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Carla Accardi. E le altre donne che hanno reso possibile la rivoluzione dell'arte del Novecento  
Mercedes Auteri
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 8 Giugno 2011, n. 610
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Area Mostre

Per qualche mese Catania ospita Carla Accardi in uno dei suoi palazzi più belli, Palazzo Valle sede della Fondazione Puglisi Cosentino. L’artista trapanese che ha scritto una delle più importanti pagine del libro di storia dell’arte del Novecento torna in Sicilia con una grande mostra che svela ai catanesi (e non solo) la rivoluzione dell’arte astratta. Unica donna in quel mondo di uomini che osa opporsi all’arte figurativa e agli schemi precostituiti sradicando da sé «i pregiudizi e quel senso di falsa maternità e modestia per cui tutte le pittrici hanno la loro discendenza segnata da Rosalba Carriera». A chi ancora oggi si domanda come decifrare i segni, le forme, i colori dell’arte astratta, certamente meno decifrabile ma per lo stesso motivo più sconvolgentemente libera, si potrebbe rispondere con le parole dell’artista: «i segni si scambiano questa loro solitaria esistenza ma l’insieme che compongono intrecciandosi rappresenta la vita», «l’impulso vitale che è nel mondo». Carla Accardi non è la sola donna, però, a portare avanti questa battaglia che negli anni del dopoguerra in Italia si faceva a colpi di penna, pennello e persino pugni negli ambienti romani. «L’umanità ha vissuto le grandi ideologie e si credeva di cambiare il mondo col marxismo, con la psicanalisi e anche con l’astrattismo» scriveva all’altra Carla, amica e crtica d’arte, Carla Lonzi [1] . A Guttuso, a Trombadori e a Togliatti, comunque, quegli “scarabocchi” non piacevano, dimenticando che la spinta all’arte astratta era venuta proprio dalla patria del comunismo, la Russia.

Ci voleva un’altra donna a compiere il miracolo in Italia, Palma Bucarelli, direttrice della Galleria d’Arte Moderna di Roma, intenzionata a mettersi contro il ministero, i politici, gli artisti figurativi e a suscitare «l’ira dei vecchi critici parrucconi, arroccati nel loro conservatorismo».

A chi le chiedeva se avrebbe desiderato essere qualcun altro, rispondeva «Sì, quando domandano se credo davvero all’arte astratta, e capita spesso, vorrei essere qualcun altro per poterlo prendere a calci»; «con questi giovani si viene affermando la validità poetica e la vitalità di un’arte tutta spirito e intelligenza, degna dei più vecchi e già illustri maestri».

In quegli anni in America, Helen Frankenthaler, muoveva passi così lontani ma così vicini a quelli di Carla Accardi. Anche lei, unica donna in un gruppo di artisti uomini, aderisce a un movimento (l’Espressionismo astratto americano per lei, Forma 1 per l’Accardi) per poi emanciparsene; anche lei moglie di un pittore, Robert Motherwell, come Carla di Antonio Sanfilippo, per poi divorziare; anche lei col tributo di un grande critico, Clement Greenberg (che fece per la Frankenthaler quello che Michel Tapié fece per l’Accardi), raggiunse la consacrazione internazionale; anche lei sperimenta la pittura di tele su pavimento, interessandosi «alla linea fluida, calligrafica, e alla linea non in quanto linea ma in quanto forma», cercando un ordine tutto femminile in quel caos di colori che Jackson Pollock, comune ispiratore per entrambe le artiste, aveva consacrato attraverso il suo «dripping».

L’America così nuova e libera, così contemporanea, con cui intessono proficui scambi Laetitia Pecci Blunt (fondatrice della galleria La Cometa) e Palma Bucarelli a Roma, Peggy Guggenheim a Venezia, Irene Brin (con la sua rubrica sulla rivista Omnibus di Leo Longanesi, poi corrispondente italiana e in seguito direttrice della nota rivista di Diana Vreeland, Harper’s Bazar). L’America. E New York, città natale di alcuni dei musei d’arte moderna più famosi al mondo, quasi tutti istituiti grazie a donne temerarie. Il P.S.1 Contemporary Art Center pensato nel 1972 da Alanna Heiss per rendere vivo il dialogo con i nuovi linguaggi dell’arte contemporanea, il Guggenheim Museum nato nel 1939 grazie al sogno di Hilla Von Rebay di creare un tempio per l’arte non-oggettiva, il Whitney Museum of American Art fondato nel 1931 dalla mecenate Gertrude Vanderbilt Whitney. E, infine, il primo e famoso MoMA, fondato nel 1929, anno della più grande depressione economica che la storia ricordi, nove giorni dopo il crollo di Wall Street, da tre donne ricche e pioniere dell’arte come Lillie Plummer Bliss, Abby Aldrich Rockefeller e Mary Quinn Sullivan (che era stata amica e compagna di un viaggio in Italia di Katherine Dreier, prima donna fondatrice insieme a Marcel Duchamp, nel 1920, della sperimentale Société Anonyme Inc. Museum of Modern Art).

Qualche foto dentro al mare di internet riporta a galla i loro volti fieri e appassionati. Così, in tempi di crisi culturale ed economica e di manifestazioni di piazza sulla dignità rubata alle donne [2] , ci ricordiamo delle pioniere.

 


NOTE

[1] E importante è anche il messaggio alla critica, «Consideriamo inattuale quella critica che porta in sé la costante preoccupazione di legare il proprio nome alla concezione della poetica più alla moda. Sentiamo invece più utile e viva quella posizione intrapresa da alcuni critici che si muovono come per un parziale inserirsi dentro le cose e non fuori adoperando una cautela cosciente della impossibilità di intellettualistiche conclusioni. Ci interessa un momento di incontro (la vita spirituale è fatta di incontri) in cui sentiamo di avere suscitato in lui un qualche cosa di vivido da cui si stabilisce uno scambio reciproco apportatore di nuove forze».

[2] Alcuni stralci ancora molto attuali di un intervento pubblico di Palma Bucarelli del 1953, «Io non credo che vi siano oggigiorno o vi debbano essere dei problemi esclusivamente femminili. Ogni problema sociale, politico, culturale, ogni problema di dignità umana è un problema di tutta la società e non delle donne soltanto. La dignità delle donne è offesa da tradizioni patriarcali che persistono da noi più che nella maggior parte dei paesi civili. La nostra Costituzione garantisce alle donne italiane parità piena dei diritti con gli uomini. Si tratta ora di farla applicare, poiché lo stato di fatto è ancora assai diverso dallo stato di diritto. È una questione che riguarda tanto gli uomini che le donne. Ma è necessario che le donne, tutte le donne, sentano questa esigenza e la facciano valere».
















Vie alternative

Fig. 1
CARLA ACCARDI, Vie alternative, 2010
Cortile di Palazzo Valle, sede della Fondazione Puglisi Cosentino, Catania



Foto cortesia della Fondazione Puglisi Cosentino, Catania

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