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I fratelli Ubertini: nuove ipotesi di attribuzione della decorazione pittorica della villa di Blosio Palladio  
Claudia Governa
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 26 Febbraio 2010, n. 554
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Blosio Palladio (1470 ca - 1550), erudito e poeta, costituì un riferimento culturale per oltre un quarantennio nella Roma di Giulio II, Leone X, Clemente VII, Paolo III e Giulio III. La stima di cui godeva presso tali pontefici è evidenziata dal fatto di essere stato nominato secretarius domesticus, ovvero segretario dei Brevi. Originario di Collevecchio in Sabina, ma residente a Roma da anni, rappresentò l'uomo perfetto del Rinascimento, in cui le doti culturali si abbinavano a quelle morali: Blosio erat summae doctrinae, lepidae eloquentiae, morum amantissimus, atque omnis leporis candidissimus [1] .

Alla sua biografia la critica letteraria ha rivolto un certo interesse nei primi decenni del secolo scorso, così da poterne seguire le tracce dalla pubblicazione del Suburbanum Augustini Chisii, dedicato alla villa Farnesina alla Lungara ed edito nel 1512, sino alla bolla d'indizione del Concilio di Trento, o a quella di fondazione della Compagnia di Gesù, da lui redatte [2] , seguendo il percorso della cultura romana nei suoi compromessi tra il classicismo del primo quarto di secolo e il nuovo clima instauratosi dopo il trauma della Riforma e quello, certo più violento, del Sacco. Il nome del Palladio ricorre nei più grossi eventi letterari del tempo: un suo carme apre i Coryciana, raccolta di versi da lui stesso curata per l'umanista lussemburghese Jan Goritz; l'artista portoghese Francisco de Hollanda, nei suoi Dialoghi, gli riconosce il ruolo di introduttore alle dotte ed esclusive conversazioni tenute da Michelangelo e da Vittoria Colonna a San Silvestro al Quirinale.

Il Suburbanum Augustini Chisii, uscito dai torchi di Giacomo Mazochi, libraio dell'Accademia Romana, il 27 gennaio 1512, è un componimento di 475 esametri, il cui oggetto è il nuovissimo complesso che, tra il 1505 e il 1510 circa, Peruzzi [3] prima e Raffaello poi sono chiamati a realizzare a Roma oltre il Tevere, alle pendici del Gianicolo, per il gran mercante e banchiere senese Agostino Chigi: palazzo, stalle, padiglione per banchetti [4] , corti, giardino, frutteto, con statue, fontane, vasche e un elaborato sistema di adduzione, raccolta e distribuzione dell'acqua fluviale. In realtà la descrizione s'intreccia, e si fonde in maniera inestricabile, con l'evocazione di un ambiente fantastico carico di riferimenti alla mitologia e all'antico [5] . Ma il fine di Blosio è proprio questo: suscitare con la parola l'ordito di immagini e sensazioni che si capterebbero nel muoversi senza un programma prestabilito in un luogo che è, allo stesso tempo, un'entità concreta e la proiezione di un ideale. L'Ars rhetorica dell'umanista si salda con l'arte edificatoria rinascimentale. Il componimento poetico vero e proprio è preceduto da un'introduzione dell'autore che contiene la dedica dell'opera ad Agostino Chigi. Dalle parole di questa dedica si potrebbe forse arrivare alla congettura che nel 1512 il complesso non era finito: «In verità io vorrei che tu non ti meravigliassi neppure del fatto che io abbia cantato molto delle cose che sono nei giardini, come la fonte e i frutteti, cose che già sono cominciate e ormai attese, come se fossero terminate…Ma non appena io compresi la tua grandezza e liberalità d'animo, non esitai a inserire nella trama dei versi quelle cose che tu hai stabilito come future, come se già esistessero…». Valida è l'ipotesi che Blosio stesso abbia contribuito quindi alla formulazione del programma pertinente la creazione del giardino, la cui derivazione letteraria è facilmente intuibile.


