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Arte classica e aniconismo geometrico. L'eredità del classico nel XX secolo  
Lidia Pizzo
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Maggio 2012, n. 648
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Area Estetica

«Tutto ciò che è intelligente è già stato pensato;
basta cercare di pensarlo di nuovo
».

Goethe

La bellezza è o appare ? Ma la bellezza se non appare può essere? Ma, poi, quale bellezza ? Diceva Ovidio nei Tristia: «bene qui latuit bene vixit» [1] : è vissuto bene chi ha saputo stare ben nascosto. Ma, come si fa a capire se una persona è vissuta bene se non è apparsa ?
Come sappiamo riconoscere il bello, il buono, l’utile ecc… se non appaiono ?

E comunque sia, tra essere e apparire è sempre un vero guazzabuglio.

Dopo questo strano incipit tra essere e apparire e tra essere ed apparire del bello, del bene e del giusto vorrei azzardare un'ipotesi di corrispondenza tra l’arte classica e l’aniconismo geometrico dell’ultimo secolo, e segnatamente il neoplasticismo di Mondrian.
 
Niente di più lontano, all’apparenza. Ma, andiamo con ordine.
Quando si parla di arte, di armonia e di bellezza bisogna sempre fare i conti con la Grecia e cioè col concetto di classico.
Abbiamo detto “concetto” a bella posta, perché il termine classico non indica un periodo storico ben definito, quanto una visione particolare dell’arte intesa come perfezione assoluta, perché ispirata a valori universali ed eterni.
Precisiamo meglio il termine. Classico deriva dal latino classicus, che indicava il cittadino che apparteneva per censo alla prima classe, quindi in senso traslato classico significa esemplare, di prima qualità, e quando si parla di arte ci si collega automaticamente all’arte greca, mentre l’altro termine dal primo derivato, classicismo, riguarda determinati momenti storici, in cui si fa riferimento ai modelli classici.
 
Aristotele nella Fisica sostiene che l’artista, pur imitando la natura, non lo fa per realizzare delle copie, ma per idealizzarla in modo da renderla priva di errori (ad esempio nei ritratti e nelle sculture) [2] . 
In altre parole, il filosofo sostiene che l’arte affina e arricchisce ciò che la natura ha fatto [3] .
E tutto sommato, non possiamo dargli torto relativamente all’arte greca classica, essendo rimasta insuperabile e insuperata attraverso i secoli, se non i millenni, quanto a perfezione, armonia e bellezza ideali.
Ci chiediamo: come poté accadere siffatto fenomeno in un periodo che va orientativamente dal 480 al 440 circa?
Anche Egizi e Persiani, da cui pure attinsero i Greci, pervengono a determinate vette stilistiche, ma mai potrebbero essere paragonare alla perfezione dell’arte classica.
Due sono i motivi che riteniamo fondamentali: uno politico e l’altro squisitamente culturale e filosofico in particolare.
 
* Andiamo al fatto politico. Sia in Egitto che in Persia c’è un’organizzazione statale fortemente centralizzata e gerarchizzata, conseguentemente anche l’arte mostra qualcosa di statico ed immutabile. Un po’ come avviene nei regimi totalitari quando essa si fonda su un determinato modello applicativo e non sulla fantasia, perché in tal modo l’arte e gli artisti, anarchici per eccellenza, possano essere meglio controllati.
Infatti, sia gli Egizi che i Persiani usano l’arte figurativa a scopo comunicativo e di promozione politica, laddove i Greci se ne servono per raggiungere il massimo grado di perfezione, di bellezza e di conoscenza, appunto perché l’arte greca riceve impulso dal clima di libertà e democrazia, che garantisce al cittadino della polis una più fattiva partecipazione alla vita politica e crea, ovviamente, le premesse per una libera espressione. Invece, un regime qualsivoglia imprigiona la fantasia e la libertà creatrice.
 
