche a Ferrara, dove si stabilì dal 1936, con la moglie pittrice Magda Falchetto, lasciandola per la vicina Bologna allo scadere del 1944. Al 1933 si data anche la tela Simultaneità della Falchetto, esposta alla Fondazione Bevilacqua la Masa.

Nella città estense, patria di origine di Italo Balbo, Korompay giunse con la moglie Magda nel 1936 assunto come collaboratore del «Corriere Padano» con le mansioni di stenodattilografo. Insieme intrecciarono relazioni con Quilici e gli intellettuali e gli artisti gravitanti attorno al quotidiano ed assieme ad alcuni di questi, Korompay strinse il sodalizio con il fondatore del Gruppo Futurista Savarè di Monselice, Corrado Forlin.

Tanto è vero che quando, nel gennaio del 1939, Forlin organizzò a Cagliari la settima mostra di Aeropittura della corrente, Korompay e Falchetto, autrice di Paesaggio aereo, vi aderirono ed esposero con pittori e scultori futuristi della caratura di Prampolini, Tato – a fianco di essi, Caviglioni e Dottori entrambi avevano partecipato alla Biennale del 1938 nelle sale dei Futuristi Aeropittori di Spagna e d’Africa –, Diulgheroff, Dottori, Tullio Crali, Sante Monachesi e Umberto Peschi, come si ricava dalla lettera del 23 maggio indirizzata dal veneziano a Forlin a manifestazione conclusa proprio mentre frequentava ancora la redazione del Padano:


Caro Forlin, ho ricevuto la tua cartolina.

Sento che sei stato ad Adria e ti sei incontrato con Zen.

Sento pure con piacere che i nostri quadri sono al sicuro e che saranno spediti per qualche altra manifestazione in Sardegna. Come ti avrà detto anche Zen, della mostra non abbiamo saputo niente. Ho solo saputo da S.e. Marinetti, durante una mia visita in dicembre a Roma, che questa sarebbe stata inaugurata alla fine dell’anno scorso.

Dopo tale notizia più nulla, sebbene mi fossi raccomandato a Pattarozzi di inviarci qualche numero di Mediterraneo Futurista, nel quale certamente si sarà parlato di essa.

Ora avevo deciso, e sono ancora deciso, di aprire una mostra futurista qui a Ferrara o a Venezia.

Naturalmente per tale mostra sarà necessario che io possa raccogliere il maggior numero di opere. Di questo ho anche avvertito Zen. Zen mi ha inviato un articolo per il Giornale che sarà pubblicato fra non molto. Sarebbe stato utile poter avere qualche articolo in tempo sulla mostra di Cagliari che sarebbe stato pubblicato ben volentieri dal nostro giornale.

Chissà che adesso ci sia più facile tenerci in contatto.

Saluti a te e agli amici futuristi e fatti vivo qualche volta

Giovanni Korompay 1


Un ulteriore documento inedito conferma il sodalizio di Korompay con i ferraresi Ugo Veronesi e Antenore Magri nello stesso anno mentre nell’autunno risultava già in cantiere il progetto della IX Mostra di Aeropitture di Guerra del Savarè, poi tenutasi al Castello Estense dal 27 dicembre 1940 al 10 gennaio 1941.

L’esposizione intendeva commemorare la prematura scomparsa del Ministro dell’Aeronautica, a sei mesi dalla tragedia di Tobruk. La Beinecke Library è inoltre in possesso di una lettera indirizzata a Marinetti dall'aeropoeta ferrarese Ugo Veronesi datata 13 novembre 1940 con un'appendice del pittore Giovanni Korompay che ne chiarisce il ruolo di promotori dell’iniziativa:


Caro Marinetti,

sono stato molto spiacente di non aver potuto intervenire alla manifestazione padovana, ma erano i primi giorni della mia assunzione al “Padano” e non volevo indisporre il Direttore

Ho lavorato l’ostico Istituto di Cult. F. ottenendo per voi lire mille –altre mille le metteranno a disposizione per la Mostra (nell’atrio del Comunale)

Ravegnani ha promesso un’intera pagina (la III) per il nostro movimento. Chiede un vostro scritto sull’aeropittura (introduttivo alla mostra), fotografie di opere che saranno esposte e un breve cenno sugli artisti che interverranno.

Mi metto in comunicazione con Forlin e con Caviglioni.

Forlin mi parlò precedentemente che la Mostra verrebbe inaugurata nella prima quindicina di dicembre.