Le perplessità che con tanta chiarezza Erasmo da Rotterdam avanza nel suo Dialogo Ciceronianus (scritto nel 1527 e apparso nel 1528) [6] , in cui viene indicata la frattura insanabile apertasi tra il cristianesimo e la classicità e si additano come follia l'attenzione esclusiva ai valori estetici e il continuo riferirsi agli antichi, non vengono sentite con altrettanta preoccupazione in molti dei circoli legati alla corte pontificia. La reazione più diffusa alla terribile lacerazione del 1527 non sarà di ripensamento o di abbandono della cultura classica, ma consisterà piuttosto nella ricerca di una continuità, nel tentativo di riallacciarsi alla produzione precedente. Scrive Pierio Valeriano In Blosij Palladij Symposium post Romam Restitutam: “Reliquiae immanis Germani, immitis Iberi / Vivimus et nondum funditus occidimus. / Extintas siquidem Blosius nunc suscitat aras, / Instauratque tuos docta Minerva Choros” [7] . I “cori di Minerva”, dispersi per la fuga o la prigionia dei loro membri, o semplicemente resi inattivi dal senso d'incertezza seguito all'invasione di Roma, risorgono quindi, secondo l'umanista veneto, proprio per l'iniziativa di Blosio. Uno dei luoghi destinati alle conversazioni di soggetto letterario e antiquario e, insieme, ai piaceri meno intellettuali del cibo e del vino, fu certamente la vigna con il casino che i documenti nominano “Blosiana” [fig.1]. Situata nella zona della Valle dell'Inferno [8] alle pendici di Monte Mario, sulla sommità di una collina aperta alla vista del Vaticano, la vigna conservava ancora, all'inizio del Novecento, i segni della struttura originaria.  Dalle numerose lettere, ancor oggi conservate [9] , scritte a Blosio Palladio da un membro della sua familia, il “servitor” Pietro Paulo, si possono ricavare utili informazioni circa le molteplici opere di sistemazione, soprattutto pertinenti il giardino della stessa. Inoltre vi è una lettera di Jacopo Sadoleto a Blosio Palladio che testimonierebbe il fatto che i lavori della villa fossero iniziati sin dal 1531. Jacopo Sadoleto, pieno di nostalgia per la propria vigna del Quirinale, scrive dal proprio vescovato di Carpentras:


«Tutto il giorno mi vien detto delle vostre vigne e de vostri edificii e come voi onorevolmente impazzate in essi: di che io godo molto perché mi veggo occasione di vendicarmi di voi con ridermi de la vostra frenesia, si come voi vi ridevate de la mia. Ma poiché altrimenti non posso venire a godere la parte mia, almen vi prego che quando vi trovate li insieme con gli amici nostri comuni, introduchiate a le volte ragionamenti di me conservando nell'animo loro la ricordanza di me si come sono certissimo che voi la conservate nel vostro» [10] .

 
In una curiosa lettera in versi, Raffaello, uomo di fiducia cui il Palladio affidava evidentemente i suoi averi durante i frequenti viaggi, scrive, citando la “Blosiana”, che “tien la vigna salva e la fontana” e ancora suggerisce in tono scherzoso: “serbate un po' nella sacca per farne adorne poi le nove celle” [11] . Questa lettera può far supporre che, alla data 31 agosto 1541, esistessero nella villa delle stanze da poco costruite e che ci si proponesse di ornarle con affreschi, i quali sarebbero quindi stati realizzati nel corso degli anni Quaranta.

A poco a poco prende corpo tutto il giardino della villa con le peschiere circondate da alberi, i vialetti di ghiaia, gli alberi da frutto, le spalliere odorose di rosmarino e di alloro a definire uno spazio verde gradevolissimo, destinato ad accogliere gli ozi letterari di Blosio e dei suoi dotti amici. Ad evocare lo stato originario della villa e il giardino ci soccorrono le parole di un contemporaneo celebre che ebbe stretti contatti con il Palladio: Girolamo Rorario [12] . Quest'ultimo si estende a descrivere la “natura naturata” del giardino, attraverso un percorso ascendente, non tralasciando di ricordare il “gallinaro, fatto di mattoni” e le “invenzioni” funzionali adottate nella cantina e nelle sue attrezzature; sicuramente vi è una volontà d'imitazione dell'antichità nei suoi caratteri più originali del mondo latino, soprattutto in relazione al mondo che Marco Porcio Catone ha descritto nel De Agricoltura e che più tardi Columella ha “sistematizzato” nel De re rustica. Il giardino costituiva l'elemento essenziale della villa di Blosio tanto nelle intenzioni del proprietario quanto nei risultati.  La natura viene organizzata, ma con mano leggera: si attraversano sentieri soleggiati e larghi, il boschetto odoroso di limoni, si giunge all'ombra fresca di un piccolo ninfeo, si è accompagnati dal rumore dell'acqua, continuamente presente in forme diverse. Non ci sono grossi interventi architettonici, rampe marmoree e terrazze, le fonti non citano nessuna collezione archeologica, piuttosto evidenziano la presenza di strutture integrate con discrezione al dato naturale. Ma il giardino per Blosio è anche agricoltura: l'aspetto produttivo e utilitaristico della villa ne esalta il valore di luogo destinato a colti e giocosi conviti, ponendosi in consonanza con i concetti di ciclicità e di connessione dell'uomo e delle sue attività alle fasi naturali, concetti cari all'antichità classica. E il tema della natura, dei suoi elementi e della sua ciclicità, viene considerato anche nell'apparato decorativo del casino [13] .
Domenico Gnoli testimonia l'esistenza, all'inizio del Novecento, di due stanze affrescate all'interno dell'edificio, una con scene mitologiche e l'altra con i lavori legati ai mesi [14] . In realtà il corpus della decorazione originaria doveva essere più complesso.

