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Intervista ad Otello Scatolini  
Stefano Colonna
ISSN 1127-4883 BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 17 Luglio 2009, n. 531
http://www.bta.it/txt/a0/05/bta00531.html
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Area Interviste

 
Oggi è il 3 giugno 2009 e siamo qui nello studio di Otello Scatolini. Ormai ci conosciamo da tanti anni: è un piacere venirlo a ritrovare. Nel frattempo è diventato anche importante e famoso: Presidente dei Marmorari romani, è un onore intervistarlo qui nel suo studio sempre ricco di spunti creativi e di opere molto belle.

  

Allora, caro Otello, vorrei ripercorrere con te alcuni passi della tua vita e della tua esperienza creativa per i nostri lettori del BTA.

Innanzitutto «chi fuor li maggior tui ?», cioè a dirla in breve: mi dicevi che Papà già faceva questo lavoro, vero ?

Sono figlio d’arte: papà è nato a San Lorenzo che è conosciuto come il quartiere artigiano di Roma ed ha un tesoro che è la sua esperienza marmorara che poi a me ha trasmesso negli anni, esperienza che è una missione, è un tramandare a memoria d’uomo. E questo è successo: mio padre è del ’36 e nel «cammin di sua vita» ha sempre lavorato e vissuto qui a San Lorenzo. Io ci sono un po’ “caduto” nella rete dei marmorari e ho fatto quella stessa bottega artigiana che ha fatto lui. In tono minore per fatica, diciamo fatica fisica e impegno, perché ho seguito le scuole: l’Accademia di Belle Arti, il Liceo Artistico. Però sostanzialmente ho fatto la stessa bottega artigiana che ha fatto lui, più o meno la stessa che fece Michelangelo: cioè il lavoro da mattina a sera e l’apprendimento nella bottega, con un contatto col senso pratico, con la realtà che è fondamentale soprattutto per la conoscenza della tecnica del marmo.

 

Quindi papà ti ha trasmesso molte conoscenze. Ecco, volevo chiederti: per quanto riguarda le tecniche da quanto ho capito tu lavori sia il marmo, che il bronzo e le resine, no ?

Io ho una conoscenza abbastanza vasta dei materiali oggi a disposizione: partendo dal classico marmo, fino ad arrivare alle resine, ai poliuretanici, al polistirolo, perché nel lavorare si affrontano secondo me dei tempi, dei modi e delle committenze di diversi materiali. Lavorando anche nel campo della scenografia teatrale nel Teatro dell’Opera di Roma, nella Scala di Milano, i maggiori teatri italiani e del mondo, ho affrontato una conoscenza di altri materiali che sto adoperando anche per la mia attività artistica.

 

Ci sono committenti che ti richiedono opere “vecchio stile”, quindi in marmo ?

Molto molto pochi. Da un punto di vista artigianale direi che c’è una carenza preoccupante, dal punto di vista artistico forse sì, però il cambio di mentalità, di educazione … diciamo che cè stata una modificazione delle esigenze culturali, parlo di quelle italiane, e di conseguenza anche purtroppo una mancata committenza. Forse perché abbiamo troppa storia, abbiamo troppa memoria e quindi pensiamo che ci voglia qualcos’altro. Io comunque continuo nella lavorazione del marmo, perché è una mia passione e un tesoro che va mantenuto.

 

Vedo che tu sei ancora molto vicino al figurativo e quindi prepari l’opera seguendo la vecchia tradizione con il bozzetto. Adesso i committenti vengono con delle fotografie, con dei disegni, con una sola parola, un titolo. Come vengono da te, cioè come lavori ?

