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“The Greatest Show on Earth”: galleria della curiositas surrealista  
Eleonora Rovida
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 5 Marzo 2011, n. 596
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Surrealismo deformante

Gli orologi di Dalì sono l'emblema della deformazione surrealista. Il tempo, lo spazio, le forme sono stravolte nell'incanto del disorientamento percettivo. La dilatazione e il rimpicciolimento, la soluzione claustrofobica o agorafobica dell'ambientazione sono sintomi di una visione mediata dall'automatismo psichico che detta i nuovi schemi visivi dell'occhio della mente.

La figura umana viene sottoposta alla stessa operazione: è difficile distinguere i confini tra lo spazio e l'uomo, tra la realtà e l'immaginazione. La psiche riplasma gli elementi con fascino allucinante: è il dominio dello shock in un'arte che crea volutamente lo straniamento dello spettatore.

Gli scenari allestiscono il teatro dell'assurdo: nella mente l'impossibile diventa reale. I soggetti nascono da una compenetrazione tra immagine e stravolgimento visivo: sono ibridi creati dalla sovrapposizione e dal rimescolamento di flash mnemonici e percettivi, collages composti da un deus ex machina dello humor nero, un subconscio che ha aspettato il “sonno della ragione” per generare, o meglio per lasciar affiorare, i “mostri”.

L'arte surrealista vive del bisogno onirico, dell'automatismo psichico, della verità nascosta del pensiero. L'influenza della letteratura psicoanalitica ha notevolmente influenzato la stesura dei punti focali del movimento, ma il Surrealismo non è solo questo. La cultura visiva e letteraria ha avuto un peso notevole nella formazione dell'intento artistico. L'operazione surrealista si affida al caso, alla scrittura automatica, ma, allo stesso tempo, regola l'eccesso scardinante del Dada.

La “novità” surrealista è data da un'interpretazione e da una rimeditazione profonda sulla tradizione: i nuovi spazi, tecniche, canali sono mezzi per esprimere qualcosa che l'arte aveva già cercato di creare. L'omaggio, la citazione, la scelta di una serie di artisti come precursori del Surrealismo è la prova di una meditazione accurata, di una scelta voluta. L'Antologia dello Humor Nero raccoglie una serie di personalità che, in qualche modo, hanno creato le basi per la percezione surrealista che ha concretizzato quelle idee informi con il supporto della psicanalisi.

La deformazione operata dal Surrealismo nasconde qualcosa di più: l'automatismo psichico è l'autenticazione di una percezione preesistente che deve molto alla cultura figurativa e letteraria del passato più o meno recente. L'utilizzo della tecnica del collage [1] ha permesso di creare una parificazione di elementi, tessere del mosaico dell'assurdo che derivano comunque da un mondo reale.

 

 

L'eredità della tradizione

L'Antologia dello Humor Nero indica artisti precisi come precursori della poetica surrealista. Carroll e Poe in particolare rappresentano il dominio della fantasia e dell'immaginazione che ha generato quei “mostri” prima che la psicanalisi li svelasse.

L'eredità dechirichiana, inoltre, ha tracciato un ponte tra gli spazi dell'immaginazione contemporanea e la tradizione classica riportando la mitologia del sogno alla visione teatrale. I sipari rossi aprono la scena visiva che assegna ruoli agli attori della finzione traducendola in percezione reale.

L'immagine, prima della fotografia e del cinema, era data dalla mano umana, una creazione che, per un San Tommaso alla ricerca della verifica, poteva essere pura immaginazione. La fotografia e il cinema, pur con il loro potere interpretativo, hanno mostrato la forma dell'esistenza. I Surrealisti hanno cercato, attraverso queste due tecniche, di dare forma al sogno, di tradurlo in qualcosa di reale autenticando l'accostamento degli elementi.

Le figure del mito, le leggende, le favole sono state, in qualche modo, provate dall'obiettivo, repertate, verificate e mostrate allo spettatore. Le forme nelle opere surrealiste devono molto all'illustrazione del passato: il gigantismo delle figure, il dominio sullo spazio, la percezione stravolta, la creazione di personaggi bizzarri provengono tanto dal mito e dall'arte quanto dalla medicina.