Al piano nobile dovevano essere affrescati almeno tre ambienti, ma due di essi recavano come unica traccia lo strappo dell'intonaco nella zona alta, operazione effettuata in epoca imprecisata (probabilmente dopo l'ultima guerra) e per una altrettanto imprecisata destinazione. Si può ricavare comunque l'idea di una decorazione sviluppata a fregio, secondo una tipologia ben documentata a Roma, dagli esempi della Farnesina in poi, qui organizzata in riquadri divisi da erme monocrome raffiguranti creature silvane. Gli affreschi superstiti sono stati recentemente oggetto di restauro [15] e aspettano una ricollocazione che restituisca loro il senso e la continuità con cui sono stati creati. Prima che gli affreschi venissero staccati per essere restaurati, Daniela Pagliai [16] negli anni Ottanta ha avuto modo di vederli e di studiarli nella loro collocazione originaria: si trovavano in una delle stanze affacciate sul prospetto ed erano costituiti da dodici scene, tre per ogni parete. La scena principale è sempre definita da un bordo modanato e le scene laterali sono inserite in eleganti cornici rosso scuro, pompeiano, orlate di giallo e arricchite da motivi a grottesche, mascheroni, tralci, sirene. Vi sono raffigurate le quattro divinità personificanti gli elementi, accompagnate da miti connessi alla loro figura: Cerere, Nettuno, Giunone e Vulcano. Un tema, quindi, come quello dei lavori stagionali di cui si ha notizia, legato ai cicli agricoli, al recupero degli ideali bucolici degli antichi. Gli affreschi sono stati genericamente attribuiti alla scuola di Perin del Vaga, negli anni Quaranta del Cinquecento, decennio fortemente segnato dalla presenza dell'artista toscano e della sua scuola [17] , equipe cui, dopo il ritorno del maestro da Genova, si “allogavano tutti i lavori di Roma”, racconta il Vasari [18] . In effetti Perino passò gli ultimi anni della sua vita a correre da un cantiere all'altro, sorvegliando il lavoro di schiere di aiuti.  Tuttavia negli episodi qualitativamente più alti del ciclo, come la figura di Giunone [fig.2], si potrebbe individuare la mano di Prospero Fontana, anche in base a confronti stilistici con altri suoi lavori contemporanei (Castel Sant'Angelo e camerino dei Continenti in palazzo Firenze).

Nella villa vi è un altro ambiente decorato, il cosiddetto padiglione [fig.3]: tutte le pareti e la volta sono dipinte con una sorta di pergolato da cui discendono piante con uccelli e da cui si aprono dei paesaggi limpidi e ariosi. Gli uccelli sono resi minuziosamente e traspare anche un certo gusto narrativo, come nel pappagallo che afferra la lucertola [fig.4] . Più rovinata è la porzione vicino alla finestra. Qui se ne propone l'attribuzione, su basi documentarie e stilistiche, ai fratelli Ubertini: una quietanza del 1544 [19] nomina appunto Antonio Ubertini, fratello del più noto Francesco, detto il Bachiacca, lodato dal Vasari soprattutto per la sua abilità nella resa naturalistica di piante, uccelli e paesaggi, abilità dimostrata nello scrittoio di Cosimo I a Firenze. Nel padiglione della villa di Blosio, finora mai oggetto di studio, emerge chiaramente l'idea di voler ricreare negli interni un'ambientazione naturalistica, che ben si addice all'ideale rinascimentale del piacere di abitare in villa [20] .  La quietanza è la seguente:

