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Jerry Uelsmann, il serbatoio dell'immaginazione  
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 27 Novembre 2013, n. 695
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Meditating on the “I”

Jerry Uelsmann[1], fotografo americano, è un artista delle immagini combinate. Ad un occhio inesperto le sue opere sembrerebbero elaborazioni digitali, ma quelle invenzioni surreali nascono dalla grande abilità acquisita in camera oscura.

La sua fantasia naviga verso rotte indefinite: non a caso la mostra allestita alla Galleria degli Scaligeri a Verona nel 2007 si intitolava Meditationnavigation, come l’omonimo catalogo.

Il suo procedimento parte dalle sperimentazioni di Rejlander: l’immagine finale è unica, ma è composta da diversi negativi.

Uelsmann non usa questa tecnica per comporre opere narrative: il suo obiettivo è ottenere delle immagini allegoriche e imperscrutabili. Come dice Uelsmann stesso: “When I began my experiments Rejlander and Robinson were not highly regarded by the small photographic community. Historians considered combination printing a misstep in photography’s quest to be recognized as an independent art form. Photographs were supposed to reflect the modernistic approach typified by Paul Strand and Edward Weston. People constantly would respond to my work by saying ‘that’s interesting but it isn’t photography.’ I bought everything I used at a camera store and spent long hours in the darkroom, so what was I supposed to call my work? I found it exciting to challenge the limits, but others found it offensive because once you begin to alter the imagery, you are treading on the societal boundaries between perceived fact and fiction”[2].

L’arte di Uelsmann è frutto della postvisualizzazione: “Il momento creativo, che in ambito di previsualizzazione e di straight photography raggiungeva il suo apice, esaurendosi, al momento dello scatto, con Uelsmann si dilata ben oltre quell'istante; ciò che in precedenza costituiva un traguardo diviene un punto di partenza, e il risultato finale è ben lungi dall'essere previsto o prevedibile”[3].

Le immagini raccolte costituiscono una fonte a cui attingere secondo l’istinto creativo. Si tratta di un serbatoio d'immaginazione in cui operare attraverso l'arte combinatoria. “Ogni immagine scattata entra a far parte di una sorta di 'riserva creativa' insieme ad innumerevoli altre: pescando all'interno di questa raccolta, l'artista combina di volta in volta immagini diverse per dar vita a sempre nuove creazioni; un singolo negativo potrà così essere recuperato dopo anni, accostato a sempre nuovi elementi a seconda dell'idea del momento, reinterpretato e ridefinito nel suo significato infinite volte; una vera e propria ars combinatoria, ben determinata ad eludere ogni barriera razionale” [4].

La teoria di Uelsmann è debitrice del contatto con Beaumont Newhall, suo docente nel 1953, e Minor White. “Uelsmann stesso non perde un'occasione per ribadire il debito che lo lega a chi contribuì, con passione e competenza, a svelargli le stupefacenti potenzialità che dimoravano, più o meno frustrate, nel mezzo fotografico, purché si riuscisse a vincere il riserbo ad infrangere il patto di fedeltà incondizionata nei confronti del 'qui e ora': maestri che, rispondendo alle sue domande con altre domande ancor più stimolanti, gli insegnarono quanto fosse pericoloso illudersi di conoscere già tutto, smettere di interrogarsi e di conseguenza cessare di alimentare la propria crescita intellettuale e creativa”[5].

La tecnica di Uelsmann si basa sull’imprevisto inaspettato dovuto al procedimento analogico che crea, con l'opera, nuovi significati. “Via via che l'immagine viene 'costruita' (né più né meno di un quadro o di una scultura) attraverso impeccabili sovrimpressioni di vari negativi su un'unica stampa, il significato naufraga, imbocca direzioni improbabili, si lascia trascinare da una corrente illogica e visionaria con una naturalezza tale da lasciare increduli. Visitare una mostra dedicata a Uelsmann significa passare da un incanto all'altro, sempre più curiosi di scoprire quale altro barlume d'inconscio o visione sia riuscito a materializzare; il movimento successivo è quello che porta ad avvicinarsi alle stampe fin quasi a sbatterci il naso contro, alla ricerca di un segno, una giuntura visibile, una qualsiasi minima imperfezione che ci confermi l'irrealtà di quelle illusioni costruite ad arte”[6].