* Ma la sola libertà politica non basta per arrivare a certe vette espressive, altrimenti nella contemporaneità dovremmo essere al top. Sono necessarie ben altre premesse come l’ansia di conoscenza, che permette di dare ordine al mondo e di comprenderlo. In Grecia questo è il compito assegnato alla filosofia e quindi al linguaggio, modello chiave per manifestare il pensiero, onde la superiorità della filosofia sulla poesia ad esempio, nonché sulle altre arti. Infatti, nonostante i vertici di perfezione raggiunti, l’arte greca non godette della stessa considerazione della filosofia e nemmeno della poesia e gli artisti stessi sono considerati artigiani, onde la parola téchne per indicare l’arte figurativa. Non solo. Nella categoria sono compresi anche i tessitori, i calzolai e gli stessi architetti. Inoltre, qualunque artigiano, se diventa esperto, può essere annoverato nella classe dei maestri: architèkton.
 
Da notare che il termine tèchne è sostanzialmente diverso da come lo intendiamo noi, poiché comprende: a) l’attività umana opposta a quella spontanea della natura, b) la produzione manuale, c) la relazione con l’abilità e non con l’ispirazione, d) la conoscenza di norme operative generali.
 
Pertanto, attraverso la tèchne e la sua abilità nel riprodurre un corpo, ad esempio, l’artista mette in essere un còsmos simile a quello che si riscontra nella realtà, in quanto ha la possibilità di trasformare i propri mezzi espressivi e di adeguarli alle necessità, di modo che il riguardante colga un piacere estetico nel momento in cui opera e realtà si compenetrano. Cioè nel momento in cui bellezza e conoscenza diventano un tutt’uno.
Questi concetti affondano le loro radici oltre che nella filosofia nella visione che ebbero i Greci della matematica. Basti pensare a Pitagora e ai Pitagorici per i quali il “numero è la sostanza di tutte le cose”, intendendo con ciò che la vera natura del mondo e delle singole cose è costituita da un ordine geometrico esprimibile con i numeri e quindi calcolabile. Di conseguenza il grande merito dei pitagorici consiste nell’aver dato alla natura una struttura quantitativa e come tale misurabile. Essa, per tale motivo, diventa qualcosa di oggettivo.
 
L’uomo stesso, in quanto natura, può essere interpretato attraverso le idee matematiche che considerano anche l’anima umana come “armonia”, cioè come composizione armonica delle parti che compongono il corpo.
In altre parole, tutte le cose sono costituite da numeri, di conseguenza la natura del mondo è costituita da un ordine geometrico esprimibile in numeri, cioè misurabile.
Lo spirito matematico rimane una costante nell’arte greca applicata alla natura e quindi all’uomo in quanto natura.
Nell’espressione artistica ellenica, di cui ci rimangono architettura, scultura e ceramica, un buco nero è rappresentato dalla pittura, perché di essa non abbiamo documenti anche a causa della deperibilità dei materiali. Conosciamo solo i nomi di alcuni pittori quotati all’epoca, ma niente di più.
Tra questi uno ci è pervenuto in modo insistente: Policleto, autore di un’opera andata perduta Il Canone e inventore, ovviamente, di un canone rappresentativo, ma di cui non conosciamo quasi nulla, e ciò che sappiamo lo apprendiamo per via indiretta. Egli diceva ai suoi contemporanei relativamente al nudo: che ogni linea, dalla punta dei piedi all’ultimo capello del capo, era calcolata e ogni superficie dipendeva da un minimo tocco, da un graffio d’unghia.
Questa simmetria perfetta dataci dall’equilibrio e compenso dei rapporti tra numeri costituisce l’essenza dell’arte classica.
 
Molti studi sono stati fatti per comprendere di quali rapporti si trattasse ma i risultati sono stati scarsi, possibilmente questi si cercano fra misure aritmetiche laddove Policleto si riferisce a rapporti tra misure geometriche.
Molto si è discusso anche attorno alla famosa frase di Vitruvio, vissuto nel I° secolo a.C., per il quale le costruzioni sacre dovrebbero avere le stesse proporzioni del corpo umano, il quale a braccia e gambe aperte può essere circoscritto dalle forme geometriche perfette: il quadrato e il cerchio. A lungo gli studiosi e gli artisti hanno cercato di individuare visivamente quell’anello di congiunzione fra sensazione e composizione, fra il principio organico e quello geometrico della bellezza. Senz'altro chi si è avvicinato maggiormente alla sintesi vitruviana è stato Leonardo.
 