La curiosità per il diverso, l'esotico, il mostruoso, l'innaturale, il deforme non è semplicemente derivata dal sogno, ma esiste da tempi antichissimi.

Il collezionismo dell'età moderna, che respira del mondo esotico, misterico e medievale, torna nel contemporaneo come scelta estetica. I mirabilia di natura, collezione privata della nobiltà e dei ricchi borghesi, diventano accessibili al grande pubblico attraverso gli eventi fieristici e l'arte circense. L'esposizione dell'oggetto della curiositas diventa una grande attrazione per la comunità. L'arte dello spettacolo dal vivo è la risposta a quel bisogno voyeuristico intrinseco all'essere umano.

A cavallo tra i due secoli l'arte circense diventa il museo della diversità [2] , la galleria dell'esposizione, la Wunderkammer per la gente comune. I numeri sempre più sofisticati danno spettacolo, ma la diversità è sempre il polo di maggiore attrazione. Il circo e le fiere sono i teatri dove si possono osservare i freaks [3] collocati in appositi serragli espositivi [4] .

Il circo ha ispirato una miriade di artisti: il fascino esercitato dallo spettacolo ha permesso a questa specialissima arte (perché di vera e propria arte si tratta) di conquistarsi un posto d'onore nella cultura figurativa del contemporaneo: Picasso, Toulouse-Lautrec, Chagall, Renoir, Seurat, Picabia, Kirchner, Degas, Miró, Valadon, Severini, Klee. É una lista a cui oggi si continuano ad aggiungere i vari Laplante, Cattelan, Segal, Rondinone, Sherman.

 

 

L'arte circense

Il circo ha tradizioni antiche, ma solo alla fine del XVIII secolo nasce nell'accezione moderna. Fiera e serraglio confluiscono nel circo attraverso l'idea di Philip Astley, ex di un reggimento di cavalleria, che crea uno spettacolo equestre basato sulla “danza dei cavalli” in una struttura permanente già alla metà del Settecento. L'Astley's Amphitheatre prende forma nel 1770 a Londra. Pochi anni dopo, nel 1793 John Bill Ricketts propone i circo in Usa sul modello di quello europeo animato da esibizioni equestri.

L'impresario più conosciuto dell'ambiente circense è Phineas Taylor Barnum che, nel 1835, ha l'idea di comprare una vecchia schiava, Joice Heth, e di presentarla al pubblico dichiarandola centosessantenne ed ex balia di George Washington. Barnum, dotato di grande capacità nella pubblicità e nell'autopromozione, fonda la sua fama sulle attrazioni bizzarre, i freaks, che spesso sono finzioni nella finzione.

L'aura di imbroglione non frena il successo dell'impresario che, nel 1841 riesce ad acquistare l'American Museum di New York per trasformarlo in teatro espositivo dei suoi “fenomeni da baraccone”.

Sono anni di cambiamento per il circo: prende piede la conversione del circo in forma itinerante. Barnum parte per una tournée europea tra il 1844 e il 1845: mostra i suoi freaks alla Regina Vittoria. La fama dell'impresario è accompagnata dalla creazione, nel 1871, del più grande spettacolo del mondo, The Greatest Show on Earth: le curiosités saranno il fulcro del successo del Prince of Humbugs.

Il progetto di Barnum evolve con l'entrata in società di James Bailey che contribuisce a fondare il Barnum & Bailey Circus: sarà Bailey ad occuparsi del circo alla morte del socio nel 1891. Bailey gestisce lo spettacolo itinerante in Europa con ottantacinque carrozzoni e oltre mille dipendenti. Sarà il maggiore esponente dell'arte circense fino al 1919 con la fusione tra il Ringling Bros Circus e il Barnum & Bailey.

 

 

Fotografia-“cache”

Il fascino della curiositas, dell'esotico, del mirabilia ha il carattere spettacolare per fare dell'evento un magnete per il pubblico. Nella seconda metà dell'Ottocento questo voyeurismo si amplifica con la fotografia: alla fine del secolo circolano numerosi dagherrotipi che immortalano i freaks. Le creature ibride che un tempo si sognavano e si vedevano solo nelle illustrazioni mediche, mitologiche, favolistiche vengono, in un certo senso, autenticate. La fotografia porta la testimonianza dell'esistenza di un mondo curioso: i dagherrotipi sono alla portata di tutti e si diffondono velocemente.

