Alessia FERRARO, Polifilo tra le rovine: Il mito di Roma, in ISSN 1127-4883 “BTA – Bollettino Telematico dell’Arte”, 16 Luglio 2014, n. 721 http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00721.html e http://www.bta.it/txt/a0/07/bta00721.pdf Pubblicato nel BTA in data 01/05/2018 nel formato TXT (Codifica Unicode UTF-8): bta00721_testo_Video_CaneLibroParlato_Caroguimus9_Icoxilopoli_02_xilo_004_00.TXT.txt ______________________________________________________________ Polifilo tra le rovine: Il mito di Roma di Alessia FERRARO Polifilo sogna di ritrovarsi in una selva oscura e pericolosa e, spaventato, di uscirne assetato per ristorarsi presso una fonte. Giunge in un luogo ameno dove, all'ombra di una quercia, si riaddormenta e ci narra una nuova avventura. Polifilo sogna di assopirsi grazie alla frescura di un albero e di passeggiare solitario in un luogo puntellato da «non dense ma intervallate palme», in uno scenario di rovine antiche che trasformano il suo doppio sogno in preludio del sogno archeologico dove molti sono i riferimenti all'antico . La stessa vegetazione fatta di palme racchiude in sé molteplici significati. Essa, infatti, è sia indice topografico, come Calvesi sostiene, che ci aiuta ad identificare il luogo con il litorale laziale dove la palma cresce spontaneamente, sia riferimento alla cultura egizia, in cui tale pianta viene spesso assimilata al dio Thot, signore del tempo e conservata nella mano destra del dio dell'oltretomba Anubi. I suoi rami, infine, sono il materiale con cui vengono intrecciati i sandali della dea Iside e le corone sul capo dei suoi iniziati. In questa pianta coesistono i simboli della vittoria e della forza essendo resistente e sempreverde. Erasmo nei suoi Adagia, menzionando Aulo Gellio e a sua volta Aristotele e Plutarco, scrive «palmam ferre» per indicare il grado di sopportazione della fatica del suo legno che, sottoposto ad un grosso peso, né cede e né si curva come sottolineano anche Leon Battista Alberti nel De Re Aedificatoria e Francesco Colonna nella stessa Hypnerotomachia. Negli Emblemata Henkel e Schone ci offrono l'immagine di una palma assediata da tanti paffuti fanciulli che tentano di conquistare i datteri odorosi, ma solo colui che più tenacemente riuscirà a tenersi potrà averli come meritati premi a monito di restar sempre saldi contro le difficoltà per ottenere le vittorie. Ed infine è proprio la personificazione della vittoria ad avere tra le sue insegne oltre all'aquila, simbolo di tenacia, ed il lauro, altra sempreverde, la palma. Ma i significati celati dietro questa pianta non sono solo due. Ve ne è anche un terzo che dal cristianesimo in poi si diffonde ma affonda le sue radici già nell'antichità: la resurrezione. Una credenza accosta la palma all'immortalità e racconta come l'araba fenice quando sta per morire e rinascere, scelga la palma per il suo ultimo nido, costruendolo sulla cima dell'albero. Un'antica leggenda, narrata da Plinio, vuole che insieme al mitico uccello anch'essa prenda fuoco per poi rinascere spettacolarmente dalle sue ceneri. A supportare la leggenda vi sarebbe anche una correlazione linguistica tra le parole greche “fenice” e “palma”, scritte entrambe «φοινιξ». Interessante è il verso di una medaglia del 1526 circa, fatto effigiare dal duca d'Urbino Francesco Maria della Rovere, su cui vi è una palma con i rami inclinati dal peso di una pietra ed un cartiglio che recita «inclinata resurgo». Mentre cammina Polifilo è spaventato da una famelica lupa che gli sbarra la strada alla sua destra, tanto da sentire i capelli arricciarsi sulla nuca e da non poter urlare. Essa, in rapporto alle rovine che la circondano, suggerirebbe un immediato richiamo alla fondazione del mito di Roma. Ma se prestiamo attenzione alla posizione del suo corpo e alla ferocia della sua espressione, possiamo supporre che racchiuda in sé un significato ben più complesso e meno semplicistico. Il lupo è da sempre un simbolo molto discusso e dalla duplice valenza: generativa da un lato e distruttiva dall'altro. Nell'antica Grecia fu consacrato ad Apollo, dio del sole, poiché come questi attira i greggi con i suoi raggi, così l'animale rapisce le bestie e le dilania. Possiede, inoltre, una buona vista notturna per cacciare, riuscendo metaforicamente a squarciare le tenebre così come fa la luce del sole. Proprio per quest'attribuzione divina, presso il tempio di Apollo a Delfi è conservato un bellissimo lupo di metallo narrando, il mito stesso, che Latona, fatta gravida da Giove, fu tramutata in lupa dando poi alla luce il dio del sole. Si racconta anche che un lupo uccise un ladro che tentava di rubare al tempio, salvandone