Attendo i vostri ordini. Alalà

Ugo Veronesi


Ho sentito che presto sarà tra noi. Manderò anch’io qualche quadro alla Mostra. Intanto la saluto e invio sinceri auguri.

Korompay 2


Fig. 1
Fig.1 Giovanni Korompay, Colonizzazione della Libia, 1938, coll. priv.

Alla mostra Korompay era presente con l’olio Colonizzazione della Libia (Fig. 1). Pubblicato dal “Corriere Padano” tra le opere inviate da artisti residenti a Ferrara alla III Quadriennale romana e, in capo a poco più di un anno, sulla terza pagina del quotidiano nel nucleo delle opere esposte alla mostra Savarè allestita al Castello Estense, l’olio si colloca nel solco delle tematiche incensatorie della politica bellica promossa dal regime. Nell’ambito dell’evento espositivo ferrarese, inoltre, la tela si riallacciava all’apoteosi di Balbo, nominato Governatore della Libia dal 1934 dopo essere stato destituito dall’incarico di Ministro dell’Aeronautica. Memoria evidente della vocazione al volo sapientemente costruita e mitizzata attorno alla figura del gerarca ferrarese si può cogliere nelle squadriglie aeree libratesi sul mar Mediterraneo, la cui distesa liquida solcata da imbarcazioni militari occupa la metà inferiore della composizione, sovrastata dalla vastità incombente del cielo. In lontananza, sul lato destro, si intravede la terraferma, mentre una silhouette maschile quasi sovrapposta in trasparenza sulle acque, forse quella dello stesso Balbo, si erge di profilo. La resa pittorica è largamente vincolata a presupposti figurativi, anche se il confronto stilistico con altre opere coeve e perfino anteriori – si pensi ad Aeroplano allo specchio (1934), Aeropittura del 1935 e la successiva Aeropittura del 1938 - rivela il progressivo evolvere del registro formale di Korompay verso soluzioni di estrema sintesi e poi astratte, le quali tuttavia sarebbero risultate poco adeguate al contesto apologetico predisposto nelle sale della mostra ferrarese.

Né il catalogo della manifestazione, né la pubblicistica del tempo recano purtroppo traccia della partecipazione di Magda Falchetto. Tuttavia, dalla stampa periodica si evince come, oltre ai nomi di Forlin, Fasullo, Zen, Caviglioni e Menin, altri artisti, quali il sardo Baldo Morgana, vi avessero aderito. Non è dunque azzardato ritenere che una tela datata al 1937 – risalente al periodo ferrarese – fosse stata inclusa nel nucleo delle opere esposte.


Fig. 2
Fig. 2 Magda Falchetto, Aeropittura (Ali tricolori), 1937-38, coll. priv.

La scelta di inserire Ali tricolori di Magda Falchetto (Fig. 2) nella disamina delle opere afferenti a una produzione futurista sorta, oppure transitata in sedi espositive ferraresi si motiva, inoltre, al di là dell’evidenza indiziaria di una effettiva presenza in città, per via della sua consistenza paradigmatica con i coevi esiti aeropittorici di Magda Falchetto. La data di esecuzione, a metà fra il 1937 e il 1938, consente un termine di raffronto con il restante repertorio coevo futurista licenziato dall’artista in stretto dialogo con i fondamenti stilistici elaborati dal marito Giovanni Korompay, la cui tela dispersa Ali legionarie datata 1935 costituisce un probabile termine di raffronto per questo dipinto.

La Falchetto, al pari di Korompay e diversamente dalla maggioranza degli aeropittori, non esplorò le potenzialità derivanti dalla visione aerea in termini di proiezione prospettica o mobilità dello sguardo che si allarga a comprendere distese inimmaginate. Anzi, l’aeroplano – di volta in volta incensato nel suo vigore metallico, oppure assunto a strumento di percezione moltiplicata e dominatrice della realtà terrestre – è qui sminuito nella sua presenza fisica essendo visualizzato in forma di sagoma colorata nell’atto di librarsi in distanza a rincorrere le traiettorie dinamiche tracciate da altri velivoli. Posta l’ineludibilità del significato patriottico, accreditato dal titolo della tavola, la pittrice vi trasferisce l’intensità di un’esperienza psichica del volo. Pur se osservato da terra, il passaggio delle macchine volanti suscita un evento percettivo comunque ampliato e, nel contempo, precario trovandosi lo sguardo dello spettatore costretto a spostarsi nella distanza e in direzioni differenti per ascendere verso altezze vertiginose.