Tutta la fotografia dai primi anni della sua invenzione sarà legata al fascino della trasgressione, del diverso. Non si deve dimenticare che uno degli usi più diffusi della fotografia di fine Ottocento era la pornografia. Questa nuova arte è il mezzo per soddisfare la curiosità dello spettatore: mostra ciò che non si vede abitualmente ed ha un potere tanto affascinante quanto proibito.

Gli artisti sono attratti da quella strana macchina per le immagini che rende così vero l'inganno del reale. L'attenzione si sposta dal grande evento al piccolo, dagli ampi spazi, alle vie strette, dal visibile all'invisibile scrutando il fascino del nascosto. L'obiettivo si rivolge a quegli angoli della città dove non si passeggia tranquillamente, all'universo noto che si rifiuta.

La fotografia di Eugène Atget [5] , in questo senso, è illuminante: vetrine, botteghe, rigattieri e figure che popolano il “mondo della strada” rispondono al misterioso e al nascosto. L'illusionismo di quegli angoli e del vetro travolge i Surrealisti: Berenice Abbott [6] e Man Ray faranno un grande lavoro di promozione dell'arte del fotografo anche grazie all'aiuto del gallerista Julien Levy che porterà in Usa le opere di Atget, un'arte che influenzerà intere generazioni.

 

 

La settima arte: il circo cinematografico

Il cinema, fin dai primi esordi, è un mezzo di grande fascino, teatro dello spettacolo tra verità ed illusione. Il Surrealismo capisce da subito le potenzialità di questa forma d'arte per autenticare il sogno: Un Chien Andalou è ancora oggi grande esempio di sperimentazione dell'inconscio attraverso la pellicola cinematografica.

L'attenzione al banale, al nascosto, al reale che si tende ad evitare diventa per il Surrealismo il piano di gioco: il subconscio lascia affiorare quei contenuti allontanati dalle sentinelle della ragione. Emergono le paure, i desideri, il proibito, il fascino dell'oscuro.

L'eredità vittoriana per la società è stata pesantissima: il culto dell'immagine, il compromesso, l'ipocrisia hanno lasciato una forte impronta nel pensiero. Il Surrealismo, con il suo intento parificatore, ha raccolto l'eredità tardo romantica e simbolista, la tradizione gotica, l'estetica del brutto, la poetica della meraviglia, la favola, il mito per creare un collage che restituisse al tutto dignità artistica [7] . L'inconscio, contenitore dei più nascosti desideri umani, trova un suo spazio così come il brutto, il deforme, il mostro. Quell'idea di monstrum torna ad avere l'accezione latina di “prodigio” nello spettacolo surrealista.

La curiositas voyeuristica conquista il cinema: il circo e i freaks [8] trovano spazio nella pellicola dove tutto può essere registrato. Il termine “film” nella lingua inglese indica tanto la ripresa quanto la pellicola stessa: è una forma metonimica.

Se tutto è pellicola, tutto può andare su quella pellicola: il cinema diventa un mezzo parificatore. Circo e mostri diventano soggetti della settima arte: dal circo di Chaplin, a King Kong, al Fantasma dell'opera del 1925, a Frankenstein di James Whale del 1931, a L'uomo invisibile del 1933 dello stesso regista, alla favola de La Bella e La Bestia di Cocteau del 1946, a Freaks [9] del 1932 di Tod Browning. Quest'ultimo è la prova di un interesse specifico per la curiositas del diverso, del deforme, del mirabilia. Si tratta di una storia ambientata all'interno di un circo: i teatranti sono veri freaks. L'opera, contestatissima fin dalla prima proiezione vista la presenza di scene scioccanti, viene sottoposta a quel retaggio del decoro: in Inghilterra ne fu vietata la proiezione per circa trent'anni. Il film è un'allegoria sulla diversità in un circolo chiuso con regole precise e una forte tendenza alla difesa del gruppo. Molte scene del film, come la mutilazione di Cleopatra perpetrata dai freaks, rispecchiano il gusto del taglio dell'occhio di Un Chien Andalou:Attempting to mediate these distinct spheres, surrealist poets and directors enacted a tricksterish impulse that refused to accept cultural bondaries freaks in late modernist american culture. Like the literary and cinematic surrealists, Browing attempted to make sense of a dichotomy between danger and comfort that emerges in America and Europe after the First World War” [10] .