Ma, i committenti fondamentalmente vengono con un’idea in testa, che è una sollecitazione che a me non dispiace. Nella maggior parte dei casi oggi si fanno esposizioni nelle gallerie e l’artista affronta delle problematiche in modo autonomo e libero. La committenza per me è importante perché è uno stimolo a mettersi in discussione con se stessi, con gli altri, con le varie tematiche. Io uso ancora la metodica dei bozzetti, non tanto per una preparazione tecnica, ma perché è un’opera d’arte già il bozzetto: è un passaggio che testimonia le modificazioni dei miei lavori fino al lavoro finale che fondamentalmente non è mai finito, continua a vivere. Si cambiano materiali, si cambiano misure, quindi c’è sempre una modificazione: non è mai un bozzetto definitivo per poi tradurlo in marmo. Nel marmo poi cambiano le misure, cambiano i materiali: lì c’è appunto una successiva modificazione.

 

Senti: tu hai una doppia vita nel senso che fai sia il tuo lavoro per la tua bottega, sia anche il lavoro per le grandi scenografie teatrali, vero, se non ho capito male ?

Beh, io come tanti artisti spero di non essere più “sdoppiato” in questo senso anche troppo tempo [:ride]. Sì, vivo una dimensione “doppia”: un’antinomia personale e infatti la prossima mostra che farò probabilmente sarà basata su questa tematica. Io lavoro da tempo per la scenografia teatrale che serve a sponsorizzare la parte artistica perché è voce di popolo che l’artista non sia sempre “carico” economicamente, abbia cioè a disposizione delle economie tali da poter fare quel tipo di lavoro e di vita ventiquattro ore su ventiquattro. Quindi mi devo dividere tra il lavoro artigianale e il lavoro artistico. Fortunatamente riesco a fare lo stesso lavoro in modo diverso: non devo cambiare professione.

 

A me sembra che “di necessità virtù”, poi questa tua antinomia si sia trasformata in un grande arricchimento delle tue capacità lavorative per cui vedo che tu spazȋ dai lavori di piccolo formato fino ai lavori grandi e molto impegnativi come per esempio quelli che avevo visto a suo tempo per le piazze di Roma che erano molto scenografici e che riuscivano a intrattenere lo sguardo dell’occhio su tanti metri quadri. Tu come hai vissuto l’esperienza di queste piazze di Roma ?

Ma, sicuramente l’attività della scenografia teatrale mi ha arricchito tecnicamente tanto da poter affrontare con facilità la realizzazione di opere monumentali. Ho avuto l’occasione, durante il progetto “Cento piazze” a Roma di realizzare due opere per due piazze nuove di Roma e devo dire che la dimensione all’aperto, la dimensione pubblica ha facilitato in me la conoscenza della destinazione d’uso dell’opera, come dovrebbe essere qualsiasi opera d’arte fruibile da chiunque.

 

Quali sono i tuoi “maestri ideali” ?

Ce ne sono un po’, ce ne sono un po’… Classicamente partono da Michelangelo, da Bernini arrivando a Bacon, a Keith Haring. Dal classico figurativo all’astratto, al segno vero e puro, alla gestualità. C’è una ricerca che è tutt’ora una ricerca nei confronti del mondo dell’arte che mi fa assumere una proprietà di linguaggio sempre maggiore.

 
Senti, poi ho notato, conoscendoti ormai da tanti anni, che tu lavori con la committenza privata, con la committenza pubblica per arrivare infine ad un laboratorio di esperienza personale: di progettualità creativa tua personale. Cioè a dire fai dei progetti che nessuno ti ha richiesto e che poi però vuoi presentare in spazi anche pubblici molto importanti. Ecco, quest’attività di fucina, insomma un po’ rinascimentale se vogliamo, è molto bella. Non so se vuoi parlarne …

Hai detto bene: una fucina rinascimentale, la bottega. Sarà che ci sono nato e quindi questo carico sulle spalle che non voglio scrollarmi c’è ancora. Io spesso ho sentito dire da grandi artisti, o comunque ho visto che non si muovono, non creano se non hanno una committenza. Io personalmente ho l’esigenza di esternare. Io spesso e volentieri mi definisco un “cantastorie”, quindi ciò che vedo, ciò che vivo devo trasferire dentro di me, filtrare e poi esporre in modo diverso, o che ci sia una committenza o che non ci sia l’esigenza per un artista vero c’è e comunque va estrapolata.

