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Un mito americano al Museo Fondazione Roma: Edward Hopper  
Giorgia Duò
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 12 Marzo 2010, n. 556
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Area Mostre

A distanza di quasi trent'anni dall'ultima rassegna dedicata all'artista statunitense una mostra inedita ed itinerante celebra uno dei pittori più significativi del recente secolo scorso: Edward Hopper (1882-1967), colui che, traducendo in forme dimesse e nient'affatto edulcorate la normalità americana della prima metà del XX secolo, ha saputo rappresentare gli aspetti meno brillanti della società contemporanea.

Le sue opere riflettono la condizione della middle-class statunitense del secondo dopo guerra: luoghi urbanizzati, apparentemente anonimi, resi con una sensibilità disincantata, accolgono borghesi in atteggiamenti intimi. Sono contesti fatti di strutture urbane, ma anche di sentimenti reconditi e contrastanti, tipici di una collettività in pieno sviluppo che, per la frenesia della nuova società in convulsa espansione, ha perso i punti di riferimento di fine Ottocento.

Il maestro visualizza, riprende ed indaga con un'inedita capacità comunicativa le nuove consapevolezze umane ed i sopravvenuti turbamenti: l'angoscia di vivere, la solitudine, lo smarrimento e l'alienazione dell'individuo sono, infatti, alla base del suo realismo.

Con potenza estetica Hopper ha saputo cogliere istanti di vita semplice e di quotidiana routine, nonché trasmettere quel senso di irrequietezza ed inquietudine tipiche dell'America in cui vive; i suoi sono quadri calmi e silenziosi, ma allo stesso tempo sono percorsi da emozioni palpabili. Alla base del suo operare c'è stato evidentemente un confrontarsi profondamente con gli scenari più borghesi e dimessi di vita giornaliera e la tormentata soggettività interiore.

Una mostra senza precedenti i cui punti di forza sono: un corposo numero di dipinti e disegni e un allestimento didattico-educativo che accompagna costantemente il visitatore. In sette sezioni si contempla e si indaga tutta la produzione del pittore, circa 170 opere, dalla formazione, gli inizi accademici, passando per la maturità, fino agli ultimi anni di vita.

Il Whitney Museum of American Art di New York è il maggior prestatore, del resto, a partire dal 1920, il museo ospita varie mostre del maestro, la cui vedova, Josephine Nivison Hopper, alla sua morte lega un lascito di oltre 3 mila pezzi. Non sorprende, dunque, che Carter Foster, direttore del Whitney, sia proprio il curatore dell'esposizione italiana. Altri prestiti importanti sono dal Brooklyn Museum of Art di New York, dal Terra Foundation for American Art di Chicago, dal Columbus Museum of Art e dal Newark Museum del New Jersey.

L'esposizione, accompagnata da un'importante apparato storico-fotografico della storia americana dagli anni Venti agli anni Sessanta, si apre con una ricostruzione del locale notturno di una delle opere più famose del maestro: in una suggestiva ambientazione serale si è voluto ricostruire scenograficamente il luogo del dipinto Nightawks (1942), nel quale il visitatore è chiamato a viverne fisicamente lo spazio.

La rassegna procede con le sezioni dedicate al periodo giovanile [2] , quando l'artista, ancora in fase di formazione giunge a Parigi: le opere mostrano un certo interesse per la strutturazione architettonica ed urbanistica della città (fig. 1), attrattiva che lo accompagnerà per tutta la sua vita fino a divenir un vero e proprio amore-ossessione [3] . I quadri e gli schizzi di questa fase sono inizialmente cupi, ma con il tempo si inondano di luce piena: ritratti di interni tacitamente evocativi, di figure solitarie in ambienti disadorni, di vedute quotidiane della città francese o di villaggi insolitamente silenziosi, di ponti cittadini malinconici (fig. 2), di stazioni eccezionalmente deserte, e di folle non comunicanti, sospese in un magico silenzio pensoso.

Interessante la scelta del curatore, nella sezione “Hopper incisore” di istruire il pubblico alla preferenza tecnica adottata dall'artista: nel percorso di visita si attua un vero e proprio cammino formativo verso i metodi prescelti dal maestro (olio, acquarello e non ultima l'incisione).

La divertente stanza de “Il Processo creativo” invita arditamente il visitatore a schizzare su banchi di fogli bianchi i profili di alcune opere proiettate sugli stessi.

Altrettanto degna di nota la sezione “Dal disegno alla tela” ove si è scelto di accostare i volitivi ed espressivi progetti preparatori alle opere definitive (figg. 3-4); così facendo si specifica, in colui che guarda, lo spirito creativo che ha guidato l'artista: risulta evidente un modus operandi tutt'altro che semplice o lineare, ma frutto di una sintesi operosa di una serie, anche stancante, di immagini e disegni di situazioni colte in tempi e luoghi diversi (figg. 5-7). Si può altresì visionare uno dei suoi famosi taccuini d'artista, con cui era solito girare e appuntare o abbozzare elementi che si ritrovano in molti dei suoi dipinti definitivi.