così i tesori. Il potere di questo animale di generare stirpi nobili e durature, come quella romana, si ravvisa in alcune immagini che lo raffigurano con la scritta «suprimenda semina». Tornando propriamente alla lupa che atterrisce Polifilo, la forma del suo corpo rivolto all'indietro è rintracciabile in un geroglifico che Horapollo l'Egiziano esamina interpretandone un significato di ostilità ed avversione, esattamente quello che l'animale sta facendo con il protagonista dell'Hypnerotomachia. La lupa sta allo stesso tempo minacciosa e fiera, a guardia e protezione delle antichità come se fossero i “suoi figli romani”, ormai sventrati dal tempo. Sbarra famelica la strada a Polifilo, creando un subitaneo parallelo letterario con la fiera dantesca che impedisce al sommo poeta di procedere nel suo viaggio. Insieme alla palma, su cui si è già lungamente discorso, anche la lucertola, altro animale presente nel paesaggio, è simbolo di rinascita, rigenerando per natura le vertebre caudali una volta tagliate. Nella mitologia classica questo animale si presenta con significati ambivalenti. Simbolo della saggezza e della fortuna, era considerata emblema del dio Ermes e dell'egizio Serapide. Al tempo stesso però era associata ai serpenti, dei quali condivideva gli aspetti ctonî e i valori più oscuri della simbologia. Era credenza diffusa presso i Romani che durante l'inverno la lucertola andasse in letargo per risvegliarsi in primavera, per questo assumeva un significato simbolico anche in ambito funerario, rappresentando la morte e la rinascita e, spesso, era riprodotta in questo contesto sulle lastre tombali romane, oppure, in relazione con il tema del sonno, accanto a immagini di amorini dormienti. Per quanto concerne l'accostamento che gli alchimisti fecero tra lucertola e lussuria, ciò deriverebbe da alcune proprietà del rettile essendo in grado di stare a lungo esposto al sole sulle pietre e capace di entrare ed uscire agilmente dagli anfratti, rappresentando così il “fuoco tellurico”, cioè la sessualità elementare. L'ambiente “rovinoso” che circonda il protagonista è intriso di una Roma “trattata male”, con busti acefali, colonne spezzate, architravi e capitelli sparsi. Ciò riporta alla mente i discorsi di alcuni umanisti che, recandosi nell'antico Foro allora interrato, si lamentavano per l'incuria dell'antico che declassava la città e che le fece perdere la Palma d'Atene del Rinascimento, vinta invece da Firenze. Poggio Bracciolini, segretario apostolico con Martino V (Oddone Colonna) devoto al cardinale Prospero, zio di Francesco Colonna, nel De Variaetate Fortunae riporta come lo stesso Oddone Colonna osservasse dall'alto del Campidoglio le rovine romane, tra cui il Bracciolini enumera anche Palestrina, dominio di Francesco Colonna, meditando sull'instabilità della fortuna. Nel 1700 Piranesi riuscì a trasformare tale “rovinismo” in poesia archeologica romana, in riflessione filosofica e infine tutela del patrimonio culturale e archeologico. Il bacino ovale che affianca la lupa, secondo alcuni studiosi, era immagine del Colosseo ma la forma non ellittica bensì circolare suggerirebbe, invece, un percorso di rigenerazione. Rigenerazione di una città in dissesto che può guarire e dove la prima rovina è Palestrina, la casa di Francesco Colonna. La circolarità nel Polifilo è piuttosto presente, basti pensare alla forma dell'isola di Citera, luogo cruciale del racconto. Unendo i simboli finora trattati: la lucertola, le rovine, la lupa e il bacino ovale, ci rendiamo conto di come siamo dinnanzi ad un cammino iniziatico. Un percorso che nasce dall'incontro di Polifilo con la lupa, feroce custode di una Roma ormai maltrattata, allegoria delle difficoltà che qualunque iniziato deve affrontare per bere alla fonte della sapienza ma che possono essere superate se si persevera, come i fanciulli attaccati alla palma per godere dei suoi frutti. Un cammino che conduce ad una rigenerazione e resurrezione in cui il rovinismo è premessa della ricostruzione fondata sulla sapienza e sulla conoscenza. Un invito che non si ferma nel 1499 con la stampa dell'Hypnerotomachia ma che è oggi più che mai attualizzabile in un' epoca come la nostra in cui il patrimonio culturale italiano è diventato ruota di scorta dell'economia quando dovrebbe essere maggiormente tutelato e valorizzato perché gancio di traino di una ripresa sostanziale. Tornando al nostro Polifilo, che le mie riflessioni hanno lasciato atterrito di fronte al lupo, egli volge gli occhi dove i colli sembrano convergere e scopre una “mirabile e portentosa” piramide con un eccelso obelisco che la corona. Incantato da tanta magnificenza si avvicina.