 

 

Per una poetica surrealista

Il retaggio gotico del mostruoso e dell'horror proviene soprattutto dalla letteratura di Poe [11] indicato dai Surrealisti nell'antologia bretoniana come precursore del movimento. Anche Carroll, nella favola di Alice, svela l'interesse per il diverso, un mondo under ground: la prima versione del testo è Alice's Adventures Under Ground. Il gigantismo e il nanismo di Alice nella favola sono dati dall'illusionismo fantastico della fotografia, ma non si tratta solo del potere della lente. Carroll è un amante e un conoscitore della fotografia: è la sua Chimera, una creatura per catturare immagini che ha un carattere mostruoso nella sua doppia valenza. La fotografie di Dodgson rappresentano il voyeurismo carrolliano: bambine seminude abbigliate come ninfe sono il suo mondo attraverso lo specchio, il suo lato oscuro in una società dell'apparenza.  Le deformazioni di Alice sono quelle generate da un mondo nascosto sottoterra, non eco di morte, ma spazio dove tutto è “come non dovrebbe essere” secondo i canoni vittoriani. Le figure giganti o nane rappresentano i mostri [12] . La visione lillipuziana echeggia del mondo di Swift, altro protagonista dell'Antologia dello Humor Nero. La percezione alterata, il piccolo e il grande, che travolgono il protagonista de I viaggi di Gulliver, sono il confronto tra l'uomo europeo e il mondo esotico.

Il richiamo diretto all'arte di Picasso nell'antologia bretoniana è un omaggio all'artista che ha fatto della deformazione il suo cavallo di battaglia. Le figure allungate, compresse, deformate rispondono al primitivismo estetico, ma sono soprattutto una reazione ai canoni occidentali. Molte delle sue figure rappresentano l'informe che è accostabile alla varietà di immagini presenti nell'illustrazione medica [13] .

Alberto Savinio, altro artista accostato ai Surrealisti e nell'antologia bretoniana, regala al pubblico la sua arte-pastiche attraverso un testo che rappresenta l'ibrido umano, Hermaphrodito, un personaggio ereditato dalla letteratura mitologica, ma anche forma umana del freak. La deformità delle figure nel Surrealismo rispecchia il linguaggio: The Body, observes the surrealist artist Hans Bellmer, is comparable to a sentence that invites us to disarticulate it, so that, through a series of endless anagrams, its true contents may be recombined” [14]

L'ambiguità, il doppio, la fusione di maschile e femminile trovano la loro massima espressione nell'androgino duchampiano di L. H. O. O. Q.  L'opera è prefigurata da Mona Lisa fumant la pipe di Bataille del 1883.

Il Surrealismo deve molto alla cultura letteraria e figurativa dell'Ottocento: basti pensare a Max Ernst  affascinato da quella fantasia illustrativa dell'epoca vittoriana che riassemblerà nei suoi romanzi-collages.

Magritte rivaluta la figura del mostro come creatura simbolo di mistero, bellezza ancestrale e incomprensione dell'uomo verso se stesso e la natura.

L'interesse surrealista per la deformità è eredità dell'immagine lasciata dall'esperienza della Grande Guerra: Cultural historians have noted that surrealism developed as a response to the hideous deformities and permanent injuries that resulted from the first mass conflict” [15] .

 

 

“The Cornell horror picture show”

Il surrealista-non surrealista americano Joseph Cornell entra in contatto con la poetica di Duchamp, Ernst, Dalì alla Galleria di Julien Levy, lo stesso che aveva contribuito a portare in Usa l'arte di Atget. La sua sconfinata curiosità per le immagini lo conduce a “cacciarle” e riassemblarle all'interno di creazioni “collagistiche” che presto si trasformano in piccoli capolavori della miniatura a tre dimensioni, le Shadow Boxes. L'artista, affascinato dal Surrealismo, vede in quel tipo di poetica la possibilità di parificare gli elementi più disparati trasformando la logica del caos in un filtro personale che detta la scelta del singolo con una forte componente emotiva.