Seguono le sale dedicate a "L'erotismo di Hopper": sono esposte alcune delle più significative immagini di donne, nude o semi svestite, sorprese da sole in stati contemplativi, all'interno di squallidi e minimalisti ambienti. Ad un attento visitatore non sfuggirà che le lavandaie o le bagnanti di Degas [4] rappresentano l'immediato precedente iconografico, le signore del maestro americano, però,  sono caricate di quel senso di isolamento urbano e di quella condizione di solitudine che sono propri del realismo hooperiano. Queste donne abitano interni spogli e privi di qualsivoglia ornamento, essi diventano lo specchio dell'anima delle protagoniste che malinconicamente vivono, loro malgrado, momenti di acclamato abbandono (fig. 8).

L'ultima sezione, "L'essenza dell'artista. Tempo, luogo e memoria", è forse quella che meglio illustra la poetica del pittore; essa palesa la sensibilità, avvertita durante il processo creativo, che conduce il maestro, con abilità inconsueta, a rivelare la bellezza nei soggetti più comuni [5] . Si espongono ancora donne all'interno di desolate stanze, o anonimi edifici illuminati dall'alba  o immersi in pallidi tramonti (fig. 9), o ancora pareti o tetti di case borghesi accesi dalla luce del sole. Con il passare del tempo le opere si caricano sempre più di energia e solennità, esprimono una vita tesa, contrastata, difficile, contraddistinta da esperienze interiori forti: i tranquilli scorci di vita rubati negli appartamenti lasciano, infatti, il posto a dipinti che urlano silenziosamente i disagi della nuova classe borghese (fig. 10).

Una nutrita serie di attività collaterali guideranno il visitatore nella comprensione della mostra: conferenze, lezioni di approfondimento e letture di opere d'arte aiuteranno il pubblico ad approfondire la figura di Hopper e del movimento realistico americano

 

 

 

LA MOSTRA

Dove: Museo del Corso, Roma
Quando: 16 febbraio 2010- 13 giugno 2010

 



[1] L'iniziativa comincia a Milano (Palazzo Reale, 14 ottobre 2009 – 31 gennaio 2010), prosegue a Roma (Museo Fondazione Roma,16 febbraio – 13 giugno) e approderà a Losanna (Fondazione Hermitage, 25 giugno – 17 ottobre).

[2] “Autoritratti”, “Formazione e prime opere. Hopper illustratore” e “Hopper a Parigi”.

[3] Disegni, studi e ricerche testimoniano in maniera evidente e determinante l'interesse dell'artista per le strutture architettoniche.

[4] In tre diverse occasioni Hooper si reca a Parigi; non si interessa alla fervente cultura artistica sviluppata attorno al fenomeno esplosivo di Picasso e alle avanguardie, piuttosto si sofferma a studiare gli impressionisti e le architetture parigine immerse in una piena luce solare. Nella capitale europea Hopper diventa il pittore della luce.

[5] L'uso del taglio cinematografico, per altro molto apprezzato dalla critica, aiuta molto Hooper a raggiungere questo fine.








Le Pavillon de Flore

Fig. 1
EDWARD HOPPER, Le Pavillon de Flore, 1909
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York

Le Pont des Arts

Fig. 2
EDWARD HOPPER, Le Pont des Arts, 1907
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York

Macomb's Dam Bridge

Fig. 3
EDWARD HOPPER, Macomb's Dam Bridge, 1935
olio su tela, cm. 88 x 152
Brooklyn Museum, New York

Studio per il Ponte di Macomb

Fig. 4
EDWARD HOPPER, Studio per il Ponte di Macomb, 1935
grafite su tela, cm. 23 x 46
Whitney Museum of America, New York

The Sheridan Theatre

Fig. 5
EDWARD HOPPER, The Sheridan Theatre, 1937
olio su tela, cm. 60 x 73
Whitney Museum of America, New York

Studio per il Teatro Sheridan

Fig. 6
EDWARD HOPPER, Studio per il Teatro Sheridan, s.d.
conté crayon nera con grafite su carta
Whitney Museum of America, New York

Studio per il Teatro Sheridan

Fig. 7
EDWARD HOPPER, Studio per il Teatro Sheridan, 1936-37
conté crayon nera con grafite su carta
Whitney Museum of America, New York

Summer Interior

Fig. 8
EDWARD HOPPER, Summer Interior, 1909
olio su tela, cm. 61 x 74
Whitney Museum of America, New York

Second Story Sunlight

Fig. 9
EDWARD HOPPER, Second Story Sunlight, 1936-37
olio su tela, cm. 102 x 127
Whitney Museum of America, New York

A Woman in the Sun

Fig. 10
EDWARD HOPPER, A Woman in the Sun, 1961
olio su tela, cm. 102 x 155
Whitney Museum of America, New York




Foto cortesia dell'Ufficio Stampa della Mostra

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