«Io Feliciano di Concorezzi [21] confesso havere receuti da Monsignor Blosio scudi undici et iuli 4 a ragione de iuli 10 [22] per V quali sua signoria dieci ne ha rescossi da Messer Prospero de Ferentino per la mia pensione del Natale del 1543 et juli 14 da Messer Antonio Ubertini et in fede li ho scritta e sottoscritta la presente de mia propria mano in questo dì ultimo di settembre 1544
Io Feliciano di Concorezzi confesso ut sopra».
Antonio Ubertini (1499-1572) era ricamatore e decoratore, fratello del più noto Francesco Ubertini detto il Bachiacca (1494-1557), pittore del manierismo fiorentino [23] . In lode dell'arte di Antonio vi sono dei versi di Benedetto Varchi:

«Antonio, i tanti, così bei lavori
Che vostra dotta mano ordisce e tesse
Lodi v'arrecan sì chiare, e sì spesse
Che piccoli appo voi sieno i maggiori:
chi è, non dico, tra i più bassi cori,
ma fra i più alti ingegni, il qual credesse
che poca seta e piccol ferro avesse
agguagliato il martel, vinto i colori?
Onde superbo, e pien di gioia parmi
L'Arno veder, che se felice chiami,
e dica: i figli miei m'han fatto bello.
I bronzi al gran Cellin deono: i marmi
Al Buonarroto: al Bacchiacca i ricami:
le pietre al Tasso: al Bronzino il pennello» [24] .

Il padiglione della villa di Blosio interamente dipinto con paesaggi, piante e uccelli  fa sorgere una questione: il Vasari [25] loda il fratello di Antonio, Francesco, specialmente per la sua capacità di dipingere piccole figure, soprattutto animali, uccelli e piante («un singolar talento che egli aveva di ritrarre al vivo ogni sorte di animali») [fig.5]. Per il Duca Cosimo de'Medici Francesco decorò intorno al 1542-43 lo scrittoio, dove realizzò una gran quantità di uccelli e piante di rara qualità, condotte a olio meravigliosamente [fig.6]. Perché non ipotizzare, quindi, una collaborazione non solo di Antonio, ma anche di Francesco, nella villa di Blosio Palladio? La quietanza parla solo di Antonio, ma sicuramente l'artista si sarà consultato con il fratello e aveva ben presente il lavoro di quest'ultimo presso il Duca Cosimo. Da una parte i due fratelli collaborarono spesso [26] , soprattutto presso la corte dei Medici, dirigendo anche un team di assistenti, dall'altra c'è da dire che Antonio non era soltanto ricamatore. La France riporta che poco prima del 1529, quando Antonio aveva all'incirca trent'anni, egli usò il titolo di pittore (pictore) in un contratto notarile, in latino, in cui testimoniava che il calzolaio Bartolomeo di Giovanni di Francesco aveva ricevuto la dote di sua moglie Benedetta [27] . Quando Antonio s'iscrisse alla gilda dei pittori con suo fratello Francesco nel 1532, egli definì la sua professione come merciaio. Trent'anni dopo, quando la sua reputazione come tessitore era ormai consolidata, il censimento ducale del 1562 ricorda la sua professione come “dipintore” [28] . Dunque Antonio praticò le professioni di pittore e di tessitore piuttosto che comprava e vendeva merci, come tessuti, tinture, lana, seta e filati d'oro, necessari a praticare queste arti. Egli probabilmente si occupò anche della produzione di famiglia di tessuti pregiati. I documenti inoltre suggeriscono che Antonio eseguì dei dipinti sia quando Francesco era in vita sia dopo la sua morte, e questo fatto necessita di essere considerato attentamente, valutando le diverse attribuzioni degli eterogenei dipinti al Bachiacca. Quindi Antonio, a prescindere dalla collaborazione del fratello, probabilmente sarebbe stato in grado di eseguire la decorazione del padiglione della villa.