Il fascino della ricerca si sposa con l'estetica del diverso, del grottesco, dell'inquietante soprattutto nell'uso di bambole che alludono alla figura umana come si vede in Bébé Marie degli anni Quaranta o nella testa mozzata contenuta nel Soap Bubble Set del 1936. L'eredità horror nell'arte cornelliana deriva da Ernst: “Ernst's emphasis on horror finds little echo in Cornell” [16] .

La vena collezionistica cornelliana trasforma la Shadow Box in una Wunderkammer in miniatura: il fascino delle stranezze è dato dalla curiositas, ma, come per il Surrealismo, è trattata come parte del cosmo, come immagine. Ogni elemento ha lo stesso valore.

Nella sua documentazione d'archivio si trova l'interesse per l'esotico e il diverso: il cinema di Chaplin, King Kong, La Bella e la Bestia di Cocteau, i Simbolisti, la favola e il sogno.

Emblematica in queste carte è una pagina di giornale conservata nei Joseph Cornell Papers proveniente dal New York Times del 1954 [17] : riguarda Animals, Men and Myth di Richard Lewinson. Il fascino esotico è dato dalla natura stessa della creazione: “It is a perpetual circus with the world as his stage” [18] .

La teatralità della varietà di natura si congiunge, nella sua arte, con l'interesse per l'arte circense testimoniata dal Dance Index: gli spettacoli equestri, le ballerine, i giocolieri, sono celebrati in questa rivista illustrata dallo stesso Cornell. Da notare il collage di immagini ispirato al favolista Hans Christian Andersen del settembre 1945 [19] : l'omaggio mischia la natura, la figura umana e la fantasia. Il circo, teatro dello spettacolo tra realtà e illusione, è il cerchio dove convergono la natura e l'immaginazione, la verità e la finzione, la vita e la favola, lo spettatore e il mirabilia. Quel “cerchio” è l'occhio, o meglio l'occhio della mente, dove tutto è possibile anche the smallet circus in the world [20] .

L'occhio che vede, trasforma e crea rende l'artista un “ciclope” dell'immaginazione, “one eyed man” [21] .

 

 

Alice: il canone

La psicanalisi ha svelato l'inconscio, ma la cultura visiva e letteraria non ha influenzato in misura minore l'arte surrealista. La deformazione degli elementi nelle creazioni del movimento non viene solo dall'azione della mente, ma anche dal retaggio culturale e dalle opere d'arte di natura. Proprio su questo imperativo di osservazione con l'occhio della mente, il mostro diventa natura, il banale viene rivalutato come arte misteriosa, il vero prodigio di quella poetica della meraviglia. Fascinating by the new cultural dichotomy characterized by danger and comfort, the surrealist began to question others boundaries between normality and deviance, and between high and low culture [22] .

In Alice nel Paese delle Meraviglie, testo esemplare per il Surrealismo, Carroll presenta il mondo in cui si possono trovare “bird or beast” [23] : le figure sono liminari, ovvero “le strane forme di Wonderland sono al confine con la 'realtà' e, pertanto, in grado di attaccare nel corso della lettura interna ed esterna al testo la visione monologica del reale” [24] . Il Surrealismo eredita quel mondo carrolliano: la surrealtà non è pura immaginazione, ma parte sempre dall'ibrido che ha le sue radici nel reale. In questo modo il banale diventa prodigio.

Nelle illustrazioni di Alice eseguite da Carroll, la bambina si presenta talvolta allungata in forma di collo-colonna e talvolta in riduzione microscopica dove la testa giganteggia sugli arti minuscoli: le immagini sono lo specchio di una realtà nascosta dal mondo vittoriano, i freaks. Nella letteratura carrolliana ritrovano spazio e dignità quei “mostri”: sono i personaggi della favola, i mirabilia di natura. Sulla stessa scia gli ibridi delle avventure di Alice come il Dodo, il Lorichetto, il Grifone, gli insetti del regno dello specchio sono quei capolavori di curiosité del collezionismo da Wunderkammer.