Fig. 3
Fig. 3 Giovanni Korompay, Paesaggio sintetico di Capri, s.d. (1938), coll. Veronesi, Ferrara

Mentre soggiornava a Ferrara, Korompay mantenne saldi i rapporti con Marinetti, esponendo tre opere di soggetto aeropittorico alla Biennale del 1936 e una a quella del 1938 da Marinetti intitolata ai Futuristi Aeropittori d’Africa e di Spagna.

Tuttavia, la presenza in città della china intitolata Paesaggio sintetico di Capri (Fig. 3), donata personalmente all’aeropoeta Ugo Veronesi, è emblematica di un filone parallelo della ricerca del futurista, che potrebbe avere avuto origine proprio durante il soggiorno ferrarese. Esso si esplica nella rappresentazione di paesaggi in cui il dato oggettivo è punto di partenza per figurazioni definite dalla critica precedente «di sapore surrealista»3 , dialogando in modo stringente con le chine Venere spaziale del 1939 e Sintesi di Paesaggio, quest’ultima datata dalla Nalini Setti 4 al 1930.

Parallelamente, alle suggestioni ricevute dall’isola partenopea Korompay rese omaggio, in quel medesimo torno d'anni, negli aniconici Atmosfera di Capri e Capri, entrambi datati 1938 da Franco Solmi 5 . La fortuna del paesaggio caprese presso l’immaginario futurista è ormai nota e nel 1932 anche la stampa ferrarese aveva riservato spazio alla interpretazione del mito di Capri dal futurista siciliano e poi teorico della destra estrema Julius Evola, in termini che paiono attagliarsi alla trasposizione futurista in chiave cosmica elaborata da Korompay:


La natura di Capri ha una caratteristica fondamentale: quella della aerità.

Vi è, costante, un senso strano di aereo, di mattutino, quasi di senza-peso in questa chiarezza diffusa che si direbbe non conoscer l’ombra, che si addolcisce e smaterializza ogni tinta e ogni forma sino alla parvenza di qualcosa di sospeso nell’atmosfera e di sostanziato d’atmosfera.

Capri, sospesa nell’unica massa vaporosa mare-cielo: sagoma appena differenziata, senza terza dimensione, lontana e vicina ad un tempo come una apparizione, un sogno, un ricordo 6 .


Per parte nostra, proponiamo una datazione attorno al 1938 per la mancanza di altre opere analoghe provviste di data nel catalogo dell'opera di Korompay, anche tenendo conto della marcata propensione alla dinamizzazione delle forme che ancora nel 1933 si riscontra in Bolidi + strada.

Korompay ha qui accantonato i parametri meccanicistici del Futurismo seppure riletti attraverso un’ottica visionaria e astratta, attratto piuttosto dal versante prampoliniano delle «architetture spirituali» 7 , cromatiche e successivamente evolute nella dimensione cosmica.

Non necessita di prove ulteriori la consuetudine del veneziano con il futurista modenese, autore tra l’altro nel 1932 di un Paesaggio di Capri in collezione M. Carpi a Roma, saggio di forme aperte e biomorfiche, indubbio retaggio della conoscenza delle composizioni di Jean Arp a Parigi.

Nel caso di Prampolini questo nuovo corso disvela ampi spiragli verso esiti astratti, a cui Korompay non si mostra indifferente sperimentando squarci paesistici, fondati su profili di valenza biomorfica e piani dal taglio curvo dall’incanto primigenio, nei quali vita materiale e atmosfera spirituale convivono in totale armonia.


Fig. 4
Fig. 4 Giovanni Korompay, Venere Spaziale, 1939 (distrutta)