Ma veniamo alla formazione e alla produzione artistica di Francesco, utile a capire anche quella di Antonio e fondamentale per l'inserimento di quest'ultimo nella corte medicea. Il primo maestro del Bachiacca [29] fu il Perugino, di cui era stato allievo già un altro fratello, Baccio, poi lavorò presso il Franciabigio. L'apprendistato presso la bottega del Perugino mise in contatto il Bachiacca anche con i modelli nordici, in particolare dei Paesi Bassi. Insieme ad Andrea del Sarto, Pontormo e Granacci, Bacchiacca prese parte alla decorazione dell'appartamento nuziale di Giovan Francesco Borgherini, con le Storie di Giuseppe dell'Antico Testamento. Allora il Bachiacca aveva circa vent'anni ed era specializzato nella pittura di paesaggio.
Nel 1525 il Bacchiacca si recò a Roma, dove divenne amico di Benvenuto Cellini e dove ebbe la possibilità di conoscere Giulio Romano e Francesco Penni, allievi di Raffaello. Ma apprezzò tantissimo anche le opere di Michelangelo. Tornò a Firenze prima del Sacco e nel 1539 partecipò alla realizzazione degli apparati per i festeggiamenti delle nozze del Duca Cosimo con Eleonora di Toledo. Diversi dipinti del Bachiacca di questo periodo sembrano impiegare le invenzioni di Michelangelo, in corrispondenza di un effettivo incremento di ammirazione e di richiesta della produzione michelangiolesca nella Firenze degli anni '30. Per esempio il Bachiacca, conoscendo anche la predilezione del Duca Cosimo per le invenzioni di Michelangelo, adottò dei disegni dell'artista di alcune teste divine degli Uffizi [30] . Bachiacca lavorava presso la corte dei Medici per 8 scudi al mese, come anche il fratello Antonio, e le sue opere erano principalmente di carattere ornamentale, come le Spalliere decorate a grottesche e i cartoni con i Mesi per gli arazzi realizzati poi dal fiammingo Johannes Rost. Sarà un caso che anche in una delle stanze della villa di Blosio furono realizzati degli affreschi con i Mesi, ora perduti? Il Bachiacca inoltre realizzò degli affreschi nelle grotte dei giardini di Palazzo Pitti [31] , la decorazione a grottesche del soffitto a capriate nella terrazza di Palazzo Vecchio e il già menzionato scrittoio di Cosimo, particolarmente significativo per il padiglione della villa di Blosio. Lo scrittoio [fig.7] fu decorato tra il 1542 e il 1543, proprio negli anni in cui Cosimo fece realizzare anche un orto botanico a Pisa, a ulteriore dimostrazione dei suoi interessi per i naturalia. Lo scrittoio è stato ricavato dalla facciata di palazzo Vecchio, sotto la Cappella dei Signori, ed è accessibile da una scalinata al livello del mezzanino [32] . È una camera con volta a botte di modeste dimensioni, con una alcova di lettura illuminata da una piccola finestra che affaccia su piazza della Signoria. La decorazione del Bachiacca, eseguita  con la tecnica dell'olio su muro e che ricopre l'intera volta, le mura laterali e l'alcova, è in condizioni precarie, come la maggior parte del colore che è caduto nel corso dei secoli. Le aree dipinte rimanenti, tuttavia, mostrano immagini sorprendentemente naturalistiche di piante e animali affiancate dalle poche scene di paesaggio rimanenti, tutte riconducibili decisamente a uno stile fiammingo. Sul lato sinistro dell'entrata, entro un medaglione, vi è un cinghiale selvatico che cammina sulle sue zampe posteriori in un paesaggio, completamente equipaggiato con un tridente da cacciatore, corno e cane. Questo ironico capovolgimento di ruoli, con la preda dipinta come un cacciatore, definisce il tono dell'intera camera come un ambiente in cui il fantastico incontra il naturalistico. È la sede sia dello studio che dell'immaginazione, e la pittura di paesaggio di Bachiacca la rende un'ambientazione silvana per le Muse all'interno del cuore della città di Firenze. In breve lo scrittoio di Cosimo era uno studiolo rinascimentale basato sulla poetica di Orazio, Virgilio e l'ultimo Petrarca, in cui viene dato largo spazio alla forza della fantasia, unita all'amore per la natura, per vivere lo scrittoio anche come un “rifugio”, locus amoenus.
È da notare che vi è la stessa concezione anche in Blosio. Le lunette della parete più piccola dimostrano reminiscenze dei paesaggi in stile fiammingo, il loro cielo blu e le loro distanti montagne sono ancora visibili in alto a destra. Le pareti dell'alcova mostrano una serie di erbe, pesci, uccelli e insetti minuziosamente resi. Piccole parti rimanenti di decorazione nelle pareti laterali e nella volta permettono un'incompleta ricostruzione dell'insieme. Essi mostrano parti di un albero verdeggiante costituito da festoni popolati con frutti e puttini, dipinti meticolosamente. Decine di uccelli si nutrono da cornucopie, tutti accuratamente dipinti e identificabili secondo la loro specie d'appartenenza. L'illustrazione altamente accurata della flora e della fauna, specialmente ad olio, è stata ampiamente riconosciuta in Italia come una caratteristica della pittura fiamminga. Oltre al loro valore estetico, le piante e gli animali del Bachiacca furono anche riconosciuti come modelli di studio. Benedetto Varchi lodò la decorazione per questa ragione e ne ha sottolineato la sua utilità per la scienze naturali.