La scelta del deforme e dell'imperfetto segue il gusto della fautographie [25] : “Accanto alle prove fotografiche ben riuscite, dove il soggetto estetico era riconoscibile da parte del committente, v'erano il più delle volte quelle mal riuscite, 'deformate', nel senso che il committente vi si riconosceva poco o punto; eppure quegli scarti grotteschi, quelle schegge liminari che sfioravano nel visibile non erano meno 'reali' dell'immagine 'giusta'. Erano quelle copie più infedeli che creavano l'effetto nonsensical: da quegli intersizi virtuali poteva derivare la nuova materia del narrare, il romance del grottesco” [26] .

La fotografia di prova, scartata perché imperfetta (ratée) costituisce un’opera d’arte quanto quella esatta (tarée). Tra i due termini esiste un forte legame nella figura dell'anagramma: “Il faut être amateur d’anagrammes pour comprendre que la photographie ratée servira, précisément, à tarer la photographie [27] .

Il carattere basso, imperfetto, deforme risponde a quell'estetica del grottesco che viene rivalutata da Ruskin, Poe, Carroll, dai poeti maledetti. Il Novecento, attraverso la poetica della meraviglia, restituisce dignità artistica alle forme più disparate dell'espressione inserendo quelle tematiche nel fluido artistico parificatore: il banale, apparentemente anti-artistico, viene riscoperto proprio da questo intento.

“La banalità è un miracolo se vista nel modo giusto, se riconosciuta” [28] . Il quotidiano diventa il vero monstrum.

 

 

La fotografia: il mondo dei freaks

La fotografia autentica il sogno così come lo crea: attraverso l'obiettivo vengono immortalati gli elementi scioccanti che provengono dalla cultura dell'immagine stessa. Tra quegli scatti si trovano le “prove” della curiositas: dagherrotipi dell'impossibile, delle stranezze della natura, dei freaks, dei mirabilia. La fotografia stessa è concepita come monstrum, come Chimera da Carroll che la reputa un'invenzione straordinaria, una macchina meravigliosa, un inganno reale.

Il fotografo per tradizione appartiene a quel mondo di freaks, prestigiatori e illusionisti, un alchimista della meraviglia, il saltimbanchi dell'arte che, attraverso l'obiettivo, allestisce il suo teatro liminare tra verità immortalata e magia interpretativa della macchina. Il fotografo è, allo stesso tempo, il fulcro della curiositas umana che scopre i segreti più nascosti e li ruba come se fosse un ladro rispondendo a quel voyeurismo che è parte della natura dell'uomo. “Noi fotografi siamo una genia di bricconi, di guardoni e di ladri. Ci troviamo ovunque non siamo desiderati; tradiamo segreti che nessuno ci confida; spiamo senza vergogna ciò che non ci riguarda e ci appropriamo di cose che non ci appartengono. E, a lungo andare, ci ritroviamo possessori delle ricchezze di un mondo che abbiamo depredato” [29] .

La fotografia è stata ed è il mezzo più adatto per esprimere la curiosità della vita stessa. Il cinema surrealista, infatti, si basa sull'accostamento di immagini: il frammento è sempre dominante così come nell'arte cornelliana. Non a caso la fotografia è il mezzo di espressione della più grande cultrice del mondo dei freaks, Diane Arbus [30] . La macchina fotografica, per la Arbus, possiede quella licenza che alla pura vista non è concessa: l'obiettivo regala l'attenzione di cui l'uomo ha bisogno. I freaks [31] sono nati con il trauma, ma l'hanno superato. La società vive con i suoi traumi senza oltrepassarli.

La macchina immortala il suo soggetto privo di qualsiasi approfondimento come se fosse già un tableau vivant: la fotografia è un segreto che parla di un segreto e non va svelato. Ci sono cose che nessuno vede, o non vuole vedere, fino a quando vengono fotografate.