Comunque sia, anche se di difficile interpretazione un canone per la rappresentazione della bellezza delle figure maschili dovette esserci.
Invece, per quel che riguarda la bellezza e l’armonia nelle proporzioni delle statue femminili una regola esiste. Essa consiste nell’uso della stessa unità di misura tra la distanza dei due seni, tra il seno più basso e l’ombelico e fra l’ombelico e la divisione delle gambe.
 
Il rebus riguarda il nudo maschile, importantissimo tra i Greci e motivo di orgoglio, perché si ricollega alla loro filosofia. Infatti, il corpo rappresenta la compiutezza umana in quanto insieme con lo spirito sono un’unica cosa, per cui la bellezza e l’armonia delle forme corrisponde anche ad un ideale etico fatto di equilibrio tra forza e grazia, realtà e ideale, religione e filosofia.
Conseguentemente, forma e materia esprimono un’unica sensibilità. L’artista greco non vuole rappresentare un uomo, ma l’uomo, così come il filosofo sostiene che la conoscenza non è parziale ma universale. Non per nulla il mito, come espressione di un significato universale della relazione tra le cose, è nato in Grecia.
In sintesi, i corpi dalle forme ideali perfette ed armoniche, i templi otticamente assoluti non sono altro che la manifestazione del primato dell’Idea nella quale è nascosta la natura delle cose. Essa, secondo l’ultimo Platone, è viva e si fa sentire perché il bello è in rapporto costitutivo con il vero e con il bene. Il bello, così, rivelando la struttura della realtà, ha funzione veritativa in quanto ne esprime la bontà, essendo essere e bene la stessa cosa.
 
Tuttavia, a ben vedere, con la filosofia greca si origina quel dissidio tra idea e materia, tra idea e realtà. Così il corpo resta sempre condizionato dal destino del còsmos e quindi dal tempo. Per evitare questo esso deve essere perfetto, non corrotto dal tempo appunto e conforme all’Idea, deve esprimere cioè equilibrio tra la forza fisica e la grazia, equilibrio tra materia e l’idea, equilibrio tra l’antica religione e la nuova filosofia.
Ecco perché l’arte classica greca non è più perfezionabile, può essere solo modello da imitare. Basta osservare sia l’Apollo di Kassel o anche l’Apollo Tiberino o l’Hermes di Prassitele. Quest’ultimo in particolare rappresenta la sintesi perfetta tra forma e materia. Infatti, esse, come dicevamo, corrispondono per i Greci ad un’unica sensibilità, che prevede insieme forza, grazia, gentilezza, benevolenza.
A questo punto, vogliamo sottolineare, che ogni espressione del pensiero umano ha anche un suo rovescio. Perfezionando la materia sempre più, il rischio è quello di cadere nel formalismo oppure nel mero potere della materia. Nel primo caso si presta meno attenzione al contenuto e più all’apparire, nel secondo caso (mettendo in parentesi quel concetto di bellezza e armonia che abbiamo visto) la forma più perfetta della materia diventa il cerchio onde nell’Ellenismo la presenza di sagome arrotondate per rendere la forma più forte e per accentuare la massa muscolare. Direbbe Alois Riegl che dal tattile si era passati all’ottico.

Con alterne vicende i precetti dell’arte classica attraversano i secoli ogni volta interpretati in vario modo.
Ad esempio, il problema della genesi dell’arte medievale dal mondo classico è complesso e tutt’ora aperto. È certo che l’eredità classica rimane, invece, tra gli scrittori relativamente a lingua e stile. Essi continuano la tradizione, anche se la spiritualità è assolutamente diversa, perché da pagana diviene cristiana.
Eredi, invece, della classicità si proclamano gli artisti, in senso lato ovviamente, dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Lo stesso Barocco col sostenere il disgregamento della classicità si deve necessariamente rifare ad essa.
Alla classicità torna il Neoclassico, e la stessa querelle ottocentesca tra classico e romantico non fa altro che mantenere viva la tradizione.
Con la fine dell’800 e l’opposizione kantiana tra bello e sublime l’arte prenderà un’altra direzione, di cui si dirà.
A questo punto, la domanda è: nell’ultimo secolo c’è stata una corrente artistica che si è avvicinata all’armonia, al rigore, se non al pensiero, del mondo classico ?