Questa volontà di riprodurre all'interno un'ambientazione naturale esterna è evidente anche  nel cosiddetto padiglione della villa di Blosio Palladio, dove tutte le pareti e la volta sono dipinte con una sorta di pergolato da cui discendono piante con uccelli e da cui si aprono dei paesaggi limpidi e ariosi. È probabile che la quietanza si riferisca a questa decorazione, che quindi andrebbe datata intorno al 1544, subito dopo la realizzazione dello scrittoio di Cosimo I. Successivamente, circa un decennio dopo, il papa Giulio III fece affrescare il portico a emiciclo di villa Giulia con pergolati popolati da numerosi uccelli, opera di Pietro Venale [33] [fig.8]. Il chiaro intento era quello di richiamare i giardini della villa [34] . Quindi il padiglione potrebbe rappresentare una tipologia decorativa fiorentina esportata per la prima volta a Roma che avrà larga fortuna nella seconda metà del secolo. Ulteriore dimostrazione di come Blosio fosse a passo con i tempi e seguisse con interesse le mode e gli sviluppi artistici che si accordassero con la sua concezione di vita e di arte.

 
 





RINGRAZIAMENTI

Ai proff. Alessandro Zuccari e Stefano Colonna, per avermi seguita con interesse e costanza e per avermi sempre sostenuta e incoraggiata.
Alla dott.ssa Daniela Pagliai per i suggerimenti e il materiale fotografico relativo agli affreschi prima del restauro.
Alla dott.ssa Alda Spotti del Centro Nazionale del Manoscritto della Biblioteca Nazionale di Roma per la sua disponibilità e per avermi guidata nella lettura del materiale d'archivio.
A tutto il personale della biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma, per la loro cortesia e serietà.
All'ing. Claudio Baldani della Soprintendenza ai beni architettonici di Roma per avermi messa in contatto con i proprietari attuali della villa, che si sono dimostrati disponibili a farmi accedere più volte. Ringrazio, in particolare, l'ing. Giovanni Capece Minutolo del Sasso, persona squisita.

 





FONTI MANOSCRITTE
Archivio di Santa Maria in Aquiro (SMA) presso la biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana di Roma
Tomo n.7- Eredità di Mons. Blosio Palladi dall'anno 1511 al 1590
Tomo n.8- Lettere d'interessi diversi di Mons. Blosio Palladi dall'anno 1507 al 1575
Tomo n.9- Ricevute, conti e quietanze a favore di Mons. Blosio Palladi dall'anno 1513 in poi
Tomo n.10- Matrici d'istromenti rogati da Blosio Palladi allorché esercitava l'ufficio di scrittore dell'archivio romano, dall'anno 1515 e 1516 al 1518
Tomo n.265- Atti riguardanti la suddivisione e vendita dei beni del medesimo
 
Archivio di Stato di Roma (ASR)
Archivio dell'Arcispedale di San Giacomo degli Incurabili (b.209 t. VIII, f. 6):
Eredità di Blosio Palladio
Elenco di tutti i parenti e familiari di Mons. Blosio Palladio
Misura dei terreni et vigne del q. Mons.or Blosio Palladio (1550)
Istrumenti originali 1551-1554
Catasto 1510-1632
Catasto Gregoriano, Suburbio
Disegni e piante, collezione I
Notai della Curia di Borgo
 




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SITI WEB:

http://www.iconos.it

http://www.italica.rai.it/rinascimento







NOTE


[1]      Dai diari di Angelo Massarelli, segretario del Concilio di Trento, riportato da MARINI 1784, II, pp.273-274 e da GARAMPI 1766, p.255
[2]      DE MAIO 1978, pp.374-375
[3]      La composizione del Suburbanum probabilmente costituì l'occasione della conoscenza, che poi diventò amicizia, tra Blosio e  Baldassarre Peruzzi. Quest'ultimo infatti fu direttore dei lavori della casa di Borgo di Blosio e contribuì al progetto della villa e del giardino a Monte Mario. Cfr. BENTIVOGLIO 1987, RICCI 1994, RICCI 2005
[4]      Il padiglione, straordinaria opera perduta di Raffaello, sorgeva sulle rive del fiume e già nel 1531 era semidistrutto a causa delle inondazioni. Cfr. Stefano Ray, La loggia della Farnesina, in AA.VV. Il disegno di architettura, Milano 1989, pp.191-198
[5]     «Anche Pigmalione preferirebbe queste immagini a una sposa d'avorio»
[6]      Erasmo da Rotterdam, Dialogus cui titulus Ciceronianus, sive optimo dicendi genere, in Scaliger Julius Cesar, Tolosae Tectosagum 1621, pp.1-101; cfr. CHASTEL 1983
[7]      Pierio Valeriano, Hexametri, odae et epigrammata, Venezia 1550, p.110
[8]      Attualmente la Valle dell'Inferno, annullata dall'espansione edilizia, può individuarsi tra via A. Emo e via Anastasio II. Circa nel 1910 Domenico Gnoli temeva che, per scavare l'argilla ad uso delle fornaci ivi impiantate, la villa di Blosio Palladio fosse “condannata a sparire insieme al monte che la sostiene” (D. Gnoli, Orti letterari nella Roma di Leone X, in “Nuova Antologia”, 16 gennaio 1930, pp.28-29 scritto postumo, e nuovamente in D. Gnoli, La Roma di Leone X, a cura di A. Gnoli, Milano 1938, p.161). Oggi un breve piazzale separa la villa dal precipizio argilloso. La villa si trova in via Domizia Lucilla.
[9]      La maggior parte dei documenti riguardanti Blosio Palladio si trova nell'archivio di Santa Maria in Aquiro presso la biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei a Roma (tomi 7-10 e 265)
[10]     ASV, Lettere di Principi, vol.6, c.241. Cfr. FERRAJOLI 1915, p.444. La lettera è datata 29/7/1531 ed è importante per confermare l'inizio dei lavori della villa di Blosio Palladio.
[11]     Archivio di Santa Maria in Aquiro, t. 8, f.252, Lettera di Raffaello a Blosio Palladio del 31 agosto 1541
[12]     Girolamo de Rinaldis (1485-1556), di Rorai grande (Pordenone) da cui il cognome Rorario. Educato da Francesco Amalteo e dal Sabellico, si addottorò all'Università di Padova. A seguito della guerra del 1508 con cui Venezia tolse Pordenone all'Austria, la famiglia del Rorario rimase fedele all'imperatore Massimiliano il quale utilizzò Girolamo per alcune missioni diplomatiche.
[13]     Per ulteriori approfondimenti sul rapporto tra arte e natura e sulla concezione del giardino nel Rinascimento cfr. LAZZARO 1990. La natura, in quanto riflesso dell'ordine cosmico divino, era concepita come microcosmo. Conoscere la natura era come conoscere Dio. La dialettica tra arte, intesa proprio come cultura, come capacità dell'uomo di “manipolare” e controllare alcune forze della natura, e natura appunto si esprimeva al meglio proprio nei giardini, nella loro composizione e decorazione, ma anche nella coltivazione e nella costruzione di condotti idrici e fontane.
[14]     GNOLI 1938, pp.160-161
[15]     Il restauro è stato condotto dal prof. Giuseppe Moro già Restauratore Capo dell'Istituto Centrale del Restauro. Alcune scene sono ancora in restauro (quelle che riguardano Vulcano e la Contesa dell'Attica).
[16]     PAGLIAI 1989
[17]     Cfr. DAVIDSON 1966; ARMANI 1986; AA. VV. Perino del Vaga tra Raffaello e Michelangelo, 2001; BRUNO 1970
[18]     G. Vasari, Le vite…, (1568), Newton editori, Roma 2007, p.908
[19]     Archivio S.M.A. t.9 f.44
[20]             Non è una probabilità da scartare il fatto che l'architetto Andrea Palladio, che nel 1541 e nel 1547 venne a Roma e conobbe i membri dell'Accademia, incontrò Blosio e magari conversarono sul piacere di abitare in villa, su quell'ideale di stile di vita sereno e armonico, a stretto contatto con l'ambiente naturale. A proposito dell'architettura della villa di Blosio a Monte Mario si è detto come non forzasse la natura e il paesaggio, anzi come l'assecondasse, e Andrea scrive: «Dico adunque, che essendo l'Architettura (come ancho lo sono tutte le arti) imitatrice della Natura; niuna cosa patisce, che aliena e lontana sia da quello, che essa Natura comporta» cfr. PALLADIO 1570, I, XX, p.51
[21]     Feliciano era un cameriere di Blosio
[22]     10 giuli d'argento, monete emesse dal papa Giulio II, corrispondono a uno scudo d'oro
[23]     Cfr. TICOZZI 1818 in Microfiches SAUR. Recentemente è stata pubblicata un'esauriente monografia sull'artista (LA FRANCE 2008).
[24]     Sonetto CCXLIII
[25]     Il Vasari menziona il Bacchiacca nelle vite del Perugino, Pontormo, Granacci, Franciabigio, Tribolo e Aristotele di San Gallo.
[26]     I due fratelli collaborarono per esempio per dei costumi di carnevale, per diversi spettacoli teatrali e per il letto nuziale del principe Francesco I e Giovanna d'Austria. Inoltre sposarono due sorelle, Tommasa e Dorotea Prolaghi.
[27]     Cfr. LA FRANCE 2008, Doc. 35, p.329
[28]     Ivi, Doc.130, p. 373
[29]     Cfr. NIKOLENKO 1966
[30]     Cfr. LA FRANCE 2008, p.75
[31]     La cosiddetta Grotticina della Madama
[32]     Per la struttura e la decorazione dello scrittoio vedi SIGNORINI 1993, TONGIORGI TOMASI 2002, VOSSILLA 1993
[33]     Pietro Venale da Imola è un pittore di grottesche e stuccature e lavorò con Perin del Vaga
[34] Cfr. AA. VV. Villa Giulia. Oltre Raffaello, aspetti della cultura figurativa del cinquecento romano, catalogo della mostra (Roma, maggio-luglio 1984), Roma, Multigrafica editrice, 1984. È interessante notare che gran parte della decorazione delle sale e del grottino si deve a Prospero Fontana, citato come una delle probabili mani negli affreschi della villa di Blosio. La decorazione di villa Giulia è dedicata a soggetti mitologici con esplicito riferimento alla fertilità naturale, all'acqua e alla ciclicità, come quella della villa di Blosio: tematiche e artisti che ritornano.
 