La forza delle sue opere[7] nasce proprio dal fatto che tutti gli elementi sono percepibili eppure ne permane il mistero.

Il punto di partenza è Magritte: la plausibilità del reale non viene compromessa perché non c’è deformazione. La percezione dello spettatore si destabilizza solo quando si considera l’opera nel suo complesso: “è allora che l'osservatore percepisce lo stravolgimento (dérèglement, ebbe a chiamarlo Rimbaud) di ogni senso e dimensione, e, sentendosi disorientato, è costretto a rimettere finalmente in discussione la realtà alla luce di un nuovo meccanismo di percezione all'insegna della soggettività e dell'incertezza, ma soprattutto della libertà assoluta, vivificante del pensiero. Ed è in quell'istante che ogni certezza, cadendo, lascia il posto all'emergere della poesia”[8].

Si ricordi che: “La poesia può essere ovunque e da nessuna parte, ma comunque è necessario essere stati messi nella posizione di poterla percepire, cioè essere stati disturbati e destabilizzati da un'esperienza, per esempio visiva, dell'infondatezza annidata nel cuore delle cose e dei principi più evidenti”[9].

La stessa capacità evocativa appartiene ai capolavori di Uelsmann: sono opere aperte che si concludono solo quando lo spettatore entra nel gioco stesso dell’arte.

 

Eye of Joseph Cornell[10]

Uelsmann nutre una grande passione per Dadaisti e Surrealisti: negli anni Novanta realizza una serie di omaggi interpretazione sull’opera di tali artisti. Si vedano, ad esempio, Homage to Duchamp, Memory of Max Ernst e Homage to Man Ray[11] realizzati nel 1997.

L’anno successivo crea una delle sue opere più suggestive: Meditating on the I & Eye of Joseph Cornell[12]: è un omaggio all’artista delle Shadow Boxes sulla base del procedimento compositivo abituale.

Uelsmann è affascinato dalla fantasia di Cornell originata dalla passione per le opere di Ernst: “I was intrigued by Max Ernst and Joseph Cornell because their work used fantasy to challenge accepted ideas of reality. I collect folk art because I relate to the need people feel to create it and it is almost always emotionally based. I like images with human references and narrative strategies as I find people usually sense a greater connection with them”[13].

L’immagine realizzata dal fotografo è composta da una cassettiera centrale: è una chiara allusione al ritratto scattato da Michals a Cornell davanti alla specchiera[14]. I due artisti, infatti, si conoscono bene: Michals indica Jarry Uelsmann come il fotografo che ha affinità con il concetto di “occhio della mente” applicato alla fotografia.

Al centro del mobile compare un occhio aperto, memore del contatto con Michals e della suggestione surrealista. Questo elemento richiama inevitabilmente il titolo dell’opera, giocato sull’assonanza tra I e Eye. Si ricordi che tale termine significa anche obiettivo.

L’occhio è custodito all’interno di una sfera trasparente: questa forma si ripete sullo sfondo ad indicare gli elementi del cosmo che ruotano intorno alla composizione. La sfera richiama What are Dreams[15] di Duane Michals e le bolle di sapone nelle opere di Cornell.

La forma arrotondata è tratta della ritrattistica: massimo esempio è la fotografa Julia Margaret Cameron. Se si osserva Untitled (Pod on nude/hand)[16]del 1972 si ritrova lo stesso ovale tipico dei ritratti della Cameron in stile vittoriano. La forma si associa anche al collage di Cornell realizzato per Lee Miller[17] basato proprio sullo stile della Cameron.