Andiamo con ordine e teniamo presenti due principi.
a) Già nell’età classica la rappresentazione del corpo presentava in se stessa una buona dose di astrazione.
b) Un aniconismo geometrico percorre costantemente i secoli, a parte nei vasi dell’età arcaica in Grecia, nell’antico ebraismo, nel giudaismo medioevale, nell’Islam soprattutto, ma occasionalmente anche nella cultura cristiana a seguito di alcuni movimenti iconoclasti.
La teologia a partire dalla patristica indica la “via pulchritudinis”, come possibilità di avvicinarsi all’umanità del Cristo.
Ma già Vico nel primo capitolo dell’opera L’antichissima sapienza degli Italici dice: «verum et factum convertuntur» cioè «vero e fatto si convertono», più esplicitamente il vero è il fatto. E se il vero è il fatto l’assunto ci rimanda anche all’arte che per ciò rimane separata dal mondo della bellezza.
Kant nella Critica del giudizio allontana definitivamente il bello della natura che è il sublime, dal bello dell’arte.
Conseguentemente, a partire dal Romanticismo il bello non sta nella cosa, come nei secoli precedenti, ma negli occhi di chi guarda.
Da questo momento in poi, l'opera d'arte chiama in causa la filosofia; si fa meta-arte ed in molteplici correnti artistiche si traduce nell’uso di materiali desueti, fino a congiungersi con il residuale, con l'immondizia.
Nel momento in cui entra in scena la filosofia dell’arte in relazione allo sguardo dello spettatore i giudizi, le linee di interpretazioni si moltiplicano, si intersecano, si addizionano senza un vero filo conduttore.
Diceva Erza Pound: «La bellezza è difficile». Siamo già a metà XX secolo. La bellezza è difficile da rendere in una forma, da decifrare, e soprattutto da intendere.

Tenuto presente quanto sopra, ci chiediamo: il ‘900 propone un’espressione artistica che tende a rendere l’idea di bellezza, magari in forme diverse da come l’intese l’arte classica ma ad essa collegata quanto a rigore formale e contenutistico ?
Sembrerebbe paradossale, ma a nostro avviso la corrente artistica che più si avvicina all’armonia dell’arte classica è il Neoplasticismo e segnatamente l’opera di Mondrian, e in forma molto larvata, e con intenti più sfumati quanto a coerenza poetica ed estetica, il Suprematismo di Malevich.
Platone nell’Ippia Maggiore fa dire a Socrate: «... Infatti ora cerco di parlare della bellezza delle figure, non come potrebbero intenderla i più, per esempio come bellezza di esseri viventi e di pitture, ma … intendo qualcosa di rettilineo e circolare e le figure piane e solide che se ne generano per mezzo di compassi righe e squadre . Infatti, affermo che queste figure sono belle non in senso relativo come le altre, ma sono belle in se stesse per natura, e posseggono certi piaceri propri, per niente comparabili a quelli dei grattamenti. Anche i colori sono belli e procurano piaceri allo stesso modo» [4] .  
 Beh ! Guardando le opere dei nostri due artisti sembra che siano stati ispirati da questo brano, ma certamente è un’ipotesi errata, perché, come si sa, sono giunti alla geometria attraverso l’incontro col cubismo, che li porterà a considerare arte la geometria pura, nonostante le due personalità risiedano in zone geografiche assai distanti e senza contatto tra loro. Questo potrebbe essere un esempio lampante della penetrazione delle idee dello “Spirito del tempo” (che i Tedeschi indicano con Zeitgeist), le quali riescono a superare le barriere imposte da governi, prigioni o guerre.
Sia il Suprematismo che il Neoplasticismo hanno alla base un’estetica fatta di metodo, misura, regola, e una poetica costituita da una particolare concezione del mondo secondo cui l’umanesimo non è morto e per questo bisogna aiutare gli uomini a vivere attraverso la chiarezza delle strutture e delle luci. A parte questo, le due strade divergono.
In questo contesto, mettendo in parentesi il Suprematismo malevitchiano, sarebbe opportuno ai fini della dimostrazione della nostra ipotesi, soffermarsi, invece, sul Neoplasticismo e, segnatamente, sulla personalità di Mondrian, il quale per gradi giunge a rifiutare di illustrare la realtà in favore della sua rappresentazione.