Diane Arbus, “fotografa colta e raffinata, procede durante gli anni verso una semplificazione formale, attraversando un primo periodo caratterizzato, grazie all’uso della Leica, da immagini sgranate e fortemente contrastate, a causa di esposizioni approssimative. I suoi temi sono allora quelli, che la renderanno celebre, del 'submondo' dei freaks. Quelle 'meraviglie' che l’avevano impressionata alla visione dell’omonimo film, girato nel 1932, da Tod Browning, scopre di poter incontrare quotidianamente a Coney Island, benché in quel periodo i freakshow siano proibiti. É lì, infatti, che si reca per conoscere le sventurate vittime di congenite deformità e gli individui eccentrici, che ritrarrà di preferenza nelle loro abitazioni e camere da letto, ad ulteriore testimonianza, qualora le fotografie potessero lasciar spazio al minimo dubbio, del grado d’intimità che riesce ad instaurare con i propri soggetti” [32] .

Coney Island è uno dei posti dove è nato il fascino per l'attrazione ludica di Joseph Cornell: quel “paese dei balocchi” è la sua fonte di ispirazione così come il teatro surrealista è un luna park fatto di giochi e mirabilia. Cornell conosce l'opera di Diane Arbus attraverso Susan Sontag che dedica alla fotografa una serie di considerazioni legate alla scelta dei freaks come un rifiuto della società. La visione surrealista, allo stesso modo, deriva dallo sguardo di Atget che si posa sugli angoli sconosciuti della città e sul mondo della strada. Il continuum dell'analisi viene operata, in Usa, dalla sua più grande estimatrice, Berenice Abbott, guidata da Man Ray nella scoperta di Atget e aiutata da Julien Levy nella promozione degli scatti del fotografo francese. Atget ha dato alla fotografia e all'arte un nuovo taglio parificatore che, come nota Benjamin, è una ricerca basata su ciò che si perde e si nasconde. Sono fotografie “curiosamente vuote” che preludono all'alienazione surrealista [33] .

La rimeditazione operata dal Surrealismo sull'alternanza di miseria e mistero dell'uomo e della natura è stata filtrata e reinterpretata dal genio fotografico di Joel- Peter Witkin [34] . Le sue opere [35] sono allestimenti scenici della diversità: la stranezza brutale e affascinante allo stesso tempo è frutto di una compenetrazione tra realtà e finzione. Witkin crea la scena, ma parte sempre dalla natura, dai suoi mirabilia, rendendo tutti gli elementi della composizione di pari importanza per la realizzazione finale. Il freak, l'arto mozzato, il manichino sono trattati come tasselli di un mosaico che richiama e medita sulla natura morta. La sua riflessione sull'arte è profonda: l'immagine viene costruita sulle opere d'arte del passato ricollocando gli elementi nel teatro dell'assurdo, per rivedere quei dipinti con gli occhi del fotografo.

La sua immaginazione è filtrata dall'esperienza: la macchina fotografica è diventata il prolungamento del suo occhio (della mente) trasformando le sensazioni dell'artista sul “paese dei balocchi” di Coney Island, dove comincia a fotografare. Verso la metà degli anni Cinquanta Witkin è spettatore di un evento che ha cambiato la sua vita. "It happened on a Sunday when my mother was escorting my twin brother and me down the steps of the tenement where we lived. We were going to church. While walking down the hallway to the entrance of the building, we heard an incredible crash mixed with screaming and cries for help. The accident involved three cars, all with families in them. Somehow, in the confusion, I was no longer holding my mother's hand. At the place where I stood at the curb, I could see something rolling from one of the overturned cars. It stopped at the curb where I stood. It was the head of a little girl. I bent down to touch the face, to speak to it—but before I could touch it someone carried me away" [36] . Da quel momento Witkin è diventato il fotografo dell'orrore.