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Veduta attuale della villa di Blosio Palladio

Fig. 1
Veduta attuale della villa di Blosio Palladio, Roma
Foto di Claudia Governa

Giunone

Fig. 2
PROSPERO FONTANA (?),
Giunone, dopo il restauro, anni '40 del XVI sec.,
Roma, villa di Blosio Palladio
Foto di Claudia Governa

Veduta del cosiddetto padiglione della villa di Blosio Palladio

Fig. 3
Veduta del cosiddetto padiglione della villa di Blosio Palladio, 1545 ca
Foto di Claudia Governa

particolare della decorazione del padiglione della villa di Blosio Palladio

Fig. 4
ANTONIO UBERTINI (attribuito a)
particolare della decorazione del padiglione della villa di Blosio Palladio, 1545 ca
Foto di Claudia Governa

particolare della decorazione del padiglione della villa di Blosio Palladio

Fig. 5
ANTONIO UBERTINI (attribuito a)
particolare della decorazione del padiglione della villa di Blosio Palladio, 1545 ca
Foto di Claudia Governa

Quietanza di pagamento a favore di Antonio Ubertini

Fig. 6
Quietanza di pagamento a favore di Antonio Ubertini
Archivio di Santa Maria in Aquiro, t. 9, f. 44, Roma, Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana

particolari della decorazione dello scrittoio del duca Cosimo

Fig. 7
FRANCESCO UBERTINI DETTO IL BACHIACCA
particolari della decorazione dello scrittoio del duca Cosimo, 1542-43
Firenze Palazzo Vecchio

Ritratto di donna con libro di musica

Fig. 8
FRANCESCO UBERTINI DETTO IL BACHIACCA
Ritratto di donna con libro di musica, particolare
J. Paul Getty Museum, Los Angeles

Decorazione dello scrittoio del duca Cosimo de'Medici

Fig. 9
FRANCESCO UBERTINI DETTO IL BACHIACCA
Decorazione dello scrittoio del duca Cosimo de'Medici, 1542-43
Firenze, Palazzo Vecchio

Particolare della decorazione del portico a emiciclo

Fig. 10
PIETRO VENALE,
Particolare della decorazione del portico a emiciclo, 1552
Roma, villa Giulia
Foto di Claudia Governa

	

Foto cortesia di Claudia Governa

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