Sosteneva Alois Riegl, già alla fine dell’800 che qualsiasi arte ha il proprio fondamento nella realtà sia che l’artista la riproduca tout court sia che la trasformi per un proprio bisogno o per un proprio piacere.
Mondrian, infatti, inizia il suo percorso artistico da raffigurazioni che hanno un referente reale, vedi l’albero, per giungere a sintesi sempre maggiori nelle quali la realtà non è più riconoscibile, per cui colori e segni acquistano una totale autonomia.
Infatti, l’artista nel momento in cui abbandona la rappresentazione si rende conto della necessità di un codice sostitutivo rigoroso, fatto di equilibri cromatici e spaziali, che gli consentano di arrivare ad un concetto di assoluto, realizzato attraverso forme geometriche in cui misura e colore si compenetrano, mentre le superfici diventano nettamente timbriche, cioè senza variazione alcuna del colore. Il suo ossessivo obbiettivo è quello di rappresentare l’equilibrio divino, sostegno dell’universo.
In altre parole, un dipinto della massima astrazione in Mondrian, buon conoscitore del neoplatonismo, ha radici sì nel reale, come i corpi della Grecia classica, ma, i suoi lavori non evocano una visione, bensì una concezione della realtà, realtà che viene superata in favore di rapporti universali che tendono, come dicevamo, a cogliere l’assoluto.

Così, nel passaggio dalla presentazione della realtà alla rappresentazione, la sua visione si fa astratta, assoluta, atemporale e si pone su livelli di armonia, composizione, equilibrio, che possiamo dire aderenti ancora alla categoria estetica del bello e quindi inconfondibilmente classici.
Così come Policleto aveva inventato un canone compositivo che mirava a rendere visibile nell’immagine del corpo umano l’Idea platonica, allo stesso modo Mondrian attraverso il perfetto equilibrio di forma, timbro, colore e idea tende a penetrare nel mistero del reale.
«La nuova arte ha rivelato il contenuto della nuova coscienza del tempo: un rapporto simmetrico tra universale e individuale» [5] .  Ed ancora: «Nella realtà vitale dell’astratto l’uomo nuovo ha superato i sentimenti di nostalgia, di gioia di rapimento, di dolore, d’orrore ecc…: nell’emozione costante per mezzo del bello essi si sono purificati ed approfonditi. Egli giunge ad una visione molto più profonda della realtà sensibile» [6] . Anche per i Greci, infatti, bellezza e conoscenza erano tutt’uno, come già affermato.
Ed il pensiero va all’Ermes di Prassitele. È vero, ha una forma plastica di una persona, ma quanta astrazione! Non per nulla Mondrian parla di neoplasticismo!
«… sebbene nella nuova pittura la terza dimensione visiva si perda, essa s’esprime mediante i valori ed il colore nel piano» [7] .