 

 

Bibliografia

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NOTE

[1] A. NIGRO, Tra polimaterismo e polisemia: note sul collage surrealista, in “Collage/Collages. Dal Cubismo al New Dada, catalogo della mostra a cura di M.M. Lamberti e M.G. Messina, (Torino 2007-2008), Milano  2007, pp. 280-296

[3] D. CANESTRINI, Antropologia dell'anomalia, Saggio a corredo dell'esposizione Freaks. Scienza e devianza, Museo Civico di Rovereto 1998, http://www.museocivico.rovereto.tn.it/UploadDocs/103_art10_Canestrini.pdf

[7] W. CHADWICK, Claude Cohun and Lee Miller. Problematizing the surrelist territories of gender and ethnicity, in T. P. LESTER Gender nonconformity, race, and sexuality: charting the connections Madison (Wi) 2002, p. 142

[8] N. DURBACH, Spectacle of deformity: freak shows and modern British culture, Berkeley 2010², p. 35

[9] I mostri del cinema. Galleria della deformità, http://www.linguaggioglobale.com/mostri/txt/61.htm

[10] N. BOMBACI, Freaks in late modernist American culture: Nathanael West, Djuna Barnes, Tod Browning and Carson Mccullers, New York 2006, p. 85

[11] A. BALAKIAN, Surrealism. The Road to Absolute, Chicago 1986³, p. 163

[12] L. NAZÁRIO, De Natureza dos Monstros, São Paulo 1998, p. 30

[13] A. VIOLI, L'immagine informe: Bataille, Warburg, Benjamin e i fantasmi della tradizione,   http://publifarum.farum.it/violi_informe/violi_informe.htm

[14] J. H. MATTHEWS, The Imagery of Surrealism, New York 1977 p. 210

[15] D. J. SKAL, The Monster Show. A Cultural History of Horror, Oxford 2001, p. 48

[16] D. ASHTON, Joseph Cornell in A Joseph Cornell Album, Nwe York 1974, p. 73

[17] Joseph Cornell Papers, Smithsonian Archives, Series 4: Source Material: Subject Source Files. “Animals in the News”, 1941-1954. (Box 11, Folder 53), foglio 28

[18] C. POORE, Books of The Times, “New York Times” 25/06/1954

[20] Joseph Cornell Papers, Smithsonian Archives, Series 4: Source Material: Subject Source Files. “Animals in the News”, 1941-1954. (Box 11, Folder 53), foglio 64

[21] J. L. HOLDEN, Forms of deformity, New York 1991, p. 13.

[22] BOMBACI 2006, p. 85,

[23] R. MALLARDI, La scrittura “visiva” e le illustrazioni di Alice's Adventures Under Ground, in R. MALLARDI, Lewis Carroll scrittore-fotografo vittoriano. La voci del profondo e l'inconscio ottico, Bari 2001, p. 110

[24] Ibidem

[25] C. CHÉROUX, Fautographie: Petite histoire de l'herreur photographique, Paris 2003

[26] R. MALLARDI, La scrittura “visiva” e le illustrazioni di Alice's Adventures Under Ground, pp. 120-121

[27] CHĖROUX 2003, p. 62

[28] C. SIMIC, J CORNELL, Dime-Store Alchemy: The Art of Joseph Cornell, (tr. it. a cura di A. Cattaneo, Il cacciatore di immagini. L’arte di Joseph Cornell) Milano 2005², pp. 44-45

[29] Bressaï, Lewis Carroll Photographe ou L’autre côté du miroir,  (trad ita. a cura di R. Rizzo, Lewis Carroll fotografo    o l'altra faccia dello specchio), in R. RIZZO, Lewis Carroll fotografo, Milano 2009, p. 24.

[30] The Photography of Diane Arbus, http://diane-arbus-photography.com/

[31] S. EFFE, I mostri di Diane Arbus, “Nadir Magazine” 2006, http://www.nadir.it/libri/DIANE_ARBUS/arbus.htm

[32] R. M. PUGLIESI, Arbus, “Cultframe”, http://www.cultframe.com/2002/10/arbus/

[33] R. WALZ, Pulp surrealism: insolent popular culture in early twentieth-century Paris, Berkeley 2000, pp. 116-117

[34] S.EFFE, Joel- Peter Witkin. L'anomalia messa in scena, “Nadir Magazine” 2007, http://www.nadir.it/recensioni/WITKIN/witkin.htm

[35] Joel- Peter Witkin Photography, http://www.edelmangallery.com/witkin.htm








 

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