 

Per quanto riguarda l’ispirazione delle tue opere tu hai lavorato sia per la Chiesa Cattolica, sia anche per altre confessioni religiose. Ti senti molto libero in questo tuo essere in un certo senso multiconfessionale, che esperienza hai vissuto ?

Partiamo dal presupposto che io sono un uomo con tanti dubbi e nessuna certezza: mi domando sempre ogni giorno qual è il senso della vita, qual è il senso del mio essere su questa terra. Ho affrontato diversi lavori per diversi credi religiosi in modo sempre estremamente sereno e comunque preposto alla conoscenza, questo sicuramente.

  

Nelle tue opere si respira molto, adesso me l’hai proprio fatta venire questa domanda [:rido],  il senso un po’ dell’ignoto, del mistero … vedo adesso questi bozzetti sono affascinanti, molto misteriosi. Ecco, questo che mi stai facendo vedere, questo è un “uovo cosmico”, una specie di “Giano bifronte” con una scimmia da una parte e dall’altra un uomo con gli occhi chiusi. Bellissima: questa è proprio tua, non avevo vista altrove questa iconografia. Ecco, sono opere molto belle che nascono da una grande creatività e da uno studio rigoroso anche dei maestri del passato. Tu hai una tua biblioteca ? Come ti documenti quando vai a vedere le opere dei grandi maestri … Scusa sai se ti faccio domande un po’ indiscrete, magari sono segreti del mestiere e tu non vuoi rivelarli, magari se non vuoi rispondere taci [:ridendo].

 
No, assolutamente, non ho segreti. No, a parte lo scherzo: copiare … Ogno di noi ha conoscenza, speriamo che ognuno di noi abbia una sempre più ampia conoscenza del passato, del proprio passato, della propria storia. Leonardo da Vinci non amava gli uomini: infatti lo si vede nelle caricature che faceva: lo riteneva giustamente un essere molto stupido. Io con questa opera nella quale appunto avevo pensato appunto al “Giano bifronte”, opera che poi è stata interpretata in maniera diversa, ho rappresentato, e sarà un polimaterico, l’uovo sarà completamente in marmo, il viso con gli occhi chiusi rappresenta “la conoscenza”, la barba lunga, io credo di riuscire anche ad allungarla un po’ di più: rappresenta il tempo che passa, quindi l’esperienza, la meditazione, la conoscenza. E la parte della scimmia sarà invece in piombo: è come una maschera, è il corpo grezzo primordiale, ecco perchè la scimmia che abbraccia e racchiude l’anima. Io sono un po’ preoccupato oggigiorno per quello che sta fabbricando l’uomo, preoccupato per me e per i nostri figli. Infatti la mostra avrà, fra le varie tematiche, quella della natura, della sostenibilità dell’ambiente, del progresso dell’uomo. Perché c’è ancora una cecità da parte dell’uomo a non vedere le vere problematiche, a nasconderle e quindi, in una sorta di suicidio, proseguire per questa strada.

 
 

Quindi nella tua arte c’è una forte carica di impegno sociale nonostante sembrino delle opere di uso e di fruizione strettamente privata, così, a vederle di primo acchito.

 No, assolutamente no. Sono stato sempre sensibile a queste tematiche, a maggior ragione adesso, perché comunque c’è un tempo in cui non si può più tornare indietro: l’unica terra che abbiamo è questa e l’abbiamo sfruttata sin troppo. Ci sono dei messaggi molto importanti nel mondo che fanno credere il contrario. Io faccio pochissimo, il mio piccolo impegno però penso serva a sensibilizzare quanto meno quante più persone posso su queste tematiche.

  

Bene, mi sembra che come prima intervista possa bastare. Adesso il nostro appuntamento prossimo dunque a questa bella mostra che riunirà tutte le tue opere più importanti. Ti ringrazio per oggi.

 A presto, speriamo !











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