Anche Venere Spaziale (Fig. 4), presumibilmente distrutta a seguito del bombardamento dell’abitazione ferrarese del pittore avvenuto nel 1944, parrebbe cadere nel novero dell’attività condotta nella città estense, che si concluse nel 1940 con il trasferimento a Bologna. Il biennio 1938-39 è connotato dalla stringente sperimentazione di moduli in cui elementi naturali e tensione surreale convivono. Nel disegno qui riprodotto, una sagoma femminile si staglia in primo piano reclinata contro uno scoglio. Il titolo dell’opera ne associa l’identificazione con Venere, la dea condotta alla vita dal mare. Priva di volto, dalle membra flessuose e in totale simbiosi con i flutti e gli elementi naturali circostanti, la Venere di Korompay è senz’altro memore delle evocazioni muliebri rintracciabili nelle tele dei primi anni Trenta di Pippo Oriani e Prampolini, in cui il tema della maternità era un rimando alle origini primordiali dell’uomo e al suo anelito a ricongiungersi all’armonia dell’universo. La sua essenza è eterea, parto della memoria o finzione alla quale si sovrappongono come ricordi frammenti architettonici di sapore quasi metafisico: delle arcate, una torre, un ponte. Poi dominano il mare – immancabile in questi paesaggi ‘sintetici’ e allusione al mito della nascita della dea -, i monti e un cielo denso e contrastato. È ancora l’idealismo cosmico prampoliniano a suggerire questa vibrante ridefinizione simbolica del dato di natura in perfetto equilibrio «fra necessità strutturale e dilatazioni d’atmosfera portate a sfaldare gli ordini geometrici» 8 .



Fig. 5 Fig. 6
Fig. 5 Giovanni Korompay, Danzatrice, 1938, coll. priv. Fig. 6 Giovanni Korompay, Ritmo femmina, 1938, coll. priv.

Un registro analogo riaffiora nelle sculture in legno Danzatrice (Fig. 5) e Ritmo femmina (Fig. 6), entrambe riconducibili al periodo ferrarese pur senza il conforto di evidenze documentarie in tal senso.

Dopo un esercizio iniziale su soggetti desunti dall’immaginario meccanico dei cantieri navali e dell’armamentario bellico, l’artista si rivolgeva ora a uno dei temi privilegiati del repertorio futurista - da sempre sfruttato per le infinite possibilità di resa del movimento in esso racchiuse -, il quale peraltro non trova un corrispettivo nella produzione pittorica coeva dell’artista. Innegabile in entrambe il rimando a moduli prampoliniani all’indomani della svolta cosmica di questi, della cui serena armonia l’opera preserva integro lo spirito. In bilico tra sintesi futurista, di matrice cosmica s’intende, e astrazione, la danzatrice si caratterizza per la straordinaria «aerea» leggerezza da indurre a credere che sia eseguita su materiale metallico di lega leggera. Ancora una volta, Korompay mantiene le distanze dalle tematiche illustrative degli ideali patrocinati dal regime, quali l’aviazione, la glorificazione dell’impero, la guerra o la ritrattistica mussoliniana, che contano rara trattazione nel repertorio pittorico del veneziano. Il risultato è un diafano volteggio, quasi bidimensionale di sapore arcaico tanto quanto moderno, un distillato di forme, ma ancor più di essenza percettiva della danza, come enuncia il titolo stesso. Dopo aver sondato le pulsioni dinamiche dell’azione, tuttavia Korompay le condensa in una sintesi fondata sull’arcano riecheggiarsi di forme depurate dal contingente così da aprire, in tempo reale, a esiti propri all’arte astratta già filtrati nell’ambiente ferrarese attraverso l’apporto teorico introdotto da Carlo Belli.

Il 9 ottobre del 1937 la terza pagina del “Corriere Padano” appariva, difatti, occupata per intero da articoli volti a chiarire le ragioni della nascente arte astratta in Italia e all’estero. Vi si riassumeva il percorso storico della pittura astratta in patria, al quale si faceva seguire un profilo di Georges Braque e il confronto tra le prese di posizione rispettivamente sostenute dallo stesso Belli, Osvaldo Licini e il critico Giuseppe Marchiori contrapponendole a quella più reazionaria di Carrà, avverso all’astrattismo, la cui funzione egli riduceva a mero decorativismo.

A quell'epoca, mentre il contingente degli scultori futuristi schierato in prima linea sul palcoscenico delle esposizioni ufficiali, tra tutti Renato Di Bosso, Regina, Rosso e Thayaht, si impegnava a eternare i vari cantabalilla, aviatori, figli della lupa, guerrieri africani, Korompay si estraniava dall’agone scegliendo di percorrere la via in fondo più duratura, quella del dibattito formale più aggiornato.



NOTE

1 KOROMPAY 1939.

2 VERONESI, KOROMPAY 1940.

3 SOLMI 1979, p. 9.

4 NALINI SETTI 1990, pp. 128-129.

5 SOLMI, op. cit., p. 61; p. 64.

6 EVOLA, 2002, p. 62.

7 Il concetto è illustrato in PRAMPOLINI 1924, pp. 6-7.

8 SOLMI,op. cit, p. 8.









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