L’occhio è un elemento ricorrente nell’opera di Uelsmann soprattutto negli interni. Il fotografo, infatti, concepisce la casa come luogo vivo, abitato da presenze che incantano la memoria sulla scia di Michals. Basta guardare, per esempio, Shaman’s study del 1997 o Home is a memory (undated)[18] .

L’obiettivo per Uelsmann rappresenta la possibilità di esplorare: “The camera is a license to explore. It grants you societal permission to go out and interact with the world. It gives value to my life. Even if I did not have the finished images that I made, I still would be content with all the experiences that the photographing has given me”[19].

Il confine tra realtà e immaginazione è sottile: “Although photographers must contend with implied veracity they are always inventing other realities. The straight photograph does not literally replicate a scene. An Ansel Adams picture of Yosemite is not what you experience when you go there. There is always a transition that breaks from reality. Photographic veracity is an effective tool because it implies a real situation and allows the viewer to respond to it accordingly” [20].

La fantasia, per Uelsmann è tutto: è il motore della sua personale creazione artistica. La realtà viene dipinta da visioni fantastiche: se si osserva Untitled (Man standing on book, on map, on table, in room with sky 'celling', 1976[21] ) si nota come il soffitto della camera si confonda con il cielo. Il titolo è già un accumulo di immagini che si fondono in un’unica visione.

È come se l’artista sentisse con un senso diverso: in Dream Theater (Undated)[22], per esempio, legge un libro con le mani e lo visualizza, o meglio lo sogna, come teatro.

La capacità sinestetica di rapportarsi alle cose ricorda, inoltre, il ritratto di Namuth Joseph Cornelllistening” to a book[23].

In diverse opere compaiono uccellini a corredo dell’immagine: forse un riferimento al tema che popola le scatole di Cornell.

Una delle ultime opere particolarmente importanti per capire la linea di Uelsmann è The Dream[24] del 2001: il sogno è visto come una visione liquida. Questo aspetto rimanda tanto a Cornell quanto ai surrealisti, affascinati dai riflessi nelle vetrine di Atget.

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NOTE

[1] Jerry Uelsmann, http://www.uelsmann.net/

[2] R. Hirsch, Maker of photographs: Jerry Uelsmann, 2002 in http://www.lightresearch.net/interviews/uelsmann.html

[3] S. Effe, Jerry Uelsmann. Gli incanti della “post-visualizzazione”, Aprile 2007 in http://www.nadir.it/recensioni/UELSMANN/uelsmann.htm

[4] S. Effe, Jerry Uelsmann. Gli incanti della “post-visualizzazione”, Aprile 2007 in http://www.nadir.it/recensioni/UELSMANN/uelsmann.htm

[5] Ibidem

[6] Ibidem

[7] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[8] S. Effe, Jerry Uelsmann. Gli incanti della “post-visualizzazione”, Aprile 2007 in http://www.nadir.it/recensioni/UELSMANN/uelsmann.htm

[9] M. Paquet, René Magritte: il pensiero visibile, Jaca Book 1982, p. 41

[11] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[12] Per visualizzare l'opera dell'artista, http://www.edelmangallery.com/under20.htm

[13] R. Hirsch, Maker of photographs: Jerry Uelsmann, in http://www.lightresearch.net/interviews/uelsmann.html

[16] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[17] Per visualizzare l'opera di Uelsmann, http://polina-leto.livejournal.com/4532.html

[18] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[19] R. Hirsch, Maker of photographs: Jerry Uelsmann, in http://www.lightresearch.net/interviews/uelsmann.html

[20] Ibidem

[21] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[22] Per visualizzare le opere di Uelsmann, http://www.uelsmann.net/works.php

[24] Per visualizzare l'opera, http://andrewsmithgallery.com/exhibitions/jerryuelsmann/masterworks/ju1114.html

 

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