Così, al fine di rendere assoluta la sua opera, l’artista trascorre intere giornate a modificare una linea, a spostarla, a cambiare la disposizione di un quadrato o di un rettangolo, ad ingrandirlo o rimpicciolirlo, fino a giungere ad un equilibrio perfetto tra forma, spazio, colore, linea.
Ci sembra di udire Policleto quando diceva ai suoi contemporanei che ogni linea, dalla punta dei piedi all’ultimo capello del capo era calcolata e ogni superficie dipendeva da un minimo tocco, da un graffio d’unghia o Pitagora quando affermava che il «numero è la sostanza di tutte le cose», intendendo con ciò che la vera natura del mondo e dei singoli enti consiste in un ordine geometrico esprimibile con i numeri e quindi misurabile.
Analogamente, ogni opera di Mondrian parrebbe sottendere un’operazione matematica perché, dice Argan: «…gli atti umani debbono avere la chiarezza, l’assolutezza, l’intrinseca verità del pensiero pensato» [8] .
E infatti: «La proporzione perfetta si ha quando tutti i valori del sistema (ciascuno dei quali tenderebbe naturalmente a dilatarsi o contrarsi, a emergere o sprofondare, a influenzare gli altri valori) si equilibrano formando, non più una superficie omogenea, ma un piano geometrico» [9] .  Come non riallacciarsi ai Pitagorici ?

Ed ancora, per Mondrian l’artista ha nella società una sua responsabilità perché ogni opera deve avere un progetto sociale, in cui siano messi in evidenza valori etici, estetici, razionali.
Per lui la pittura, essendo mutevole la realtà, è una forma di conoscenza dell’universale. E più platonico di così ?  
Principi straordinari che col passare del tempo si sono eclissati perché gli artisti, in genere modesti epigoni Duchampiani, si limitano a presentare la realtà tout court (ed ecco le penne a sfera, le moto fiammanti, la spazzatura, gli escrementi, ecc… in bella mostra nei musei) e non a rappresentarla, perché lo scarto poetico (da poiesis) sta proprio lì, nella epoché, nel momento cioè della sospensione di giudizio tra presentazione, in cui sono presenti i pre-giudizi, e rappresentazione. In questo scarto avviene la riflessione e quindi l’elaborazione di ciò che è presentato in forma di pre-giudizio che, trasformato in un atto riflessivo, viene rappresentato in un’opera d’arte.
In questa società dello spettacolo e dell’apparire abbiamo messo in parentesi Cartesio e il suo dubbio metodico.
E di dubbi metodici in era di digitale ce ne dovrebbero essere tanti, soprattutto in relazione all’espressione artistica. Ma questo è un altro discorso.

 

 

 

 

NOTE

[1] Ovidio, Tristia, III, el. 4, v. 25

[2] Cfr. Aristotele, Fisica, in Opere; trad. a cura di A. Russo, Laterza, 1973, pagg. 46 e segg.

[3] Cfr. Mondrian: «… Così l’arte è la rappresentazione e nello stesso tempo involontariamente il mezzo dell’evoluzione della materia e riesce a bilanciare natura e non natura in noi e intorno a noi», in I classici dell’arte, Milano, Rizzoli, 1974, p. 9.

[4] Maria T. Liminta, Il problema della bellezza in Platone , Milano, Vita e pensiero, 1998, p. 212 (Platone, Ippia Maggiore, 298 E; 299°).

[5] I classici dell’arte, Milano, Rizzoli, 1974, p. 6.

[6] Ibidem, p. 8.

[7] Ibidem, p. 8.

[8] G. C. Argan, L’arte Moderna, Milano, Rcs Sansoni Editore, Rcs Editoriale Quotidiani, 1990, p. 315.

[9] Argan, op.cit., p. 314.








Oinochoe attica

Fig. 1
Oinochoe attica, 740 a.C.
Staatliche Antikensammlungen, Monaco di Baviera

Apollo di Kassel

Fig. 2
Apollo di Kassel, copia romana da originale greco identificabile con un tipo di Fidia
Staatliche Kunstsammlungen, Kassel, I sec. d.C.

Apollo tiberino

Fig. 3
Apollo tiberino, copia romana di originale greco, epoca alto-imperiale
Museo Nazionale, Palazzo Massimo, Roma

Hermes e Dioniso

Fig. 4
Hermes e Dioniso, attribuibile a Prassitele, 340 a.C.
Museo Archeologico, Olimpia

Composizione A

Fig. 5
PIET MONDRIAN, Composizione A, 1919
Galleria Nazionale d'arte moderna, Roma

Composizione

Fig. 6
PIET MONDRIAN, Composizione, 1936
Kunstmuseum, Basilea

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